Introduzione Come racconterò in questa tesi, lo spunto per iniziare il percorso mi è stato offerto
durante la preparazione dell'esame di epistemologia delle scienze umane l’estate scorsa.
Il corso aveva l'obiettivo di fornire i quadri concettuali dell'epistemologia sistemica e il
contenuto verteva sull'illustrazione dei principi, problemi e metodi dell'epistemologia
della complessità, con particolare riferimento alle sue applicazioni nell'ambito delle
scienze umane e pedagogiche.
I libri in programma erano:
Bocchi G., Ceruti M., Educazione e globalizzazione , Cortina, Milano, 2004.
Morin E., I sette saperi necessari all’educazione del futuro , Cortina, Milano, 2001
Morin E., La testa ben fatta, riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero , Cortina,
Milano, 2002
Mentre leggevo questi libri, in particolare quelli di Edgar Morin, si stavano giocando gli
Europei di calcio ed io spesso mi trovavo con gli amici a guardare le partite. L'idea per
il lavoro mi venne la sera in cui guardai la partita Italia-Romania non tanto per la
partita in sé ma soprattutto a seguito del dibattito che ne scaturì. Ognuno dei presenti
dava una determinata interpretazione, metteva in evidenza alcuni episodi piuttosto che
altri, attribuiva la colpa per questo o quell'errore all'arbitro, a un giocatore o alle scelte
dell'allenatore. La discussione era molto sentita e vivace, proprio perché i punti di vista
dai quali veniva guardata la partita erano contrastanti e differenti e non c'era un punto
d'incontro.
Mi sono allora chiesta cosa fosse una partita, cosa fosse il gioco del calcio, come mai le
persone se ne appassionano così tanto; mi sono chiesta come poter comprendere meglio
una partita e le dinamiche che ne entrano a far parte. Ho quindi deciso di provare a
utilizzare la visione sistemica di Edgar Morin e ad “applicarla” al gioco del calcio. La
convinzione che sentivo era che i miei amici passassero ore a discutere circa una partita
proprio perché non riuscivano a coglierla nella sua globalità, a vedere le
interconnessioni e a comprenderla a fondo.
È così che il giorno dell'esame ho portato una prima parte di lavoro, che ho in seguito
approfondito con l'aiuto della Dott. Raffaella Trigona e del Professore Gianluca Bocchi,
3
grande appassionato di calcio.
Ho iniziato da un approfondimento teorico nella prima parte della tesi per fornire un
quadro generale di quali sono stati i mutamenti paradigmatici che hanno caratterizzato e
stanno caratterizzando tutte le scienze contemporanee, oltre che a fornire una chiave di
lettura del mio lavoro.
Nella seconda parte ho invece provato ad analizzare il gioco del calcio utilizzando
alcuni dei principi di Edgar Morin. Ho avanzato l'ipotesi (che resta comunque esposta a
una razionalità critica) che dal gioco del calcio possano emergere alcune
“caratteristiche” per cui quest'ultimo possa essere visto come sistema complesso.
Ho cercato quindi di spiegare cosa si intenda per sistema complesso, multidimensionale,
dialogico, chiuso ed aperto e infine rispondente a un'ecologia dell'azione.
Dopo aver fatto questo lavoro analitico ho deciso di interrogare alcuni protagonisti del
calcio, in qualche modo “sfidandoli”. Le interviste che ho realizzato, infatti, dopo una
breve parte narrativa, sono state orientate a quella che ho denominato la “classifica degli
elementi” che consisteva nel chiedere ai miei interlocutori di mettere alcuni elementi del
sistema calcio e della partita (che io avevo isolato appositamente) in ordine di
importanza. A partire dalla prima intervista ho elaborato una serie di riflessioni
mettendo l'accento in particolar modo su come, dove e se i miei interlocutori cogliessero
interconnessioni e collegamenti.
Da queste riflessioni è nata l'idea con il Professore Gianluca Bocchi di una meta-
intervista che è stata trasversale e conclusiva per una rilettura di tutto il lavoro di tesi.
4
PARTE PRIMA: DELLA SCIENZA
5
Le scienze classiche e quelle contemporanee: i
mutamenti di paradigma riguardanti questioni
teoriche e epistemologiche .
L’intenzione che muove la stesura di questo capitolo è quella di descrivere le varie
transazioni paradigmatiche che hanno caratterizzato e stanno caratterizzando tutte le
scienze contemporanee. Mi sembra dunque necessario capire cosa si intende con questo
termine.
Thomas Kuhn, storico e filosofo della scienza, a cui dobbiamo contributi fondamentali,
diffuse, intorno alla metà del ventesimo secolo, l'uso del termine “paradigma” per
indicare l'insieme di teorie, leggi e strumenti che definiscono una tradizione di ricerca in
cui vi è un accordo rispetto al tipo di domande formulate e di risposte di cui si va in
cerca. Nello specifico egli definisce il concetto come la relazione specifica e imperativa
tra le categorie o le nozioni cardine in seno a una sfera di pensiero che esso comanda
determinando l’utilizzazione della logica, il senso del discorso e infine la visione del
mondo 1
.
Secondo Edgar Morin il paradigma può essere definito come:
• promozione/selezione dei concetti dominanti dell'intellegibilità . Così, l'ordine
nelle concezioni deterministiche, la materia nelle concezioni materialistiche, lo
spirito nelle concezioni spiritualiste, le strutture nelle concezioni strutturaliste
sono i concetti dominanti, selezionati/selezionanti, che escludono o subordinano
i concetti che sono loro antinomici (il disordine, lo spirito, la materia, l'evento).
Il livello paradigmatico è dunque quello del principio di selezione delle idee che
sono o integrate nel discorso della teoria oppure escluse e rifiutate.
• La determinazione delle operazioni logiche dominanti. Il paradigma è nascosto
sotto la logica e seleziona le operazioni logiche che diventano nel contempo
preponderanti, pertinenti ed evidenti sotto il suo dominio (esclusione-inclusione,
disgiunzione-congiunzione, implicazione-negazione). È il paradigma che
1 www.wikipedia.com.
6
accorda il privilegio ad alcune operazioni logiche a discapito di altre, per
esempio la disgiunzione a danno della congiunzione, è il paradigma che da
validità e universalità alla logica che ha scelto. Nello stesso modo da validità a
discorsi e alle teorie che controllano i caratteri della necessità e della verità. Il
paradigma fonda l'assioma, cioè un principio che si crede sia evidente per sé e
che non deve essere dimostrato, e si esprime nell'assioma. Un esempio di
assioma che Edgar Morin cita è: ogni fenomeno propriamente umano si
definisce in opposizione alla natura 2
.
Dunque il paradigma prescrive e proscrive; effettua la selezione e la determinazione
della concettualizzazione e delle operazioni logiche. Designa le categorie fondamentali
dell'intellegibilità e opera il controllo del loro uso. Cosi, gli individui conoscono,
pensano e agiscono secondo i paradigmi inscritti culturalmente in loro. Edgar Morin fa
l'esempio di due paradigmi opposti concernenti la relazione uomo-natura. Il primo
include l'umano nella natura, il secondo prescrive la disgiunzione tra questi due termini
e determina ciò che vi è di specifico nell'uomo con esclusione dell'idea di natura. Questi
due paradigmi hanno entrambi in comune la condivisione di un paradigma ancora più
profondo, il paradigma di semplificazione che di fronte a ogni complessità concettuale,
prescrive sia la riduzione (dell'umano al naturale) sia la disgiunzione (tra l'umano e il
naturale). Entrambi questi paradigmi impediscono di concepire l'unidualità naturale-
cerebrale e culturale-psichica della realtà umana e impediscono allo stesso tempo di
concepire la relazione di implicazione e di separazione tra uomo e natura. Il paradigma
svolge quindi allo stesso tempo un ruolo sotterraneo e sovrano in ogni teoria, dottrina,
ideologia. Questo è inconscio, ma alimenta il pensiero cosciente, lo controlla e, in
questo senso, è anche sovracosciente.
Il paradigma, in sintesi, istituisce le relazioni primordiali che si costituiscono in
assiomi , determina i concetti, domina i discorsi e le teorie. Ne organizza
l'organizzazione e ne genera la generazione o rigenerazione. Si può qui richiamare, per
fare un altro esempio, uno dei più “grandi” paradigmi che ci caratterizzano, nel senso
che esso fa parte di tutta la tradizione culturale, scientifica, filosofica dell'Occidente.
2 Morin, E. I sette saperi necessari all'educazione del futuro, Cortina, Milano, 2001.
7
Questo paradigma è stato formulato da Cartesio e imposto a partire dal XVII secolo. Il
paradigma cartesiano disgiunge il soggetto e l'oggetto, ciascuno nell'ambito della
propria sfera: da una parte la filosofia e la ricerca riflessiva; dall'altra la scienza e la
ricerca oggettiva.
Questa dissociazione ha poi attraversato l'universo in tutti i suoi domini:
soggetto/oggetto, anima/corpo, spirito/materia, qualità/quantità, finalità/causalità,
sentimento/ragione, libertà/determinismo, esistenza/essenza.
Si tratta appunto di un paradigma perché determina i concetti sovrani e prescrive la
relazione logica: la disgiunzione. La trasgressione a questa disgiunzione è quindi vista
solo come clandestina, marginale, deviante. Esso determina una doppia visione del
mondo: da una parte un mondo di oggetti sottoposti a osservazioni, sperimentazioni,
manipolazioni; dall'altra un mondo di soggetti che si pongono problemi di esistenza, di
comunicazione, di coscienza, di destino. Così, un paradigma può nello stesso tempo
chiarire e accecare, rivelare e occultare (per questo ci deve essere la consapevolezza del
punto di vista dal quale guardiamo, la consapevolezza del fatto che l'osservatore è parte
fondamentale del sistema che osserva e della produzione e riproduzione di quel
sistema). È nel suo seno, sostiene Edgar Morin, che si trova annidato un problema
centrale del gioco della verità e dell'errore 3
.
Al determinismo dei paradigmi e dei modelli esplicativi si associa il determinismo delle
convinzioni e delle credenze che, quando regnano su una società, impongono a tutti e a
ognuno la forza imperativa del sacro, la forza normalizzatrice del dogma, la forza
proibitiva del tabù. Le dottrine e le ideologie dominanti dispongono della forza
imperativa, che fornisce l'evidenza ai convinti, e dispongono di una tale forza coercitiva
da suscitare timore inibitore negli altri. Il potere imperativo dei paradigmi, delle
credenze ufficiali, delle verità, delle dottrine dominanti, determina gli stereotipi
cognitivi: idee accolte spesso senza esame, assurdità, rifiuti delle evidenze in nome
dell'evidenza. Tutto questo, di conseguenza, fa regnare i conformismi cognitivi e
intellettuali. Sotto questi conformismi, dominati da determinati paradigmi, vi è però di
più che un semplice conformismo: vi è quel che Edgar Morin definisce imprinting
culturale , cioè un'impronta di matrice che inscrive il conformismo in profondità
3 Ivi.
8
causando una sorta di normalizzazione che esclude quasi acriticamente tutto ciò che
potrebbe contestarlo.
Come per l'imprinting nei cuccioli 4
l'imprinting culturale segna gli esseri umani fin
dalla nascita, dapprima con il sigillo della cultura familiare, in seguito con quella
scolastica e poi quella universitaria o professionale. Così, la selezione sociologica e
culturale delle idee obbedisce solo raramente alla verità; anzi, essa spesso può essere sul
binario opposto alla verità. Il più delle volte i nostri principi di conoscenza (i paradigmi)
nascondono ciò che, soprattutto oggi, è indispensabile conoscere. Come ben esplicitato
nella frase di San Giovanni della Croce per raggiungere il punto che non conosci, devi
prendere la strada che non conosci , i problemi la cui urgenza ci costringe all'attualità
richiedono di distaccarsene per poterli considerare nella loro sostanza.
Le credenze e le idee non sono solo prodotti della mente, ma esseri mentali che hanno
vita e potenza, ed è per questo che possono possederci. Edgar Morin parla di queste idee
usando il termine noosfera col quale indica la sfera delle cose della mente, che fin
dall'inizio dell'umanità si manifestano nei miti e negli dei. Nata interamente dalle nostre
anime e dalle nostre menti, la noosfera è in noi e noi siamo nella noosfera . I miti hanno
preso forma, consistenza, realtà a partire proprio dai nostri sogni e dalle nostre
immaginazioni. Le idee hanno preso consistenza, forma, realtà a partire dai simboli e
dai pensieri delle nostre intelligenze. Miti e idee sono ricaduti in noi, ci hanno invaso
dandoci emozioni, amore, odio estasi, furore. Ancora oggi i nostri demoni ideali 5
(i
nostri paradigmi) trascinano e sommergono le nostre coscienze rendendoci incoscienti
nel momento in cui ci danno l'illusione di essere ipercoscienti. Le società
addomesticano gli individui attraverso miti, idee, ideologie, paradigmi dominanti, che a
loro volta addomesticano le società. Ma si può anche sottolineare che a loro volta le
persone potrebbero cercare di addomesticare le loro idee e di conseguenza controllare la
società che li controlla 6
. Non si tratta però come sostiene Edgar Morin, di ridurre le
idee a puri strumenti per controllare il mondo e le cose, poiché le idee esistono
4 Termine coniato da Konrad Lorenz per indicare il marchio irreversibile che impongono le prime
esperienze del cucciolo animale.
5 Morin, E., I sette saperi necessari all'educazione del futuro, Cortina, Milano, 2001.
6 Idem: per spiegare questa dinamica Edgar Morin parla di gioco complesso di asservimento-
sfruttamento- parassitismi tra le tre istanze individuo-società noosfera (nella quale rientrano anche i
paradigmi dominanti di cui si discute in questo paragrafo).
9
attraverso e per l'uomo, ma l'uomo esiste attraverso e per le idee. Non possiamo servirci
delle idee se non sappiamo servircene: una teoria, un ideale, un paradigma non
dovrebbero né essere semplicemente strumentalizzati né imporre i loro verdetti in
maniera autoritaria. I paradigmi che ci forniscono visioni del mondo molto rigide
andrebbero relativizzati e addomesticati. Una teoria dovrebbe aiutare a orientare le
strategie cognitive dei soggetti in un modo il più possibile aperto al pluralismo e alla
critica razionale 7
. È comunque compito arduo distinguere il momento di separazione tra
ciò che è nato dalla stessa fonte: l'idealità, cioè il modo che l'idea utilizza per tradurre il
reale e l'idealismo, che invece è la presa di possesso del reale da parte dell'idea; la
razionalità, dispositivo di dialogo tra l'idea e il reale e la razionalizzazione, che
impedisce questo stesso dialogo. Ugualmente è molto difficile riconoscere il mito
nascosto sotto il marchio della scienza o della ragione. Il nostro principale ostacolo
intellettuale alla conoscenza si trova nel nostro strumento intellettuale di conoscenza.
Tuttavia sono pur sempre le idee che ci permettono di concepire le carenze e i pericoli
dell'idea. Morin sostiene che non dobbiamo mai dimenticare di mantenere le nostre idee
nel loro ruolo mediatore e che dobbiamo impedir loro di identificarsi con il reale;
dobbiamo riconoscere come degne di fiducia solo le idee che comportano l'idea che il
reale resiste all'idea. Questo è un compito fondamentale, secondo Morin, per la lotta
contro l'illusione.
7 Razionalità e razionalizzazione sono due concetti ben distinti: la razionalizzazione è una dottrina
chiusa che obbedisce a un modello meccanicista, legato alla logica di causalità lineare; la razionalità
invece consiste nel sottoporre sempre le nostre teorie all'autocritica, riconoscerne le insufficienze e
lasciare che esse restino aperte a un dialogo con un reale che resiste loro.
10
Si può parlare di “rivoluzione scientifica”?
Nonostante i paradigmi siano un imprinting culturale che causa spesso una
normalizzazione delle idee privandoci spesso della capacità di criticarle e metterle in
discussione, oggi stiamo vivendo una rivoluzione scientifica che, a differenza di altri
periodi storici, non si limita ad alcuni campi specifici (astronomia, cosmologia, biologia
ecc.).
L'attuale rivoluzione scientifica riguarda la scienza stessa. Non molti anni fa i filosofi
della scienza si interessavano alla finalità della scienza o al suo significato. Oggi
l'interesse si è spostato sulle finalità delle “finalità” o sul significato del “significato”,
cioè sulle strutture logiche delle nozioni che possono applicarsi a sé medesime. Questo
perché oggi si sente la necessità di inserire lo scienziato nella sua scienza.
Le frasi “io ho osservato o io ho misurato” non hanno valore se non si determina,
epistemologicamente, questo enigmatico “io”. Gli scienziati diventano responsabili
della loro scienza e, per questo, etica e epistemologia risultano essere due facce della
stessa medaglia.
La storia della scienza ci ha lasciato in eredità un notevole patrimonio di strumenti
esplicativi, di tipi di inferenze, di strategie di analisi e di argomentazione; queste
argomentazioni però sono state guidate, per la maggior parte, dalla nozione triadica di
causalità che comprende una causa, un effetto e un principio (o operatore, leggi di
natura, programma) che trasporta la causa nell'effetto. Secondo questa nozione, se si
conoscono queste “regole di trasformazione”, è possibile prevedere gli effetti partendo
da qualunque insieme di cause. Laplace sosteneva che se un’intelligenza sovra umana
si trovasse a conoscere la condizione presente di tutte le particelle dell’universo, nulla
sarebbe incerto, e il futuro e il passato dell’universo sarebbero presenti alla sua mente 8
.
Ma, nell'ultimo secolo questa idea è stata completamente rovesciata. Un famoso attacco
ad essa è stato inferto da Ludwig Wittgenstein che nella famosa Proposizione 5.1361
del tractatus così si esprime: gli eventi del futuro non possiamo inferirli dai presenti. La
credenza del nesso causale è una superstizione 9
.
8 Ceruti, M., Il vincolo e la possibilità, Giacomo Feltrinelli Editore, 1986, Milano.
9 Ivi.
11
Nel 1927 Werner Heisenberg insistette sul fatto che l'atto di osservare un sistema è un
intervento che altera il sistema stesso in modi che non possono essere inferiti dai
risultati dell’osservazione.
Poi, nel 1957, Arthur Gill dimostrò che le macchine non banali (cioè macchine il cui
stato interno può cambiare in conseguenza delle operazioni precedenti) sono
indeterminabili analiticamente e quindi imprevedibili: non è possibile stabilire
attraverso un numero finito di esperimenti il carattere banale di un sistema che non è
stato sintetizzato da noi stessi. Di conseguenza non è possibile stabilire le “leggi” della
sua natura e la causalità perde di significato proprio perché non possiamo definire
queste regole, proprio perché viene a mancare la “regola di trasformazione” (da un
effetto si arriva a spiegare la causa e quindi a stabilire un principio).
Come si può, si chiede Heinz von Foerster ricostruire l’edificio della scienza senza il
cemento della causalità? Mauro Ceruti lo fa partendo dal caso dell’evoluzione biologica,
fenomeno nel quale le cose passate sono trasparenti e interpretabili (quasi)
completamente e nel quale le cose future sono invece di un’opacità e di un
imprevedibilità (quasi) universale (questa è un’asimmetria perfetta). La causalità
elimina la presenza di noi esseri umani o spiegandola o utilizzando la forma del caso o
quella della necessità . Mauro Ceruti invece inserisce la nostra responsabilità nella
nuova costruzione della scienza, basandola sui vincoli e sulle possibilità .
Nel corso del novecento si è creduto di poter identificare precisi criteri di demarcazione
della conoscenza scientifica che si sono rivelati troppo ristretti e limitanti di fronte alla
complessità dei problemi che oggi ci troviamo ad affrontare, i quali ci porgono nuovi
tipi di domande. Ciò richiede un'epistemologia adeguata che abbia come oggetto la
molteplicità delle forme, delle strategie, delle dimensioni, delle relazioni costitutive
delle conoscenze. Il contributo dell’epistemologia è proporzionale alla sua capacità di
contribuire alla comunicazione fra le conoscenze, non alla loro “normalizzazione” ; alla
sua capacità di turbare un corpus costitutivo delle conoscenze, più che a giudicarlo
stabilito.
Al di là di ogni definizione, ciò che emerge è il problema di come e in che misura i
risultati delle scienze cognitive, biologiche ed evolutive contemporanee possano
retroagire sui principi epistemologici che hanno disciplinato la loro costituzione e più in
12
generale, come e in che misura possano influire sulla riformulazione dei problemi
classici dell’epistemologia (che concernono i meccanismi, le strategie, le direzioni di
sviluppo e del mutamento delle conoscenze stesse, la relazione tra conoscenza e realtà,
il ruolo dell’osservazione, la natura della legge e della previsione). Mauro Ceruti, nelle
sue opere, discute di una ridefinizione in positivo della finitezza e delle limitazioni dei
punti di vista a partire dai quali elaboriamo le conoscenze. Egli rielabora i concetti di
vincolo e possibilità, ridefinendo i problemi classici della necessità, della possibilità,
dell’ordine e del disordine, del caso, della legalità, della previsione, dell’evento,
dell’osservazione, dell’invarianza, del cambiamento, della continuità, della
discontinuità.
Questa ridefinizione parte da un mutamento del modo in cui viene intesa la relazione tra
conoscenza e realtà (un mutamento di paradigma). La conoscenza non è più vista come
rappresentazione di una realtà assoluta ad essa esterna: l’epistemologia cerca oggi di
interpretare la relazione tra conoscenza e realtà nei termini della relazione di “adatto”
nel nuovo senso delle scienze evolutive (conoscenza adatta a un contesto, inserita nelle
relazioni che essa intrattiene con le altre conoscenze). In questo senso mi sono chiesta:
anche il calcio è un sistema “adatto”? In effetti questo gioco mi sembra risultare essere
un sistema compreso in altri sistemi (economico, politico, commerciale, culturale,
sociale) con il quale intrattiene relazioni; relazioni che determinano la costituzione del
sistema calcio stesso il quale, a sua volta, influenza e condiziona gli altri sistemi con il
quale viene a contatto.
Tornando all’epistemologia del nostro secolo quest'ultima è partita dalla ricerca dei
criteri e degli ordinamenti adeguati a porre (e risolvere) i problemi della classificazione
delle scienze e della definizione dei criteri di scientificità. Questo tentativo si è rivelato
un fallimento ma proprio per questo ha portato a comprendere meglio la natura dei
nostri criteri e delle nostre classificazioni.
Oggi si comprende che non esiste un immagine unitaria del sapere e dell’universo che
gli approcci locali devono cercare di raggiungere: i vari saperi si intersecano, si
accavallano, si ignorano, si contrappongono, si integrano. È possibile evitare sia
l’unione di approcci locali attorno a blocchi paradigmatici sempre più grossi sia la
parcellizzazione e l'incomunicabilità delle prospettive poiché oggi ci si rende conto che
13
ove sintesi sono raggiunte, antinomie possono nascere.
Lo sfondo della conoscenza è costruito più che dato; esso dipende dall’universo del
discorso adottato e di conseguenza dalla collocazione della nostra collocazione nel
tempo e nello spazio, dalle nostre scelte e dai nostri progetti. Vi è interdipendenza tra le
nozioni di oggetto e di sistema rispetto all’osservatore e al soggetto. Questo vale anche
per le leggi di un universo in cui esiste una pluralità di rapporti di determinazione
reciproca. Il soggetto sceglie poi di privilegiare , più o meno temporaneamente, taluni
suoi punti di vista rispetto a una realtà che possiede sempre un maggior numero di
dimensioni.
14