La piruvato cinasi riveste un ruolo chiave all’interno dell’intero
metabolismo cellulare, poiché promuove la conversione del PEP in
piruvato, un intermedio coinvolto in vie metaboliche che riguardano non
solo i carboidrati, ma anche amminoacidi e lipidi. Infatti, la PK sembra
essere ubiquitaria, e nei rari casi in cui non sia presente il suo ruolo viene
assunto dalla piruvato fosfato dicinasi (Kayne et al., 1973).
In tutti i sistemi biologici analizzati l'enzima risulta essere conservato e si
presenta usualmente come un tetramero di circa 500 amminoacidi
costituito da subunità identiche o estremamente simili, benché si
distinguano alcune forme per la presenza di estensioni della regione
ammino terminale o carbossi terminale. Le estensioni all’N-terminus sono
perlopiù presenti nelle PK eucariotiche e variano in lunghezza a seconda
dell’origine (ad esempio 14 residui per l’enzima da riso, 68 per
l’isoenzima R umano, fino a 89 per la forma plastidiale del tabacco)
(Munoz et al, 2003). Il ruolo del dominio N-terminale non è ancora ben
definito: si è ipotizzato che possa essere coinvolto in cambiamenti
strutturali conseguenti all’attivazione allosterica, oppure nel
conferimento di una maggior stabilità; tuttavia queste ipotesi sembrano
essere contraddette dal fatto che molte PK procariotiche, pur prive di
questo dominio sono molto stabili e comunque regolate allostericamente
(Valentini et al, 1991). Una lunga sequenza C-terminale aggiuntiva è
invece presente in numerose specie del genere Bacillus quali B. subtilis
(Munoz 1997), B Stearothermophilus (Walker et al, 1992), B. licheniformis
(Tanaka et al, 1995); sequenze molto simili sono state evidenziate anche in
alcuni Gram negativi quale L. delbruekii e nei cianobatteri del genere
Synechocystis (Munoz et al, 2003). Tale dominio, pur non sembrando
essere indispensabile per l'attività catalitica potrebbe tuttavia avere un
ruolo nella stabilità strutturale oppure nella regolazione di queste forme
enzimatiche (Sakai et al, 1993).
La maggior parte delle PK risultano finemente regolate e presentano
caratteristiche tipiche di un enzima allosterico di tipo K (Fothergill-
Gilmore et Michels, 1993). Salvo poche eccezioni, l’enzima presenta
cooperatività omotropica verso il substrato PEP ed è attivato o inibito
eterotropicamente da effettori la cui natura chimica dipende dal tipo
cellulare considerato (Fothergill-Gilmore et Michels, 1993; Mattevi et al.,
1995). La maggior parte delle PK note hanno come attivatore allosterico il
fruttosio 1,6-bisfosfato (FBP) e in misura minore il fruttosio 2,6-bisfosfato
(Rigden et al, 1999) benché esista anche un discreto gruppo di forme
attivate da AMP e zuccheri monofosfato (Garcia Olalla et al, 1987).
L’attività della PK può essere controllata inoltre anche da diversi effettori
fisiologici fra cui H
+
, Mg
++
, e K
+
(Mesecar et al, 1997).
Alcuni organismi possiedono due o più isoforme di PK che si
differenziano essenzialmente in base alle proprietà chimico-fisiche e
cinetico-regolatorie e sono espresse per lo più in maniera tessuto specifica
(Fothergill-Gilmore et Michels, 1993). Inoltre nelle Enterobatteriacee quali
E. coli o S. typhimurium come pure in S. cerevisiae coesistono nella stessa
cellula due forme la cui espressione è funzione delle esigenze metaboliche
(Garcia-Olalla et al, 1987; Valentini et al, 1978; Boles et al, 1997). Ancora,
due isoforme di PK plastidiali (PK
p
A e PK
p
G) sono state isolate da ricino
e da tabacco, entrambe espresse a livelli paragonabili negli endospermi
germinali, ma per quanto riguarda tessuti maturi PK
p
A è preponderante
nelle radici mentre PK
p
G è la forma prevalente delle foglie (Blakeley et al,
1995).
Nei Mammiferi sono presenti quattro isoenzimi a differente
localizzazione tissutale: la forma M
1
è presente nel muscolo scheletrico e
nel cervello, la M
2
nel rene ed è la forma predominante durante la fase
fetale, la forma R è caratteristica degli eritrociti, e la L è nel fegato. I
quattro isoenzimi derivano dall’espressione di due soli geni. Le forme M
1
ed M
2
sono codificate dal gene PKM che si trova sul cromosoma 15, ed è
costituito da 12 sequenze esoniche. Queste due forme proteiche, che si
differenziano per un tratto di struttura primaria di 56 amminoacidi, sono
ottenute per splicing alternativo degli esoni 9 e 10 (Noguchi et al, 1986).
Le forme L ed R sono codificate dal gene PKLR, che si trova sul
cromosoma 1. Queste due forme, che presentano differenze di struttura
nella regione ammino-terminale, sono ottenute mediante l’uso alternativo
di due diversi promotori (Noguchi et al, 1987).
Ad eccezione della forma M
1
, che non è regolata allostericamente e
mostra una cinetica iperbolica nei confronti del PEP (Imamura et Tanaka,
1982), tutte le altre isoforme mostrano cooperatività omotropica positiva
nei confronti di tale substrato, sono attivate allostericamente da fruttosio
1,6-bifosfato e dai pH acidi, mentre sono inibite da ATP, pH alcalini ed
amminoacidi gluconeogenetici come l’alanina (Imamura et al, 1982).
Inoltre, l’attività della forma L è sottoposta ad un controllo negativo
mediante fosforilazione di un residuo di serina localizzato nella regione
ammino-terminale (Marie J. et al, 1979). La fosforilazione avviene per
intervento di una cinasi cAMP-dipendente a sua volta controllata dal
glucagone. Questa modificazione comporta una diminuzione dell’affinità
per il PEP e l’FBP ed un aumento dell’affinità per l’ATP (El-Maghrabi et
al, 1982).
Per quanto riguarda la struttura tridimensionale sono state risolte per
analisi cristallografica piruvato cinasi da differenti organismi, sia
procarioti che eucarioti, e in particolare la isoforma di tipo I da E. coli
(Mattevi et al, 1995), la PK da Saccharomyces cerevisiae (Jurica et al. 1998),
da Leishmania mexicana (Rigden et al, 1999), le isoforme M1 da gatto
(Muirhead et al, 1988) e coniglio (Larsen et al, 1994). Da questi studi è
stato possibile evidenziare che le differenti PK condividono un
architettura generale estremamente conservata.
Le PK infatti si presentano come proteine di circa 200 kDa, costituite da
quattro subunità identiche disposte in modo tale che ciascuna di esse è
messa in relazione con le altre da tre assi di simmetria binaria
mutualmente perpendicolari. In ciascuna subunità si possono distinguere
tre unità strutturali: un dominio A con una topologia (β/α)
8
-barrel; un
dominio B, inserito tra lo strand β3 e l’elica α3 del dominio A e costituito
da motivo a β-barrel di 9 β-strand a formare una sorta di cappuccio sul
dominio A; un dominio C caratterizzato da una topologia α+β. In
alcune PK è presente inoltre un breve dominio N-terminale, consistente in
un motivo helix-loop-helix, generalmente assente nei procarioti. Questi
domini sono uniti fra loro da brevi e flessibili segmenti proteici, mediante
i quali essi possono ruotare l’uno rispetto all’altro come unità strutturali
indipendenti.
Fig.1 Struttura tridimensionale della PK da E. coli. In questo orientamento un asse di simmetria binaria è
perpendicolare al piano, mentre gli altri due assi di simmetria binaria sono orizzontale e verticale nello
stesso piano (indicati con una linea orizzontale ed una verticale). In una delle subunità sono colorati in blu il
dominio A, in verde il dominio B ed in giallo il dominio C.
Il sito attivo è localizzato in una tasca all'interfaccia tra i domini A e B
(Larsen et al, 1994; Jurica et al, 1998) (Fig. 1) con il centro catalitico
costituito dai residui amminoacilici presenti lungo i tre maggiori loop
(loop 6, 7 ed 8) dell' (β/α)
8
barrel del dominio A. Il sito di legame per
l'effettore allosterico FBP, come dimostrato dalla risoluzione della
struttura della PK da lievito co-cristallizzata con fosfoglicerato ed FBP, è
localizzato a oltre 40 Å dal sito attivo, in una tasca all’interno del dominio
C definita dal loop Cβ1-Cα3 e dai primi due giri dell'elica Cα5 (Jurica et
al, 1998). Il legame con il fosfato sul C1’ dell’FBP avviene mediante
interazione elettrostatica con la catena laterale di un’arginina dell’elica
Cα5, mentre il legame con il fosfato sul C6' si realizza tramite una serie di
ponti idrogeno che coinvolgono catene laterali di serine e treonine del
loop Cβ1-Cα3.
Le interazioni fra le varie subunità interessano generalmente due
interfacce: quella tra i domini A di subunità adiacenti e quella tra i
domini C.
Fig.2 Struttura tridimensionale del monomero di PK da E. coli. In blu il dominio A, in rosso il dominio B ed in
giallo il dominio C. Sono indicati il sito attivo, posto all’interfaccia tra i domini A e C ed il sito di legame
dell’effettore allosterico Fbp, in una tasca nel dominio C
Dal momento che non è ancora stata ottenuta la struttura cristallina di
una stessa PK nei due diversi stati conformazionali T (a bassa affinità per
il substrato) ed R (ad alta affinità), i modelli esplicativi dei meccanismi
della transizione allosterica sono stati ottenuti mediante il confronto delle
strutture tridimensionali di enzimi ottenuti da differenti fonti. In
particolare sono state comparate la PK da E. coli in forma T con la
putativa forma R del muscolo di coniglio (Mattevi et al, 1995; Mattevi et
al, 1996) e la PK da Leishmania mexicana in forma T con quella da
Saccharomyces cerevisiae in forma R (Rigden et al, 1999). Questi confronti
hanno evidenziato come nel passaggio da una forma all'altra la PK vada
incontro a cambiamenti conformazionali che interessano sia le singole
subunità sia l’intero tetramero.
A livello della singola subunità, il confronto della PK di muscolo con
quella di E. coli mette in evidenza da un lato una rotazione di 19° del
dominio B rispetto al dominio A, con conseguente chiusura del sito
attivo, dall’altro una rotazione di 17° del dominio C con conseguente
chiusura dello spazio compreso nell’interfaccia tra i due domini. A livello
del tetramero si evidenzia una rotazione reciproca (di 16°) delle quattro
subunità. Nell’insieme le rotazioni simultanee dei tre domini all’interno
della singola subunità e delle subunità all’interno del tetramero
determinano un riarrangiamento delle interazioni che interessano sia i
domini che le subunità. In particolare è stato evidenziato che nella
conformazione T il dominio B interagisce attraverso un unico ponte
idrogeno con il dominio A della sua stessa subunità, mentre nella
conformazione R il dominio B non solo aumenta le sue interazioni con il
dominio A della sua stessa subunità ma ne instaura di nuove con il
dominio A della subunità adiacente. La rotazione reciproca delle subunità
comporta invece un esteso riarrangiamento dei legami fra i domini A e di
conseguenza porta alla riorganizzazione del sito catalitico che nella forma
T è distorto a causa di una scorretta disposizione di uno dei tre loop che
lo costituiscono (loop 6). Il legame dell’attivatore, tramite interazioni a
lunga distanza, consente di portare il loop 6 nella sua giusta posizione e
di conseguenza rendere idoneo il sito attivo a legare i substrati e svolgere
la funzione catalitica.
Fig.3 Rappresentazione schematica delle rotazioni di subunità e domini durante la
transizione dalla conformazione T (a sinistra) alla conformazione R (a destra)
Il ruolo chiave delle interazioni intersubunità, sia livello delle interfacce
A/A' e C/C', che di quelle interdomini della stessa subunità
all'interfaccia A/B nella risposta all'effettore allosterico e nella definizione
delle transizioni conformazionali tra gli stati T ed R è supportato anche
da studi di ingegneria proteica effettuati mediante sostituzioni specifiche
di amminoacidi implicati nelle diverse interazioni (Valentini et al, 2000;
Wooll et al, 2001).
Da questo quadro emerge come i fini meccanismi di regolazione
dell’attività catalitica della PK dipendano dalla sua struttura modulare in
cui i dodici domini sono in grado di effettuare fini movimenti altamente
concertati.
ANEMIA EMOLITICA DA DEFICIENZA DI PIRUVATO CINASI
L’anemia è una condizione congenita o acquisita, caratterizzata dalla riduzione dei
livelli emoglobinici al di sotto di un valore soglia variabile in rapporto con l’età e il
sesso usualmente fissato per i soggetti adulti a 13.5 g/dL negli uomini e 11.5 g/dL
nelle donne. Le manifestazioni cliniche dell’anemia variano in funzione sia della
causa primitiva sia di un insieme di fattori, come ad esempio la rapidità di
insorgenza, gravità, età del paziente, affinità dell’emoglobina per l’ossigeno. La
classificazione patogenica distingue le anemie in base alla causa ovvero in anemie
da aumentata distruzione (anemie emolitiche), da eccessiva perdita o da diminuita
produzione di globuli rossi. Le anemie emolitiche hanno come comune
denominatore una riduzione della vita media eritrocitaria. La prematura
eliminazione dei globuli rossi è essenzialmente dovuta a cause intrinseche (difetti
di membrana, metabolici, emoglobinici) oppure a fattori estrinseci, come ad
esempio, agenti fisici, chimici, infettivi oppure anche auto-anticorpi. Fra le anemie
emolitiche da aumentata distruzione un considerevole gruppo ha come causa
principale una carenza enzimatica. Numerosi sono i difetti congeniti degli enzimi
eritrocitari ed essenzialmente riguardano enzimi della via glicolitica, dello shunt
del pentoso fosfato e del metabolismo dei nucleotidi. Le conseguenze delle
enzimopatie sulla sopravvivenza dell’eritrocita possono essere più o meno gravi in
relazione al grado di compromissione funzionale dell’enzima stesso e
all’importanza della reazione catalizzata e di conseguenza della via implicata.
L'eritrocita che è una cellula anucleata e priva dei comuni organelli cellulari, fra cui
i mitocondri, ricava tutto l’ATP necessario per svolgere le proprie funzioni dalla
glicolisi, via metabolica che fornisce tra l’altro anche il 2,3-bifosfoglicerato
necessario per il rilascio dell’ossigeno da parte dell’emoglobina. Pertanto
nell’eritrocita circa 95% del glucosio viene utilizzato nella via glicolitica per ricavare
energia, mentre il rimanente 5% convogliato nella via del pentoso fosfato per
ricavare equivalenti riducenti, sotto forma di NADPH. Carenze enzimatiche della
via glicolitica e dei primi stadi della via del pentoso fosfato compromettono quindi
in modo grave le disponibilità energetiche del globulo rosso ed i meccanismi di
protezione nei confronti dei danni ossidativi con ripercussioni sullo stato fisiologico
della cellula stessa. La deficienza da piruvato cinasi è infatti, assieme alla deficienza
da glucosio-6-fosfato deidrogenasi, la più frequente causa di anemia emolitica non
sferocitica ereditaria (HNSHA) ed è trasmessa come un carattere autosomico
recessivo. Il gene PK-LR, codificante la piruvato cinasi eritrocitaria (RPK), è
localizzato sul braccio lungo del cromosoma 1 (Satho et al, 1998) e consiste di 12
sequenze esoniche. Di questi esoni 10 sono comuni alle due isoforme R ed L,
mentre l’esone 1, più lungo, è presente solo nella forma eritrocitaria e l’esone 2, più
corto, nel fegato. L’espressione tessuto specifica avviene per utilizzazione di due
differenti promotori (Noguchi et al, 1987).
Sono note finora oltre 150 differenti mutazioni patologiche (Bianchi et al, 1991),
distribuite lungo tutto il gene, la maggior parte delle quali di tipo missense, benchè
siano riportati anche alcuni casi di alterazione dello splicing, delezioni e frameshift
(Zanella et al, 2000).
Il difetto è distribuito in maniera omogenea praticamente in tutte le popolazioni e,
anche se molte mutazioni sono riportate come casi unici, si sta constatando una
predominanza di certe mutazioni in alcune aree geografiche. Nell'emisfero
orientale la mutazione
1151
G→T (T384M) è considerata la più frequente (Kanno et al,
1994b), mentre nell'emisfero occidentale le mutazioni più ricorrenti sono le
1529
G→A (R510Q) e
1456
C→T (R486W). La transizione
1529
G→A è la predominante
negli USA (46%) (Baronciani et al, 1995) e nelle regioni dell'Europa settentrionale e
centrale (41%) (Lenzner et al, 1997), la transizione
1456
C→T è invece la più frequente
nell'Europa meridionale (32% in Spagna, 29% in Italia e Portogallo) (Zarza et al,
1998; Zanella et al. 2001; Manco et al, 1999). Altre mutazioni presenti, ma con minor
frequenza, nelle regioni mediterranee sono la
994
G→A (G332S) e la
1594
T→C
(R532W) (Zanella et al, 2000). Un'altra mutazione a carattere fortemente etnico è la
1436
G→A (R479H), caratteristica della popolazione degli Amish della Pennsylvania
(Kanno et al, 1994a).
Le manifestazioni cliniche, che si evidenziano solo negli omozigoti e negli
eterozigoti composti, sono di grado diverso, variando da forme molto lievi e
totalmente compensate a forme molto più severe e talora letali in età neonatale. E’
di comune convinzione, infatti, che la deplezione di ATP comprometta alcune
reazioni vitali che dipendono dall’ATP stesso, dando il via ad una catena di eventi
che ha come suo termine l’emolisi dell’eritrocita. La cellula con ridotte
concentrazioni di ATP va incontro a forte disidratazione e perdita di K
+
; ciò
comporta un ulteriore rallentamento del flusso glicolitico che si accompagna a stasi,
acidosi, etc.
La malattia è sovente accompagnata a splenomegalia, lieve o moderata, ittero,
iperbilirubinemia nei neonati, ed i pazienti più gravi sovente debbono essere
sottoposti a trasfusioni, soprattutto in età giovanile, e talora a splenectomia. Questo
insieme di fattori porta ad un precoce sequestro e di conseguenza ad una
prematura distruzione dei globuli rossi che in queste alterate condizioni
fisiologiche non sono più in grado di deformarsi nel microcircolo del sistema
reticolo-endoteliale e soprattutto nella milza e nel fegato.
Non sempre è stata riscontrata una netta relazione fra danno metabolico e severità
delle manifestazioni cliniche ed inoltre non è sempre possibile spiegare l’emolisi in
quei casi in cui la deficienza di RPK non si accompagna ad una marcata deplezione
di ATP.
Un’altra conseguenza della deficienza di RPK è l’aumento della concentrazione di
2,3 -bisfosfoglicerato, che, se da un lato ha un effetto positivo sul paziente
conferendogli una maggiore resistenza allo sforzo fisico, dall’altro ne ha uno
negativo sul metabolismo del globulo rosso, essendo inibitore sia della glucosio 6-
fosfato deidrogenasi che della 6-fosfogluconato deidrogenasi, due enzimi implicati
nella via del pentoso fosfato. La compromissione di questa via porta ad un ulteriore
aumento dell’emolisi specialmente durante le infezioni e gli stress metabolici
(Rijsen et al., 1977; Tomoda et al., 1983).
Una preliminare diagnosi della deficienza di PK viene effettuata ricorrendo alle
tradizionali metodologie diagnostiche utilizzate per identificare le anemie non
sferocitiche emolitiche. Una specifica indicazione della malattia è fornita dalla
determinazione dell’attività dell’enzima presente nell’eritrocita. La maggior parte
dei pazienti, in dipendenza del loro quadro genotipico, presenta infatti una
riduzione dell’attività che risulta essere fra il 60% e il 90% inferiore alla norma.
Il saggio dell’attività della PK eritrocitraria deve essere effettuato con grande
accuratezza, in quanto il risultato può essere falsato dalla presenza di eritrociti
trasfusi, o da reticolociti se presenti in numero superiore alla norma, oppure da una
residua presenza, nella frazione eritrocitaria, di leucociti la cui PK ha una attività
specifica di circa 300 volte superiore rispetto a quella del globulo rosso. Un utile
contributo alla formulazione della corretta diagnosi della deficienza di PK è la
determinazione del livello del 2,3-bisfosfoglicerato o del 3-fosfoglicerato, composti
presenti in concentrazioni superiori alla norma in concomitanza con la patologia.
Mediante l’uso di metodi standardizzati stabiliti dall’International Committee for
Standardisation in Haematology (ICSH) (Miwa et al, 1979) è stato possibile
identificare un gran numero di varianti patologiche della PK caratterizzate da una o
più alterazioni biochimiche come, ad esempio, l’instabilità dell’enzima, una
diminuità affinità per il PEP, un’inadeguata risposta all’attivatore allosterico FBP,
un’aumentata sensibilità all’inibizione da ATP, un alterato comportamento
elettroforetico, o una variazione del punto isoelettrico. Tuttavia, poiché la maggior
parte dei pazienti affetti da anemia emolitica non-sferocitica ereditaria è eterozigote
composta, l’interpretazione dei dati biochimici può essere complicata dalla
presenza di forme enzimatiche ibride. Pertanto nel tempo la diagnosi su base
biochimica è stata sostituita da una più accurata analisi mediante l’identificazione
della mutazione a livello del gene