2
anni ’90 e descrive la disciplina del suddetto rapporto di lavoro
contenuta nella l. 196/1997. Inoltre si parla della fattispecie in
Europa evidenziando le ragioni economiche che hanno portato
all’adozione del lavoro interinale e la sua regolazione sociale. Sono
riportate anche delle rilevazioni quantitative sull’andamento di questo
rapporto di lavoro.
Il capitolo III analizza l’iter legislativo che ha portato alla
riforma del mercato del lavoro. Si esamina prima il disegno di legge
delega 848/2001, poi la legge delega 30/2003, la legge di riforma
vera e propria. A questo riguardo viene fatta una breve carrellata
sulle principali tipologie contrattuali, su come sono state modificate e
su quali sono state introdotte con approfondimenti sulla
somministrazione di lavoro, argomento principale di questo lavoro. Il
capitolo procede con l’analisi del d. lgs. 276/2003 contenente la
disciplina vera e propria della riforma ed in particolare con l’analisi
degli art. che vanno dal 20 al 30, riguardo alla somministrazione,
all’appalto e al distacco, confrontando il testo con le disposizioni di
legge precedenti (l. 1369/1960 e l. 196/1997). Il capitolo termina con
la discussione sul regime transitorio e su un nuovo testo di legge, il
decreto correttivo del d.lgs. 276/2003, approvato il 3 settembre 2004.
Il capitolo IV si occupa di due forme che, come la
somministrazione, realizzano la fornitura di lavoro altrui: l’appalto
ed il distacco. Sono evidenziate le differenze con la somministrazione
e con la legislazione precedente.
Il lavoro di tesi si conclude con alcune osservazioni conclusive
ed i riferimenti bibliografici.
3
Capitolo I
Il divieto d’interposizione nella l. 1369/1960: profili
giuridici ed economici
I.1 Definizione di interposizione nel rapporto di lavoro
In linea generale può intendersi per interposizione nel rapporto
di lavoro quella situazione per cui chi si avvale del lavoro altrui,
anziché assumere direttamente il personale di cui ha bisogno per la
propria attività, si rivolge (divenendo così committente) ad un terzo
soggetto (interposto), che assume e retribuisce manodopera per
metterla a sua disposizione
1
.
Questo fenomeno si manifesta sotto forme giuridiche diverse: si
va dalla fornitura o cosiddetta somministrazione della forza-lavoro,
all’interposizione nel cottimo, all’appalto e al subappalto di
manodopera.
L’obiettivo perseguito dagli imprenditori attraverso il ricorso a
questi strumenti giuridici è evidente: utilizzare la manodopera assunta
formalmente da terzi, comprimendo il costo del lavoro ed evitando di
assumere in via diretta il personale occorrente per determinati lavori
marginali, di carattere occasionale o temporaneo, oppure fluttuanti, in
quanto legati all’esecuzione di determinate commesse o a periodi di
attività più intensa.
Chiaramente, in questi casi, il profitto dell’intermediario/
interposto è ottenuto ricavando un margine di lucro dalla differenza tra
1
Cfr. O. MAZZOTTA, Appalto, III) Appalto di prestazioni di lavoro, in Enc. Giur.
Trecc., II, 1988, p.1
4
il monte salari dei lavoratori occupati e il costo del salario sopportato
dall’impresa committente.
L’interposizione nella manodopera è in grado quindi di
consentire l’utilizzazione della forza lavoro trasferendo su altri i costi
ed i rischi correlati alla titolarità formale del contratto di lavoro.
L’appalto è un’ipotesi diversa dall’interposizione: nel primo caso
viene fornita da un imprenditore un’opera o un servizio, nel secondo
l’interposto si limita a «mettere a disposizione» i lavoratori, che
eseguiranno l’attività indicata dal committente.
Vi è differenza anche tra mediazione e intermediazione:
diversamente dall’attività di mediazione, l’attività intermediatrice, per
le caratteristiche tipiche del mercato del lavoro, si presenta come
interposizione nei rapporti di lavoro, essendo rivolta principalmente al
reclutamento dei prestatori di lavoro da impiegare alle dipendenze
degli imprenditori utilizzatori. Più che alla formazione-conclusione
del contratto, dunque, l’attività intermediaria è finalizzata al
soddisfacimento della domanda delle imprese, attraverso la selezione
dei lavoratori da assumere e la stessa gestione o utilizzazione della
forza-lavoro da essi offerta.
Tutto questo spiega come nel rapporto di lavoro
l’intermediazione privata resti solo eccezionalmente entro i limiti della
semplice mediazione, ma assuma normalmente il carattere ben più
pregnante dell’interposizione nell’esecuzione del contratto di lavoro e,
precisamente, nell’impiego della manodopera assunta dallo stesso
intermediario e da lui messa a disposizione dell’imprenditore.
2
2
E. GHERA, Diritto del lavoro, 2003, Cacucci Editore
5
L’interposizione come fenomeno sociale può essere fatto risalire
al primo manifestarsi nella realtà economico-sociale di quello che
verrà poi definito lavoro subordinato
3
.
Invece la considerazione giuridica del fenomeno si situa in tempi
molto più vicini. Dopo alcune disposizioni in materia all’inizio del
secolo scorso
4
, è l’art. 2127 cod. civ. che detta finalmente una
disciplina legislativa repressiva del fenomeno: “È vietato
all'imprenditore di affidare a propri dipendenti lavori a cottimo da
eseguirsi da prestatori di lavoro assunti e retribuiti direttamente dai
dipendenti medesimi. In caso di violazione di tale divieto,
l'imprenditore risponde direttamente, nei confronti dei prestatori di
lavoro assunti dal proprio dipendente, degli obblighi derivanti dai
contratti di lavoro da essi stipulati”.
I.2 Il generale divieto di intermediazione e d’interposizione
della l. 1369/1960
3
Cfr. ROMAGNOLI, Il lavoro in Italia. Un giurista racconta, Bologna, 1991, p. 41 ss.
4
In particolare cfr. art. 10 r.d. 13 marzo 1904, n. 141, “Regolamento per la esecuzione
della legge (testo unico) 31 gennaio 1904 n. 51, per gli infortuni degli operai sul lavoro”
(in Collezione celerifera, 1904, I, p. 817 ss.), che prevedeva che “il capo o esercente
dell’impresa, industria o costruzione che dà a cottimo ai propri operai lavori da eseguirsi
nel proprio stabilimento, officina o cantiere, permettendo loro di valersi per eseguirli di
altri operai da essi assunti e pagati, è obbligato ad assicurare anche questi ultimi”; art. 10
T.U. sul lavoro delle donne e dei fanciulli approvato con r.d. 10 novembre 1907, n. 818
(ibidem, 1907, 1, p. 50 ss. che prevedeva che “(...) i proprietari, i gerenti, i direttori, gli
impresari, i cottimisti che impieghino fanciulli o donne di qualsiasi età, devono adottare e
fare eseguire, a norma del regolamento, tanto nei locali dei lavori e nelle relative
dipendenze, quanto nei dormitori, nelle stanze di allattamento e nei refettori i
provvedimenti necessari alla tutela dell’igiene, della sicurezza e della moralità (...)”. Cfr.
RUDAN, L’interposizione nelle prestazioni di lavoro e la nuova disciplina degli appalti
d’opere e servizi, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1961, p. 834 s.; cfr. altresì MAZZOTTA,
Rapporti interpositori e contratto di lavoro, Milano, 1979, p. 51 che ricorda anche l’art. 20
l. 16 giugno 1907 n. 327 sulla regolamentazione del lavoro in risaia ai sensi del quale il
compenso per l’opera prestata deve essere versato interamente ai lavoratori, senza che
l’intermediario possa vantare alcun diritto su tale somma.
6
La l. 23 ottobre 1960 n. 1369 ha ampliato la previsione contenuta
nell’art. 2127 cod. civ. introducendo un generale divieto di
intermediazione e d’interposizione nelle prestazioni di lavoro che
sanziona, tanto sul piano civile
5
, quanto sul penale
6
, una particolare
figura di illecito.
L’art. 1, co. 1° di tale legge sancisce che “è vietato
all’imprenditore di affidare in appalto o in subappalto o in qualsiasi
altra forma, anche a società cooperative
7
, l’esecuzione di mere
prestazioni di lavoro mediante l’impiego di manodopera assunta e
retribuita dall’appaltatore o dall’intermediario, qualunque sia la natura
dell’opera o del servizio cui la prestazioni si riferiscono”.
Ai sensi dell’art. 1, co. 2° “è altresì vietato all’imprenditore di
affidare ad intermediari, siano questi dipendenti, terzi o società, anche
se cooperative, lavori da eseguirsi a cottimo da prestatori di opere
assunti e retribuiti da tali intermediari”
8
.
Infine al 3° co. del suddetto art. è stabilito che “è considerato
appalto di mere prestazioni di lavoro ogni forma di appalto o
subappalto, anche per l’esecuzione di opere o di servizi, ove
l’appaltatore impieghi capitali, macchine ed attrezzature fornite
dall’appaltante, quand’anche per il loro uso venga corrisposto un
compenso all’appaltante”. Da ciò sembra si debba ricavare la nullità di
ogni locazione di macchine o di impianti necessari all’esercizio
5
Art. 1, co. 5°
6
Art. 2
7
Il richiamo esplicito alle società cooperative trova la sua giustificazione nel fatto che la
costituzione di cooperative fittizie è stata una delle tecniche più frequenti per eludere il
dettato normativo
8
Questa parte della norma sostituisce l’art, 2127 cod. civ. ma la fattispecie prevista dalla
nuova disciplina legislativa è ben più ampia.
7
dell’appalto, la quale non avrebbe altro scopo che di coprire
un’interposizione nel lavoro.
Si voleva quindi impedire in modo assoluto e radicale
l’utilizzazione di lavoro subordinato da parte di un soggetto diverso
dal formale datore di lavoro/parte del contratto di lavoro. Si voleva
impedire la scissione fra posizioni attive (diritti) e passive
(obbligazioni) derivanti in capo al datore di lavoro contraente con la
stipulazione del contratto di lavoro
9
.
La sanzione prevista dalla legge per queste ipotesi è
particolarmente severa: i prestatori di lavoro occupati in violazione dei
divieti posti dalla legge sono considerati, a tutti gli effetti, alle
dipendenze dell’imprenditore che effettivamente abbia utilizzato la
loro prestazione (art. 1, co. 5°). In virtù di tale utilizzazione, il
contratto concluso con l’intermediario viene conservato e funge da
presupposto per la surrogazione soggettiva legale dell’imprenditore al
datore di lavoro intermediario.
Oltre a questa sanzione civile è prevista, a carico tanto
dell’imprenditore utilizzatore, quanto dell’appaltatore o altro
intermediario, anche una sanzione penale (art. 2).
Il principio fondato dalla l. 1369 è innovativo: in base alle sole
regole del diritto civile, nulla avrebbe impedito all’imprenditore e al
non imprenditore di ricevere prestazioni di lavoro di dipendenti altrui.
L’art. 2094 cod. civ.
10
è neutro al riguardo e non preclude di per sé
l’applicazione di istituti di carattere generale, quali la cessione del
9
M.T. CARINCI, C. CESTER, Somministrazione, comando, appalto, trasferimento
d’azienda. Titoli III e IV. Artt. 20-32, 2004, IPSOA
10
È prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare
nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la
direzione dell’imprenditore
8
credito o il contratto a favore di terzi; né avrebbe potuto argomentarsi
in termini generali l’illiceità di un contratto atipico di fornitura di
lavoro altrui.
Il divieto d’interposizione si pone su un piano distinto e parallelo
rispetto alla nozione di subordinazione, con la quale non si confonde.
Infatti, mentre la subordinazione costituisce il criterio per individuare
se la disciplina protettiva inderogabile debba essere applicata, a
prescindere ed eventualmente in contrasto con la volontà
espressamente manifestata dalle parti al momento della conclusione
del contratto, la regola posta dall’art. 1, l. 1369/1960 determina
inderogabilmente a chi facciano capo gli obblighi che scaturiscono
dalle norme di tutela.
Insomma il divieto d’interposizione puntella dall’esterno,
completandolo, il modello protettivo che si coagula intorno alla
nozione di subordinazione: impedisce che la disciplina inderogabile
sia elusa, non negando la natura del rapporto bensì deviandone gli
effetti in capo ad un soggetto diverso dall’effettivo utilizzatore
11
.
Dal punto di vista sistematico, il fenomeno dell’intermediazione
può essere ricondotto allo schema del collegamento negoziale e
dell’interposizione reale nel rapporto di lavoro. Infatti, nonostante
l’invalidità del negozio fraudolento intercorso tra il committente e il
datore di lavoro interposto, il contratto di lavoro concluso tra
quest’ultimo ed il prestatore, essendo realmente voluto dalle parti, è da
ritenere invece valido, ma spiega i suoi effetti in testa all’imprenditore
al cui servizio prestano la loro attività i dipendenti assunti
dall’intermediario.
11
M.T. CARINCI, La fornitura di lavoro altrui. Interposizione. Comando. Lavoro
temporaneo. Lavoro negli appalti, 2000, Giuffrè Editore
9
I.3 La ratio del divieto d’interposizione nella manodopera
Con il divieto d’interposizione lo scopo del legislatore è triplice:
impedire che siano aggirate le norme sul collocamento ed elusa
l’applicazione della normativa protettiva, legale e contrattuale;
prevenire sia quello sfruttamento dei lavoratori – implicato
dall’attribuzione di un trattamento, anche retributivo, inferiore a
quello a cui avrebbero diritto ove fossero assunti direttamente dal
committente – che permette all’interposto di realizzare il suo margine
di profitto, sia anche quell’indebolimento della garanzia dei loro
crediti, causato dalla possibile insolvibilità dell’interposto
12
.
Infatti si era riscontrato che la divaricazione, tipica
dell’interposizione, fra la posizione formale di datore di
lavoro/contraente (ovvero parte del contratto di lavoro e dunque
titolare di tutte le posizioni attive e passive derivanti dal contratto) e la
posizione sostanziale di utilizzatore del lavoro (beneficiario della
prestazione di lavoro, in quanto divenuto titolare – in tutto o in parte –
delle sole posizioni attive connesse al contratto di lavoro, ma non delle
posizioni passive, quali l’obbligo retributivo, l’obbligo di sicurezza,
ecc…) molto spesso pregiudicava gli interessi personali e patrimoniali
dei lavoratori.
Era frequente che l’utilizzatore risparmiasse sul costo del lavoro,
per esempio utilizzando lavoratori meno pagati dei suoi oppure
evitando di adottare le misure di sicurezza relative alle attività
demandate ai lavoratori utilizzati ma non assunti; d’altronde il
fornitore di manodopera era portato a riconoscere ai lavoratori assunti
12
M.T. CARINCI, La fornitura di lavoro altrui. Interposizione. Comando. Lavoro
temporaneo. Lavoro negli appalti, 2000, Giuffrè Editore
10
ed utilizzati dal terzo bassi salari, quindi a sfruttare il lavoro, per poter
ritagliare il proprio margine di utile rispetto al compenso pattuito con
l’utilizzatore.
Dunque la ratio del divieto era sia di tutelare gli interessi
individuali, personali e patrimoniali dei lavoratori coinvolti nelle
fattispecie interpositorie, sia di garantire l’interesse pubblico
all’inderogabilità delle norme protettive, legali e contrattuali, poste a
tutela del lavoro subordinato
13
.
I.4 Interposizione e appalto: i confini tracciati dalla
giurisprudenza
Alle origini della proscrizione del contratto di somministrazione
di lavoro
14
sta la tesi secondo cui il tipo legale del “lavoro subordinato
nell’impresa” di cui all’art. 2094 c.c. sarebbe incompatibile con
l’interposizione di un terzo soggetto fra prestatore e utilizzatore
effettivo della prestazione: se è lavoratore subordinato chi si obbliga a
prestare il proprio lavoro “alle dipendenze e sotto la direzione
dell’imprenditore”, colui verso il quale il lavoratore assume l’obbligo
deve essere lo stesso imprenditore
15
. Donde, in questo ordine di idee,
13
M.T. CARINCI, C. CESTER, Somministrazione, comando, appalto, trasferimento
d’azienda. Titoli III e IV. Artt. 20-32, 2004, IPSOA
14
L. BARASSI, Il diritto del lavoro, Milano, 1935, vol. I, p. 181, P. GRECO, Il contratto di
lavoro, Torino, 1939, p. 38, nt. 10; V. CASSÌ, Della somministrazione di lavoro a favore
di terzi, in Annali sem giur. Univ. Catania, 1950, II, p. 325 (n.v.: cit. da G. NICOLINI,
Interposizioni in frode alla legge ecc., Milano, 1980, p. 6); E. LORIGA, Problemi di
interpretazione e di applicazione della legislazione sulla disciplina degli appalti di opere e
di servizi, Milano, 1963, p. 13; A. ASQUINI, Somministrazione di prestazioni di lavoro da
parte di intermediari e appalto di servizi, MGL, 1962, pp. 278 – 281.
15
A. CESSARI, L’interposizione fraudolenta nel rapporto di lavoro, Milano, 1959, pp. 87 -
89. Questa tesi di A. CESSARI verrà fatta propria poco più tardi dagli onn. ANDREUCCI e
BUTTÉ nella loro prima Relazione alla Camera, 7 settembre 1959, sulla nuova legge in
materia di interposizione nei rapporti di lavoro
11
l’impossibilità di sussumere nel tipo legale del contratto di lavoro
subordinato nell’impresa il contratto fra datore e prestatore avente per
oggetto un’attività lavorativa destinata a essere utilizzata da un
soggetto terzo; quest’ultimo contratto si configurerebbe pertanto come
contratto atipico (e laddove esso fosse utilizzato al fine di eludere o
vanificare norme imperative di tutela del lavoratore, quindi in
funzione di interessi non meritevoli di tutela, esso dovrebbe
considerarsi per questo aspetto escluso anche dal novero dei contratti
cui l’ordinamento riconnette gli effetti voluti dalle parti).
16
Gli articoli da 3 a 6 della l. 1369/1960 intervengono in una
materia ben distinta dal divieto di fornitura di manodopera disciplinato
dagli artt. 1 e 2 della stessa legge: prevedono particolari disposizioni
di favore per i dipendenti dell’appaltatore in determinati appalti di
opere e servizi.
In effetti, la formulazione ambigua dell’art. 1, l. 1369
17
poteva
portare alla conclusione che il divieto d’interposizione si dirigesse ad
una particolare ipotesi di appalto, riducendo così l’area di liceità di
quel contratto; la dottrina pressoché unanime e la giurisprudenza
hanno invece chiarito che fra appalto e interposizione esistono
sostanziali diversità.
Si tratta di due fattispecie ben distinte: nel primo caso (lecito)
l’obbligazione assunta è un’obbligazione di fare, cioè di realizzare
un’opera compiuta o un servizio coordinato, diretto e realizzato nella
sfera organizzativa dell’appaltatore; nell’altro (vietato) l’obbligazione
16
P. ICHINO, Il diritto del lavoro e i confini dell’impresa. La disciplina della
segmentazione del processo produttivo e dei suoi effetti sul rapporto di lavoro, Relazione
al Convegno “Diritto del lavoro e nuove forme di decentramento produttivo”, Trento 3-4
giugno 1999, Milano
17
“è vietato all’imprenditore di affidare in appalto o in subappalto…”
12
è invece un’obbligazione di dare, cioè di mettere a disposizione del
committente i lavoratori, che il secondo utilizzerà secondo le proprie
esigenze.
Il contratto fra committente ed interposto non integra, quindi,
come potrebbe sembrare a prima vista a causa dell’esplicito
riferimento contenuto nella norma, un’ipotesi di appalto, perché di
quel contratto mancano in questo caso proprio i tratti caratterizzanti e
cioè l’avere ad oggetto il compimento di un’opera o di un servizio con
organizzazione dei mezzi necessari e gestione a proprio rischio da
parte dell’appaltatore (art. 1655 c.c.).
Risulta evidente anche perché la giurisprudenza incentri
l’attenzione sugli elementi dell’organizzazione e del rischio in capo
all’interposto: è il fare, proprio del contratto di appalto, che richiede
un’organizzazione, non il dare del negozio di fornitura di manodopera.
Nessun dubbio, invece, che la seconda parte della l. 1369/1960
presupponga un contratto di appalto tipico, disciplinato dal codice
civile agli art. 1655 s.s. c.c., come del resto risulta evidente dalla
lettera delle disposizioni
18
.
I.5 Gli appalti interni ed esterni all’azienda
All’originaria e ridotta disciplina contenuta nel codice civile a
favore degli ausiliari dell’appaltatore (art. 1676 c.c.), si aggiunge così
nel 1960 una più incisiva tutela degli appalti.
La l. 1369 ha posto una distinzione tra gli appalti esterni
all’impresa ed estranei al suo normale ciclo produttivo, regolati dal
18
Cfr. art. 3, co. 1°, l. 1369/1960: “gli imprenditori che appaltano opere e servizi…”.
L’art. 5, l. 1369 costituisce poi una deroga all’art. 3 e, quindi, lo presuppone.
13
diritto comune, e gli appalti che, svolgendosi all’interno dell’azienda,
sono ritenuti leciti, ma vengono sottoposti ad una particolare
disciplina protettiva dei dipendenti dell’appaltatore.
La l. 1369, inoltre, aggiunge alla disciplina codicistica una
specifica tutela per i dipendenti dell’appaltatore nel caso di appaltanti
di opere o servizi “da eseguirsi nell’interno delle aziende” (art. 3, co.
1°), cioè per gli appalti endoaziendali, per evitare lo sfruttamento dei
lavoratori nelle aziende.
I.6 L’utilizzo della l. 1369/1960 in funzione del modello
organizzativo d’impresa
La l. 1369/1960 si modella sulla falsariga del tipo sociale
dell’operaio-massa della grande impresa industriale. L’unità di
riferimento laboristica è l’impresa come si struttura nella realtà socio-
economica italiana in quegli anni: essa svolge al suo interno l’intero
ciclo produttivo, trasformando le materie prime nel prodotto finale, si
organizza in modo gerarchico e si avvale al suo interno dell’attività
indistinta di lavoratori subordinati poco professionalizzati, di qualifica
medio-bassa.
In questo ambito, la suddetta legge impone all’impresa di
acquisire lavoro subordinato solo tramite lo schema della
subordinazione e cerca di disincentivare o almeno rende più costoso lo
scorporo di fasi e spezzoni del ciclo produttivo.
Ma già a partire dalla prima metà degli anni ’70 la situazione
cambia: in Italia vi è una crescente diffusione della
strumentalizzazione e della cultura informatica, la struttura produttiva
viene sempre più investita dall’innovazione, che automatizza il lavoro
14
in ufficio, flessibilizza la fabbrica, muta la relazione fra la grande e la
medio/piccola realtà produttiva, sviluppa tutto un nuovo terziario.
Comune è la prevalente attenzione per la situazione di una
grande/media industria che decentra, denuncia una crescente
esuberanza di manodopera, rivela una sempre maggior difficoltà di
tenuta produttiva e occupazionale
19
.
Di fronte alla nuova situazione economico-produttiva, che
investe, scardina, decompone la struttura del referente normativo (la
medio/grande impresa industriale) cui sono agganciate così le norme
di protezione del lavoratore singolo, una delle risposte dottrinali
20
è
quella di utilizzare la l. 1369/1960 in modo strategico, per
neutralizzare completamente le ricadute sul rapporto di lavoro del
decentramento che avanza.
Insomma il decentramento è ancora vissuto come fenomeno
patologico, come strumento utilizzato dagli imprenditori unicamente
per realizzare maggiore flessibilità ed essere gravati da minori costi a
danno dei lavoratori
21
.
Il tentativo di utilizzare in funzione strategica la l. 1369/1960, per
frenare l’espansione del decentramento, non avrà comunque successo
soprattutto perché il legislatore non sceglierà di arroccarsi nella difesa
di un certo schema organizzativo d’impresa.
19
Cfr. FRANCO CARINCI, Rivoluzione tecnologica e diritto del lavoro: il rapporto
individuale, in Giorn. Dir. Lav. Rel. Ind. 1985. p. 212
20
Non l’unica e comunque non quella vincente, cfr. F. CARINCI, Rivoluzione
tecnologica e diritto del lavoro: il rapporto individuale, cit., p. 213 ss. V. infatti le
osservazioni di GHERA, II lavoro nell’impresa minore: piccola impresa, artigianato,
lavoro a domicilio, in Dir. lav., 1981, I, p. 319 ss., che distingue fra decentramento e
specializzazione, sottolineando come “la flessibilità dell'organizzazione del lavoro e
dell'organizzazione produttiva e il grado di elasticità nella utilizzazione degli impianti
abbiano ormai messo l’impresa minore nella condizione di beneficiare delle economie di
scala, in una misura crescente e che, in certi casi, può essere uguale o addirittura
superiore a quella della grande impresa”.
21
Cfr. ZANELLI, Impresa, lavoro e innovazione tecnologica, Milano, 1985, p. 124 s.
15
In particolare il divieto d’interposizione risulterà spiazzato dalla
scelta legislativa sempre più decisa nel senso della flessibilizzazione.
Dunque il nuovo decentramento passa al di fuori della l.
1369/1960 che continua a presidiare un modello d’impresa
ridimensionato dai fatti.
I.7 Caratteri del nuovo sistema organizzativo dell’impresa
Il nuovo decentramento ha poi conosciuto un’inarrestabile
progressione
22
.
Possiamo quindi considerarlo non come un fenomeno patologico
e marginale, ma come un nuovo modulo organizzativo dell’attività
produttiva: l’impresa non realizza più al suo interno l’intero ciclo
produttivo tradizionale, che portava alla creazione del prodotto finale
da collocare sul mercato, ma commette all’esterno fasi e segmenti di
esso e, in modo via via crescente, anche servizi alla produzione
23
, così
quelli tradizionali già presenti al suo interno (per esempio gestione
paghe e stipendi) come quelli “moderni”.
22
Cfr. da ultimo De LUCA TAMAIO, I processi di terziarizzazione intra moenia ovvero
la fabbrica “multisocietaria”, in Dir. merc. lav., 1/1999, p. 49 ss.; ICHINO, Il diritto del
lavoro e i confini dell’impresa. La disciplina della segmentazione del processo produttivo
e dei suoi effetti sul rapporto di lavoro, Relazione al Convegno “Diritto del lavoro e
nuove forme di decentramento produttivo”, Trento 3-4 giugno 1999, Milano
23
In termini aziendalistici “outsourcing”. Con esso si indica il fenomeno per cui attività
tradizionalmente assolte dall’impresa al suo interno vengono poi decentrate all’esterno. Il
termine ricorre in particolare con riferimento al decentramento della gestione dei servizi
informativi (sistemi IT). Cfr. RICCIARDI, La diffusione dell’outsourcing nella realtà
economica degli anni '90, in GLUCKSMANN, RICCIARDI (a cura di), Outsourcing
nelle tecnologie dell’informazione. Motivazioni, modalità di realizzazione e contratti di
servizio, Milano, 1994, p. 2; CARDARELLI, La cooperazione fra imprese nella gestione
di risorse informatiche: aspetti giuridici del c:d. “outsourcing”, in Dir. inf., 1993, p. 85.