10
la sua scelta affermando inequivocabilmente che l’Albania non ha altro futuro che
l’integrazione europea.
8
La nascita dal basso del movimento europeista favorisce indubbiamente il processo
di integrazione europea, ma la comunità internazionale teme che i cittadini albanesi non
abbiano una reale conoscenza dell’Unione europea e non siano effettivamente
consapevoli dei sacrifici che dovranno sopportare perché il paese possa aderirvi.
Un sondaggio ha rivelato che la maggior parte dei cittadini albanesi è favorevole
all’ingresso nell’Unione, spera di aderirvi nel giro di una decina d’anni ed è convinta
che l’Unione europea dovrebbe accogliere l’Albania anche in assenza dei requisiti di
ammissione, perché solo ciò aprirebbe concretamente la strada delle riforme.
L’aspetto più preoccupante emerso dall’indagine, tuttavia, è la mancanza di
un’adeguata informazione circa le dinamiche del processo di associazione e le strutture
dell’Unione europea, della quale i politici e i media sono diretti responsabili. L’opinione
pubblica nazionale sopravvaluta la capacità dell’Unione europea di risolvere i problemi
del paese, proprio a causa del populismo dei messaggi politici che cavalcano
l’europeismo degli elettori senza, tuttavia, affrontare con realismo le implicazioni del
processo di associazione, i sacrifici, gli sforzi e il tempo necessario.
9
L’Unione europea si è impegnata nel divulgare una corretta informazione sui
benefici e sui costi del processo di integrazione, ma ha ammonito che “questo dovrebbe
essere un compito condiviso” con il governo nazionale e che “le autorità albanesi e i
media dovrebbero ulteriormente intensificare i propri sforzi nella diffusione di precise
informazioni sui valori, gli obiettivi, le attività e il funzionamento dell’Unione”
10
.
Tuttavia, in Albania - così come in altri paesi post comunisti - la mancanza di
fiducia (giustificata) nella classe politica, corrotta e incapace di risolvere i problemi
della transizione, ostacola il consolidarsi di un rapporto organico e trasparente tra
governati e governanti. Lo stato è percepito dal cittadino albanese così distante e
irrimediabilmente fallito che ormai egli ripone le proprie speranze oltre i confini
nazionali, auspicando addirittura che il proprio paese sia governato sotto la forma del
protettorato internazionale dalle Nazioni Unite, dagli Stati Uniti o dall’Unione
europea.
11
La nascita della società albanese, purtroppo, non è avvenuta con il coinvolgimento
diretto delle masse popolari e ancora oggi queste sono lasciate fuori dal processo di
ricostruzione del paese e dal godimento dei possibili benefici derivati dallo sviluppo.
12
La mancata condivisione popolare delle sorti della nazione non è dovuta soltanto
all’autoritarismo della classe politica, ma anche alla crisi motivazionale della
popolazione medesima che, con la dissoluzione del regime comunista, ha perduto un
sistema consolidato di valori di riferimento, cadendo repentinamente in un crescente
stato di anomia sociale.
13
8
HALL Derek, Albania in Europe: condemned to the periphery or beyond?, in DAWSON A. H. (edited
by), The Changing Geopolitics of Eastern Europe, Frank Cass, London, 2002, pp. 108-109
9
BOGDANI Mirela, op. cit., pp. 106-107
10
European Commission, Albania. Stabilisation and Association Report 2003. Second Annual Report,
Bruxelles, 2003, p. 16
11
BOGDANI Mirela, op. cit., pp. 107-108
12
ORLANDO Cristiano, L’aquila albanese alle prese con le correnti transnazionali. L’ABC di orgogli e
pregiudizi: Albania, Balcani e Comunità internazionale, Osservatorio sui Balcani, Roma, 2006, p. 137
13
“Il popolo è stato sicuramente protagonista delle vicende che hanno fatto cadere il regime comunista, in
particolare grazie alle proteste degli universitari di Tirana, ma una volta ucciso il gigante, una volta fatto
crollare il grande Hoxha di bronzo sul suolo marmoreo di piazza Skanderbeg, si è fermato. L’atavica
disaffezione degli albanesi verso la forma statale di organizzazione sociale ha subito ripreso il
sopravvento ed è esplosa con virulenza e accanimento: la maggior parte della popolazione non aveva
nessun interesse nel continuare a sopportare sacrifici e privazioni per tentare di costruire pietra su pietra
11
Infatti, l’albanese contemporaneo, che giace in una posizione di dipendenza e di
inferiorità nei confronti dell’Occidente, nutre un profondo disprezzo per il proprio
passato e la propria identità, non manifesta un reale interesse per la comprensione della
propria cultura nazionale, ma al contrario emula i modelli di riferimento delle società
occidentali. Gli stessi intellettuali, che dovrebbero svolgere un ruolo fondamentale nel
processo di maturazione della società civile, non riflettono sul passato del proprio paese
e sugli errori compiuti dalla classe dirigente albanese nel corso del Novecento, proprio a
causa della resistenza oscurantista della cultura clanica tradizionale che non ammette
critiche nei confronti dei propri genitori e, quindi, delle generazioni che hanno lasciato
cadere l’Albania nella dittatura. La società civile, dunque, non ha ancora fatto i conti
con il proprio passato, quel lavoro di autoanalisi storica necessario per chiudere
definitivamente un capitolo della propria storia e iniziare il successivo.
14
In un siffatto contesto il ruolo delle organizzazioni internazionali (governative e
non) diventa assolutamente indispensabile allo sviluppo dell’Albania e, in particolare, il
processo di associazione all’Unione europea si configura come un’ineguagliabile
opportunità per sollevare finalmente il paese dalla condizione di sottosviluppo (o non
sviluppo) in cui versa. A tale proposito, Badare, uno dei maggiori esponenti della
letteratura albanese contemporanea, ha affermato che “il Kosovo, l’Albania, i Balcani
hanno ancora tutti bisogno della supervisione europea”, che ciò non “danneggia la
sovranità, la dignità e l’autorità di questi paesi, ma al contrario le sostiene. I popoli dei
Balcani e noi albanesi dovremmo comprendere che questa è una grande opportunità, che
comporta, primo, il rafforzamento delle relazioni con l’Unione europea e, secondo, il
miglioramento dei rapporti con i paesi vicini”
15
.
L’idea del “ritorno in Europa” è stata centrale anche nella trasformazione dei paesi
post comunisti dell’Europa centrale e orientale, i quali hanno compiuto immani sforzi
per essere riconosciuti come membri effettivi della famiglia europea.
16
“La
trasformazione nazionale dei paesi dell’Europa centrale e orientale è accompagnata da
un’incisiva penetrazione dell’Europa al loro interno sia come idea mobilitante nei
discorsi politici dei leaders nazionali al fine di legittimarne le riforme sia come attore
politico concreto, nella forma della Commissione europea, raccomandando i governi dei
paesi candidati, monitorando le riforme, offrendo assistenza finanziaria e conducendo i
negoziati in vista dell’adesione”
17
.
Sulla scia di quanto già avvenuto in questi paesi, il processo di integrazione europea
continua a stimolare e a guidare la trasformazione nazionale di altri paesi e “il successo
dei paesi dell’Europa centrale e orientale nel soddisfare i criteri di adesione all’Unione
europea” può motivare “i paesi balcanici occidentali a condividere le medesime
aspirazioni”
18
.
La Romania, che insieme alla Bulgaria è entrata a far parte dell’Unione europea dal
1° gennaio 2007, è un esempio dello straordinario impatto che il processo di adesione
può avere sulle società e sulle economie dell’Europa sudorientale. Infatti, dal momento
in cui il paese è stato ufficialmente candidato a entrare nell’Unione lo stock di
un paese che potesse avviarsi verso un solido futuro, ma aveva solo voglia di riprendersi nel più breve
tempo possibile e con il massimo della voracità tutto ciò che lo stato le aveva negato o sottratto per quasi
cinquanta anni, vale a dire benessere e libertà”. (tratto da ORLANDO Cristiano, op. cit., p. 139)
14
BAZZOCCHI C. (a cura di), LUBONJA F., Intervista sull’Albania. Dalle carceri di Enver Hoxha al
liberismo selvaggio, Casa Editrice Il Ponte, Bologna, 2004
15
BOGDANI Mirela, op. cit., p. 126
16
Ivi, p. 121
17
BATT J. (edited by), op. cit., p. 9
18
BOGDANI Mirela, op. cit., p. 121
12
investimenti esteri diretti è aumentato in cinque anni di nove volte e, nonostante i
sacrifici sopportati, i rumeni hanno lavorato sodo per adeguarsi ai criteri di adesione.
19
Così come è stato in Romania e in Bulgaria, gli eventi più prossimi dimostrano che
l’impatto dell’europeizzazione sta producendo anche in Albania sostanziali benefici,
come
a) lo svolgimento delle elezioni presidenziali del 2002 monitorato dall’Unione
europea, che ha persuaso i partiti politici a collaborare in un clima di concordia e ad
eleggere con un largo consenso il capo dello stato, pena l’esclusione dall’accordo di
associazione;
b) la fine del sistematico boicottaggio, nei confronti del governo socialista, del
Partito Democratico che, solo in seguito alle pressioni dell’Unione europea, ha ripreso a
partecipare regolarmente alla vita delle istituzioni nazionali e locali;
c) l’istituzione di commissioni parlamentari bipartisan sui più importanti argomenti
di interesse nazionale, come lo svolgimento delle elezioni, la definizione della proprietà
privata e l’integrazione euro-atlantica (primavera 2002);
d) la tregua siglata tra i leaders storici della transizione, Sali Berisha e Fatos Nano,
dopo un periodo di acceso e violento confronto tra i due maggiori partiti (giugno
2002).
20
Una volta appurato che anche l’Albania è sensibile all’influenza dell’Unione
europea e reagisce positivamente al suo duro impatto, il passo successivo è la ricerca
delle strade percorribili per indirizzare correttamente il processo di sviluppo del paese.
L’approccio metodologico seguito in questa indagine sulle cause prossime e remote
della vigente condizione di arretratezza si ispira agli insegnamenti di diverse scuole di
pensiero della sociologia. È stato opportuno, in primo luogo, analizzare le peculiari
strutture sociali ed economiche, come suggerisce la scuola della modernizzazione,
abitualmente rivolta allo studio dei fattori endogeni del sottosviluppo, e, in secondo
luogo, affrontare la tematica delle relazioni internazionali e il loro determinante influsso
sullo sviluppo del paese.
19
GLENNY M., Thessalonica and beyond: Europe’s challenge in the Western Balkans, in European
Stability Initiative, 2003
20
BOGDANI, Mirela, op. cit., p. 119
13
Capitolo primo
L’evoluzione statuale dell’Albania
Prima di raccontare la storia dell’Albania, dal declino dell’Impero ottomano fino ai
giorni nostri, è necessario chiarire il significato dei termini scelti per la stesura di questo
breve profilo storico. Oggetto di questa tesi è, infatti, l’Albania politica, nel senso
statuale del termine, da non confondere con l’Albania-nazione
21
, che travalica sia i
confini naturali che quelli politici e comprende quei distretti limitrofi che, pur essendo
popolati in maggior numero da albanesi, sono parte integrante del territorio politico dei
paesi confinanti.
22
Il prossimo paragrafo offre un panoramico quadro d’insieme delle terre albanesi alla
vigilia dell’indipendenza dello Stato dall’Impero ottomano. La narrazione degli eventi è
accompagnata volutamente da accurate descrizioni ambientali, per dimostrare come i
fattori geografici abbiano influito sullo sviluppo del paese e sulla percezione che gli
albanesi hanno di se stessi. Questi, infatti, chiamano se stessi shqipëtari, abitanti delle
rocce, e la propria terra Shqipëria, nido delle aquile
23
, proprio per le peculiari
caratteristiche del suolo.
1.1. Alla vigilia dell’indipendenza
Alla vigilia dell’indipendenza il territorio albanese è aspro e densamente ricoperto di
foreste, la costa è paludosa e malsana e conta pochi porti praticabili. L’assenza di
infrastrutture di base e le asperità del territorio limitano le comunicazioni tra le diverse
tribù, i cui rapporti, caratterizzati da una latente ostilità, ostacolano il raggiungimento di
una coscienza nazionale.
24
I trasporti avvengono utilizzando i carri e le bestie da soma, ma non tutte le strade
sono carrozzabili, e solo intorno al 1910 si provvede a rialzare il fondo stradale, che
durante l’inverno è reso impraticabile dalle precipitazioni, e a sostituire i ponti in legno
con ponti in muratura e in ferro.
L’economia è prevalentemente agro-pastorale e fortemente arretrata. L’agricoltura è
praticata ancora con metodi primitivi e la produzione è sufficiente per la sola
sussistenza, tuttavia gli agronomi dell’epoca sostengono che l’agricoltura albanese
risulterebbe più produttiva se fosse opportunamente modernizzata, date le favorevoli
circostanze climatiche che consentono una produzione diversificata: gli agrumi sul
litorale meridionale, gli uliveti nelle campagne di Valona, Berat e Tirana, i cereali e il
mais sull’intero territorio ad esclusione del litorale paludoso, i vigneti, quasi sempre
danneggiati dalla peronospora
25
, e il gelso. Tuttavia, i contadini utilizzano strumenti
inadeguati e non esiste un sistema di irrigazione delle terre, nonostante la presenza di
corsi d’acqua ricchi anche d’estate.
21
Questa è composta da due raggruppamenti etnici, i gheghi a nord e i toschi a sud, contraddistinti da un
peculiare dialetto, ma entrambi riconducibili alle medesime caratteristiche somatiche: pigmentazione
scura (pelle, capelli, occhi), pelo liscio, naso aquilino, brachicefalia
21
, cranio relativamente piccolo, viso
lungo e stretto, statura medio-alta.
22
VLORA Alessandro K., La nuova Albania, Istituto Geografico Militare, Firenze, 1978, p. 1210
23
Ivi, p. 1226
24
BIAGINI Antonello, Storia dell’Albania dalle origini ai giorni nostri, Bompiani, Milano, 1998, p. 63
25
Nome generico di numerose malattie delle piante, provocate da funghi di generi diversi e caratterizzate
dalla comparsa di un’efflorescenza biancastra sulle foglie.
14
Il modo di produzione agricola è semi-feudale. Le grandi tenute sono di proprietà
dello stato, rappresentato a livello locale dal bey o dal pascià, e divise in poderi di
media grandezza ceduti in affitto o a colonia. La suddivisione della terra in latifondi
risale al governo del sultano Abdul Hamid (1774-1789), che elargì estese terre
demaniali ai sudditi albanesi più influenti e fedeli. Il proprietario del latifondo si occupa
direttamente delle coltivazioni arboree (ulivo) mentre il colono di quelle del suolo,
pagando in natura l’affitto al titolare. La piccola e media proprietà è diffusa solo
nell’Albania meridionale ed è lavorata dagli stessi proprietari e dalle rispettive famiglie
con l’ausilio di salariati.
Le abitazioni rurali sono edificate su di un’ossatura di legno con parti intonacate con
fango o mota bovina e il tetto di paglia. Spesso sono costituite da un unico vano (in cui
animali e persone condividono il medesimo spazio), talvolta da una seconda “stanza”
deputata all’esercizio dell’attività casearia. A Fier, Scutari e Kruja, invece, le abitazioni
rurali sono a due piani, dotate di una scala d’accesso esterna e costruite in muratura di
pietra e calce. L’allevamento del bestiame (ovini, bovini ed equini) dispone di pascoli
estivi in montagna e di quelli invernali nelle vallate. Una specifica tassa governativa è
applicata solo sui capi ovini allevati.
Nelle località montane il potere è nelle mani dei capitribù, sottoposti alla politica del
divide et impera del sultano che, concedendo a ciascun capo singolarmente privilegi e
autonomie, rafforza le divisioni interne tra le diverse tribù. L’unità fondamentale della
società è la famiglia patriarcale allargata, nella quale il patriarca esercita un’assoluta
autorità, a cui sono soggetti anche i figli maschi. Questi ultimi, dopo aver contratto
matrimonio, si stabiliscono con le proprie mogli nella residenza paterna, in modo che
dopo la morte del padre la responsabilità della famiglia sia assunta direttamente dal
primogenito.
La donna, pur essendo l’elemento centrale della vita economica della famiglia e
della tribù, non gode dei medesimi diritti dell’uomo. Oltre ad amministrare la casa,
lavora nei campi e raccoglie la legna nei boschi. Con il matrimonio - che è combinato
arbitrariamente dal padre con membri delle famiglie amiche o potenzialmente tali - la
donna passa dalla tutela del padre a quella del marito. Al momento della conclusione del
contratto di matrimonio, il marito versa al padre della sposa un prezzo pari alla capacità
lavorativa della donna e ai miglioramenti derivanti dall’acquisizione della nuova
parentela.
Un insieme di famiglie nucleari forma una tribù, capeggiata da un capitano
(voivoda), affiancato da un alfiere (bajraktar) e da un consiglio di anziani (pleq). Un
gruppo di tribù costituisce una bandiera (bajrak) e, infine, un insieme di bandiere
origina un fis.
1.1.1. Le città albanesi
Alla vigilia dell’indipendenza Valona (Vlorë) è una città portuale di 8 mila abitanti
che sorge intorno a una baia circondata da colline ricoperte di ulivi secolari e mitigata
da un clima salubre. La popolazione è costituita da albanesi ortodossi (i cosiddetti
patriarchisti), cutzo-valacchi, albanesi musulmani, greci e alcune famiglie italiane
originarie di Otranto. Nonostante i forti venti e il mediocre scalo su palafitte, la baia
offre un buon ancoraggio a numerose imbarcazioni sia da guerra che da trasporto e
costituisce il più importante porto albanese. Lo scalo - distante due chilometri dal centro
urbano - era stato costruito dalla società francese che sfrutta le miniere di bitume,
minerale lavorato in pani, trasportato a dorso di mulo e imbarcato in grandi quantità,
diverse volte l’anno, su imbarcazioni dirette in Francia e in Gran Bretagna.
I vapori italiani della società Puglia e il vapore austriaco Lloyd attraccano due volte
la settimana. Una dozzina di imbarcazioni di diverse dimensioni svolgono il servizio di
15
trasporto dei passeggeri e di carico e scarico delle merci. Presso lo scalo, oltre al casotto
del telegrafo sottomarino collegato a Otranto, tre fabbricati in muratura sono utilizzati
per la dogana, per gli uffici e i magazzini della società Lloyd, per la posta austriaca, per
l’ufficio sanitario e come deposito dei materiali estratti dalle miniere di bitume.
I bovini di piccola taglia sono esportati a Malta per l’alimentazione degli equipaggi
dei grandi piroscafi e delle navi da guerra. Avena, foraggio e olio d’oliva sono invece
esportati in Italia e nell’Impero austro-ungarico. L’olio migliore è prodotto da uno
stabilimento italiano, affiliato ad alcune case di Bari, capace di produrne fino a
ottocento quintali all’anno.
Il porto è anche un centro di deposito e rifornimento per i commercianti di Berat,
Përmet, Tepeleni, Elbasan, Durazzo e Kavajë, soprattutto per il caffé e lo zucchero
importati dall’Austria-Ungheria.
La campagna di Valona produce uliveti, vigneti, risaie, alberi da frutta, avena e
mais, il principale alimento della popolazione rurale. Una parte della campagna è
lasciata a pascolo per bovini e ovini. Il sale, invece, è prodotto da una salina sita a due
chilometri dalla città. Due mulini, uno a macine e l’altro a cilindri, e una decina di forni
sono in grado di soddisfare il consumo degli abitanti della città.
Le precipitazioni invernali inondano la pianura, a causa della mancata
regimentazione dei fiumi, rendendo paludose e malsane (anche nella calda stagione)
alcune aree diversamente sfruttabili con un’adeguata opera di bonifica.
L’approvvigionamento idrico è assicurato da una conduttura in ghisa che trasporta
l’acqua proveniente da Kaninë. Tuttavia, numerose abitazioni sono provviste di un
pozzo, profondo circa cinque metri, di acqua salmastra non potabile. Nonostante
l’abbondanza idrica, l’assenza di un vero e proprio acquedotto determina
paradossalmente periodi di siccità.
La montagna produce legna da ardere e carbone di legno, trasportati
quotidianamente fino alla città dai muli di piccola taglia o dai carriaggi tirati da buoi,
adatti al trasporto su strade malagevoli e agresti.
Le abitazioni urbane sono costruite in muratura o in legno, al massimo su due piani
e di aspetto povero, ad esclusione degli edifici pubblici e degli istituti scolastici privati
(musulmano, greco e italiano).
Scutari è il capoluogo di un vilayet diviso amministrativamente in due sangiaccati,
quello di Scutari e quello di Durazzo, con una popolazione di circa 200 mila abitanti. A
parte alcune famiglie di origine slava, la popolazione è interamente albanese.
26
La città sorge in mezzo a quattro corsi d’acqua naturali costituiti dai fiumi Drin,
Bojana, Kir e dal lago di Scutari, senza tuttavia trarne un particolare beneficio, data la
loro limitata navigabilità. Infatti, sul fiume Drin naviga solo qualche barca, il Kir è un
torrente impetuoso non regimentato che, nei periodi di piena, straripa e inonda la città,
mentre il fiume Bojana, emissario del lago di Scutari, che subisce frequenti
insabbiamenti dalle acque del fiume Drin, è navigabile solo nei periodi di maggior
portata d’acqua.
Il sangiaccato di Scutari gode di una consistente autonomia, non è soggetto alla
tanzimat, è esente dalle tasse e dall’obbligo del servizio militare in tempo di pace.
27
Arta conta 2 mila abitanti circa, è abitata soprattutto da albanesi ortodossi dediti alla
pesca nella laguna. Il territorio è malsano e scarseggia di risorse naturali, la presenza di
paludi è causa di epidemie malariche.
26
BIAGINI Antonello, op. cit., pp. 64-68
27
Ivi, p. 72
16
Berat conta, invece, 20 mila abitanti, due terzi dei quali professano la religione
ortodossa. È divisa in quattro quartieri, Murad, Celeb, Ham-Ciarsci e Kastron: i primi
due sono abitati da musulmani, gli altri due da ortodossi. Kastron costituisce il nucleo
della città vecchia ed è una vera e propria fortezza circondata da solide mura con un
unico accesso. La città è sede sia dell’autorità religiosa musulmana sia del vescovo
ortodosso (che ha giurisdizione anche su Valona). La principale attività economica è
l’agricoltura, favorita dal suolo fertile e dal clima salubre, che produce in particolare
olio, grano, frutta e vino. Rilevanti sono la produzione e il commercio di lana e pelli e
l’attività di quattro mulini ad acqua e di dieci forni.
28
1.1.2. Gli albanesi e l’Impero ottomano
Si può a buon diritto affermare che la posizione geografica delle terre albanesi ha
giocato un ruolo determinante nell’evoluzione dei rapporti tra la leadership tribale e le
autorità dell’Impero ottomano e, in ultima analisi, nel processo di formazione nazionale.
Infatti, la rilevanza strategica del territorio e l’estrema perifericità dei suoi porti rispetto
a Istanbul avevano persuaso, a suo tempo, il sultano a concedere una discreta autonomia
alle diverse tribù indigene, lasciandone inalterate le consuetudini giuridiche e le
tradizioni popolari. Tuttavia, la plurisecolare dominazione ottomana non rispondeva a
un disegno politico di lungo periodo e, in assenza di un piano di modernizzazione,
razionalizzazione e trasformazione dell’economia, ha ridotto il territorio albanese a un
perenne accampamento militare, fonte di reclutamento di soldati per l’esercito turco e di
sfruttamento fiscale delle popolazioni residenti.
29
La popolazione cristiana delle città si riteneva vittima di un’ingiusta oppressione,
essendo tenuta in uno stato di inferiorità rispetto agli albanesi che avevano abbracciato
la religione musulmana, pertanto era ostile al governo del sultano e ai suoi
rappresentanti e auspicava un intervento militare esterno per liberarli dagli oppressori. I
cristiani che risiedevano - sempre armati - in campagna e nelle località montane erano,
invece, affascinati dalla maestà del sultano, che non li maltrattava e, anzi, consentiva
loro di preservare l’antico diritto consuetudinario, al quale riconosceva forza di legge.
Il relativo isolamento in cui vivevano le popolazioni rurali e montane unito alle
pessime condizioni viarie hanno rappresentato un serio ostacolo allo sviluppo dei
commerci interni e a un rapporto reciprocamente vantaggioso tra città e campagna. Lo
scarso livello di scambi demotivava le professioni artigianali, che non superavano il
limite territoriale del villaggio o della città e le poche attività imprenditoriali erano
confinate al litorale costiero e in mano a gruppi stranieri.
Alla vigilia dell’indipendenza mancavano, quindi, in Albania i presupposti necessari
alla formazione di un ceto medio che vivesse del proprio reddito, esercitando il
commercio o una libera professione, e con un patrimonio comune di speranze da
tradurre in un progetto politico nazionale in opposizione ai latifondisti e ai capitribù,
arroccati in difesa dei privilegi concessi dall’amministrazione ottomana, e ai funzionari
dell’amministrazione stessa.
30
L’idea di indipendenza in Albania, come nelle altre nazioni dell’Europa danubiano-
balcanica non investite dai fermenti rivoluzionari del XIX secolo, si era diffusa
relativamente più tardi rispetto agli stati-nazione dell’Europa continentale, proprio a
causa della mancata formazione di una borghesia capace di guidare il processo di
trasformazione nazionale.
31
28
Ivi, pp. 69-70
29
Ivi, pp. 35-40
30
Ivi, pp. 71-73
31
Ivi, p. 61
17
Gli albanesi erano consapevoli - come lo saranno in altre e successive epoche
storiche e in contesti totalmente diversi - di rappresentare l’anello debole rispetto alle
comunità etniche limitrofe (serbe, montenegrine, bulgare e greche), che avevano
iniziato molto prima il loro processo di emancipazione nazionale, ed è proprio la
relativa debolezza albanese che giustifica la fedeltà di lungo periodo al sultano e spiega
anche le future scelte politiche della sua classe dirigente.
32
1.2. La costituzione del principato d’Albania
Il declino dell’Impero ottomano, a cavallo tra il XIX e il XX secolo, mobilita le
Grandi Potenze europee (Germania, Austria, Francia, Gran Bretagna, Italia e Russia),
preoccupate che un’eventuale occupazione straniera dell’Albania possa cambiare a loro
sfavore gli equilibri in Adriatico. In particolare, il governo italiano attua una politica di
intervento tesa a difendere l’integrità territoriale albanese, perché una possibile
spartizione dell’Albania tra le altre Grandi Potenze avrebbe reso la penisola vulnerabile
agli attacchi provenienti dalla sponda orientale. Tuttavia, la politica italiana non è mossa
soltanto da motivazioni strategiche a fini difensivi, ma anche dagli interessi dei nascenti
gruppi imprenditoriali italiani, desiderosi di una maggiore penetrazione economica
sull’altra sponda adriatica. L’istituzione di scuole italiane finanziata dal Regno d’Italia
contribuisce all’ulteriore diffusione della lingua italiana, che già costituiva una sorta di
lingua franca in tutto il litorale balcanico, favorendo l’agognata penetrazione
commerciale.
33
Dal canto suo, l’Austria-Ungheria approfitta della crisi dell’Impero annettendo
immediatamente la Bosnia e l’Erzegovina, suoi protettorati dal 1878, sollevando però le
rimostranze serbe e, soprattutto, russe.
Anche i leaders albanesi avvertono che ormai è arrivata l’ora dell’indipendenza
dall’Impero e nel 1911 si riuniscono in Montenegro adottando un memorandum in
dodici punti, con il quale chiedono a Istanbul di riconoscere al proprio popolo la
nazionalità, l’autogoverno e l’insegnamento della lingua e della cultura albanese nelle
scuole. Nel frattempo, infatti, anche tra gli albanesi è cresciuto e si è consolidato un
movimento di identità nazionale, favorito anche dall’aiuto e dall’esperienza degli
albanesi della diaspora, in particolare quelli delle comunità albanesi in Italia, che hanno
partecipato a pieno titolo e con particolare dedizione al Risorgimento italiano e alla
costituzione del nuovo stato unitario.
34
Nello stesso anno, l’Impero ottomano subisce un altro duro colpo proprio ad opera
dell’Italia. A seguito della campagna italiana di Libia, infatti, tra i due paesi scoppia una
guerra in Tripolitania, dalla quale i turchi escono sconfitti e ulteriormente ridimensionati
nel territorio e nel prestigio.
Nel 1912 una coalizione tra Serbia, Grecia, Bulgaria e Montenegro, già proclamatisi
indipendenti, muove finalmente guerra contro l’Impero, sconfiggendolo in pochi mesi.
La conclusione di questa prima guerra balcanica vede, quindi, rinforzarsi ed estendersi i
giovani stati balcanici di Serbia, Bulgaria e Grecia, nonché la nascita del principato di
Albania, fortemente voluto sia dall’Austria che dall’Italia per togliere ai serbi qualunque
possibilità di sbocco sul mare e per evitare che la Grecia controlli il Canale di Otranto.
Il 28 novembre 1912, dunque, viene proclamata a Valona, dopo duemila anni di
dominazioni straniere, l’indipendenza dell’Albania, ufficialmente riconosciuta il 30
maggio 1913 dal trattato di Londra. Il trattato disegna grossomodo i confini attuali
dell’Albania politica, confini che escludono dal nuovo stato gli albanesi residenti nella
32
Ivi, p. 78
33
Ivi, pp. 36-39
34
Ivi, p. 76
18
regione serba del Kosovo, nella Macedonia occidentale, nei territori montenegrini
intorno al Lago di Scutari e quelli greci dell’Epiro meridionale.
35
Una conferenza degli ambasciatori avrebbe provveduto a definirne i confini
territoriali e a redigere uno statuto, scegliendo per l’Albania la forma del principato
sovrano, autonomo ed ereditario in linea di primogenitura. La neutralità del nuovo stato
è posta sotto la garanzia delle sei potenze con l’esclusione dell’Impero ottomano, che
perde qualsiasi legame con l’Albania.
Il controllo dell’amministrazione civile e del bilancio è affidato a una commissione
internazionale composta di sette membri, uno albanese e uno in rappresentanza di
ciascuna delle sei potenze garanti, incaricata di elaborare un progetto per
l’organizzazione della pubblica amministrazione e di controllare, in attesa della nomina
del principe, il comportamento delle autorità nazionali. La gendarmeria è, invece,
affidata al comando di ufficiali svedesi.
36
Il 28 novembre 1913, in occasione del primo anniversario della dichiarazione
d’indipendenza da parte del Congresso Nazionale Albanese
37
, le Grandi Potenze
designano come principe d’Albania Guglielmo di Wied, appartenente a una famiglia
protestante della Prussia renana, nipote della regina di Romania e sposato con una
Schönburg-Waldenburg. La religione del principe è ritenuta un elemento di imparzialità
e di equilibrio in un paese come l’Albania, popolato da musulmani, ortodossi e cattolici.
Il 10 aprile 1914 a Valona la commissione internazionale approva definitivamente lo
Statuto dell’Albania, che consta di 216 articoli divisi in capitoli (L’Albania e il suo
territorio, Il sovrano, La popolazione, La legislazione, Gli organi di governo, Le
finanze, I lavori pubblici, La forza armata, La giustizia, Il culto, L’istruzione pubblica,
La proprietà fondiaria, Agricoltura, commercio e industria, Poste, telegrafi e telefoni,
Le relazioni estere, Il contenzioso amministrativo).
38
La presenza di un principe straniero al vertice del nuovo stato consente un costante
controllo della politica interna da parte delle Grandi Potenze e garantisce la stabilità in
un’area politicamente difficile attraversata da interessi diversi e contrastanti. Tuttavia,
Guglielmo di Wied incontra notevoli difficoltà per la sua scarsa comprensione
dell’intricata situazione albanese, il suo prestigio è limitato e il suo potere si fonda solo
ed esclusivamente sulla volontà esterna delle Grandi Potenze e sulla presenza effettiva
dei membri della commissione internazionale.
Egli si appoggia ai latifondisti, la componente più conservatrice della società, ed è
affiancato da un gabinetto composto da diplomatici europei poco attenti agli affari
albanesi e, soprattutto, culturalmente lontani dalla mentalità di quel popolo, mentre la
commissione internazionale esercita le proprie funzioni di supervisione e di controllo
dell’amministrazione del paese. L’esistenza di centri di potere diversi e in conflitto tra
loro determina la paralisi dell’azione governativa, che favorisce il mantenimento dello
status quo e una sostanziale incapacità nella gestione delle relazioni esterne.
Lo Statuto dell’Albania è il primo, fondamentale passo per realizzare, attraverso la
certezza del diritto, l’aggregazione di un corpo sociale poco omogeneo e con contrasti
rilevanti. A una classe ancora feudale, ricca e in grado di essere politicamente rilevante,
si contrappone la massa dei contadini legati alla terra, ridotti alla povertà dallo stato
permanente di guerra e facilmente influenzabili dalla propaganda estremista sia politica
che religiosa.
Lo Statuto costituisce la legge fondamentale del principato e ricalca modelli
costituzionali già esistenti. Esso garantisce i diritti di proprietà con il solo limite della
35
ORLANDO Cristiano, op. cit., p. 22
36
Ivi, pp. 87-88
37
Il Congresso Nazionale Albanese è l’assemblea dei sudditi albanesi membri dell’organo parlamentare
dell’Impero ottomano che, riunitasi a Valona il 28 novembre 1912, proclama l’indipendenza dell’Albania.
38
BIAGINI Antonello, op. cit., p. 91
19
pubblica utilità, attribuisce al Capo di Stato la facoltà di mobilitare le forze armate e di
sciogliere l’Assemblea nazionale.
I giuristi della Commissione sono stati attenti a garantire un forte impianto
istituzionale nel rispetto della particolare situazione albanese. Infatti, non
predeterminando una religione di stato, essi avrebbero attenuato le forti tensioni sociali
e le divisioni tra i musulmani, gli ortodossi e i cattolici.
L’Assemblea nazionale, supremo organo legislativo e con vaste competenze in
materia finanziaria, è composta dai rappresentanti delle tre confessioni religiose
esistenti, dall’Alto Commissario per la Banca nazionale albanese, da tre deputati per
ogni sangiaccato eletti in maniera indiretta, e da personalità nominate direttamente dal
sovrano. La composizione dell’Assemblea conferisce, tuttavia, un forte impianto
conservatore ad un organismo che avrebbe dovuto, al contrario, elaborare scelte
coraggiose ed innovative finalizzate al consolidamento dell’autonomia e
dell’indipendenza.
Dunque, lo Statuto non modifica in alcun modo gli equilibri esistenti, dal momento
che non favorisce l’ascesa di una nuova classe dirigente. Esso pone in essere numerosi
conflitti tra esecutivo e legislativo vanificando l’azione di governo e le speranze di
miglioramento che le masse contadine ripongono nel nuovo assetto.
1.3. La prima guerra mondiale
Nonostante la Conferenza degli ambasciatori di Londra avesse sancito la neutralità
del nuovo stato, l’Austria-Ungheria preme sul principe affinché l’Albania entri nel
primo conflitto mondiale come alleato degli imperi centrali. Tuttavia, Guglielmo resiste
alle pressioni di Vienna non tanto per ottemperare a quanto deliberato dalla Conferenza
quanto piuttosto perché consapevole dello scarso consenso popolare al suo potere,
conscio che un appello alla mobilitazione generale sarebbe caduto nel vuoto. Come
ritorsione alla resistenza del principe, Vienna, fino ad allora sua principale sostenitrice,
sospende i finanziamenti al principato. La ritorsione induce inevitabilmente il principe
ad abbandonare con il suo gabinetto l’Albania (1° settembre 1914).
39
Durante la guerra si verificano profondi cambiamenti interni. In primo luogo, i
ricchi proprietari terrieri escono dal conflitto screditati e incapaci di porsi alla guida di
un processo innovativo che abbia come fine ultimo quello della pacificazione interna,
della costruzione di un tessuto sociale unico e, dunque, dell’unità e dell’autonomia
nazionale.
D’altra parte, nonostante la guerriglia e l’occupazione di truppe straniere (italiane,
francesi, greche, serbe e montenegrine), una parte della popolazione delle città è
maturata, ma ancora ad uno stadio embrionale, come piccola e media borghesia delle
professioni e del commercio e inizia a concepire un sentimento di identità e
indipendenza. Questo processo di maturazione nazionale è sostenuto, intellettualmente e
finanziariamente, dalle comunità albanesi all’estero. Oltre a quella italiana e a quella
svizzera, è molto attiva in questo periodo la comunità dei residenti negli Stati Uniti
d’America.
Il processo sfocia nella creazione di una federazione (Votra, focolare) e di un partito
nazionale albanese che rivendica l’indipendenza e che chiede al governo italiano, le cui
truppe occupano la maggior parte del territorio, la convocazione di un’assemblea per la
creazione di un governo nazionale. L’allora ministro degli Esteri italiano Sidney
Sonnino risponde alle richieste albanesi dando il proprio consenso alla convocazione di
un congresso per la costituzione di un consiglio nazionale e di un comitato esecutivo
39
Ivi, pp. 94-99
20
che rappresenti, in qualità di delegazione albanese, gli interessi degli albanesi alla
Conferenza di pace.
Infine, il 25 dicembre 1918 tale congresso si riunisce a Durazzo, istituisce un
governo provvisorio e nomina una delegazione per la partecipazione ai lavori di
Versailles. Tuttavia, la delegazione non viene formalmente accreditata e la questione
albanese viene affrontata come parte - e neanche la più importante - del più vasto
problema degli equilibri in Adriatico.
1.4. L’ascesa al potere di Zog
Il 21 gennaio 1920 un’assemblea riunita a Lushnjë approva un nuovo statuto,
istituisce un senato e proclama la volontà di combattere per salvaguardare l’integrità e
l’indipendenza nazionale. L’assemblea istituisce al vertice un alto consiglio di reggenza,
composto da quattro membri, e un esecutivo di sei membri, di cui Sulejman bey Delvina
in qualità di primo ministro, Mehmet bey Konica ministro degli Esteri e Ahmet bey
Mati Zogu ministro degli Interni. La capitale è trasferita a Tirana. Il nuovo governo
dichiara la propria volontà di estendere la sovranità a tutto il paese, chiede
l’allontanamento delle truppe d’occupazione e rifiuta ogni forma di protettorato.
Il 2 agosto 1920 il governo italiano sigla con il governo Delvina (dimissionario nel
novembre successivo) un accordo che lo impegna a tutelare l’indipendenza dell’Albania
e a ritirare le truppe dal territorio, compreso quello di Valona (a difesa degli interessi
strategici italiani rimane il possesso dell’isola di Saseno).
L’avvio delle attività della Società delle Nazioni sembra dare aspettative migliori
alle attese e alle speranze degli albanesi, che presentano la domanda di ammissione
nell’ottobre del 1920 e pongono in tal modo il problema del riconoscimento del loro
stato come sovrano e indipendente. La richiesta è accettata dall’Assemblea generale
dell’organismo e, dunque, l’iter del riconoscimento internazionale sembra felicemente
avviato. In realtà, a questo atto non corrisponde quello dei singoli stati, che non
instaurano rapporti diplomatici con l’Albania. Dietro il mancato riconoscimento vi è
l’atteggiamento di quegli stati che non considerano chiusa la questione albanese, nella
quale si sta insinuando, accanto alle storiche controversie sul territorio, un elemento di
carattere economico determinato da alcuni sondaggi geologici positivi che confermano
la presenza di giacimenti petroliferi.
Nel novembre 1921, su richiesta anglo-italiana, è convocata a Parigi una Conferenza
degli ambasciatori di Francia, Gran Bretagna, Italia e Giappone. All’Italia è affidato il
ruolo di garante dell’indipendenza dell’Albania in cambio dell’impegno da parte del
governo italiano a non intralciare il lavoro delle società petrolifere britanniche sul
territorio albanese.
40
Gli strati sociali della popolazione più bassi non partecipano ancora al processo di
aggregazione, infatti i contadini e i pastori rimangono ancorati alle forme tradizionali
della vita politica e sociale. Alla vita politica attiva si dedicano i notabili e i
maggiorenti, più attenti però agli interessi della propria tribù che a quelli dello stato. Tra
le formazioni politiche che prendono vita in Albania, una di queste è capeggiata proprio
dall’ex ministro degli Interni del governo Delvina, Ahmet bey Zogu, signore del Mati e
rappresentante dei ricchi proprietari terrieri dell’Albania settentrionale, il quale non
appena fu chiamato ad assumere la carica di primo ministro (24 dicembre 1922) decide
di modificare il proprio nome in Zogu (o Zog), eliminando il nome turco Ahmed.
40
Ivi, pp. 106-112