Introduzione
vi
percezione e l’uso di un luogo, entrato ormai a far parte dello scenario urbano nel
quale siamo abituati a vivere, è stato importante saper isolare quella comune
considerazione dell’ambiente urbano come qualcosa di universalmente dato, per
porsi invece in una prospettiva critica nei confronti di quegli atteggiamenti e
orientamenti umani che caratterizzano di volta in volta una visione del mondo propria
e specifica.
Al fine di rendere questo mio contributo più esaustivo possibile, ho dedicato il
primo capitolo ad una breve ma quanto più completa analisi diacronica dei luoghi
del commercio: dalle forme di mercato locale, dalle fiere medievali fino alla
costituzione di spazi urbani (strade, piazze, ecc.) adibiti alle attività di
compravendita nel processo di formazione delle città commerciali e dell’economia
capitalistica. I palazzi delle grandi esposizioni, i primi grandi magazzini e le gallerie
commerciali descritti da Walter Benjamin, che hanno costituito lo scenario per le
attività di distribuzione delle merci tra Ottocento e Novecento, frequentati dalla
folla, sola ed unica protagonista della città del consumo, non sono stati altro che i
precursori degli shopping center postmoderni.
Dopo aver prodotto una panoramica sull’evoluzione storica dei luoghi del
commercio, nei due capitoli successivi ho analizzato la struttura del centro
commerciale sia come elemento architettonico inserito nel contesto urbano, che
come luogo di consumo. Il secondo capitolo comprende una ricostruzione storica
della nascita e dello sviluppo degli shopping center negli Stati Uniti, con l’opera di
Victor Gruen, e in Europa, che consente di capire e collocare le ultime realizzazioni
rispetto agli schemi proposti all’inizio del secolo. Nel presentare la situazione
italiana, sono stati inoltre analizzati i processi evolutivi e le dinamiche di sviluppo
delle tipologie di vendita annesse e connesse all’impianto del centro commerciale,
quali supermercati, ipermercati, grandi magazzini e piccoli negozi. Dopo il loro
isolamento in luoghi periferici, i centri commerciali oggi trovano nuovamente un
loro spazio nella città con la quale cercano di stabilire un rapporto di scambio.
Attraverso l’inserimento urbano, il trattamento delle facciate, la distribuzione degli
interni e l’articolazione dei percorsi, l’architettura svolge un ruolo fondamentale nel
favorire l’interazione tra il centro e la città, nel generare vita sociale e nel fornire dei
riferimenti simbolici a livello dell’immaginario collettivo in grado di conferire al
centro commerciale una propria identità dal punto di vista semantico.
Nel terzo capitolo ho affrontato il tema del consumo riproponendo i
principali approcci teorici elaborati dagli studiosi di scienze sociali ed economiche
(dalla dottrina di Marx e dei membri della scuola di Francoforte alle teorie di
Veblen e Duesenberry, fino alle elaborazioni di alcuni rappresentanti del pensiero
postmoderno).
Viene stabilito, quindi, il ruolo che i concetti di merce, mercato e consumo
rivestono nella società industrializzata ed urbana e viene analizzato l’uso e il
significato degli spazi commerciali e delle immagini culturali (esposizione e
pubblicità) che mediano l’acquisto e il consumo dei beni. Infatti, il ruolo sempre più
determinante della moda e del tempo libero viene accompagnato dalla creazione di
ambienti simulativi e mondi-di-sogno, luoghi naturali per i flussi delle merci e per la
Introduzione
vii
folla, scenari dominanti nelle opere di Baudelaire, Benjamin e Simmel. Grandi
magazzini, gallerie, parchi a tema, centri commerciali sono da leggersi come la
diretta conseguenza e nello stesso tempo la manifestazione della crescente
produzione di merci nelle grandi città; essi diventano l’espressione stessa di quella
trasformazione culturale in atto che M. Featherstone definisce all’insegna dello
“stile di vita postmoderno”.
Ma quali sono i rapporti che l’uomo instaura con questi luoghi del consumo e
del vivere urbano? Come è mutata la percezione dello spazio e come si sono evoluti
i modelli di consumo nella trasformazione della cultura urbana? Sulla base delle
formulazioni teoriche espresse nella prima parte di questo contributo, ho cercato la
risposta a tali interrogativi nel corso della ricerca empirica svolta presso due centri
commerciali di Roma, Cinecittà due e Galleria Re di Roma, e descritta in tutte le sue
fasi negli ultimi due capitoli del presente lavoro.
Il reperimento di dati storici, urbanistici, economici e culturali, tratti da fonti
archivistiche e bibliografiche, unitamente allo svolgimento della indagine sul terreno
ha permesso una ricerca dei significati antropologici degli spazi urbani, dei percorsi
e dei luoghi di consumo in relazione alle diverse strutture socio-demografiche di
due zone rappresentative dei quartieri romani Appio Latino e Tuscolano.
L’indagine, effettuata attraverso gli strumenti dell’intervista, dell’osservazione e
della documentazione fotografica, ha permesso di raggiungere una pluralità di
obiettivi. Il primo è quello di aver identificato i parametri fondamentali costitutivi
del centro commerciale in quanto struttura architettonica contenente una grande
quantità di beni e servizi; il secondo consiste nell’aver tracciato le caratteristiche
della clientela; e l’ultimo quello di avere indagato la dimensione culturale dei
frequentatori in base alla quale non solo si modellano gli orientamenti al consumo e
le modalità di fruizione degli spazi urbani, ma si delinea anche il modo con il quale
ognuno si appropria dello spazio circostante secondo una propria e specifica visione
del mondo.
PARTE PRIMA:
ANALISI DIACRONICA DEI LUOGHI DEL COMMERCIO
NELLO SPAZIO URBANO
ED EVOLUZIONE DEI MODELLI DI CONSUMO
C APITOLO 1
I LUOGHI DEL COMMERCIO NELLA STORIA
“La città nacque come sede di un dio, cioè come luogo in cui erano
rappresentati i valori eterni e rivelate le possibilità divine. Ora i
simboli sono cambiati, ma la realtà che li esprimeva è rimasta.”
Lewis Mumford, La città nella storia, 1963.
I luoghi del commercio nella storia
3
C APITOLO 1
I LUOGHI DEL COMMERCIO NELLA STORIA
1.1 LA COSTRUZIONE DELLO SPAZIO
La vita umana oscilla tra due poli opposti: il movimento e lo stanziamento.
Non è possibile pensare la società fuori dallo spazio. Ripercorrendo la
storia dell’uomo, il suo rapporto con l’ambiente circostante è andato via via
assumendo connotazioni diverse: dall’iniziale adattamento è passato ad una
comprensione dell’ambiente naturale in cui si trovava e alla successiva
modificazione di quest’ultimo in funzione delle sue necessità primarie e
secondarie.
L’uomo è caratterizzato dalla particolare tendenza alla vita sociale,
stabilisce relazioni con i suoi simili, interagendo con loro all’interno di uno
spazio che risponde a precise convenzioni sociali e che è costruito dall’uomo
stesso anche in base a profondi radicamenti biologici. L’espressione spaziale è
uno dei modi di manifestare i rapporti sociali e le relazioni fra gli spazi e le
società sono rette dall’economia e dai diversi modi di produzione. “Lo spazio
può dunque essere analizzato come la traduzione attiva delle organizzazioni
sociali: decifrarne ad un tempo i significati sociali passati e presenti, il loro
ruolo nell’ambito dei rapporti sociali, è uno dei contributi che i geografi
possono offrire alla conoscenza della società”.
1
La teoria della strutturazione sociale proposta recentemente da Antony
Giddens
2
risponde all’esigenza di integrare la prospettiva spazio-temporale al
concetto di sistema sociale. Con l’espressione di “sistema sociale”, Giddens si
riferisce a modelli di relazioni fra attori o collettività organizzate come pratiche
sociali regolari e riprodotte nel tempo e nello spazio.
Ripercorrendo la storia dell’umanità, dalla grotta e dal rifugio, sedi
destinate alla procreazione e all’alimentazione, si è passati nel corso dei secoli
alla formazione di un gruppo di case, alla costruzione del santuario e del
villaggio, fino ad arrivare alla fondazione delle prime città. È stato il loro
sviluppo infatti a rendere possibile, al di la delle società tribali, una maggiore
ampiezza dell’organizzazione spazio-temporale delle società.
Oggi, dopo più di cinquemila anni, le origini della città ci appaiono ancora
oscure ed arrivati alla nostra epoca, ci accorgiamo che la società urbana è giunta
1
Hérin R., Riflessioni sulla geografia sociale, cit. in Petsimeris P., Le trasformazioni sociali dello spazio
urbano. Verso una nuova geografia della città europea, Bologna, Patron, 1991.
2
Giddens A., La costituzione della società. Lineamenti di teoria della strutturazione, Milano, Comunità,
1990.
I luoghi del commercio nella storia
4
ad un bivio: l’uomo “dovrà scegliere se decidersi a sviluppare le sue più
profonde qualità umane o arrendersi a quelle forze, oggi quasi automatiche, che
egli stesso ha messo in movimento e cedere il posto al suo alter-ego
disumanizzato: “l’uomo postistorico”. Una scelta in quest’ultimo senso
porterebbe a sacrificare man mano i sentimenti, le emozioni, l’audacia creativa
e, infine, la ragione.”
3
L’uso umano dello spazio avviene tenendo conto sia delle relazioni che
legano l’uomo al territorio che dei rapporti che lo legano ai suoi simili. Se gli
uomini fossero autosufficienti e le ricchezze fossero distribuite uniformemente,
ognuno potrebbe disporre di uno spazio da gestire per procurarsi i mezzi di
sussistenza. Nella realtà la situazione è ben diversa, e l’interdipendenza fra gli
individui porta a preferire la vicinanza piuttosto che enfatizzare la distanza
fisica: è questo meccanismo che, secondo Hannerz, rende la città come la forma
più evoluta dell’interdipendenza umana, e che pone l’archetipo del coltivatore in
netto contrasto rispetto ad essa.
4
È grazie ad Emile Durkheim e Robert E. Park che la sociologia classica può
dire di aver provato a sistematizzare il rapporto fra società e spazio; e la
conclusione di vedere la città come organismo spaziale deriva da principi teorici
secondo i quali la società si plasma in relazione allo spazio. Prendendo come
modello il sistema ecologico ispirato dalle teorie di Darwin, Park distingue a
partire dall’ordine ecologico un ordine economico, uno politico ed uno morale
che costituiscono una specie di gerarchia che stabilisce anche i differenti livelli
di libertà nei quali si situa l’uomo (più libero a livello economico e meno
nell’ordine morale). La società si delinea così come una organizzazione di
controllo che ovunque restringe la competizione e nel fare ciò realizza una più
efficiente co-operazione delle unità organiche di cui è composta.
5
Leggendo il testo di Lewis Mumford La città nella storia, che ricostruisce
la nascita e lo sviluppo dell’agglomerato urbano, si evince come la città storica,
nata nel momento in cui l’arcaica cultura del villaggio aveva lasciato il posto
alla civiltà urbana, si sia rivelata fin dall’inizio, una struttura attrezzata in modo
da immagazzinare e trasmettere i beni della civiltà, sufficientemente compatta
per ospitare il massimo numero di installazioni nel minore spazio possibile, ma
capace nello stesso tempo di un allargamento strutturale che le permetteva di far
posto alle mutevoli necessità e alle forme più complesse di una società in
sviluppo e a tutto il suo retaggio sociale. Istituzioni come il documento scritto, la
biblioteca, l’archivio, la scuola e l’università, ricorda l’autore, sono tra le
conquiste urbane più antiche e più tipiche.
6
3
Mumford L., La città nella storia, Milano, Bompiani, 1963, p. 14.
4
Hannerz U., Esplorare la città, antropologia della vita urbana, Bologna, Il Mulino, 1994.
5
Park R. E., Burgess E. W., McKenzie R. D., La città, Milano, ed. di Comunità, 1967.
6
Cfr. Mumford L., La città nella storia, Milano, Bompiani, 1963, pp. 48-49.
I luoghi del commercio nella storia
5
La trasformazione del villaggio in città fu caratterizzata oltre che da un
ampliamento dell’agglomerato abitato e della popolazione, soprattutto da un
mutamento di direzione e di scopi che portò a un nuovo ordine: tutte le funzioni
e le componenti di quella protocittà che era la comunità, vennero organizzate e
delimitate da una cinta muraria, all’interno della quale, il santuario, la sorgente,
il mercato, la fortezza subirono una differenziazione strutturale che le rese di
volta in volta riconoscibili per ogni fase della cultura urbana.
Per evidenziare maggiormente il passaggio dalla società rurale a quella
urbana, vengono in aiuto i profili economici messi in luce da Karl Polanyi:
l’economia domestica e di reciprocità caratterizzante la folk-society deve essere
integrata da una economia di redistribuzione basata sullo scambio di mercato per
sviluppare le società urbane.
7
Anche se la redistribuzione nelle città più antiche poteva includere lo
scambio, come sottolineano Polanyi e Wheatley, si trattava solo di un
commercio su scala ridotta a cui veniva ad accostarsi una forma di commercio
su larga scala controllato politicamente dall’apparato statale. A differenza della
comunità, formata da umili famiglie che vivevano aiutandosi reciprocamente,
nella città primitiva la società era strutturata in caste e organizzata a favore di
una minoranza egemonica a capo della quale c’era il monarca che gestiva una
organizzatissima economia urbana.
La città antica aveva capovolto i valori del villaggio, radicati alla terra, per
diventare (almeno fino all’epoca romana) un simulacro del cielo, assicurando
una posizione centrale al santuario che solo in un successivo momento, con
l’abbondanza delle risorse materiali a disposizione della comunità, lasciò il
posto al tempio e ai riti totemici.
La cittadella era interamente protetta da spesse mura di argilla o di roccia
che, oltre a garantire sicurezza e stabilità ed esprimere potere e dominio sulla
popolazione urbana attraverso l’architettura monumentale, segnavano una netta
demarcazione tra la città e la campagna. Successivamente, con l’eccessivo
sovraffollamento, la popolazione fu costretta a stanziarsi nelle immediate
vicinanze della cinta muraria dove sorsero locande, stalle e magazzini che
venivano costituendo il quartiere commerciale.
Fu proprio la cittadella a determinare le strutture della vita economica
cittadina.
7
Polanyi K., La grande trasformazione, Torino, Einaudi, 1981; Polanyi K., Arensberg C.M., Pearson
H. W., Traffici e mercati negli antichi imperi, Torino, Einaudi, 1978.
I luoghi del commercio nella storia
6
1.2 ANTROPOLOGIA DELLO SCAMBIO
In un saggio che tratta il ruolo delle cose, oggetto di studio
dell’antropologia economica, Marshall Sahlins sostiene che nella continuità
delle relazioni sociali, le transazioni materiali costituiscono degli episodi isolati
in cui il flusso di beni fa parte ed è imposto da un cerimoniale di status.
8
E
mentre nelle moderne comunità industriali la produzione e la “transazione” sono
strettamente connesse, nelle condizioni primitive è quest’ultima a suscitare
maggiormente l’interesse dell’antropologo.
È proprio studiando il significato e l’importanza delle transazioni che
antropologi quali Marcel Mauss e Bronislaw Malinowski ritengono che lo
scambio sia un elemento fondante della società, basato sui principi di
specializzazione e reciprocità presenti anche nei sistemi economici “primitivi”,
da loro approfonditamente indagati. Tali società, nonostante la scarsa
produzione di sovrappiù, rivelano comportamenti simili alle moderne società
dell’abbondanza attraverso lo spreco, l’ostentazione e la realizzazione dello
scambio sotto forma di dono.
Il saggio di Malinowski sul kula e quello successivo di Mauss sulle società
esquimesi evidenziano il principio di reciprocità insito nello scambio di doni;
uno scambio che “oltre ai beni materiali, include servizi e obblighi, potere e
status” e che quindi ha valenze sociali più che economiche.
9
Lo scambio di doni esaminato da Mauss nelle società arcaiche, consiste in
un fenomeno sociale totale di base che si concretizza nella ridistribuzione della
ricchezza, ma quello che conta in realtà e l’item sociale che vede la libertà, la
gratuità e l’obbligo alla base del principio di reciprocità: dare, ricevere,
contraccambiare valori materiali rendendo interdipendenti le parti coinvolte
nella transazione.
10
Tale interdipendenza può avere radici di amicizia o di
ostilità, come dimostra ad esempio il rituale del potlach
11
praticato da alcune
popolazioni indigene (fra cui i Chinook dell’America settentrionale) e la
ripetitività del fenomeno dimostra come gli uomini siano più motivati dal
8
Mi riferisco al saggio di Sahlins M., “On the Sociology of Primitive Exchange” in Banton M.
(ed.), The Relevance of Models for Social Anthropology, ASA Monographs, n.1, London, 1965, citato da
Zamagni V., “I modi dello scambio: dono e mercato”, in AA. VV. Il cammino del commercio. Dal
baratto al codice a barre, Milano, Leonardo Arte, 1991.
9
Zamagni V., op. cit., p. 11.
10
Mauss M., “Saggio sul dono”, in Teoria generale della magia e altri saggi, Torino, Einaudi, 1965.
11
Il rituale del potlach, praticato dalle popolazioni indigene della costa nord occidentale del
Pacifico, viene considerato dal professor Drucker come un’istituzione sociale attraverso la quale
vengono convalidati immutabili status sociali ereditari. Tale espressione deriva dalla lingua
chinook e significa “dare un dono”. La cerimonia è infatti una festa organizzata in occasione
dell’annuncio di un avvenimento importante durante la quale il capo del villaggio e il suo gruppo
dona agli invitati numerosi beni seguendo una procedura complessa e formale. Cfr. Drucker P.,
“The Potlach”, in Cultures of the North Pacific Coast, San Francisco, Chandler Publication
Company, 1965.
I luoghi del commercio nella storia
7
desiderio di potere e di prestigio piuttosto che dal bisogno di soddisfare esigenze
materiali.
Il ruolo del dono si adatta perfettamente al concetto di scambio sociale; è
infatti al suo funzionamento che si ispira C. Lévi-Strauss quando nel distinguere
i sistemi transitivi da quelli intransitivi dice che i primi si realizzano quando lo
scambio è squilibrato, mentre i secondi sono caratterizzati da alleanze ed
amicizie generate da scambi controbilanciati.
Se è vero comunque che la teoria del dono di Mauss si applica
perfettamente alle società primitive e rurali, è anche vero che il comportamento
che la contraddistingue presenta elementi analoghi in molte altre società di tipo
industriale.
Nel periodo dell’Alto Medioevo, proprio gli abbondanti flussi di doni
diretti ai re ed alla Chiesa che non venivano considerati come attività
economica, contribuirono a dare l’impressione di una stagnazione economica di
quei secoli. Mentre è nelle società mercantili che il ruolo del dono occupa una
posizione marginale nel processo di scambio: nel momento in cui i
commercianti divennero gli elementi più importanti della città, prese forma una
società urbana fondata sullo scambio di mercato, ovvero sul capitalismo.
1.3 IL COMMERCIO AMBULANTE
Nel periodo medievale, con il declino degli imperi e delle città antiche,
nacque in Europa occidentale una nuova configurazione della realtà urbana.
Il commercio si sviluppò all’inizio come attività di una popolazione
mobile; l’appellativo dei mercanti era infatti quello di “piedspoudreux,
piepowders, piedipolverosi”.
12
Anche se con l’affermarsi delle città i commercianti divennero più
sedentari, raggruppandosi dapprima attorno alle fortificazioni, poi in vere e
proprie comunità autonome, la figura del girovago e dell’ambulante non
abbandonò la scena economica e sociale.
Portando la merce a consumatori che non erano in grado di
approvvigionarsi presso punti vendita fissi, l’ambulante avvicinava al consumo
aree periferiche e classi sociali che altrimenti ne sarebbero state escluse e con
questa sua funzione pionieristica conquistava ed occupava nuove aree di
mercato. Ripetendo il suo giro a scadenze regolari, l’ambulante aveva una
clientela fissa a cui portava la mercanzia su ordinazione o riparava oggetti rotti.
Il suo ruolo era anche quello di conservare usi, mentalità e cultura di aree di
vecchio insediamento; infatti oltre a portare oggetti utili al vivere quotidiano, la
sua merce era spesso legata alle tradizioni del proprio paese d’origine.
12
Zamagni V., “L’ambulante: merce, informazione, intrattenimento”, in AA.VV. Il cammino del
commercio. Dal baratto al codice a barre, Milano, Leonardo Arte, 1991, p. 29.
I luoghi del commercio nella storia
8
La flessibilità è sempre stata una caratteristica del commercio ambulante: le
nuove attività sostituivano quelle vecchie rispondendo alle differenti occasioni
di mercato: così come è avvenuto per lo strillone, che urlava le notizie più
importanti agli angoli delle piazze, oggi soppiantato dalla televisione e dagli
edicolanti che alla piazza preferiscono lo spazio chiuso di un negozio.
Ancora in vita è invece la figura dell’ambulante, altrimenti detto
“trovarobe”, alla ricerca di oggetti di artigianato antico da vendere nei mercati
dell’antiquariato: in Italia i più conosciuti sono quelli di Cortona, Anghiari e
Arezzo. Indispensabili per trasportare le merci, oggi i furgoni-negozio si sono
sostituiti ai carretti e alle biciclette di un tempo, permettendo un facile accesso al
pubblico e garantendo anche un luogo confortevole per chi lavora. Tuttora gli
ambulanti sono, come ieri, i protagonisti del mercato, luogo fisico in cui la
merce viene esposta al pubblico su banchetti e bancarelle che dipingono di
colori le piazze centrali delle città.
1.4 I PORT OF TRADE
Nei tempi antichi, l’istituzione universale del commercio a lunga distanza
era il port of trade (scalo commerciale) da cui si sono successivamente
sviluppati i mercati concorrenziali governati dalle oscillazioni dei prezzi.
I port of trade sono la testimonianza della diffusa presenza della istituzione
economica nella Grecia e sul Mar Nero nel primo millennio d.C., nelle città
costiere della Siria settentrionale del secondo millennio d.C., nelle coste della
Guinea settentrionale e meridionale, nella regione lagunare azteco-maya del
bacino del Messico, nella costa indiana del Malabar e in Cina.
In questi luoghi le transazioni fra le comunità primitive avvenivano senza
concorrenza, come gli scambi di doni o gli incontri sulle spiagge regolati da un
cerimoniale. Per soddisfare l’esigenza di sicurezza nel trasportare le merci che
rischiavano rapine e piraterie durante gli spostamenti nell’entroterra,
l’ubicazione del port of trade era preferibilmente costiera o prossima a corsi
d’acqua, anche se non mancavano istituzioni affini ai confini delle regioni
ecologiche come ai bordi del deserto o ai piedi delle montagne o tra foresta e
savana. Generalmente questi luoghi di scambi sorgevano in centri politicamente
deboli in cui veniva attuata una politica di neutralizzazione da parte dell’impero
per garantire l’accesso agli stranieri e lasciare libero lo svolgersi dei traffici.
L’istituzione di un port of trade derivava dagli scambi taciti e dal preistorico
emporium mediterraneo protetto da mura e aperto verso il mare.
Il termine emporium nella Grecia classica esprimeva due diversi significati:
era usato per designare un luogo di incontro di mercanti, ubicato all’esterno
delle mura di cinta della città o in una zona costiera; e indicava anche quella
parte di una città costiera destinata al commercio estero che comprendeva il
I luoghi del commercio nella storia
9
porto, la banchina, i magazzini, l’ostello per i marinai, gli edifici amministrativi
ed il mercato alimentare. Solo più recentemente questo termine è stato usato per
indicare un grande centro commerciale.
Un’altra regione geografica caratterizzata da un denso insediamento di port
of trade fu quella in cui praticavano il commercio le civiltà azteca e maya. Gli
oggetti principali di questi traffici erano beni di lusso e materie prime non
destinati al consumo della gente comune e il mercante era una figura molto
significativa che svolgeva un compito altamente professionale e apparteneva ad
una istituzione con particolari connotati sociali, economici ed ecologici.
13
Una considerazione a parte va fatta a proposito del kar babilonese che
sembra essere stato un “port of trade sui generis”
14
perché, sebbene lo stesso
Polanyi avesse indicato la prova archeologica dell’assenza dei luoghi di mercato
nelle città dell’antica Palestina e che Babilonia praticasse forme di scambi nel
quadro di un sistema redistributivo attuato per mezzo di metodi amministrativi,
15
esistono comunque documenti che attestano l’esistenza di “uno speciale
distretto, chiamato il porto [kar] situato all’esterno delle mura e destinato ai
rapporti economici fra le diverse città”.
16
Sempre Polanyi cita nel suo testo l’opera Foreign Trade in the Old
Babylonian Period di F. W. Leemans, nella quale l’autore, dopo aver dichiarato
l’assenza di un termine accadico per indicare il “mercato”, afferma che spesso
gli affari si svolgevano sul molo (karum), luogo che aveva la stessa funzione del
mercato nella Mesopotamia inferiore. Anche in questo caso erano soprattutto le
vie d’acqua ad assicurare la funzione del trasporto.
17
La controversia sulla natura
del kar rimane comunque aperta e merita ulteriori ricerche, infatti Leemans nelle
sue osservazioni non adduce alcuna prova dell’esistenza di quei fenomeni
culturali caratteristici dei primi mercati destinati alla distribuzione di cibi freschi
per il consumo generale: la regolarità temporale con cui si teneva il mercato; la
13
In Porti franchi enclaves nelle civiltà azteca e maya, di Anne M. Chapman, viene descritta la categoria
dei mercanti. I pochteca erano i mercanti aztechi che operavano nel commercio internazionale, la
loro posizione nella struttura di status delle società non è ben definita, la loro organizzazione era
molto rigida e gerarchica, avevano una propria divinità e propri riti e feste religiose. La loro
professione era ereditaria ed era strutturata in diversi ranghi. Tra le merci importate dai pochteca le
più descritte sono le piume pregiate e le pietre preziose, il cacao, l’oro, le pelli e i ventagli. In linea
di massima nei porti franchi le transazioni si compivano in natura con il metodo del baratto.
Nella società maya dello Yucatàn, estremamente stratificata, ritualistica e commerciale, i mercanti
non formavano un gruppo nettamente distinto: i ppolom appartenevano alle classi superiori di
rango elevato, ma erano meno specializzati dei pochteca perché le merci che esportavano non erano
prodotti di lusso ma materie prime. Cfr. Chapman A.M., “Porti franchi enclaves nelle civiltà
azteca e maya”, in Polanyi K., Traffici e mercati negli antichi imperi, Torino, Einaudi, 1978.
14
Cfr. Polanyi K., Economie primitive, arcaiche e moderne, Torino, Einaudi, 1968, p. 237.
15
Cfr. Polanyi K., op. cit.
16
Cfr. Oppenheim A. L., “Uno sguardo generale alla storia economica della Mesopotamia”, in
Polanyi K., Traffici e mercati negli antichi imperi, Torino, Einaudi, 1978, p. 37.
17
Cfr. Polanyi K., Economie primitive, arcaiche e moderne, Torino, Einaudi, 1968, p. 241.
I luoghi del commercio nella storia
10
disponibilità di moneta in unità di valore esiguo (come le conchiglie cauri, la
polvere d’oro e le frazioni di obolo); l’importante ruolo delle donne nella
preparazione del cibo; le usanze cerimoniali, giuridiche e rituali; l’esistenza di
“dei del mercato” e di un personale addetto alla sua amministrazione.
È comunque indubbio che il kar, riconosciuto come organo degli scambi
con l’estero, possa essere assimilabile agli autentici port of trade della costa del
Malabar e delle Maldive, descritti nel 1893 da Ibn Batutah nel suo The Rehla.
18
1.5 FIERE E MERCATI MEDIEVALI
Luoghi del provvisorio, spazi in cui la voglia dell’insolito e la fuga dalla
vita quotidiana prendono il sopravvento, incentivati dalla facilità con cui tende,
banchi, esposizioni vengono allestiti e poi smontati per dare vita ad una
temporanea manifestazione di commercio che, fin dalle sue origini, non ha mai
perso l’implicita funzione di “festa”, “passeggio”, “socialità”.
Queste sono le fiere: luoghi nati per la rappresentazione della merce,
anticipazioni della vetrina commerciale, spazi in cui l’arte dell’imbonitore
definisce i pilastri della comunicazione pubblicitaria. Nel XVII secolo in
particolare lo spettacolo-merce viene sostituito dallo spettacolo-folla: l’incisione
di Jacques Callot “La fiera dell’Impruneta” del 1620, non mette in risalto la
merce, bensì le traiettorie descritte dalla folla, una moltitudine di compratori,
venditori, mendicanti, ladri, saltimbanchi, prostitute e curiosi che nei giorni di
festa si radunano dando vita ad una situazione-limite, fuori dalle mura cittadine.
Ognuno mosso dai propri interessi di vendere, acquistare, curiosare, stupire, ma
tutti accomunati dal desiderio ludico e dal clima di chiassosa festività della fiera
che per un giorno ha il potere di far dimenticare la noia del quotidiano e come
un “mondo alla rovescia” capovolge abitudini e modi di rapportarsi.
19
Nella sua lastra, Callot coglie della fiera la grande coreografia, come fosse
una festa barocca e testimonia che già nel secolo XVII i grandi raduni fieristici
si andavano realizzando su vasti spazi del territorio europeo attirando migliaia di
uomini. Ma le origini delle fiere sono ben più remote: già a partire dal XI secolo
nei documenti scritti appaiono termini come nundinae, fiera, forum, mercato,
usati per indicare il medesimo raduno mercantile.
In realtà la fiera e il mercato si differenziano sia per dimensioni che per
natura. Anteriore alla fiera, il mercato si è sviluppato con l’affermarsi delle città,
sorgendo in posizioni geograficamente strategiche, come dimostrano le attività
commerciali delle antiche città del delta del Nilo o quelle lungo i corsi del Tigri
18
Cfr. Polanyi K., op. cit., p. 242.
19
Grohmann A., “Splendore e decadenza delle fiere”, in AA.VV. Il cammino del commercio. Dal
baratto al codice a barre, Milano, Leonardo Arte, 1991.
I luoghi del commercio nella storia
11
e dell’Eufrate e nelle coste dell’Asia Minore. È così che in molti casi il luogo
destinato all’interscambio diviene il polo generatore di tutto l’aggregato urbano.
Come viene testimoniato dallo storico belga H. Pirenne, impegnato a
riesaminare il passato dell’Europa negli anni della prima guerra mondiale, in
contraddizione con la paralisi commerciale dell’epoca carolingia, i mercati locali
che dal IX secolo pullularono in Europa provvedevano principalmente
all’alimentazione quotidiana della popolazione del luogo. Caratterizzati dalla
periodicità settimanale e circoscritti spazialmente, costituivano una attività
ridotta a vendite e acquisti al minuto (vendite per deneratas), che soddisfaceva
l’istinto di socievolezza proprio degli uomini coinvolgendo negli scambi le
diverse comunità delle città e delle campagne.
20
Spinti dall’incremento della popolazione, dall’acuirsi dei contrasti sociali e
dalla precarietà caratteristica di una civiltà puramente rurale quale era quella
feudale, mercanti, artigiani, contadini, soldati e pellegrini diedero vita ad una
nuova distribuzione degli insediamenti umani nello spazio, segnando
profondamente l’ambiente con la loro presenza e rinnovando la società e la
mentalità collettiva. Questa nuova realtà caratterizzata dall’incremento del ritmo
dei rapporti umani, dovuto al rifiorire degli scambi di natura mercantile, ha
come polo generatore la piazza del mercato e attribuisce alla fiera la funzione di
collegamento e di transito tra più piazze mercantili di rilievo.
21
Il potere attrattivo di numerosi mercati ha fatto la fortuna di non poche
borgate e di paesi che debbono proprio a questi il loro nome: in Italia ne sono
testimonianza Mercatale in provincia di Bologna, Mercatale di Cortona,
Mercatello di Perugia, Mercatello di Salerno, Mercato Cilento, Mercato San
Severino, Mercato Saraceno. Col tempo mercati e mercanti si andarono
diversificando e specializzando a seconda del genere di merce che portavano:
fiorirono quindi i mercati di frutta e verdura, del bestiame, dell’antiquariato, e
quello più pittoresco delle “pulci”.
La storiografia riconduce l’origine delle fiere nel contesto Europeo
posteriore a quella dei mercati. Questi centri di scambi e ritrovi di mercanti di
professione che commerciavano all’ingrosso costituirono il tipico aspetto
dell’organizzazione economica medievale, fino a tutto il XIII secolo. L’apice del
loro splendore si ebbe con l’epoca del commercio ambulante, e la loro
decadenza fu accompagnata dallo stanziamento sedentario dei mercanti.
Tale era la varietà della mercanzia che comprendevano e il potere di
contenere tutti e tutto, che le fiere possono essere paragonate alle esposizioni
universali che alla fine del XIX secolo celebrarono scenograficamente la vittoria
della scienza e della tecnica nelle grandi città del mondo.
22
20
Pirenne H., Storia economica e sociale del medioevo, Milano, Garzanti, 1967.
21
Grohmann A., op. cit.
22
Alle esposizioni del XIX secolo è dedicato un paragrafo successivo.