E’noto infatti che la riforma dei primi anni settanta ha impresso una
svolta fortemente centralistica al finanziamento degli Enti locali,
abolendo le principali imposte dirette e indirette ( tassa di famiglia,
dazi interni, prelievi sugli immobili), con cui i Comuni si
finanziavano in precedenza, sostituite con tributi da parte dello
Stato, anziché con altri tributi a gettito decentrato. Il rapido
emergere di anomalie a seguito di tale innovazione, ha portato ad un
lento ripensamento. Gia negli anni ottanta è maturato il dibattito,
ma con scarsi risultati e all’inizio degli anni novanta la quota di
auto finanziamento tributario del totale consolidato delle spese delle
amministrazioni decentrate si aggirava sul 10%. Una vera svolta la
si riscontra nel corso degli anni novanta, con l’introduzione dell’ICI
(destinazione interamente comunale), in sostituzione dell’ILOR
sugli immobili, con l’istituzione dell’imposta sull’attività
professionale (ICIAP), con la devoluzione alle Regioni dei
contributi sanitari, con la possibilità di introduzione di addizionali
fiscali locali su alcuni consumi energetici (elettricità, benzina) e la
devoluzione di una porzione degli introiti relativi alla tassazione
degli autoveicoli. Per effetto di questi introiti la quota di
autofinanziamento delle spese locali consolidate arriva ad attestarsi,
alla metà degli anni novanta, approssimativamente sul 25%. Negli
anni più recenti attraverso l’istituzione dell’IRAP (imposta
regionale sulle attività produttive) si assiste ad un’ulteriore
accelerazione verso il decentramento. Infatti l’IRAP accorpando
precedenti prelievi locali, ma anche consistenti prelievi in
precedenza centrali, assicura un considerevole gettito alle Regioni.
5
All’imposta sulle attività produttive è accompagnata la devoluzione
di una piccola quota sull’IRPEF, nonché la possibilità degli Enti
locali d’introdurre una piccola aliquota proporzionale sulla base
imponibile di tale imposta. Il risultato è che alla fine degli anni
novanta l’auto finanziamento fiscale locale sale a oltre il 40% delle
spese consolidate. Successivamente l’autofinanziamento supererà il
60% grazie al potenziamento dell’IRPEF locale ed alla devoluzione
alle Regioni di circa il 25% del gettito dell’IVA
1
. Nell’ultima parte
del primo capitolo, è illustrata la nota riforma costituzionale
approvata nel 2001, la quale imprime un’ulteriore svolta in senso
federale all’intero sistema. In particolare della revisione
costituzionale sono analizzati gli articoli: 117 (funzioni legislative
regionali e statali), l’articolo118 (funzioni amministrative regionali)
e l’articolo 119 (autonomia finanziaria).
Il secondo capitolo è dedicato allo studio, piuttosto dettagliato, dell’
attuale sistema delle imposte locali, un sistema ampiamente
decentrato che si oppone all’assetto centralistico degli anni settanta.
Una finanza regionale basata sull’IRAP, sull’addizionale all’IRPEF
e sull’addizionale all’IVA; una finanza comunale imperniata
sull’ICI (sino al 2008) e altre imposte collegate ad immobili e
all’ambiente.
La tesi si conclude al terzo capitolo affrontando il federalismo
fiscale. A partire dai numeri della finanza decentrata (2006) e dalla
legge finanziaria 2007, si tenta di capire le motivazioni e i margini
di manovra, concessi ai due Governi succedutesi nel triennio 2006-
1
Si veda Vialetti G., (2004) Dossier sul federalismo fiscale.
6
2008, che hanno influito sulle modalità attuative del federalismo
fiscale. Si propone la puntuale rappresentazione di federalismo
fiscale proposta dal Governo Prodi e dal Consiglio regionale
lombardo, entrambe inattuate per differenti motivi. E’ l’ultimo
paragrafo ad illustrare il neo disegno di legge Calderoni: attuazione
dell’articolo 119 della Costituzione, delega al Governo in materia di
federalismo fiscale ( presentato in data 3 settembre 2008).
7
CAPITOLO I
IL SISTEMA TRIBUTARIO ITALIANO NEL GRADUALE
AVVICINAMENTO AL FEDERALISMO FISCALE,
LEGISLATIVO E AMMINISTRATIVO
1.1 Il sistema tributario all’atto dell’unificazione
L’attuale ordinamento italiano nel campo tributario è la risultante di
avvenimenti storici che si possono far risalire dalla unificazione in
poi, ritengo quindi interessante effettuare un breve excursus storico
che ci permetterà di conoscerne il cammino storico, e ci consentirà
inoltre di comprendere appieno la riforma degli anni ‘71 ’72 che,
attraverso integrazioni e sostituzioni è divenuta la base del sistema
tuttora vigente
2
.
Il sistema tributario al momento dell’unificazione era basato su due
tipologie di tasse: l’imposta diretta fondamentale e un sistema di
imposte indirette tra cui prevaleva l’imposta di registro. Tra le
prime, l’imposta per eccellenza era rappresentata da quella
fondiaria che inizialmente veniva applicata senza distinzione sia
agli immobili rustici che a quelli urbani, di cui la base imponibile
era stabilita con sistema catastale per preservare , come era in uso
2 Si veda Fantozzi A., (2006), Corso di diritto tributario, pp 353, Utet Editore.
8
nei tempi, la riservatezza dei fatti economici. Tale imposta andava a
colpire anche le attività produttive di beni e servizi, non in relazione
all’effettiva capacità contributiva realizzata, bensì alla potenzialità
astratta. Il concetto della contribuzione potenziale, mutuato
dall’esperienza francese, è importante perché ha avuto rilevanti
conseguenze sull’evoluzione del sistema con particolare riguardo
alla teoria dei metodi di accertamento.
Tra le imposizioni indirette la più dominante era l’imposta di
registro, che rappresentava per i privati un servizio pubblico di
notevole importanza: l’attestazione della data certa e della
conservazione degli atti attraverso la registrazione degli stessi.
A questo servizio era originariamente ricollegata una prestazione
imposta che aveva natura di tassa ; ma in una società ancora poco
sviluppata economicamente, nella quale le maggiori contribuzioni
erano rappresentate soprattutto dai trasferimenti di ricchezza
immobiliare, apparve subito opportuno ricollegare alla registrazione
un tributo commisurato alla ricchezza trasferita e rendere
obbligatoria la registrazione, per evitare che l’interesse a non pagare
il tributo prevalesse su quello ad utilizzare il servizio.
L’imposta di registro, così concepita, nasce nei comuni italiani e
viene esportata in Francia dove assume la struttura e la funzione di
imposta generale sui trasferimenti della ricchezza realizzati
attraverso negozi giuridici documentati per iscritto. Il sistema
francese estende l’imposta di registro anche ai meri fatti ed ai
trasferimenti gratuiti e mortis causa, e tale combinazione codificata
arriva anche nello stato sabaudo.
9
Un’altra imposta introdotta negli stati preunitari è l’imposta di
bollo che prevedeva l’uso della carta e dei valori bollati, di cui la
produzione e la vendita erano riservati allo Stato.
Vi erano poi tra le imposte indirette le accise e i tributi doganali: le
prime riguardavano l’esercizio di attività di produzione di beni,
mentre i tributi doganali erano prelievi che risalivano alle
concezioni tipiche del mercantilismo secondo cui era necessario
incoraggiare le attività interne e scoraggiare quelle esterne.
I dazi erano imposte che miravano al controllo della circolazione di
beni; accanto a quelli doganali vi era infine un sistema di dazi
prelevati al passaggio dei beni da un comune all’altro che si basava
sul principio ideologico dei primi.
1.2 Il sistema tributario nell’Italia post unitaria
Il sistema tributario vigente nell’Italia preunitaria però è destinato a
cambiare poiché nell’Italia postunitaria si assiste a cambiamenti
radicali che non vedono più come fonte prevalente di ricchezza e di
capacità contributiva quella relativa al possesso fondiario. Si
impose così a livello parlamentare un approfondito dibattito sulla
necessità di rinnovare il sistema fiscale, ed il modello inglese di
un’imposta generale e personale sui redditi, fa da esempio. Ma
questa imposta fu avversata dalla classe conservatrice perché
cozzava con l’interesse dei proprietari; al suo posto si preferì
mantenere l’originaria imposta fondiaria, accompagnata da una
10
nuova imposta a carattere complementare e residuale rispetto alla
prima.
E’ in questo momento che nasce l’imposta sui redditi mobiliari
(imposta di ricchezza mobile) che avrà notevole rilevanza fino alla
riforma e dall’esigenza di salvaguardare l’imposta fondiaria si
sviluppa un sistema di imposte complesso e frammentario basato
sull’imposta unica, personale e generale, ed in contrapposizione
allo schema adottato dagli altri stati industriali. Tale contrasto verrà
sanato con la riforma degli anni 1971-73.
Questa nuova imposta di ricchezza mobile, anche se residuale, che
riguardava tutti i redditi non sottoposti all’imposta fondiaria, nasce
sull’impostazione logica essenziale di quest’ultima da cui derivò la
definizione di reddito in termini naturalistici. Il legislatore parla di
reddito-prodotto inteso come frutto: una nuova ricchezza staccata
dalla fonte con possibilità di riprodursi senza menomare la fonte
stessa
3
.
Questa impostazione ha permeato di sé tutta l’evoluzione
dell’imposta di ricchezza mobile che si rivela per un verso
condizionata dalla sua istituzione, ma per altro verso aperta al
futuro e suscettibile di raccogliere tutte le modifiche determinate
dai continui mutamenti del sistema economico.
Nel tempo si arriva alla scissione tra imposta sulla proprietà
immobiliare rustica e quella urbana, poiché quest’ultima acquista
sempre più importanza. Inoltre si vuole distinguere il reddito
derivante l’esercizio di impresa agricola su fondi propri o altrui,
3
Si veda Fantozzi A., (2006), Corso di diritto tributario, pp 355-356, Utet Editore.
11
quindi si assoggettano questi ultimi ad imposta di ricchezza mobile
mentre viene istituita una nuova imposta sul reddito agrario per
colpire i primi.
Tali imposte vengono a costituire il sistema dell’imposizione
diretta, articolato su diverse imposte cedolari a carattere reale :
l’imposta sul reddito dei terreni e l’imposta sui fabbricati che
colpiscono la rendita media ordinaria derivante dal semplice
possesso degli immobili a titolo di proprietà o altro titolo reale;
l’imposta sul reddito agrario a titolo di proprietà o altro diritto reale.
Anche la rilevazione di questo reddito avviene su base catastale
anziché effettiva.
Vengono al contrario verificati su base effettiva redditi come quelli
dell’impresa agricola esercitata su fondi altrui, quelli d’impresa
commerciale e industriale, i redditi di capitale e di lavoro sia
autonomo che subordinato.
1.3 La perequazione tributaria negli anni 50: la riforma
Vanoni-Tremelloni
Nuove esigenze di gettito si impongono con il primo conflitto
mondiale: da un lato c’è la necessità di poter ricorrere a forme di
imposizione straordinaria e dall’altro la necessità di introdurre
forme di imposizione progressiva e più accentuata. Non si arriva
però ad un’imposta generale e unitaria, bensì a un’imposta
12
complementare progressiva sul reddito complessivo delle persone
fisiche a carattere però complementare e sussidiario.
Tale imposta ha il compito di integrare l’imposizione reale, ma
questa resta un’imposta di secondo grado applicata in base a
dichiarazione e quindi largamente evasa.
Il sistema tributario nazionale delineatosi non subisce sostanziali
mutamenti fino alla II guerra mondiale, se non per quanto atteneva
alla continua evoluzione dell’imposta di ricchezza mobile che
diventa l’imposta più importante, seguendo le sorti economiche del
Paese. Ma quando l’Italia deve fare i conti con le conseguenze del
secondo conflitto mondiale, si trova davanti un’economia scossa dai
traumi bellici ed è necessario introdurre numerose imposte
eccezionali straordinarie sul patrimonio, sui profitti di contingenza
ecc… (eliminate dopo la guerra).
Bisogna pensare a una riforma sostanziale soprattutto nell’ambito
dell’imposizione sul reddito. Gli interventi normativi di revisione
dell’ordinamento fiscale tendono al raggiungimento di una ridotta
evasione fiscale e ad una maggiore perequazione nella distribuzione
dei carichi tributari.
Nel contempo si cerca di determinare nuove fondamenta per
regolare i rapporti tra l’Amministrazione fiscale e i contribuenti, il
tutto con una sorprendente modestia di mezzi normativi. Riteneva
infatti il Ministro delle Finanze, Ezio Vanoni, che l’ordinamento
giuridico tributario contenesse al suo interno “ …ottime disposizioni
che sarebbero risultate veramente efficaci se per lunga
consuetudine o per prassi tollerata non fossero state di fatto
13
abbandonate”… ; “…occorreva, quindi, ridare efficacia pratica a
tali norme, perfezionandole con dei ritocchi, a volte di portata
modesta, che costituiscono degli anelli importanti per migliorare
l’efficacia dell’intero sistema”
4
.
Quella realizzata negli anni 50 dai ministri Vanoni-Tremelloni è la
riforma più ampia e prende il nome dalla perequazione tributaria, ed
ha come maggior fine quello di assestare e ammodernare il sistema
vigente, generalizzando l’obbligo della dichiarazione dei redditi ed
estendendo l’obbligo di tenuta delle scritture contabili così da
determinare la consistenza del reddito effettivo.
Nel 1954 viene introdotta l’imposta sulla società poiché nel
dopoguerra il fenomeno societario ha assunto molta importanza. E’
questa un’imposta a carattere complementare e personale che
completa l’imposizione delle persone giuridiche.
Il problema dell’imposizione autonoma delle società commerciali,
fortemente controverso nei primi decenni del secolo, era stato
oggetto di ampio dibattito dopo che la giurisprudenza, dapprima
con qualche incertezza, successivamente in modo sempre più
deciso, aveva affermato, in ordine alla questione dell’imponibilità
del sovrapprezzo delle azioni, il principio della soggettività
tributaria delle società considerate come enti distinte dalle persone
dei soci
5
.
4
Si veda Scuola di polizia tributaria, (2001), Corso superiore di polizia tributaria, Roma.
5
Si veda Fantozzi A., (2006), Corso di diritto tributario,pp 356-357, Utet Editore.
14
Si determinava, quindi, l’autonoma soggettività tributaria delle
società commerciali e, conseguentemente, la loro idoneità ad essere
sottoposte a un tributo specifico.
Il sistema dell’imposizione diretta confluisce nel T.U. delle imposte
dirette approvato con D.P.R. 29 gennaio 1958 n 645, rimasto in
vigore fino alla riforma.
Il tessuto normativo tributario dell’epoca riservava grande spazio
all’imposizione indiretta, ed all’interno di questa abbiamo visto
quale ruolo di primo piano veniva affidato all’imposta di registro,
tanto che, subito dopo l’unificazione inizia un fenomeno di
gemmazione di imposte che si distaccano dalla suddetta imposta,
conservandone però i caratteri fondamentali. E’ il caso dell’imposta
di successione, dell’imposta sulle assicurazioni e delle imposte
surrogatorie del registro e surrogatorie del bollo; lo stesso accade
con la tassa sui contratti di borsa, surrogatoria anch’essa delle
imposte di bollo e registro. L’imposta di successione diviene più
autonoma quando ad essa si attribuisce anche la funzione di
prelievo straordinario sul patrimonio del “de cuius”, da operare al
momento della morte; si arriva a ciò con l’introduzione di
un’imposta sull’asse ereditario globale netto che si configura come
tributo autonomo sia pure unificato quanto all’accertamento e alla
riscossione. Le imposte di surrogatorie del registro e quelle
surrogatorie del bollo, erano imposte concepite come mezzo di
esemplificazione rispetto alle imposte “madri”, riferite a gruppi o
classi di operazioni imponibili. Vi sono tributi che nascono
15