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INTRODUZIONE
Non è raro, nella società moderna, assuefarsi. Troppo spesso tutto viene dato per
acquisito; è scontato che ci debba appartenere per una sorta di diritto naturale. Così
come per meri oggetti materiali, questa legge nevrastenica sembra, negli ultimi decenni,
aver colpito anche le grandi idee ereditate dal passato. Così commercio etico, mutualità,
controllo democratico, promozione dell’educazione vengono trattati come oggetti di
consumo. E come essi vengono assoggettati alle logiche del moderno commercio.
Talvolta considerati demodé e dunque accantonati, talvolta ripescati dall’armadio della
memoria e riproposti come un vecchio maglione di cui ci si era dimenticati. Tutto
questo senza che quasi mai ci si renda conto che le grandi idee – e la cooperazione
ahimè e tra quelle che maggiormente si danno per scontate – non meriterebbero
trattamenti così meschini.
Dire che la genesi del mio lavoro è da ricercare nel tentativo di dare il giusto
riconoscimento alla Cooperazione ed alla sua storia, sarebbe voler sostenere il falso.
Quando, ormai due anni fa, ho cominciato scrivere la mia tesi, il mio obiettivo era
raccontare la vita e le opere di un grande personaggio vissuto a cavallo tra il
diciottesimo ed il diciannovesimo secolo: Robert Owen. Pur consapevole dei risvolti
che il suo lavoro ebbe per i suoi posteri, dell’ampiezza e della rilevanza dei medesimi
mi sono reso conto solo strada facendo. E questo mi ha portato a voler dare maggior
respiro alla mia analisi, muovendo dall’esperienza di Owen a quello che essa indusse
successivamente.
Il primo capitolo, introduttivo e per molti versi di pura narrativa, prende in
considerazione i primi anni della vita di Owen. Che formazione ebbe, in che ambiente
crebbe e di come la rivoluzione industriale stava cambiando, prima ancora che
l’industria ed il commercio, gli stili di vita. Questo capitolo ricalca per lunghi tratti
l’autobiografia che Owen diede alle stampe nello stadio più avanzato della sua
vecchiaia. In ciò che scrisse si palesò una caratteristica che rende le sue opere spesso di
difficile lettura: che si trattasse di aneddoti di poco conto o di discorsi tenuti al cospetto
del Primo Ministro, Owen vi dedicò lo stesso carico enfatico e la medesima minuzia di
particolari.
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Il secondo e terzo capitolo avrebbero potuto costituire un tutt’uno ma per motivi
espositivi ho ritenuto opportuno tenerli separati. Ed in effetti quella fu la scelta che
anche i maggiori biografi di Owen fecero. Due diversi capitoli per due diversi momenti
del suo operato; un solo scenario: il cotonificio di New Lanark, nelle Lowlands
Scozzesi. Impresa a cui Owen fu legato per più di mezzo secolo. Ma se nel primo
periodo, quello di cui si da conto nel secondo capitolo, New Lanark costituì una sorta di
palestra in cui affinare idee e modelli per il miglioramento delle classi sociali più
oppresse – leggasi la classe operaia, uscita con le ossa rotte dalla prima rivoluzione
industriale – ed il conseguimento dell’armonia sociale, il secondo periodo fu per Owen
quello in cui le sue idee valicarono il Vallo di Adriano e si diffusero il tutto il regno
prima e nel mondo successivamente.
Il terzo capitolo esamina, dunque, come Owen si impegnò per ottenere la
regolamentazione del lavoro nelle fabbriche, di come si batté per eliminare il lavoro
infantile dagli opifici e per migliorare, definitivamente, la condizione dei poveri.
Iniziative che si risolsero sempre in rigetto da parte dell’establishment ed in sonori
fallimenti. In parte per l’antipatia che Owen si guadagnò presso i suoi colleghi
industriali e presso le fasce più conservatrici della società di allora; in parte perché fu
quello il periodo in cui le idee del filantropo cominciarono ad avere i connotati, spesso
bizzarri quando non addirittura folli, che lo portarono ad intraprendere progetti sempre
più grandiosi e, inevitabilmente, a fallimenti sempre più brucianti.
L’ultima fase realmente rilevante della vita e dell’operato di Owen è infatti
quella descritta nel quarto capitolo. Frustrato dai fallimenti ottenuti in patria e convinto
che la vecchia Europa fosse troppo corrotta per capire l’essenza delle sue idee, si
imbarcò per gli Stati Uniti. Deciso a far trionfare l’ideale comunitario che s’era
costruito, almeno a livello concettuale, basandosi sui suoi successi di imprenditore ai
tempi di New Lanark, fondò New Harmony. E pochi anni dopo fu, inevitabilmente,
fallimento. Ma qualcosa di rilevante stava accadendo. Le sue idee stavano attecchendo
ed alcuni fedeli discepoli seguirono le sue tracce. Si susseguirono i tentativi e con essi i
fallimenti. Ma dall’ideale di uguaglianza ed armonia tra le classi che Owen predicò ne
maturò uno più consistente. Quello cooperativo.
E questo ci porta al capitolo quinto del mio lavoro ed all’affermazione dei Probi
Pionieri di Rochdale, i fondatori di quella che è da molti indicata come la prima, vera
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cooperativa di consumo. Per lo meno la prima a sopravvivere. L’avvento dei Pionieri fu
preceduto dal ventennio d’oro dell’owenismo. Il seme della cooperazione era gettato e
dava dei frutti, soprattutto in termini di apprendimento e sviluppo dei principi che ad
esso sottendevano. Nello studiare la marcia della cooperazione in quel contesto, sembra
che ad ogni tentativo, i soggetti coinvolti imparassero qualcosa di nuovo. Fino a che, nel
1844, tutto fu realmente chiaro e la cooperazione poté definitivamente ricevere la sua
consacrazione.
Cinque capitoli in cui ho cercato di comprimere 70 anni di storia, tanto
dell’industria di quel tempo, quanto di costume. In cui i miei intenti, maturati come
detto strada facendo, sono stati orientati verso il tentativo di spiegare che quanto oggi
sembra lapalissiano, impiegò allora quasi mezzo secolo – e relativa sequela di fallimenti
- ad affermarsi.
Per fare ciò mi sono avvalso di una letteratura, quasi sempre, d’annata. Alla già
citata autobiografia dell’industriale gallese hanno fatto da contraltare testi dei suoi più
eminenti biografi, Cole e Podmore su tutti. Trattandosi di testi piuttosto datati il loro
reperimento non è stato sempre agevole anche se, devo ammettere, il fatto che molti di
essi non fossero più soggetti alle limitazioni imposte dal copyright, unitamente
all’ampiezza dei mezzi tecnologici oggi disponibile, mi ha agevolato notevolmente.
Un’osservazione che si potrebbe fare, della cui rilevanza io stesso sono stato
consapevole dall’inizio, riguarda la parzialità di talune fonti. Molti biografi di Owen si
sono basati sulle informazioni che poterono ricavare dall’autobiografia. Altri, come
Lloyd Jones, furono suoi seguaci. Il problema della parzialità, sebbene presente, non è
così gravoso nel caso dei Pionieri di Rochdale. Una notevole fonte di informazione è
stata, in questo caso, l’opera di Holyoake, lui stesso socialista oweniano e dunque di
parte. Ma in questo caso l’imparzialità è stata raggiunta grazie alle opera di altri autori;
di quel periodo, come Beatrice Potter o nostri contemporanei come Pollard o Birchall.
Pur riconoscendo tutto questo ed ammettendo che io stesso, durante la stesura,
sono rimasto affascinato dalla caparbietà e dall’incrollabile fede nelle proprie idee che
Owen dimostrò durante la sua esperienza, credo che nel suo complesso, il mio scritto,
possa considerarsi equilibrato. Credo, altresì, che quanto sostenuto nei capitoli a venire
dimostri una connessione solida ed innegabile tra i fallimenti oweniani ed il movimento
cooperativo moderno, nato a Rochdale nel 1844.
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Capitolo I
PRÒLOGO DI UN’ESPERIENZA FONDAMENTALE
1.1 – Dell’infanzia e della giovinezza
Robert Owen l’imprenditore di successo. Robert Owen il riformatore sociale. Ed
ancora: il filantropo, l’utopista, il pioniere. Il socialista. La storia ha fatto suo questo
nome restituendolo, via via, associato ad aggettivi che hanno l’indubbio merito di
fissare dei paletti che possano aiutarci a comprendere i pensieri, le opere, la vita di
questo personaggio fuori dal comune.
Il viaggio di Robert Owen attraverso i cambiamenti, le opportunità, le
contraddizioni del suo tempo, cominciò il quattordici maggio del 1771 a Newton,
Montgomeryshire, Galles settentrionale. Sesto di sette figli, veniva da una situazione
famigliare tipica del periodo. Il padre era mastro sellaio e responsabile dell’ufficio
postale del villaggio. La madre faceva parte di una numerosa e rispettata famiglia di
agricoltori.
Anni Settanta del Settecento, dunque. Un decennio che si può definire
congruamente, senza timore di eccessiva enfasi, cardine per tutto quello che sarebbe
accaduto nei decenni successivi e che avrebbe dato sostanza alla “rivoluzione
industriale”. Basti ricordare, senza scendere nei particolari, che Richard Arkwright
inventò il telaio ad acqua nel 1769. Dello stesso anno fu la comparsa della macchina a
vapore di James Watt. La macchina per filare di James Hargreaves, nota come “Jenny”,
vide la luce nell’anno successivo. Del 1779 fu, infine, la “mula” di Samuel Crompton.
L’Inghilterra appariva, in quel periodo, come il “laboratorio del mondo”.
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Fu in questo clima di grande fermento innovativo, sebbene non si fosse ancora
tradotto in piena consapevolezza dei risvolti che tutto ciò avrebbe avuto, che Robert
Owen nacque e trascorse i suoi primi anni.
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G.H.D. Cole, Robert Owen, London, Ernest Benn Ltd, 1925, p. 29.
6
L’autobiografia che Owen consegnò alle stampe nel 1857
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, solo un anno prima
della sua morte, descrive il profilo di un giovane dalla curiosità verso l’apprendimento,
la lettura ed il ragionamento filosofico, decisamente precoce.
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Leggeva molto, il giovane Owen. Letteratura del periodo. Ma anche testi religiosi,
di diversi orientamenti. Fu da questi studi che cominciò ad insinuarsi in lui il seme del
dubbio circa le verità di cui ciascuna religione voleva essere portatrice. Nonostante ciò
era una persona “incline alla religione”.
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A conferma della sua precocità vi è il fatto
che, all’età di sette anni, venne chiamato, dal maestro della scuola del suo villaggio, al
ruolo di assistente. A quei tempi era considerato un buon livello di istruzione il poter
leggere fluentemente, scrivere in modo chiaro e conoscere i rudimenti dell’aritmetica.
Dagli scritti di Owen traspare il disagio che gli portarono i due anni passati a ricoprire
il ruolo affidatogli. Disagio che trovò ristoro nella possibilità di acquisire l’abitudine
all’insegnamento.
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Secondo Cole, coerentemente con l’idea fondante del pensiero dell’ Owen
pedagogo - secondo cui sarebbe l’ambiente a formare il carattere d’ogni essere umano –
fu in questo periodo che iniziò la formazione l’Owen libero pensatore.
Il momento di lasciare la scuola arrivò, per il giovane Owen, presto. All’età di
nove anni ottenne il suo primo impiego presso il negozio di stoffe di una vicina di casa,
Miss Tilsley. Era il 1780. Owen vi avrebbe prestato servizio per un anno. Ma, come
detto, la curiosità e l’intraprendenza lo avrebbero portato a desiderare orizzonti più
ampi. Il suo desiderio più grande era quello di raggiungere uno dei suoi fratelli, a
Londra.
2
R. Owen, Life of Robert Owen, written by Himself, in: G. Claeys, Selected works of Robert Owen, vol. 4,
London, Pickering, 1993. L’autobiografia costituisce la maggiore fonte di informazioni riguardanti la vita
di Robert Owen negli anni della giovinezza. I biografi di Owen si sono limitati, talvolta, a riportare alla
lettera quanto scritto da Owen stesso, limitandosi a commenti ed integrazioni, laddove necessario. Per la
prima parte del presente scritto ci si è basati sull’autobiografia e su F. Podmore, Robert Owen, a
Biography, New York, Kelley Publishers, 1968; G. D. H. Cole, Robert Owen, London, Ernest Benn Ltd,
1925; L. Jones, Life, times, and Labours of Robert Owen, New York, Allen & Unwin Ltd, 1919.
3
sebbene alcuni spunti sembrano più considerazioni postume del vecchio Owen, più che genuini dubbi
dell’Owen bambino.
4
“Robert Owen was, from first to last, a deeply religious person, not least when he was denouncing all
the creeds, and earning the reputation of an infidel and a materialist”. G.H.D. Cole, cit., p. 31
5
R. Owen, Life, cit., p. 53
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Riuscì a raggiungere il suo obiettivo al compimento del decimo anno di età.
Lasciò la natìa Newton con una “fortuna” di quaranta scellini e la prospettiva di
soggiornare, solo provvisoriamente, presso il fratello. Non passò infatti molto tempo
che, grazie al padre, ottenne un impiego presso Mr. McGuffog, un importante
commerciante di stoffe di Stamford, nello Lincolnshire. L’apprendistato sarebbe stato
della durata di tre anni, il primo dei quali senza alcun salario; otto e dieci sterline
rispettivamente per secondo e terzo anno di servizio; “da quel momento – a dieci anni
d’età – mi mantenni da me senza chiedere null’altro alla mia famiglia”.
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Quel momento può essere considerato come quello in cui il giovane Owen entrò a
far parte, ufficialmente, del comparto tessile – manifatturiero britannico.
McGuffog era un commerciante molto stimato. Dai suoi clienti, per la maggior
parte di estrazione rurale, e dal suo giovane apprendista. Molto onesto, businessman
attento e metodico ma al contempo generoso. “Fu una fortuna”, scrive Owen, “averlo
come maestro”.
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Durante questo periodo Owen risiedeva presso il l’abitazione del suo
maestro. Qui trovò una biblioteca molto fornita e, poiché il lavoro non era
particolarmente gravoso, ebbe il tempo di nutrire la propria fame di conoscenza.
Approfondì lo studio della religione. McGuffog era presbiteriano. La moglie
apparteneva alla Church of England. L’assidua frequentazione della chiesa lo spinse a
profonde riflessioni circa il rapporto tra la volontà individuale e le istituzioni circostanti.
Ciò che ne ricavò - sebbene sembri terribilmente precoce offre comunque un’ idea del
suo pensiero - avrebbe costituito il fondamento del suo operato nei decenni
successivi.”Il mio linguaggio, la religione, le abitudini mi sono state inculcate dalla
società; la natura conferisce determinate qualità, la società le orienta”.
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Da quel
momento che Owen cominciò ad allontanare ogni forma di influenza religiosa dal
proprio pensiero.
La stima riposta in McGuffog era reciproca. Tanto che il commerciante, terminati
i tre anni dell’apprendistato cercò di convincere il suo giovane allievo a trattenersi oltre.
Non è con sorpresa che dall’autobiografia si apprende come Owen, convinto com’era di
non aver più nulla da apprendere a Stamford, decise di lasciarsi alle spalle
6
ibidem, p. 62
7
ibidem, p. 63
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ibidem, p. 67
8
quest’esperienza per aggiungerne altre al proprio bagaglio. Ritornò perciò a Londra,
deciso a trovare subito un altro impiego. Non prima però d’aver visitato il natìo
villaggio.
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La stima che il suo ormai ex datore di lavoro riponeva in lui si tradusse in una
nuova esperienza lavorativa. Dietro raccomandazione di McGuffog, Owen venne
assunto come commesso in un affermato negozio di generi d’abbigliamento, presso
l’Old London Bridge.
I nuovi ‘padroni’ erano Flint & Palmer ed il giovane Owen non avrebbe tardato a
realizzare come il modo di condurre i commerci cui era uso nell’Inghilterra rurale, non
si confacessero per nulla a quelli della grande città. Mentre da McGuffog tutto scorreva
secondo radicate routine, in modo cordiale e nulla era fatto in fretta, da Flint & Palmer
lo scenario era decisamente diverso. Si incassavano solo contanti. Grandi quantità per
profitti unitari minimi. La clientela apparteneva ad una classe diversa da quella con cui
aveva avuto a che fare fino a quel momento, e diversamente veniva trattata. La
contrattazione era stata del tutto bandita. Se un cliente si dimostrava reticente la merce
veniva prontamente offerta al successivo. Owen si trovò così immerso nella realtà della
metropoli. Una realtà in cui, se i clienti dovevano mutare le loro abitudini, altrettanto si
può dire per le classi lavoratrici.
Il lavoro era molto duro. I clienti cominciavano ad affollare il negozio dalle otto
del mattino, ma per i giovani assistenti la giornata cominciava prima, sottoposti
com’erano ad una preparazione estetica molto accurata. Non veniva chiuso che a tarda
serata. Durante il periodo primaverile potevano giungere anche le dieci e trenta prima
che l’ultimo cliente se ne fosse andato; comunque quello non era ancora il momento,
per il giovane Owen ed i suoi altrettanto giovani colleghi, per il riposo. Il negozio
doveva essere riordinato, le merci riposte sugli scaffali. Spesso tutto ciò non terminava
prima delle due del mattino. Tanto che, Owen riferisce, “ero a malapena in grado,
aggrappandomi alla ringhiera, di salire le scale per andare a letto”.
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Come suggerisce Cole, non erano soltanto i bambini impiegati nelle fabbriche,
gli schiavi della rivoluzione in corso nel diciottesimo secolo.
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Owen aveva, in quel momento, 13 anni e nei tre anni in cui prestò servizio presso McGuffog, non andò
mai a far visita alla sua famiglia.
10
R. Owen, Life, cit., p. 70
9
La situazione mutò ancora, per Owen, quando grazie ad un amico, Mr.
Hetptinstall, trovò un impiego nella città in quel momento in più grande ascesa,
Manchester. Il suo nuovo maestro era Mr. Sattersfield, commerciante di drappi. Owen
considerava l’offerta più che vantaggiosa: opulenta. Vitto ed alloggio in aggiunta a
quaranta sterline l’anno.
L’attività principale di cui si occupava mr. Sattersfield era il commercio al
dettaglio. La sua clientela era composta perlopiù da famiglie benestanti di Manchester;
manifattori e commercianti. Il lavoro non era duro; il tempo per la lettura era molto. Il
giovane Owen vi si trovava a proprio agio. Fu probabilmente per questo che decise di
trattenervisi fino a che compì il diciottesimo anno d’età.
A diciotto anni Owen ne aveva già alle spalle otto di esperienza in tre differenti
branche del settore tessile.
1.2 – Della maggiore età
Era 1789. L’anno in cui Owen entrava nell’età adulta. L’anno della Rivoluzione
Francese, sebbene questo avvenimento non trovi nessuno spazio nei suoi scritti. Mentre
alcuni suoi contemporanei si dimostrarono folgorati dalla rivoluzione e dai suoi
principi, Owen ne rimase completamente estraneo. Vi fu dunque, nel giovane uomo che
si apprestava a vivere la propria avventura industriale, lo stesso atteggiamento verso la
politica che avrebbe caratterizzato gli anni della maturità e della vecchiaia: indifferenza.
Erano questi gli anni in cui Owen cominciava a formulare le proprio teorie circa la
formazione del carattere. Ma la politica era lungi dall’influenzarlo. E come essa i
principi della rivoluzione francese. Nel corso della sua esperienza, Owen non si appellò
mai, o quasi, al concetto di democrazia.
Il 1789 è piuttosto da ricordarsi come l’anno in cui Owen divenne imprenditore a
tutti gli effetti; di conseguenza datore di lavoro. Può sembrare sorprendente - era pur
sempre di un ragazzo appena diciottenne - ma considerando il particolare periodo
storico lo stupore viene decisamente ridimensionato.
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Manchester , come detto, stava vivendo un periodo di enorme, incessante sviluppo
economico e, ovviamente, demografico. L’industria cotoniera si stava affermando
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a
spese di quella laniera, da secoli la maggiore del paese. La comparsa e l’applicazioni dei
nuovi ritrovati tecnologici, in particolar modo del filatoio idraulico di Arkwright e della
“mula” di Crompton, il cui funzionamento dipendeva massicciamente dall’energia
idraulica – dunque dalla concentrazione della produzione nei luoghi in cui questa fonte
d’energia era abbondante e facilmente sfruttabile - comportarono la necessaria
introduzione del sistema di fabbrica.
In questi anni, la sommatoria delle nuove opportunità supportate dalla massiccia
diffusione dei prodotti del cotone e dalle nuove tecnologie, portarono ad una sorta di
corsa all’oro da parte di chi vedeva in tutto ciò una via semplice e rapida alla ricchezza.
Manchester era un’esplosione di nuove fabbriche in cui rincorrere il ‘sogno tessile’;
corsa che prescindeva dal numero di contendenti. Chiunque, in possesso del capitale
sufficiente per imbarcarsi in quell’avventura, vide in quel periodo aprirsi le porte che
conducevano ad alti profitti ed alla prosperità.
Questo era il background in cui mosse i primi passi da padrone del proprio destino
il giovane uomo Owen. Un giovane che non conosceva nulla delle nuove macchine ma
che nel corso degli anni aveva maturato una notevole esperienza riguardo la valutazione
delle stoffe ed in particolare dei nuovi prodotti di cotone che già da qualche anno
stavano inondando i mercati. Nel bagaglio di conoscenze di Owen rientrava anche
quella con Ernest Jones, un meccanico fornitore del negozio di Sattersfield.
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Importazione di Cotone in Gran Bretagna 1701 – 1800
1701 libbre 1.985.868
1764 " 3.870.392
1776 - 80 (media annua) " 6.766.613
1790 " 31.447.605
1800 " 56.010.732
Fonte: F. Podmore, Robert Owen, cit, p. 36