Capitolo 1: La Pallavolo
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Questo preambolo non vuole assolutamente affermare che la
pallavolo sia nata in Italia: per completezza di informazione sembrava
però giusto ricordare pratiche ludico-motorie preesistenti a quel
famoso 1895, anno in cui un insegnante di educazione fisica
americano, William G. Morgan, aveva fatto svolgere ai suoi allievi del
collegio YMCA di Holyoke, nel Massachussetts, un nuovo gioco che
escludeva ogni contatto fisico tra i contendenti.
Morgan aveva impiegato due anni per strutturare completamente il
suo gioco.
Non diciamo "ideare" perché il fatto che egli lo chiamasse "minorette"
proprio come in Francia, dimostra, in maniera lampante, che egli
aveva avuto notizia dei precedenti storici del suo tentativo di
escogitare qualcosa che emulasse il giovanissimo basket e che
addirittura fosse ancor più in condizione di evitare qualsiasi incidente.
Per un anno sottopose gli studenti che gli erano stati affidati, per le
normali lezioni di attività fisica, all'esperimento ludico ed i risultati se
non furono eccezionali sul piano tecnico, rimasto a livelli di
primitività, lo furono invece per la prospettiva formativa.
La "minorette" divertiva i ragazzi, li interessava, li eccitava, ma senza
che mai l'azione degenerasse, senza che si verificassero quegli
episodi incresciosi che spesso si riscontravano in altri giochi. Inoltre,
v'erano indubbi progressi sul piano psico-fisico: i suoi allievi erano
divenuti più pronti, più sciolti, più agili, più padroni di se stessi.
Morgan si sentì, dunque, spinto a sottoporre i frutti del suo lavoro al
parere di un consiglio di professori ludicamente ben preparato (dato
che aveva favorito la nascita del basket e lo aveva lanciato alla
conquista del mondo). E' ancora, quindi, la Young Men's Christian
Association (YMCA) a fare da balia ad un gioco che doveva anch'esso
trovare larga diffusione in tutti i Paesi del nostro pianeta. Al collegio
di Springfield l'accoglienza fu buona, anche se la dimostrazione di
Morgan e dei suoi allievi si era mantenuta a livelli di estrema
normalità. Si era però capito che, con qualche modifica, il nuovo
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gioco poteva avere un decollo altrettanto felice e veloce di quello
della pallacanestro. Si cominciò col cambiargli il nome. "Minorette"
era troppo lezioso, poco adatto a favorirne la diffusione tra la
gioventù sportiva maschile.
A chiamarlo "volleyball" fu il Dottor Alfred T. Halstead, il quale rubò al
tennis il termine "volley" che, in quello sport, significava, appunto,
"colpo al volo". Il nome è felice, perché evidenzia la caratteristica
principale della pallavolo, quella cioè di colpire la palla prima che cada
al suolo, cioè sempre "di prima".
La nuova esperienza ludica viene fatta ben presto conoscere in tutto il
continente americano (Montesi, 1997). I collegi YMCA sono stati un
po' i centri promotori di una propaganda che trova nella essenza
stessa del gioco, nella sua apparente semplicità, nella sua carica
educativa i motivi di un successo che divenne in pochi decenni
universale.
Il volleyball approdò in Europa al seguito delle truppe americane
durante il primo conflitto mondiale. Dagli incrociatori americani
sbarcarono sulle coste bretoni, oltre a uomini e macchine, anche le
prime reti da volleyball, lunghe 8 metri, che appese ad alberi o a pali
conficcati nella sabbia, permettevano ai soldati di ricrearsi e
addestrarsi fisicamente.
Nel settembre del 1917 una commissione Ymca venne in Italia per
stabilire una forma di collaborazione col comando militare italiano. Si
giunse ad un accordo.
L’Ymca, servizio civile nella circostanza militarizzato, cominciò a
fornire le Case del Soldato di materiale vario, tra cui gli attrezzi
sportivi. I nostri soldati, abituati a partite di calcio e di palla vibrata,
si avvicinarono così per la prima volta a giochi quali il baseball e il
volleyball, che gli sportivissimi "yankees" del generale Pershing
praticavano su campetti rudimentali improvvisati tra le tende degli
accampamenti (YMCA, 1919).
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1.1 La Pallavolo in Italia
Il gioco della pallavolo cominciò a diffondersi nel primo dopo guerra
tra le forze armate nelle zone di seconda linea,dove gli americani
avevano le loro basi, in Lombardia (Brescia), Liguria (Vado), Emilia
(Ravenna), Toscana (Livorno); i reparti americani, insieme ai francesi
erano i maestri dei nostri apprendisti, ben presto coinvolti nella
passione per il nuovo sport. Accantonati i vecchi motivi di piazza
d’armi, si diede spazio ai giochi sportivi ed in special modo a quelli di
squadra, considerati i più adatti per sviluppare lo spirito di corpo
necessario alla vita di caserma.
Il volleyball rientrò subito nel novero dei giochi prescelti. Piaceva per
la sua semplicità di organizzazione; per l’esiguità del numero dei
giocatori capace di stimolare un alto grado di interdipendenza
reciproca; per la variabilità di situazioni motorie e psicologiche
evocate.
Già nell’autunno del 1919 si svolsero a Roma i primi campionati
Militari nazionali di Educazione Fisica. I campionati presero una
cadenza annuale a partire dal 1920.
Tuttavia, non era solo attraverso le fila dell’Esercito e della marina
militare o nei cortili di oratorii e conventi che la pallavolo si andava
diffondendo. Rapida nell’accogliere il nuovo sport fu anche la
Federazione Ginnastica Nazionale Italiana (F.G.N.I.), che incluse la
“palla al volo” nel programma tecnico delle proprie società a partire
dal 1922. Nonostante il bando, le società ginnastiche reagirono molto
tiepidamente all’invito della federazione e il 1922 passò senza che si
registrasse alcuna iniziativa a riguardo. Nel 1923 la Federazione
organizzo il torneo per decretare la prima squadra campione d’Italia,
con un incontro unico disputato a Roma che alla Farnesina che
assegnò forse il primo titolo italiano alla Guardia di Finanza. Era il 7
novembre 1923.
Ma la disciplina della pallavolo non riusciva a prender piede nelle
varie federazioni locali della F.G.N.I. , ma grazie l’Opera Nazionale del
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Dopolavoro (O.N.D.), fondata il 1 maggio 1925, con il compito di
pacificare gli aspri conflitti sociali ed economici di quegli anni
travagliati, ci fu il rilancio di questa disciplina. Dal 1926, si potè avere
una delle formazioni d’élite della pallavolo, il Dopolavoro Ferroviario.
Lo Sport aveva un ruolo preminente nei programmi dell’Opera. Nello
statuto si diceva esplicitamente che la missione dell’ente era di
“promuovere il sano e proficuo impiego delle ore libere dei lavoratori
con istituzioni dirette a sviluppare le loro capacità fisiche, intellettuali
e morali” (De Grazia, 1981).
Di primo acchito non è facile comprendere perché un gioco
relativamente sconosciuto come la palla a volo degli anni Venti,
praticato solo in ambito militare e da poche società ginnastiche, sia
stato prescelto come uno degli sport da diffondere tra le masse dei
lavoratori. In ogni modo, a livello ideologico e organizzativo, a favore
della pallavolo si avanzarono due ordini di considerazioni. In primo
luogo di carattere igienico-salutistico: il gioco venne presentato come
una variante, più divertente e spettacolare, della “medicine ball”,
utilizzata a scopo di esercizio medico sportivo anche nell’Onb, col
nome improprio di “palla rilanciata”. Si sottolineava il fatto che la
pallavolo era alla portata di tutti. Secondariamente, si guardava al
lato tecnico organizzativo, data la facilità con cui si poteva approntare
un campo e i pochi mezzi necessari a farlo.
La pallavolo nasce, quindi, come uno sport eminentemente di
ricreazione. Un gioco della palla senza violenza e i contatti di altre
discipline, con una valenza agonistica che si considerava molto
blanda, e dunque adatto alle ore del dopolavoro.
Ultima tra le federazioni sportive dell’OND, la Federazione Italiana
Palla a Volo (F.I.P.V.) si costituì fisicamente solo nel 1930 ed ebbe
sede a Roma, nei locali di via Capo d’Africa. Non ebbe vita semplice
nei primissimi tempi. Infatti, la disciplina dovette superare il favore
che la “volata” godeva negli ambienti delle gerarchie sportive, per
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potersi affermare, nel tempo, come lo sport di squadra più seguito ed
amato dai dopolavoristi.
La Toscana e la Liguria per prime risposero alle sollecitazioni della
Fipv. La provincia di Firenze iniziò la serie dei campionati provinciali
già nel marzo del 1929, seguita a ruota dalle province di Genova, La
Spezia, Imperia e Savona, queste ultime con formazioni composte
per la maggior parte da marinai in congedo.
Nel triennio 1930-32 il numero delle sezioni di Dopolavoro che
aprirono alla pallavolo dimostra l’interesse crescente che il nuovo
gioco suscitava: 580 squadre nel 1930; 639 nel 1931; 729 nel 1932.
La Direzione Tecnica provinciale di Genova nel 1934 divise le squadre
in due categorie, con un sistema di retrocessioni e promozioni.
Inoltre, stabilì delle norme precise per il trasferimento dei giocatori da
un Dopolavoro all’altro, trasferimento che doveva avvenire entro il 31
gennaio con diritto di precedenza al Dopolavoro presso cui il giocatore
lavorava.
Nel 1936 la Fipv mise mano allo statuto e al regolamento del ’29,
inadeguati ormai alla nuova stagione agonistica in programma. Venne
costituito un Consiglio Direttivo formato da un Presidente, un vice
presidente, un Segretario e da un Direttorio di 6 membri. Si stabilì
l’obbligo del tesseramento dei giocatori e venne abbassata la quota di
affiliazione annua a scopo propagandistico. Il campo fu portato alle
misure standard di 18 metri per 9; si uniformarono peso e
circonferenza del pallone; furono ammesse non più di due riserve a
squadra e non meno di 4 giocatori per parte. Soprattutto, fu
introdotto il criterio di rotazione dei singoli componenti della squadra
e limitato a tre il numero dei passaggi. L’evoluzione in senso
agonistico e spettacolare implicava una maggiore velocità del gioco e,
quindi, una preparazione tecnico-atletica che cominciava ad esulare
dai normali canoni “dopolavoristici” (CONI, 1936).
Nel luglio del 1936 la C.C.S. indisse il primo campionato italiano di
palla a volo maschile e femminile, con la collaborazione del