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Jean Paul Sartre scrisse che ogni uomo è sempre un narratore di storie: vive circondato dalle sue e
da quelle degli altri, e cerca di vivere la sua stessa vita come se stesse raccontando una storia.
Partendo dall’assunto che la narrazione sia una competenza, e che consegua direttamente
dall’esigenza primaria di comunicare, l’obiettivo del presente lavoro è il seguente: metterne in
evidenza il potenziale intrinseco quale strumento di apprendimento ed educazione globale
dell’individuo all’interno dei contesti educativi.
Nei primi due capitoli, prenderemo le mosse dai contributi di due autori che hanno approfondito
il tema della narrazione da punti di vista diametralmente opposti, ricezione e creazione di storie:
Vladimir J. Propp (Cap. I) e Gianni Rodari (Cap. II). Lo scopo è quello di delineare la struttura
complessiva dell’atto narrativo, a partire dagli elementi che si presentano come costanti - gli stessi
attraverso i quali la mente ricostruisce il senso di quanto letto e/o ascoltato - per poi passare a
esaminare una serie di meccanismi in grado di “scatenare” l’immaginazione e favorire la creatività.
Risulta già evidente che quanto emerso trova una sua applicazione quasi naturale se declinato in
termini pedagogici e didattici, ma è all’interno del terzo capitolo che ci dedicheremo a riunire e
contestualizzare concetti e riflessioni nel vivo degli ambienti dedicati alla formazione: grazie al
contributo di una disciplina giovane ma promettente come la pedagogia narrativa, vedremo come
applicare metodologie di tipo narrativo anche ad altre discipline e attività si riveli vantaggioso in
termini di educazione, socializzazione, crescita. Infine, sottolineeremo come il recupero della
dimensione narrativa sia di fondamentale importanza anche per i più moderni sviluppi in termini di
e - learning e prodotti correlati.
Si tratta di un viaggio alla riscoperta di una competenza quasi primordiale, che a nostro modesto
parere potrebbe essere la chiave di volta per dare nuove risposte alle questioni poste dall'educazione,
aprendo nuovi orizzonti all'insegnamento.
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CAPITOLO I
PROPP E LA SCIENZA DEL NARRARE
1.1 Vladimir Propp: uno sguardo all’autore
Vladimir Jakovlevič Propp nasce nell’odierna San Pietroburgo il 15 aprile 1895; la sua è una
famiglia di origine tedesca, fatto che lo pone nella fortunata condizione di padroneggiare da
madrelingua due codici molto diversi fra loro.
Mostra da subito uno spiccato interesse proprio per le lingue, come per tutto ciò che concerne i
procedimenti (all’epoca) più all’avanguardia di analisi e comparazione fra le stesse: gli anni in cui
frequenta la Facoltà di Filologia, dopotutto, sono quelli che vedono imporsi in Russia l’approccio
formalista alla critica letteraria; al tempo stesso, in Europa - grazie alle celebri lezioni ginevrine di
Ferdinand de Saussure - vanno delineandosi le basi della linguistica strutturale come disciplina
autonoma.
Dopo essersi specializzato in filologia slava, Propp diventa prima insegnante di lingua e letteratura
russa nelle scuole, poi docente universitario di lingua e letteratura tedesca.
A partire dal 1938, sceglie di focalizzarsi unicamente sullo studio del folclore russo, affiancando
all’attività di docente quella di ricercatore e direttore del relativo Dipartimento - presso l’Università
di San Pietroburgo.
Oltre a numerosi articoli, è autore di quattro saggi che lo renderanno celebre in tutto il mondo:
Morfologia della fiaba (1928), cui saranno dedicati i prossimi due paragrafi di questo capitolo; Le
radici storiche dei racconti di fate (1949); L’epos eroico russo (1958); Le feste agrarie russe (1963).
Si spegne nella sua città natale, il 2 agosto 1970.
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1.2 Morfologia della fiaba: materiali e metodo
Prima di esaminare nel dettaglio il testo, è necessario fare una precisazione terminologica: al suo
interno, vengono usati indistintamente “favola” e “fiaba” come sinonimi, mentre oggi si concorda sul
fatto che i due vocaboli identifichino generi narrativi differenti; il lavoro di Propp è dedicato alla fiaba
o favola di magia che dir si voglia, di origine antichissima e tramandata oralmente, in cui è presente
l’elemento fantastico e che non contiene una morale esplicita.
Veniamo ora al saggio. Con Morfologia della fiaba, Propp dichiara fin dal titolo che il suo intento
è quello di dare allo studio della fiaba una struttura, una cornice metodologica.
Fino a quel momento, la maggior parte degli studiosi si è infatti limitata a raccogliere e catalogare il
materiale a disposizione, senza chiedersi se i criteri e i metodi adottati fossero davvero i più idonei
per rendere adeguatamente le specificità del prodotto in questione.
Come asserisce l’autore:
Il termine “morfologia” significa studio delle forme. In botanica si intende per morfologia lo studio delle parti
componenti del vegetale e delle loro relazioni reciproche e col tutto, in altre parole lo studio della struttura del vegetale.
Ma a una “morfologia della fiaba”, alla possibilità stessa di concepirla, non credo che si sia mai pensato. Tuttavia è
possibile esaminare le forme della favola con la stessa precisione con cui si studia la morfologia delle formazioni
organiche […] La classificazione è una delle prime e più importanti fasi di studio. Basti ricordare quale enorme
importanza abbia avuto per la botanica la prima classificazione scientifica di Linneo. La nostra scienza si trova ancora
nel periodo prelinneiano. (Propp 2000, 18-24)
Stabilire come e in che termini descrivere le fiabe, risulta di fondamentale importanza: senza
un’adeguata riflessione a riguardo, qualsiasi ipotesi formulata per compiere anche solo una ricerca di
carattere storiografico o compilativo, non può che risultare sterile e infruttuosa.
Al tempo stesso, un buon sistema di classificazione non può che discendere da un accurato studio
preliminare del materiale: solo un simile lavoro, per quanto «pesante e “non interessante”, apre la
strada alle “interessanti” generalizzazioni.» (Propp 2000, 24)
In che modo sceglie di procedere Propp?
• Delimita il campo di indagine, scegliendo di occuparsi unicamente delle (sopracitate) favole
di magia (circa un centinaio, fra quelle già catalogate);
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• passa quindi a esaminarne gli intrecci, scomponendoli fino a ridurli in unità autonome che
definisce grandezze;
• pone a confronto favole differenti, notando l’esistenza di grandezze costanti (ricorrenti) e altre
variabili;
• definisce le grandezze costanti “funzioni”;
• descrive e classifica le funzioni con estrema precisione, per dimostrare come esse emergano
chiaramente e sistematicamente da tutti i testi in esame;
• formula e dimostra la tesi - subordinata, ricordiamolo, alla definizione di un criterio operativo
specifico, da cui è derivato un nuovo lessico di settore - in base alla quale ogni fiaba possa
essere studiata grazie alla presenza e ripetitività delle suddette funzioni.
Vediamo come il nostro autore, coerentemente con quanto esposto nell’introduzione all’opera, abbia
prima analizzato i testi, e solo in un secondo momento si sia occupato di dimostrare la tesi che emerge
con naturalezza dalle fiabe stesse (identificandone di fatto la specificità di genere):
possiamo dire che le funzioni sono straordinariamente poche, e i personaggi straordinariamente numerosi. Ciò spiega
l’ambivalenza della favola: la sua sorprendente varietà, la sua pittoresca eterogeneità, da un lato, la sua non meno
sorprendente uniformità e ripetibilità dall’altro. (Propp 2000, 26-27)
È opportuno a questo punto chiarire con esattezza cosa Propp intenda per “funzione”: si tratta
dell’«operato d’un personaggio determinato dal punto di vista del suo significato per lo svolgimento
della vicenda» (Propp 2000, 26); semplificando, una particolare combinazione azione/reazione
all’interno dell’intreccio - non importa chi se ne renda protagonista o in che modo venga attuata - il
cui significato risulta ben determinato ai fini dello svolgimento, e percepito dal lettore come
necessario in quel punto.
In ogni fiaba si susseguono le medesime funzioni; non sempre tutte le funzioni che Propp ha
individuato (alcune vengono omesse, altre ripetute), ma quelle che compaiono si trovano in
successione identica: l’assenza di una funzione non influisce minimamente sulla struttura della
narrazione, e le rimanenti conservano la loro posizione.
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Possiamo a questo punto affermare che:
• le funzioni rappresentano le unità generiche, le componenti stabili e costanti delle fiabe;
• ogni funzione è legata alle altre da una necessità logica, su cui le esigenze creative si innestano
(senza mai arrivare a modificarla);
• esiste un’unica struttura morfologica di base, un substrato comune a tutte le favole di magia.
Tornando alla citazione precedente, Propp ci fa notare che le fiabe sono monotipiche, ovvero
rappresentano innumerevoli variazioni di una serie unica, e questo aspetto sembra porsi in
contraddizione con la loro evidente ricchezza e varietà tematica (soprattutto se pensiamo che ogni
Paese e ogni cultura comprende fiabe tradizionali).
È proprio qui - invece - che risiede il tratto distintivo della fiaba come genere letterario: mentre le
funzioni sono in numero limitato - ne sono state individuate appena trentuno, alla cui trattazione ci
dedicheremo nel prossimo paragrafo - le combinazioni di altri elementi accessori, che l’autore
definisce variabili e attributi, sono potenzialmente infinite.
Propp stesso sottolinea come siano proprio gli attributi, per quanto non strettamente necessari allo
svolgimento della vicenda, «a conferire alla favola la sua vivacità, la sua bellezza e il suo fascino»
(Propp 2000, 93): personaggi ricorrenti e molteplici modalità di entrare in scena; diverse sfide per gli
stessi espedienti magici; combinazioni di eventi che rendono persino più agevole raggruppare alcune
funzioni in sfere d’azione di questo o quel personaggi - solo per fare qualche esempio.
In quest’ottica, appare evidente che anche il concetto stesso di intreccio assume nuovi connotati: se
il contenuto può essere facilmente scomposto ed esposto in brevi frasi significative, è impossibile
distinguere il concetto di intreccio da quello di variante; l’intero repertorio delle favole di magia va
considerato come una serie di varianti.
Risulta a tal proposito utile ricordare (e accettare) che alcune variazioni dalla norma - benché frutto
di un lavoro prolungato, esaustivo e accuratissimo come quello eseguito da Propp - all’interno di un
panorama tanto vario e oltremodo pittoresco, ci saranno sempre; ciononostante, queste deviazioni