4
maschio/femmina, mentre il genere (gender) rappresenta una
costruzione culturale, la rappresentazione, definizione e
incentivazione di comportamenti che rivestono il corredo biologico e
danno vita allo status di uomo/donna. Sesso e genere non
costituiscono due dimensioni contrapposte ma interdipendenti: sui
caratteri biologici si innesta il processo di produzione delle identità
di genere. Il genere è un prodotto della cultura umana e il frutto di
un persistente rinforzo sociale e culturale delle identità: viene creato
quotidianamente attraverso una serie di interazioni che tendono a
definire le differenze tra uomini e donne.
In sociologia, il concetto di identità di genere descrive il genere con
cui una persona si identifica (cioè, se si percepisce uomo, donna, o
in qualcosa di diverso da queste due polarità). Può anche essere
usato riferendosi al genere che comunemente viene attribuito
all’individuo in base alle caratteristiche tipiche del ruolo di genere
(vestiti, stile dei capelli, atteggiamento ecc.). L’identità di genere
può essere influenzata da una varietà di fattori come il gruppo etnico
di appartenenza, dalla posizione professionale e sociale, dalla
religione professata, etc.
A livello sociale è necessario testimoniare continuamente la propria
appartenenza di genere attraverso il comportamento, il linguaggio, il
ruolo sociale. Si parla a questo proposito di ruoli di genere. In
sostanza, il genere è un carattere appreso e non innato. Maschi e
femmine si nasce, uomini e donne si diventa.
Il rapporto tra sesso e genere varia a seconda delle aree
geografiche, dei periodi storici, delle culture di appartenenza. I
concetti di maschilità e femminilità sono concetti dinamici che
devono essere storicizzati e contestualizzati. Ogni società definisce
quali valori additare alle varie identità di genere, in cosa consiste
essere uomo o donna. Maschilità e femminilità sono quindi concetti
relativi.
Il gender può dunque essere visto come il prodotto di varie
tecnologie sociali come il cinema, i discorsi istituzionali, le
epistemologie e le pratiche critiche oltre che delle pratiche di vita
quotidiana. L’elaborato ha per titolo “Da Platinette a Brokeback
5
Mountain”, in quanto entrambi chiare rappresentazioni, l’una
televisiva, e l’altra cinematografica della dicotomia esistente
nell’evoluzione delle tematiche di gender.
Infatti, il punto cruciale della tesi verte sul fatto che se da un lato
sia Platinette che i Segreti di brokeback mountain hanno portato la
tematica dell’ambiguità sessuale alla visibilità nazional-popolare,
dall’altro evidenziano l’altro lato della stessa medaglia, ossia una
crisi e un’arretratezza culturale tangibile.
Platinette è una delle più importanti icone televisive italiane
contemporanee. E se è facilmente affermabile che è una delle prime
persone ad aver portato sullo schermo TV l’immagine
dell’ambiguità sessuale attraverso vestiti e parrucche da drag queen,
c’è da chiedersi se questo personaggio così macchiettistico abbia
realmente apportato una qualche evoluzione alla rappresentazione di
travestito già messa in scena negli anni sessanta da Ugo Tognazzi ne
Il vizietto.
E Brokeback mountain per quanto sia indubbiamente un film
riuscito, non privo comunque di difetti, è stato davvero in grado di
aggiungere qualcosa nell’immaginario collettivo, oltre alla solita
storia dei due gay che non possono vivere in modo “normale” la loro
relazione per colpa di una società castrante?
L’elaborato si sofferma su questa paradossale ambivalenza nel
cinema e nella televisione del terzo millennio. Prende in esame
fiction, personaggi, nuovi festival di genere e film di questi ultimi
anni che sono particolarmente rappresentativi, alcuni per aver
accelerato l’evoluzione delle tematiche di gender, altri per aver
evidenziato tabù e stereotipi non ancora minimamente superati,
soprattutto in Italia.
Infine l’elaborato scritto muove una critica al modo in cui i due
media più importanti del duemila, cinema e tv, continuino, salvo
qualche rara eccezione, a dare una rappresentazione troppo simile ad
una realtà piena di limiti e soggiogata da pregiudizi radicati; anziché
andare oltre rappresentando anche situazioni, che il grande pubblico
possa percepire come “normali” e possibili, scelte sessuali o stili di
vita (matrimoni tra omosessuali, adozioni, inseminazioni artificiali..
6
ecc), fino a quel momento ritenuti sbagliati o addirittura
inconcepibili.
L’elaborato vuole in sostanza aprire una possibilità sul modo in cui
i media potrebbero rendere fruibile a qualsiasi spettatore la
“normalità” di ogni scelta sessuale o di ogni personale sessualità.
7
1. LO SCHERMO SVELATO – La nascita del “film di Genere”
Prima di cambiare il mondo, devi capire
che ne fai parte anche tu: non puoi
restare ai margini e guardare dentro.
The Dreamers
Sono pochi i testi che trattano le tematiche di gender in rapporto ai
media più importanti: il cinema e la televisione, soprattutto in Italia.
Pochi sono gli scrittori che si sono addentrati in questo territorio
“nascosto” e pochi i testi su questi argomenti che sono stati tradotti.
Ma vi è un libro, composto da due edizioni una del 1981 e una
rieditata in Italia nel 1999 a cura di Vincenzo Patanè, che ha
decisamente dato una svolta definitiva a una possibile “storia del
cinema di gender”. Attraversando i vari decenni fino ad arrivare al
1999 il libro racconta la lenta e difficile evoluzione delle tematiche
di gender nel cinema. Il testo è Lo schermo velato di Vito Russo
1
, un
giornalista e critico cinematografico Italo-Americano morto nel
1990 di Aids.
Il titolo del libro è il leit motiv di tutta l’analisi condotta
dall’autore:
“la parola velato nel linguaggio omosessuale indica un gay che,
nei riguardi degli altri e spesso anche di se stesso, si maschera
da eterosessuale. Questa mentalità oggi in estinzione, nasce dal
disagio e dalla paura di non essere accettati in una società che
considera l’omosessuale un diverso, un malato, un degenerato.
Il cinema è stato lo specchio fedele di questa concezione,
quando si aveva paura di parole come divorzio o aborto, e la
1
Dal testo è stato tratto l’omonimo film-documento, girato da Rob Epstein e Jeffrey Friedman.
8
parola gay veniva negata o sostituita, anche là dove molti segni
la indicavano chiaramente che le sceneggiatura nascondeva una
verità diversa, censurata. Vito Russo ha ripercorso più di
trecento film, americani e no, dall’epoca, del muto alla fine
degli anni novanta, recuperando tagli della censura,
individuando sequenze e inquadrature dove il problema
emerge, per quanto nascosto o distorto, raccontando il
cammino e la lotta della parte più progressista degli operatori
cinematografici per trattare l’argomento con matura
consapevolezza. Dallo scontro sottile e sotterraneo degli anni
Venti e Trenta alle mistificazioni del dopoguerra fino alla
liberazione sessuale culminata al termine degli termine degli
anni Sessanta, dagli omosessuali “cattivi” o “ridicoli” a
persone vere e non contraffatte, quello che l’autore riesce a
narrare, attraverso uno sguardo così angolato sul mondo del
cinema, è una storia di soprusi e di liberazione.”
2
Oggi che l’omosessuale al cinema non solo non spaventa o inquieta
più, ma è riuscito a diventare, da figura d’emergenza sociale, uno dei
protagonisti dell’industria culturale, Lo schermo velato costituisce
un punto di riferimento fondamentale per conoscere quanta fatica e
quanta ricchezza di film siano serviti per sollevare quel velo. Oggi
la situazione è decisamente cambiata, e lo schermo, sia
cinematografico che televisivo, si è ampiamente “Svelato”,
soprattutto in America ma con una certa velocità anche nel resto del
mondo.
Purtroppo le fonti di questa continua evoluzione delle tematiche di
gender nella contemporaneità mediatica sono poche. Molti sono i
testi scritti in America e in alcuni paesi europei dove la maggior
parte delle fonti derivano dai gay and lesbian studies.
I termini inglesi «Gay and lesbian studies» o, ultimamente “queer
studies” indicano tutti quegli studi che hanno indubbiamente una
valenza politica, essendo espressione di una comunità, quella
omosessuale, recentemente formatasi, che ha lottato e sta
attualmente lottando per il riconoscimento dei propri diritti.
2
Nota dell’editore nella riedizione de Lo schermo velato del 1999.
9
All’interno di questi «studi gay e lesbici» troviamo contributi
provenienti dalla psicologia, la sociologia, il diritto, la storia ma
anche dalle scienze della letteratura e dagli audiovisivi.
È dall’inizio degli anni ‘70, in contemporanea con la nascita del
movimento di liberazione gay e lesbico, ispirato dai movimenti per
la difesa dei diritti delle donne e delle persone di colore, che sono
stati prodotti studi in questo campo.
Oggi insegnamenti di questo tipo sono presenti in numerose
Università dell’America settentrionale e dell’Europa occidentale. Si
tratta di un ramo di studi molto variegato, che attinge da diverse
correnti di pensiero e applica metodologie differenti nelle sue
ricerche.
Possiamo considerare gli studi gay e lesbici come un metodo di
lettura applicabile a diverse discipline che ha come interesse
principale lo studio e il riconoscimento di un’identità gay e lesbica, e
ultimamente queer, nel corso della storia e nella società di oggi. In
questo momento possiamo distinguere due correnti principali in
questo tipo di studi, una più tradizionale, detta essenzialista, e
un’altra più innovativa, cosiddetta costruttivista.
La corrente tradizionalista è quella che deriva dai primi lavori
dedicati alla costruzione di un canone composto da scrittori gay e al
recupero della storia degli omosessuali in genere, fatta dai primi
rappresentanti consapevoli di quello che oggi viene chiamato
movimento gay, intrapresi a cavallo tra il XIX e il XX secolo da
studiosi come Edward Carpenter e Magnus Hirschfeld.
Spesso medici o sociologi, con i loro studi e i loro scritti hanno tra
l’altro ricercato tra gli scrittori del passato autori omosessuali o che
hanno trattato tematiche omosessuali. Questo soprattutto per
colmare delle lacune nella storiografia o nella storia della letteratura
e delle altre arti, quali ad esempio il cinema, ma anche per dare
coraggio alla persona omosessuale presentandole tutta una serie di
modelli positivi che altrimenti non avrebbe trovato nella società
intorno a sé. Questi studiosi hanno quindi cercato di creare un
canone di grandi omosessuali del passato, dall’antichità al
Rinascimento fino all’Ottocento.
10
Questo continua anche oggi: ultimamente, specialmente in area
anglo-sassone sono state pubblicate molte antologie di scrittori o
registi omosessuali e storie nazionali o mondiali della letteratura e
del cinema omosessuale.
A questo tipo di tendenza, dagli anni ‘80 del XX secolo in poi, se
ne è opposta un’altra, derivante da teorie post-strutturaliste francesi,
solitamente chiamata “costruttivista”. Cruciale è stata la
pubblicazione nel 1976 della Storia della sessualità di Michel
Foucault
3
. Il cuore della critica costruttivista agli studi gay e lesbici
tradizionali è ciò che i costruttivisti chiamano «essenzialismo». Per
gli storicisti esiste nel concetto «omosessualità» un’essenza che è
naturale e indipendente dal periodo storico, il contesto sociale o
culturale. Coloro più vicini all’essenzialismo troveranno dunque
molti tratti comuni tra comportamenti omosessuali nel corso nei
secoli, mentre i costruttivisti saranno più propensi a evidenziare le
differenze. Tra gli studiosi gay e lesbici, oggi, non troviamo
essenzialisti o costruttivisti assoluti, ma esistono posizioni più vicine
a questo o all’altro punto di vista.
Queste due tendenze hanno anche origine dalle diverse opinioni
intorno alla causa dell’omosessualità; gli essenzialisti saranno più
propensi a trovare cause biologiche per essa, mentre i costruttivisti
saranno più interessati alle influenze sociali e culturali. L’approccio
costruttivista negli studi umanistici gay e lesbici è comunque il
dominante da circa venti anni.
Un aspetto caratterizzante degli studi gay e lesbici costruttivisti,
similmente agli studi femministi, dei quali gli studi gay e lesbici
sono diretti discendenti, è l’analizzare le attuali categorie sessuali
non come se fossero categorie naturali, incontestabili e non
problematiche, ma come frutto di un discorso sociale su cui è
possibile discutere. Il primo a porre il problema in questi termini è
stato appunto Foucault che vede la storia della sessualità come una
storia dei discorsi. La nostra sessualità nasce dal silenzio, dal divieto
di parlare di certe cose, dalla censura: è frutto di rapporti di potere.
3
Michel Foucault, La volontà del sapere, Feltrinelli, Milano, 1984, pag. 46.
11
In poche parole Foucault spiega nella Storia della sessualità come,
dalla prima rivoluzione industriale, il potere statale si sia sempre più
interessato al controllo della sessualità del popolo e, apparentemente
reprimendola, l’ha resa il “segreto”, il discorso più importante.
Foucault prende, in effetti, il concetto moderno d’omosessualità
come esempio: per Foucault l’omosessuale inteso come identità
nasce insieme ai discorsi medici ottocenteschi che lo diagnosticano e
che lo vogliono curare.
I discorsi di criminalizzazione e patologizzazione dell’omosessuale
sono appunto ciò che crea l’identità dell’omosessuale moderno. La
sua esistenza è appunto legittimata dai discorsi, ancorché negativi,
su di sé. È sintomatico come il concetto di omosessuale nasca nella
storia alcuni decenni prima di quello di eterosessuale.
Anni di repressione hanno portato all’attuale identità gay, che si
riconosce come minoranza che deve lottare per i propri diritti.
Le ultime tendenze in questi studi vengono designate sotto il
termine queer theory. Queer in inglese vuol dire “strano”, ma era ed
è anche un termine più o meno denigratorio per designare persone
omosessuali. La prima a parlare di teoria queer è stata Teresa de
Lauretis, per problematizzare gli studi gay e lesbici, per esempio le
differenze tra gay e lesbiche, in poche parole per riportare il focus
sulla questione delle differenze.
Queer è colui che è “un dissidente sessuale”, cioè colui o colei che
vive una sessualità fuori dalla norma. Esponenti importanti della
queer theory sono Eve Sedgwick, autrice tra l’altro di Epistemology
of the Closet, pubblicato nel 1990, con studi su testi di Hermann
Melville, Oscar Wilde, Henry James e Marcel Proust, e Judith
Butler, che oramai viene considerata la portabandiera della teoria
queer. Di Judith Butler sono state tradotte in italiano ultimamente
due delle sue opere più importanti Scambi di genere; identità, sesso
e desiderio (Gender trouble, 1990) e Corpi che contano: i limiti
discorsivi del “sesso” (Bodies that matter, 1993), in cui tratta
appunto questi problemi nella costruzione dell’identità sessuale. I
seguaci della queer theory criticano alcuni punti dei costruttivisti;
innanzitutto l’enfasi di questi sulle differenze diacroniche nel campo
12
della sessualità, cosa che spesso mette in secondo piano le differenze
sincroniche esistenti nel mondo in cui viviamo (per esempio
nell’attuale dicotomia eterosessuale/omosessuale, dove piazziamo
l’individuo transessuale? Oppure la drag queen che ha magari una
fidanzata di sesso femminile?).
L’interesse si sposta quindi dallo studio del passato a quello del
presente. La Sedgwick registra due tipi di visione dominanti
attualmente intorno all’omosessualità: uno per così dire
“minoritario” che confina l’omosessualità ad un numero ristretto di
persone chiaramente riconoscibili come omosessuali e un altro
“universalista” che vede l’omosessualità come un potenziale umano
comune.
Un concetto chiave della queer theory è il vedere l’omosessualità,
così come altri marchi di identità, sempre diversa da se stessa. In
altre parole l’omosessualità è un’identità senza essenza, impossibile
da definire; anzi, ogni tentativo di definizione è da considerarsi
come strumentale a una ideologia e potenzialmente reazionario.
La queer theory ingloba ogni tipo di sessualità, dall’omosessualità
alla transessualità fino all’eterosessualità: tutti i tipi di sessualità
devono essere considerati per capire il nostro attuale mondo
sessualizzato. Qual è l’utilità e lo scopo di questo tipo di studi?
Jeffrey Weeks
4
enuncia cinque motivi che muovono questo tipo di
ricerca.
Il primo ritrova la ragione dell’esistenza di studi omosessuali nel
riconoscimento del bisogno di imparare a convivere con le
differenze e per trovare un modo di risolvere queste differenze in
maniera dialettica e democratica.
Il secondo motivo è quello politico, che ha radice nell’esigenza di
giustizia sessuale nella società moderna occidentale.
Il terzo, legato al secondo, è il voler mettere in discussione
l’ortodossia sessuale, criticando la normalità (che diventa normativa)
eterosessuale, legittimando quella che ormai è diventata un’identità
4
Weeks, J.: «The Challenge of Lesbian and Gay Studies», in Lesbian and gay studies. Sage, London,
2000.
13
gay, puntando a affermare la validità di scelte di vita omosessuale e
attaccando quelle diverse forme di potere che si oppongono a questo
tipo di stile di vita.
Il quarto, che secondo me è il punto di vista specifico da utilizzare
nel campo della ricerca letteraria e artistica, è quello che Weeks
definisce «contesting existing knowledge»
5
. L’attività compiuta
negli ultimi trenta anni dai ricercatori sull’omosessualità in differenti
discipline ha mirato a “trasformare il modo in cui vediamo il
mondo”
6
.
Questo ha voluto dire in un primo momento per esempio sfidare
idee dominanti nei diversi ambiti scientifici che negavano la
presenza dell’omosessualità o che la consideravano una malattia o
devianza dalla normalità; per esempio l’atteggiamento della
psichiatria che annoverava l’omosessualità tra le malattie mentali, o
nello studio della storia, dove spesso l’argomento veniva negletto.
Per quanto riguarda la letteratura, ad esempio, venivano allora
presentate biografie di scrittori omosessuali oppure studiati e
analizzati alcuni aspetti omoerotici presenti in opere di autori nei
quali questa tematica non era stata considerata oppure era stata
deliberatamente nascosta.
Infine, come quinto punto, Weeks riconosce come scopo degli studi
omosessuali l’apertura di uno spazio, uno spazio per il dibattito, per
l’analisi, per negoziare, a volte per litigare e per trovare una causa
comune. Ora, questa serie di tesi sono state solo in parte recepite in
Italia.
E’ sintomatico come nelle Università italiane siano soprattutto i
dipartimenti di lingue straniere (soprattutto le sezioni di anglo-
americano) a portare avanti questo tipo di studi. Abbiamo tradotto il
termine inglese Gay and Lesbian Studies con «studi gay e lesbici»;
tuttavia, spesso in Italia il termine non viene affatto tradotto. Marco
Pustianaz, docente di letteratura inglese presso l’Università di
Vercelli, parla di un «buco bianco» nel campo degli studi gay e
lesbici in Italia.
5
Ibidem, pag 12.
6
Idem.
14
In un suo articolo tratto da una conferenza svoltasi in Germania nel
1999 sugli studi gay e lesbici intitolato appunto The “white hole” of
gay studies in Italy
7
, Pustianaz registra l’assoluta mancanza di
questo tipo di studi nelle Università italiane e elenca i motivi che,
secondo lui, hanno inibito e tuttora inibiscono lo sviluppo di tali
studi.
Il primo è dovuto alla persistente invisibilità dell’omosessualità
nella società italiana e la sua resistenza a un’identità gay non
nascosta. Questa invisibilità, e si tratta di un’invisibilità relativa, in
quanto l’omosessualità maschile è chiaramente presente nella società
italiana, ma non è oggetto di discussione. Si può essere visibilmente
gay ma senza assumerne l’identità. Questo tipo di atteggiamento è
altamente condiviso da gran parte della popolazione omosessuale
italiana.
Un secondo motivo è la resistenza ad ogni tipo di teorizzazione di
politiche della differenza da parte dei movimenti gay e lesbici
italiani. Ciò si deve, secondo Pustianaz, agli stessi movimenti di
liberazione omosessuali italiani che, dopo un avvio radicale nei
primi anni ‘70, hanno seguito politiche di assimilazione e di
omologazione culturale, tenendo sempre un basso profilo. Cercando
di rimanere nella «normalità» e lottando per ottenere gli stessi diritti
del resto della popolazione non viene vista l’utilità di studi che si
basano su una cultura delle differenze.
Un terzo motivo è la mancanza di una tradizione di collaborazione
interdisciplinare tipica del mondo accademico italiano, quando
invece gli studi gay e lesbici si basano appunto su questa
interdisciplinarità.
Un quarto motivo è la mancanza di una richiesta esplicita di questo
tipo di studi da parte di studenti gay e lesbici. In quasi nessuna
Università italiana esistono organizzazioni di studenti omosessuali.
Pustianaz sente la mancanza di un feedback e di un dialogo necessari
per mantenere vivi questi studi. Il problema è che solo pochissimi
studenti gay sono disposti ad identificarsi come tali.
7
La conferenza si è svolta alla University of Essen, il 10 e l’11 dicembre 1999, organizzata da FLUSS, in
cooperazione con il Essen (Genderstudies) e il Gay Network NRW.
15
Come ultimo motivo, Pustianaz imputa alle politiche di
reclutamento dello staff accademico nelle Università italiane, che,
secondo lui, hanno sistematicamente bloccato ogni accesso a
ricercatori impegnati nel campo degli studi gay e lesbici.
Nella seconda parte del suo articolo Pustianaz riassume quel poco
che si è fatto nelle Università italiane nel campo degli studi gay e
lesbici. La maggior parte delle tesi di laurea e di dottorato che hanno
avuto come tema l’omosessualità sono tesi in sociologia e
psicologia. Si tratta spesso di tesi con enfasi su analisi quantitative e
ricerche sul territorio. Questi tipi di lavori non sembrano trovare
però sbocco per quanto riguarda l’insegnamento stesso o
l’introduzione di nuovi programmi. Non è possibile considerare
questi tipi di ricerche come lavori nell’ambito degli studi gay e
lesbici essendo qui l’omosessualità solo oggetto di studio.
Più frequente è la collaborazione tra le Università e organizzazioni
omosessuali, come è successo a Bologna. Qui nel 1995 il Centro
Culturale Il Cassero, la sede nazionale dell’organizzazione Arcigay,
ha iniziato una serie di seminari sotto il nome Libera Università
Omosessuale. Alcuni docenti dell’Università di Bologna hanno
collaborato a questi seminari e l’Università stessa ha sponsorizzato
alcuni corsi, senza però provvedere a nessun tipo di supporto pratico
o economico.
L’Università di Napoli ha un dottorato in Gender studies e un altro
programma di Gender studies è stato proposto a Roma. Tuttavia
Gender studies è in Italia spesso sinonimo di Women studies e i
campi che trattano il genere, la sessualità e la politica delle
differenze sono spesso negletti.
Fuori dai confini nazionali sono soprattutto le Università inglesi,
prima fra tutte quella di Bristol, dove si hanno studiosi interessati a
questo tipo di studi: Derek Duncan, docente di italiano presso questa
università, ha un corso a livello master sull’Italia del Novecento dal
titolo Reading Gender in Modern Italian Fiction and Film e ha
pubblicato diversi articoli sul genere e l’identità sessuale nella
società italiana. E’ da poco uscito un suo libro intitolato Reading and
writing italian homosexuality che tratta della costruzione di
16
un’identità omosessuale maschile in testi differenti del ventesimo
secolo, esplorando come questa sia strettamente legata a tutta una
serie di altri indicatori di differenza culturale come per esempio la
razza e l’identità nazionale. Sempre in Inghilterra presso l’Università
di Birminghan abbiamo Charlotte Ross che si occupa di studi gay e
lesbici applicati all’italianistica e ha tra l’altro pubblicato su Italica
un interessante articolo sul film e il racconto Benzina partendo dal
concetto di habitus in Pierre Bourdieu.
Molti studiosi italiani che operano presso università inglesi e hanno
pubblicato articoli che trattano del tema omosessualità e letteratura e
omosessualità e mass-media. Negli Stati Uniti è stato pubblicata nel
2004 la raccolta di saggi intitolata Queer Italia: Same-Sex Desire in
Italian Literature and Film, curata da Gary Cestaro, professore
d’italiano presso la DePaul University di Chicago, contenente saggi
su testi che spaziano dall’Italia medioevale fino ai nostri giorni,
creando una sorta di canone queer nella storia della letteratura e
della cinematografia italiana.
Un evento importante per quel che riguarda la visibilità
dell’omosessualità in Italia, uscendo dal mondo accademico ed
entrando nella vita di tutti i giorni, è stata la celebrazione del World
Gay Pride, la settimana dell’orgoglio omosessuale, nel luglio del
2000 a Roma, proprio durante le celebrazioni dell’Anno Santo. Da
allora sembra che l’argomento omosessualità sia trattato in maniera
più aperta dai mass media e dalla gente in generale.
Comunque, sembra chiaro come su questo argomento ci sia ancora
molto da scrivere e da fare, nel campo della ricerca letteraria,
cinematografica ma soprattutto nella società italiana in generale.
Per quello che riguarda l’ambito cinematografico e audiovisivo
contemporaneo, le tematiche di gender hanno iniziato, in modo lento
ma continuo, ad assumere tratti sempre più realistici. Se si può,
quindi, affermare che sono molti i testi che prendono in esame
questa lenta evoluzione, si può anche affermare che sono pochi i
testi che si occupano di quello che sta avvenendo in questi ultimi
anni nella relazione tra mass-media e omosessualità.
17
In Italia ci sono tre libri che più di altri si concentrano
sull’argomento in rapporto all’attuale situazione, ma non
evidenziano affatto una situazione positiva nonostante sia palese per
i tre scrittori, così come per molti altri scrittori e critici italiani e
stranieri, che le tematiche di gender sono “esplose” nei principali
media audiovisivi, riempiendo ogni genere cinematografico e ogni
tipologia di trasmissione televisiva.
Uno di questi tre testi è il libro di Pier Maria Bocchi
8
, Mondo queer
– cinema e militanza gay, che non è l’ennesima storia del cinema
gay, ma un saggio sulla cultura gay tout-court. Partendo dall’assunto
che nella nostra società i diritti degli omosessuali sono più o meno
conquistati, Mondo Queer sottolinea come il debordante e fragoroso
chiacchiericcio contemporaneo sui gay sia continuamente soffocato
dalle convenzioni del “politically correct”. Insomma di gay si parla
molto, ma anche molto male. Attraverso il cinema, la televisione, le
icone e le opere che hanno raccontato qualcosa di significativo sul
mondo gay, Pier Maria Bocchi analizza finemente strumenti e
pratiche di sviluppo di un vero e proprio apparato socio-politico, che
ha la lotta all’omologazione del pensiero nel proprio Dna. E
perviene alla conclusione che sia necessario un cambiamento che si
fondi sull’abbattimento dei codici tradizionali e sul rinnovamento di
linguaggio e critica, attitudini e pensiero di un universo tanto ricco
quanto spesso macchiettistico.
Il secondo testo che dà importanza all’evoluzione delle tematiche
di gender nella contemporaneità mediatica è L’altra metà dell’amore
– dieci anni di cinema omosessuale di Vincenzo Patanè
9
. Il testo
8
Bocchi è collaboratore delle riviste “Cineforum”, “Film-Tv”, “Nocturno” e del dizionario dei film
Mereghetti. Autore di vari testi sul cinema, tra cui Mondo Queer-cinema e militanza gay.
9
Vincenzo Patanè, è giornalista e scrittore nato ad Acireale nel 1953, vive a Venezia, dove insegna Storia
dell’Arte presso il Liceo Artistico Statale. Esperto di cinema, collabora con l’Ufficio Cinema del Comune
di Venezia e alla sua pubblicazione Circuito Cinema. Dal 1990 al 2004 è stato collaboratore e
responsabile del settore cinema e video di “Babilonia”, la più antica e autorevole rivista gay italiana. Ha
inoltre curato la sezione cinema del sito gay Terence (2002-2002). Dal 2004 collabora con la rivista gay
Pride. Ha scritto Ebano Nudo (1982), Cinema & Pittura (1992), A qualcuno piace gay (1995), Derek
Jarman (1995), Shakespeare al cinema (1997), due saggi a corredo della nuova edizione de Lo schermo
velato (Baldini & Castoldi, 1999) e Arabi e noi – Amori gay nel Maghreb (DeriveApprodi, 2002). Il suo
ultimo libro è L’altra metà dell’amore – Dieci anni di cinema omosessuale (DeriveApprodi, 2005).