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Introduzione
Nel presente lavoro di tesi sarà ripercorsa l’evoluzione da un punto di vista crimino-
logico da Lombroso ai nostri giorni, passando inizialmente a definire il concetto di
antropologia criminale, scienza nata all’inizio del XIX secolo grazie all’impulso del-
la filosofia illuminista, idealista e positivista da una parte, e dalla medicina e psichia-
tria dall’altra. In questo clima di positivismo generale nasce l’idea, ancora oggi piut-
tosto diffusa, che le motivazioni genetiche e quindi biologiche dell’eziologia del cri-
mine rappresentino una chiave di lettura dell’azione criminosa, idea sviluppata ini-
zialmente tramite il determinismo biologico darwiniano e ripresa poi da Cesare
Lombroso. Si parlerà della sua più importante opera, l’Uomo delinquente del 1876, la
quale ebbe ben cinque pubblicazioni, arrivando a delineare chiaramente una schema-
tizzazione dei cosiddetti tipi criminali e in cui espose la celebre teoria dell’atavismo
secondo la quale la maggior parte dei delinquenti rappresentano regressioni lungo la
scala evolutiva, giungendo così a somigliare ai popoli “primitivi” o “atavici” e non
potendo sfuggire al proprio destino biologico.
L’eclettismo della sue teorie procurò subito a Lombroso un vasto seguito di allievi e
discepoli, tutti appartenenti alla famosa Scuola italiana di antropologia positiva e i
cui esponenti principali furono, oltre allo stesso Lombroso, i giuristi Enrico Ferri e
Raffaele Garofalo, i quali spiegarono anch’essi il fenomeno criminale, ma aprendosi
a posizioni differenti dal loro maestro. Infatti, il primo mostrò un interesse sempre
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maggiore per i fatti sociali affermando che anche la componente sociologica era im-
portante nei crimini, mentre il secondo studiò il reo e il crimine dal punto di vista
psicologico e il suo rapporto con il diritto.
Non vi è dubbio che le teorie bio - antropologiche abbiano avuto un grande seguito,
ed è per questo che si chiariranno, in particolare, le teorie basate sull’ereditarietà e i
tipi costituzionali di Kretschmer e Sheldon prima, e di Di Tullio poi. Vasto interesse
hanno suscitato anche le teorie basate sulla bio – chimica, con particolare riferimento
agli studi di Schoenthaler e Doraz. Successivamente, con il moltiplicarsi delle ricer-
che e delle conoscenze psicologiche, la scuola positiva assume un indirizzo psicopa-
tologico e psichiatrico e si vanno così diffondendo varie teorie a sfondo psicologico
come la teoria di Freud del delinquente per “senso di colpa”, la teoria della carenza
del Super-Io, la teoria della deprivazione affettiva di Bowlby e soprattutto la teoria
della frustrazione –aggressione di Dollard e Millar.
Certamente anche a livello sociologico si ricordano alcune teorie legate agli ambienti
o contesti criminogeni (teorie ecologiche della criminalità), la teoria delle associa-
zioni differenziali di Sutherland, quella delle identificazioni differenziali, del conflit-
to culturale, la teoria fondata sul concetto di anomia di Durkheim e Merton (secondo
cui maggiore è la tendenza anomica in una società, maggiore è la frequenza di reati
in quella stessa società). Spesso i comportamenti criminosi si manifestano nell'ambi-
to di subculture criminali che trasmettono ai propri membri dei valori strutturati tanto
quanto quelli propri della cultura generale non criminosa di cui le stesse sottoculture
fanno parte. I sociologi hanno anche evidenziato l'importanza dei processi di stigma-
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tizzazione nella formazione dell'identità criminale e nel suo consolidamento in un ve-
ro e proprio progetto di vita deviante. E per ultima, ma non meno importante, vi è la
teoria dell’etichettamento (labelling theory) la quale incentra l’attenzione sulle con-
seguenze negative della stigmatizzazione nei rapporti sociali.
Nel terzo e ultimo capitolo, si parlerà della Criminologia come scienza, prima chia-
rendo meglio i concetti di moderno e post-moderno, dopo analizzando la sua evolu-
zione storica dalle origini fino alle più recenti analisi post-moderne, mettendone in
rilievo la validità dell’approccio multidisciplinare e la crescente importanza e com-
plessità dei fattori sociali nelle cause e negli effetti dei fenomeni devianti e crimina-
li. Da un punto di vista disciplinare, la criminologia fa parte del più ampio spettro
delle cosiddette scienze criminali, quali il diritto penale, la penologia, il diritto peni-
tenziario, la psicologia giuridica, la criminalistica, pur differenziandosi da queste sia
per il campo di studio, sia per l’oggetto; ed è proprio l’ampiezza di quest’ultimo che
la caratterizza e la differenzia dalle altre scienze criminali. È definibile come una
scienza multidisciplinare, nel senso che in essa confluiscono diverse aree di cono-
scenza, e interdisciplinare, poiché si favorisce l’elaborazione di nuovi linguaggi, mo-
delli, e prospettive di ricerca. Le diverse scienze che in essa convergono non devono,
tuttavia, far pensare ad una sommatoria arbitraria che può portare solo ad una confu-
sione, ma piuttosto l’integrazione e l’interazione tra esse deve favorire e consentire
l’emergere di un tutto che è più della semplice somma delle singole discipline.
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CAPITOLO 1
LOMBROSO E L’ANTROPOLOGIA CRIMINALE
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1.1 Definizione e origini dell’antropologia criminale
Nella crescente specializzazione medica, l’antropologia criminale prende corpo dalla
sovrapposizione di alcuni capitoli comuni sia alla psichiatria che alla medicina lega-
le. In generale, il cliché del criminale ottocentesco nasce dal confluire di un comples-
so di molteplici motivi ideologici e scientifici.
In effetti, la filosofia illuminista, idealista e positivista propongono mutevoli e rin-
novate categorie per interpretare il fenomeno criminale. Il repentino sviluppo della
società nella prima fase dell’industrialismo nascente, con l’urbanesimo e
l’organizzazione alienante del lavoro fornisce in sintesi il materiale umano che di-
venta oggetto di studio.
La medicina, cerca per adeguarsi all’esigenza di conoscere il disagio umano e sociale
dell’individuo attraverso forme che sembrano destinate ad aumentare ancora di più e
per questo si muove con incerta problematicità tra neuroanatomia e biologia, e psico-
logia e sociologia. Quindi, da questo confluire di idee ideologiche e filosofiche da
una parte, e di indubbi dati oggettivi dall’altra , nasce appunto l’antropologia crimi-
nale, scienza che ha per inventore il nostro Cesare Lombroso.
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Lombroso si inserisce nel clima generale del positivismo, indirizzo filosofico nato in
Francia nella prima metà del XIX secolo e sviluppatosi in tutti i paesi europei, e
principale riferimento teorico per lo studioso veronese.
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M. Gibson, Nati per il crimine, Bruno Mondadori, Milano 2002, p. 20.
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La caratteristica distintiva del positivismo è la considerazione della scienza esaltata
come unica guida di vita dell’uomo.
Volendo delineare un quadro di fondo delle conseguenze a livello teorico, possiamo
affermare le seguenti tesi:
- la scienza è l’unica conoscenza possibile e il metodo della scienza è l’unico
valido.
- il metodo della scienza è puramente descrittivo, in quanto descrive i fatti stu-
diandone i rapporti costanti espressi dalle leggi che ne consentono la previ-
sione e in quanto mostra una genesi dei fatti più complessi a partire da quelli
più semplici.
- il metodo della scienza,essendo come si è già detto l’unico valido, va esteso a
tutti i campi d’indagine e dell’attività umana, la quale deve essere guidata da
esso.
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Quest’ultimo punto fa sì che l’uomo venga trattato come mero fenomeno, indagato
come un qualsiasi altro dato naturale e sottostà alle leggi naturali, anche nella sfera
psicologica. Infatti, per questo, le manifestazioni mentali ed emotive possono essere
spiegate a livello fisico e biologico.
A questo punto sorge una domanda: come si potrà parlare di libertà o di responsabili-
tà di un individuo che agisce esclusivamente in base alla sua natura biologica?
Proprio per questo allora c’è il positivismo sociale, il quale assumendo come modello
le scienze biologiche, intese la società come un tipo di organismo costituito da tante
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Google: Italia, http://www.ildiogene.it/EncyPages/Ency=positivismo.html, ultima consultazione:
15.09.2010.
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componenti, e ad un mal funzionamento di uno di questi componenti, si pensava che
era necessaria una adeguata correzione per ripristinare l’equilibrio.
Quindi sostenendo che le scienze umane dovevano modellarsi su quelle naturali, i
maggiori positivisti italiani, tra cui lo storico Pasquale Villari e il filosofo Roberto
Ardigò, criticarono tanto l’idealismo hegeliano quanto lo spiritualismo tanto caro ai
cattolici. Oltre alla fedeltà al metodo sperimentale, i pensatori positivisti condivide-
vano, anche una finalità morale. Nei primi decenni successivi all’unificazione, il po-
sitivismo diventò una “fede laica” dell’accademia italiana, al servizio di
un’importante funzione “etico - politica”.
Una funzione che doveva fornire al nuovo stato italiano le basi filosofiche moderne e
progressiste, intese a sostituire una religione che resisteva al cambiamento e si oppo-
neva al Risorgimento. Oltre all’impegno nei confronti dell’empirismo, i positivisti
italiani non avevano in comune alcuna dottrina rigida.
Nel campo positivista l’eclettismo affondava infatti le radici in diverse filosofie stra-
niere. Prima di tutto il termine stesso come si è già detto, ha trovato in Francia la sua
nascita ad opera di Auguste Comte, uno dei primi sociologi francesi.
Secondo Comte, storicamente la conoscenza si era evoluta attraverso tre stadi: lo sta-
dio teologico, ispirato alla rivelazione divina; lo stadio metafisico intermedio e fon-
dato su una filosofia astratta e infine lo stadio più elevato ovvero quello del ragiona-
mento empirico o propriamente positivo. Dal momento che le scienze fisiche, da ul-
timo la biologia, erano già entrate nello stadio del positivismo, secondo Comte le
scienze umane avrebbero presto fatto altrettanto.