Introduzione
2
La pubblicità, come afferma Anthony King, fa parte delle
industrie di riproduzione delle immagini e di modificazione della
coscienza. Sono queste le industrie che nelle condizioni del
capitalismo contemporaneo contribuiscono alla costituzione,
affermazione e ricostituzione della soggettività umana e
dell’identità culturale.
Il mondo della pubblicità è una delle numerose espressioni
di una società ed è ideata, progettata e strutturata con riferimento
a specifici valori culturali. Può essere considerata come la lente
di ingrandimento di un microscopio, che setaccia e mette a nudo
comportamenti e stereotipi che caratterizzano una società.
La vanità maschile ne è un esempio. Alcuni ritengono che
la pubblicità abbia “provocato” a dismisura il desiderio di vanità
negli uomini. E i pubblicitari sono stati accusati di sminuire, con
il loro modo di vedere l’uomo, la sua virilità.
Ma la vanità maschile ha una storia millenaria. È quello che
viene qui documentato nel primo capitolo, in cui ampio spazio è
dedicato alla cura del corpo nella civiltà greca, dove sono nati i
primi beauty-center della storia: gli uomini andavano dal barbiere
con una certa frequenza, si vestivano con abiti ricercati,
dedicavano persino tempo alla depilazione.
Anche quello dell’antica Roma era un popolo vanitoso, più
gli uomini delle donne. Frequentatori abituali delle terme,
avevano gusto e inclinazione per l’arredamento delle case. Con
l’avvento del medioevo, le cose cambiano bruscamente. I sermoni
dei frati proibiscono categoricamente di riservare troppo tempo
Introduzione
3
all’igiene del corpo; il contatto con l’acqua viene considerato
addirittura peccaminoso e gli unici a non trascurarsi del tutto
sono i nobili. Il Rinascimento segna un nuovo modo di rapportasi
al proprio corpo: la ricerca della bellezza e la vanità tornano alla
ribalta.
Nel secondo capitolo analizziamo il rapporto fra corpo e
bellezza, la maniera in cui possono influenzarsi a vicenda. Qui
entra prepotentemente in gioco il ruolo che la pubblicità ricopre,
il modo in cui riesce a condizionare i comportamenti soprattutto
dei più giovani, (i cosiddetti soggetti “a rischio”), propugnando
modelli difficilmente raggiungibili. Nell’ultimo decennio la
popolazione maschile, bombardata dai messaggi pubblicitari che
vedono protagonisti modelli magrissimi e bellissimi, si sottopone
a diete umilianti e a operazioni chirurgiche che trasformano
drasticamente l’aspetto fisico. Il corpo è il biglietto da visita per
chi è vanitoso, lo si plasma con la danza e il body building, lo si
modifica, lo si abbellisce con piercing e tatuaggi. Ma anche
l’abbigliamento non è da trascurare, onnipresente tanto nelle
riviste femminili che in quelle maschili.
Nel terzo capitolo la vanità maschile è esaminata sia sotto
l’aspetto psicologico che dal punto di vista della comunicazione
pubblicitaria, attraverso l’analisi delle strategie che l’advertising
adopera per rendere più appetibili le merci che reclamizza. Si
parla quindi anche della presunta “pubblicità aggressiva”, cioè di
quella pubblicità martellante che propone archetipi forti come i
modelli di Calvin Klein.
Introduzione
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Punto centrale è qui la maniera in cui la bellezza viene
considerata dagli uomini in un’epoca in cui la vanità non deve
essere più considerata una prerogativa femminile. La moda che
gli stilisti più eccentrici lanciano sulle passerelle vede gli uomini
in atteggiamenti quasi femminili. Questi modelli sono poi ripresi
da alcune campagne pubblicitarie, come ad esempio quella della
nota marca d’abbigliamento Redwood, in cui vediamo un
giovanotto in posa equivoca. Certamente, altri annunci stampa
mostrano i modelli in tutta la loro mascolinità, mostrando come
vi sia una vanità tipicamente virile.
Una parte di questo capitolo è dedicata alla vanità negli
omosessuali, spesso esasperata da spot eccessivamente
trasgressivi, come quello in cui Platinette, la drag queen di Radio
DJ, è testimonial del sito web bazar.it. Più delicato e più
realistico è invece lo spot del deodorante Impulse, in cui vediamo
due giovanotti gay prendersi per mano sotto gli occhi allibiti di
una signorina.
Abbiamo quindi ritenuto opportuno soffermarci sulla
maniera in cui la pubblicità, figlia della cultura occidentale, non
fa altro che mettere in luce pregiudizi culturali radicati in noi da
secoli. Ragion per cui occorre tenere sempre ben presente il fine
prettamente economico del messaggio pubblicitario (se si
escludono, beninteso, le campagne con fini sociali, le pubblicità
progresso e quelle religiose): la funzione della pubblicità è
informare, cioè mettere il pubblico a conoscenza che sul mercato
Introduzione
5
ci sono un certo numero di prodotti e dare così impulso al libero
mercato, spingendo al consumo.
In questo meccanismo sembrano ormai cadere con più
facilità gli uomini che non le donne: il boom del nudo maschile
nella pubblicità del mondo post-moderno ha avuto come effetto la
diffusione di un culto del corpo e dell’immagine negli uomini che
ricorda un modello sociale vecchio più di venti secoli.
CAPITOLO I
VENTI SECOLI DI VANITÀ
1. Premessa
Ultimamente si è assistito da parte del cosiddetto “sesso
forte” a un ricorso, giudicato da alcuni eccessivo, verso la cura
estetica del proprio corpo. I centri di bellezza non sono più la
torre d’avorio delle donne ma sono sempre più frequentati dalla
popolazione maschile. Gli uomini non solo investono il proprio
denaro, ma anche il proprio tempo nella cura dei capelli, nel
maquillage, in massaggi, in trattamenti estetici.
Tale fenomeno ha avuto una notevole spinta soprattutto
negli ultimi anni, grazie al bombardamento che la pubblicità ha
effettuato nei confronti dei consumatori. Sempre di più i giornali
e in special modo le riviste di settore dedicate ai soli uomini
1
, la
TV, la radio, ci propinano dei modelli estetici al limite del
possibile. Ragazzi belli, tonici, muscolosi, che hanno poco di
umano.
Ma l’uomo solo ultimamente si è scoperto vanitoso o lo è
sempre stato, ma ha cercato di nasconderlo?
1
La presente ricerca è stata condotta principalmente sulle riviste Men’s Health, GQ, Max, Maxim
Fit for Fun.
Capitolo I Venti secoli di vanità
7
2. La vanità nel mondo antico
2.1 Gli Ebrei
W. Keller descrive il modo in cui gli Ebrei si dedicavano
alla cura del proprio corpo: “Le donne ebree, ma a volte anche gli
uomini, avevano l’abitudine di portare sotto la veste un sacchetto
di mirra odorosa. Non mancavano nella toletta né i bigodini né le
forcelle né gli specchi (dischi lucidi di metallo ben levigati). Per
quanto ne condannassero l’uso, i profeti non riuscirono mai a
bandire dalle case signorili né il belletto né il ritocco per gli
occhi. Con i grappoli dei gialli e delicati fiori del cipro, le donne
si ornavano i capelli. Apprezzavano molto di più una polvere
giallo-rossastra ricavata dalla corteccia e dalle foglie dell’arbusto
del cipro. Con questa si tingevano i capelli e le unghie dei piedi e
delle mani. Gli archeologi trovarono con stupore il suo lucente
color rosso chiaro come smalto sulle unghie delle mani e dei
piedi delle mummie egiziane. Le sopracciglia e le ciglia venivano
tinte con solfuro di piombo e il lapislazzuli tritato dava alle
palpebre la desiderata ombreggiatura. La cocciniglia polverizzata
forniva, esattamente come la moderna matita delle labbra, il rosso
cremisi per una linea seducente”.
2
Ciò che ha più colpito gli studiosi è che tracce seppur
minime di trucco sono state rinvenute anche in mummie di
uomini, testimoniando quindi il fatto che pure i maschi, in misura
minore, non tralasciavano la cura estetica.
2
W. Keller, La Bibbia aveva ragione, Milano, 1956, p. 196.
Capitolo I Venti secoli di vanità
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2.2 I Greci
Se facciamo un tuffo nel passato di circa 2500 anni, ci
accorgiamo che sin dai tempi dell’antica Grecia gli uomini non
hanno tralasciato il proprio aspetto fisico: terme, palestre, centri
di bellezza non sono luoghi figli del benessere che si è raggiunto
nel XX secolo, ma affondano le radici nell’epoca classica.
Esaminando infatti la civiltà ellenica si nota che già gli antichi
greci erano frequentatori di palestre e terme.
2.2.1 L’igiene e la cura del corpo
I medici greci attribuivano grande importanza all’igiene,
alla cura del corpo e agli esercizi fisici
3
. Per gli uomini, e almeno
a Sparta anche per le donne, la pratica della ginnastica era
ritenuta indispensabile alla salute e alla bellezza (éuexeia).
Senofonte
4
narra che anche Socrate (469-399 a.C.) faceva ricorso
ad esercizi ginnici per cercare di appiattire il ventre.
I ragazzi imparavano fin dalla prima infanzia a bagnarsi e a
nuotare, a mare e nei fiumi, mentre i giovani spartani si
bagnavano ogni giorno nell’Eusota
5
, anche d’inverno.
Il tiranno ateniese Pisistrato e i suoi figli, nel VI a.C. secolo
avevano dotato Atene di fontane monumentali dove le donne
riempivano le loro conche ma dove si poteva anche, quando le
bocche erano disposte molto in alto, lavarsi come sotto una
doccia, ponendosi direttamente sotto il getto. Se la fontana
3
Robert Flacelière, La vita quotidiana. In Grecia al secolo di Pericle, trad. di Maria Grazia
Meriggi,1998, Milano, pp.187-212.
4
Senofonte, Simposio, 2.
5
Fiume (82 km.) situato nel Peloponneso meridionale.
Capitolo I Venti secoli di vanità
9
disponeva di un bacino per la raccolta delle acque era proibito
bagnarvisi per evitare eventuali contagi.
Nell’Atene del V secolo ci si bagnava di rado nelle
pubbliche fontane perché si erano formate altre abitudini. Era
l’epoca in cui si moltiplicavano palestre e ginnasi. Tali impianti
erano dotati di fontane, vasche per l’abluzione e anche piscine
(lontra). La piscina circolare del ginnasio di Delfi aveva 9.70
metri di diametro e quasi 2 metri di profondità, ed era possibile
nuotarvi.
Gli atleti si lavavano in vasche disposte sotto le fontane
prima di fare un bagno collettivo nella piscina. I ginnasi erano
situati ove possibile vicino al mare, a un corso d’acqua o a una
fonte, per rendere più facile l’istallazione d’impianti balneari.
Verso la fine del V secolo venne in genere abbandonato a favore
della stanza da bagno, più comoda, dove l’acqua veniva
incanalata e ricadeva per mezzo di tubature di piombo; si sono
ritrovate anche dispositivi ad acqua corrente per il lavaggio dei
piedi. Il ginnasio contribuì certamente molto a diffondere in
Grecia l’abitudine della pulizia del corpo.
I Greci dell’età classica conoscevano anche il bagno di
pulizia e di rilassamento in una vasca da bagno individuale, come
già facevano gli eroi omerici. Bacili e bacinelle, circolari o ovali,
di metallo, di terracotta o di legno servivano per lavaggi parziali
o per il bagno dei bambini. Ma l’impianto da bagno più diffuso in
età classica era la grande vasca circolare e profonda, sorretta da
un piede molto largo sormontato da un capitello, di solito ionico:
Capitolo I Venti secoli di vanità
10
nelle pitture vascolari a figura rossa è l’impianto più frequente
nella stanza da bagno, sia in casa, sia in palestra.
I bagni caldi erano ritenuti però soprattutto dai
laconizzanti una pratica che “rammolliva”. I bagni pubblici ad
Atene esistevano già dal V secolo e divennero anche più
numerosi nel IV. I clienti usavano vasche basse e piatte munite
di una sorta di sedile. Il più delle volte le vasche erano disposte a
corona intorno a una sala circolare; alcuni di questi gruppi erano
disposti in ambienti riscaldati, simili ad una sauna. Questi bagni
erano riscaldati e vi erano degli addetti che sorvegliavano il
livello del riscaldamento, spandevano l’acqua sui bagnanti e li
cospargevano di olio. Non si andava ai bagni pubblici solo per
lavarsi ma anche, almeno così facevano le persone agiate, per
incontrare amici e chiacchierare. In molti di questi stabilimenti
sembra ci fossero sale riservate alle donne, ma le frequentavano
solo le ateniesi delle classi povere, le cortigiane e le schiave. Le
ateniesi della borghesia si bagnavano a casa, in una vasca dove il
più delle volte si doveva stare in piedi (scene di questo tipo erano
rappresentate su molti vasi).
I Greci non conoscevano il sapone; gli atleti al ginnasio si
sfregavano il corpo con sabbia e olio e poi si spazzolavano la
pelle con uno strigile prima di lavarsi. Per il bagno probabilmente
usavano un carbonato di sodio impuro, estratto dal suolo, o una
soluzione di potassio ottenuta da ceneri di legno o da un’argilla
speciale. Spesso ci si faceva il bagno prima del pasto serale. Era
un uso così diffuso che “fare il bagno” equivaleva a dire “andare