Introduzione
Questa tesi si incentra sull’analisi della storia e della politica attuale del
Rwanda, un Paese che ha vissuto, nel 1994, uno dei peggiori genocidi della storia
mondiale contemporanea. Capire a fondo le cause di un conflitto che ha provocato
un numero così alto di vittime in tempi tanto brevi è essenziale per varie ragioni.
Innanzitutto vi è l’esigenza, a livello internazionale, di prevenire in futuro tragedie
di tali dimensioni. In secondo luogo, lo studio della formazione delle identità
etniche rwandesi permette di comprendere perché, a partire dal periodo della
colonizzazione, si è andata creando una frattura sempre più incolmabile
all’interno della società tra i rwandesi hutu e tutsi. Ciò è importante soprattutto
per impedire la diffusione di stereotipi legati al continente africano, alimentati in
primo luogo dai media, che vedono i conflitti che in tutto il XX secolo sono
esplosi in Africa come scontri tribali originati dalle rivalità tra etnie costrette a
convivere forzatamente all’interno di Stati i cui confini sono stati decisi
arbitrariamente dagli europei.
I conflitti africani hanno, in realtà, delle spiegazioni molto più complesse.
Nel caso specifico del Rwanda si vedrà come vari fattori hanno contribuito,
durante gli anni precedenti al genocidio, a portare la società a un livello di
tensioni tali da culminare nel massacro di quasi un milione di persone. Si tratta di
un evento che tuttora rimane molto impresso nella memoria e nella vita dei
rwandesi, e le cui responsabilità ricadono anche, e in larga parte, sulla comunità
internazionale e su alcuni governi occidentali in particolare. Analizzare le cause
del genocidio rwandese è utile anche per la comprensione dell’evoluzione politica
del Paese, in cui si è instaurato un regime (non molto differente da quello che ha
governato sino al 1994) che mantiene il potere da più di quindici anni e che gode
di una buona reputazione a livello internazionale.
Il fallimento delle missioni di peacekeeping delle Nazioni Unite in
Rwanda nel 1994 e la tragedia che ne consegue portano, apparentemente, gli attori
internazionali a ristudiare le loro politiche verso questo Stato e, più in generale,
verso i Paesi in via di sviluppo. Il risultato non sarà, però, pienamente
soddisfacente e, nonostante il Rwanda abbia fatto progressi in alcuni campi (come
quello economico) dal 1994, la situazione politica rwandese rimane ancora molto
5
critica e non rispecchia gli standard internazionali di democrazia e di rispetto dei
diritti umani riconosciuti, comunque, nella sua Costituzione del 2003.
Gli Stati occidentali, pur facendosi promotori di una serie di principi
ritenuti di valore fondamentale, continuano a basare le loro politiche verso il
continente africano principalmente su considerazioni strategiche e geopolitiche.
La transizione dal regime di Habyarimana (1973-1994) a quello di Kagame
rispecchia, a livello internazionale, il passaggio del Rwanda da Paese francofono e
partner privilegiato della Francia a Paese sempre più integrato nella sfera africana
orientale anglofona, sostenuto principalmente da Stati Uniti e Gran Bretagna.
La struttura del testo ha come punto di partenza un’analisi storica del
Rwanda, effettuata nel primo capitolo, dalla colonizzazione alla guerra civile del
1994. Attraverso una breve descrizione del funzionamento della società rwandese
prima dell’arrivo dei colonizzatori, si cercherà di comprendere come le politiche
coloniali, inaugurate dai tedeschi e sviluppate in misura maggiore dai belgi, hanno
stravolto gli equilibri esistenti in Rwanda. Al momento dell’indipendenza, infatti,
il Rwanda ha una struttura societaria mai conosciuta prima dell’arrivo degli
europei, basata essenzialmente sull’appartenenza all’etnia hutu o tutsi. Attraverso
l’imposizione delle carte d’identità etniche, infatti, i belgi stigmatizzano le
differenze etniche, passando dall’appoggiare in una prima fase il gruppo
minoritario, i Tutsi, e successivamente, alla vigilia dell’indipendenza, gli Hutu.
All’indipendenza seguono circa trent’anni di tensioni che sfociano, prima che nel
genocidio dei Tutsi del 1994, nei massacri degli anni ’60 e ’70 e poi nella guerra
civile del 1990, a cui non si riesce a porre termine neanche dopo mesi di negoziati
tra le due parti in conflitto ad Arusha.
Nella seconda e terza parte del primo capitolo verranno analizzate le
responsabilità dei principali attori occidentali (come la Francia e gli Stati Uniti) e
della comunità internazionale in generale, con un particolare accento sulle
missioni fallimentari dell’ONU.
Seguirà, poi, il secondo capitolo, in cui ci si propone di analizzare le
caratteristiche e le politiche del regime di Kagame, instauratosi al termine del
genocidio e tuttora al governo del Paese.
In una prima parte saranno prese in considerazione le dinamiche politiche
che portano ad un sempre maggiore accentramento dei poteri nelle mani del
partito dominante (il Fronte patriottico rwandese) e all’esclusione delle
opposizioni dalla vita politica del Paese. Ci si concentrerà su alcune specifiche
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politiche che limitano l’esercizio delle libertà civili e politiche dei cittadini
rwandesi e sugli abusi commessi dal regime, in larga parte ignorati dalla comunità
internazionale.
Un paragrafo sarà dedicato al tema della giustizia, un settore molto
delicato perché, se da una parte è essenziale alla ricostruzione di una società che
ha l’esigenza di punire gli autori del genocidio (e delle successive rappresaglie),
dall’altra rappresenta una potenziale arma politica nelle mani del regime.
Nell’ultima parte del secondo capitolo si farà una breve descrizione delle
relazioni instaurate dal governo di Kagame sia con gli Stati occidentali più
rilevanti per la storia rwandese (Stati Uniti e Francia, a cui si aggiunge la Gran
Bretagna come nuovo partner), sia con i Paesi dell’Africa orientale, con l’entrata
del Rwanda nell’East African Community. Una parte sarà dedicata, in particolare,
all’analisi della situazione del Congo orientale, zona critica e in conflitto ormai da
anni, su cui il Rwanda ambisce ad estendere la propria influenza, trattandosi di
una regione molto ricca di risorse naturali.
L’ultimo capitolo sarà incentrato sullo studio dei rapporti tra il Rwanda e i
donatori internazionali (sia bilaterali che multilaterali) prima e dopo il genocidio.
A seguito di una breve introduzione sulle tendenze inaugurate dai donatori
internazionali alla fine della Guerra Fredda nelle politiche allo sviluppo (con il
nuovo accento posto sulla condizionalità rispetto a principi come i diritti umani o
la good governance), si cercherà, in primo luogo, di comprendere in che modo le
strategie promosse dalla comunità internazionale in Rwanda hanno influenzato
l’acuirsi delle tensioni e lo scoppio del conflitto del 1994. Ci si riferisce in
particolare al piano di aggiustamento strutturale imposto dalla Banca Mondiale e
alle pressioni della comunità internazionale sul regime di Habyarimana per
un’apertura democratica, parallele a quelle per il raggiungimento di un accordo di
pace. Si cercherà anche di descrivere brevemente il ruolo delle ONG nella fase di
emergenza immediatamente successiva al conflitto.
Verranno, poi, evidenziati i campi su cui i donatori decidono di investire di
più (primo tra tutti quello della giustizia) e si cercherà di dimostrare come la
condizionalità degli aiuti rimanga quasi totalmente inapplicata al caso rwandese
(attraverso l’esempio del nuovo donatore principale del Rwanda, il DFID
britannico).
Infine, si prenderanno brevemente in considerazione le strategie adottate
dal governo di Kagame, in concomitanza con le istituzioni finanziarie
7
internazionali, per combattere la povertà, un problema tuttora molto diffuso nel
Paese, legato alle crescenti disuguaglianze tra ricchi e poveri all’interno della
società.
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Sigle e Abbreviazioni
AFDL Alliance de forces démocratiques pour la libération du Congo-Zaire
APR Armée patriotique rwandaise
APROSOMA Association pour la promotion sociale de la masse
CDR Coalition pour la défence de la République
CMAG Commonwealth Ministerial Action Group
DFID Department for International Development
DMI Directorate of Military Intelligence
EAC East African Community
FAR Forces Armées Rwandaises
FDLR Forces démocratiques de libération du Rwanda
FDU-Inkingi Forces démocratiques unifiées
FPR Front patriotique rwandais
HIPC Heavily Indebted Poor Countries
ICRC International Committee of the Red Cross
I-PRSP Interim Poverty Reduction Strategy Paper
MLC Mouvement de Libération du Congo
MDR Mouvement Démocratique Républicain
Mouvement Révolutionnaire Nationale pour le Développement (et la
MRND(D)
Démocratie)
MSF Médecins Sans Frontières
MOE UE Mission d’Observation Electorale de l’Union Européenne
Mission de l’Organisation des Nations Unies en République démocratique
MONUC
du Congo
NMOG Neutral Military Observer Group
NRA National Resistance Army
ODA Official Development Assistance
OUA Organizzazione per l’Unità Africana
PARMEHUTU Parti du mouvement et de l’émancipation Hutu
PDC Parti Démocrate-Chrétien
PDI Parti Démocrate Islamiste
PDR-Ubuyanja Parti Démocratique pour le Renouveau
Parti Libéral
9
PRSP Poverty Reduction Strategy Paper
RDR Rassemblement pour la Démocratie au Rwanda
RRWF Rwanda Refugees Welfare Association
RTLM Radio-Télévision Libre des Mille Collines
SAC Structural Adjustment Credit
TPIR Tribunale penale internazionale per il Rwanda
UNAMIR United Nations Assistance Mission for Rwanda
UNAR Union nationale rwandaise
UNOMUR United Nations Observer Mission Uganda-Rwanda
UNOSOM United Nations Operation in Somalia
UPDF Uganda People’s Defence Force
UPDR Union Patriotique Démocratique Rwandaise
USAID United States Agency for International Development
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CAPITOLO I
Il genocidio rwandese e la comunità internazionale
I.1 Hutu-Tutsi e la formazione dell’identità etnica
I.1.1 La “politique de race” delle amministrazioni tedesca e
belga
Il genocidio rwandese, spesso paragonato allo sterminio degli ebrei
durante la Seconda Guerra Mondiale, rappresenta uno degli eventi più sanguinosi
del XX secolo. Oggi non è più possibile negare che il massacro di circa 800 mila
persone si sarebbe dovuto e potuto evitare; i segnali di ciò che stava per accadere
infatti esistevano ed erano ben chiari, ma nessuno degli attori internazionali più
influenti decise di occuparsi della questione. Inoltre intorno alla vicenda rwandese
ci fu fin dall’inizio, per lo meno nell’opinione pubblica del mondo occidentale,
una grande confusione relativa alle cause del conflitto. I media durante tutto il
periodo del genocidio scelsero di dare una lettura di ciò che stava accadendo in
Rwanda in chiave di “conflitto etnico”, nascondendo dietro l’idea di un’Africa
dilaniata da guerre tribali e selvagge (per le quali, dunque, l’Occidente non
avrebbe potuto fare più di tanto) l’esistenza di quei malesseri sociali (dovuti a
fattori come la povertà estrema o la continua crescita demografica) che invece ne
1
erano la causa primaria. Descrivere il genocidio rwandese come uno scontro
2
“etnico” tra Hutu e Tutsi è profondamente inadeguato; i massacri sono stati infatti
organizzati dettagliatamente da un regime politico attraverso l’uso di una
propaganda estremista che ha incitato alla violenza l’intera popolazione, per cui
sembra più appropriato classificare le uccisioni di massa in Rwanda non come il
risultato di scontri tribali o etnici ma piuttosto come un genocidio politico nel
1
Roberto Cavalieri, Balcani d’Africa: Burundi, Rwanda, Zaire oltre la guerra etnica, Torino, EGA,
1997, p.29.
2
Anne Makintosh, Rwanda: Beyond “Ethnic Conflict”, in “Development in Practice”, Vol. 7, No. 4,
p.470.
11
3
senso moderno del termine.
Prima dell’arrivo dei colonizzatori, all’interno della società rwandese, non
4
esiste nessun tratto oggettivo su cui cristallizzare le coscienze etniche. Sono
5
proprio gli europei ad inventare il “gioco delle razze” e a scegliere i Tutsi per
ricoprire le posizioni più importanti all’interno dell’apparato amministrativo
coloniale; scelta dettata esclusivamente dal fatto che sono loro a capo del sistema
politico nel momento i cui arrivano i tedeschi.
La colonizzazione modifica profondamente la natura politica del Paese (la
stessa cosa avviene in Burundi, Paese vicino e gemello del Rwanda): le relazioni
economiche e sociali diventano sempre più inique e sfavorevoli per gli Hutu,
mentre cresce il potere di un’esigua minoranza di tutsi (e non della maggioranza
6
che invece appartiene alla massa dei contadini poveri).
Nel Rwanda precoloniale esistevano tre gruppi, Hutu, Tutsi e Twa, che,
dal 1400 circa, convivevano all’interno di una struttura di potere gerarchizzata e
centralizzata condividendo la stessa cultura, parlando la stessa lingua (il
7
kinyarwanda) e credendo nello stesso Dio. Secondo una delle teorie più
accreditate, i Tutsi (circa il 15% della popolazione) sarebbero giunti in Rwanda
intorno al XIII secolo dall’Etiopia, essendo prevalentemente pastori ed allevatori.
Gli Hutu (l’84% della popolazione) erano dediti soprattutto all’agricoltura, e
sembra fossero giunti in Rwanda dal Camerun nel primo millennio d.C.. I Twa
(l’1% della popolazione) erano gli abitanti autoctoni della regione prima
dell’arrivo di Hutu e Tutsi, cacciatori e artigiani di origine pigmoide. Con il
passare degli anni si crea una forte commistione tra i tre gruppi (grazie anche alla
pratica dei matrimoni misti) per cui all’arrivo degli europei non è già più possibile
una distinzione tra i gruppi su base etnica; una distinzione forse più plausibile (ma
ancora imprecisa come si vedrà) potrebbe essere quella relativa alle caste o classi
sociali, nel senso che i Tutsi solitamente erano più ricchi in quanto possessori di
terre e bestiame, ma senza nessuna connotazione razziale.
I primi europei che giungono in Rwanda (nella seconda metà del XIX
3
Jean-Pierre Chrétien, Un “Nazisme tropical” au Rwanda? Image ou logique d’un génocide, in
“Vingtième Siècle. Revue d’histoire”, No. 48, 1995, p.131.
4
José Kagabo, Claudine Vidal, L’exterminacion des Rwandais tutsi, in “Cahiers d’Études Africaines”,
Vol. 34, Cahier 136, 1994, p.543.
5
Rodolfo Casadei, Angelo Ferrari, Rwanda-Burundi: una tragedia infinita, perché?, Bologna, EMI,
1994, p.9.
6
Jean-Pierre Chrétien, L’Afrique des Grands Lacs: deux mille ans d’histoire, Paris, Aubier, 2000, p.173.
7
Peter Uvin, Ethnicity and Power in Burundi and Rwanda: Different Paths to Mass Violence, in
“Comparative Politics”, Vol. 31, No. 3, 1999, p.255.
12
secolo) si trovano davanti ad una situazione in cui alla divisione della popolazione
nei tre gruppi non corrisponde anche una diversità linguistica o culturale, ma al
8
contrario vi è una totale omogeneità. La guida del regno è in mano al re, il
mwami, che governa con l’aiuto di alcune famiglie tutsi in un sistema molto
simile al feudalesimo europeo. È bene comunque specificare che il potere non è
tutto nelle mani dei Tutsi e che quindi non è del tutto corretto parlare di classe
sociale hutu o tutsi perché spesso le classi non coincidono con le etnie e vi è anzi
una forte mobilità sociale tra i due gruppi.
La Germania aveva ottenuto, come conseguenza degli accordi presi alla
Conferenza di Berlino del 1884, i territori del Rwanda e del Burundi; insieme ai
tedeschi arriva in Rwanda anche il gruppo missionario dei Padri Bianchi che
inizia un’opera di evangelizzazione da cui le famiglie aristocratiche rwandesi
inizialmente si tengono lontane, mentre avrà grande presa sulla massa dei
contadini, che vedono gli europei come la loro occasione per liberarsi
9
dall’oppressione in cui versano. In realtà, proprio la forma di dominazione dei
Tutsi (intesi come classe sociale privilegiata e non come etnia) sugli Hutu trovata
dagli europei al loro arrivo verrà interpretata come superiorità dei primi nei
confronti dei secondi, e servirà da spunto per lo sviluppo dell’ipotesi hamitica.
Secondo questa teoria i Tutsi sono gli “Hamiti”: hanno cioè origine nilotica e
tratti somatici più simili agli europei (alti e slanciati con nasi affilati e la pelle più
chiara rispetto agli altri gruppi), prova inconfutabile della loro superiorità. Gli
Hutu invece hanno tutte le caratteristiche tipiche dei negroidi e quindi
rappresentano la “razza” inferiore; nell’ultimo gradino della scala sociale si
trovano i Twa. L’idea di “razza” viene introdotta proprio in questo periodo,
accentuando un dualismo Hutu-Tutsi che l’antropologa Michela Fusaschi
10
definisce come “finzione coloniale”.
Per quanto riguarda le politiche coloniali, i tedeschi instaurano un sistema
di amministrazione indiretta, che sarà inizialmente ripreso anche dai belgi, in cui
le strutture sociali ed economiche del Paese restano praticamente intatte. Le
autorità coloniali mantengono nominalmente la sovranità del mwami e per
governare si appoggiano alle élites al potere, incoraggiando la centralizzazione del
sistema politico e amministrativo. Il controllo delle autorità tedesche sul territorio
8
Michela Fusaschi, Hutu-Tutsi. Alle radici del genocidio ruandese, Torino, Bollati Boringhieri, 2000,
p.58.
9
J. P. Chrétien, L’Afrique des Grands Lacs, cit., p.178.
10
M. Fusaschi, op. cit., p.94.
13
rimane comunque molto debole; ciò che interessa alla Germania infatti è
soprattutto difendere le frontiere dai belgi e dagli inglesi e aprire il Rwanda al
commercio.
Nel 1919, dopo la sconfitta della Germania nella Prima Guerra Mondiale,
il Rwanda (insieme al Burundi) diviene, su mandato della Società delle Nazioni,
11
un protettorato del Belgio. L’intento iniziale dei belgi è quello di seguire il
modello adottato dall’amministrazione tedesca, ma in poco tempo si decide di
intervenire per riorganizzare il territorio, distruggere alcuni simboli fondamentali
della società rwandese (tra cui quelli relativi alla regalità) e abolire figure come
quelle dei capi locali. I belgi estremizzano l’opposizione Hutu-Tutsi affidando ai
secondi (intorno ai quali si era creato un vero e proprio mito dovuto alle loro
presunte origini) le redini del potere e introducendo il lavoro forzato per i primi,
che determina la nascita di un profondo risentimento in vari strati della
12
popolazione hutu. In questo processo di avvicinamento tra belgi e Tutsi un ruolo
fondamentale è svolto dalle missioni della Chiesa cattolica; infatti, se in un primo
momento sono gli Hutu ad avvicinarsi alle missioni, con l’amministrazione belga
l’educazione scolastica, affidata interamente ai missionari, diviene un fattore
essenziale per l’accesso alle cariche pubbliche e i Tutsi iniziano a confluirvi in
massa. I missionari, in questa fase iniziale, fanno di tutto per assecondare i voleri
dell’amministrazione coloniale e decidono addirittura di creare classi diverse per
13
Hutu e Tutsi. Ciò nonostante, però, cresce la presenza degli Hutu nelle scuole dei
missionari, che diventano il principale veicolo della cristianizzazione ma
soprattutto rappresentano un pericolo per l’amministrazione coloniale che guarda
14
con preoccupazione all’alfabetizzazione della massa dei contadini. Ed è forse
proprio per questo motivo che, dall’inizio degli anni ’30, i missionari si sentono in
dovere di formare nelle loro scuole solo individui tutsi che, in questo modo,
consolidano la loro posizione a discapito degli Hutu. È così che si crea sempre più
forte nell’immaginario dei rwandesi una contrapposizione etnica che in realtà
prima di allora non era mai esistita e che viene in qualche modo istituzionalizzata
quando, nei primi anni ’30, gli amministratori coloniali procedono a un
censimento della popolazione e decidono di introdurre delle carte d’identità (che
saranno poi ampiamente utilizzate durante il genocidio per individuare le persone
11
J. P. Chrétien, L’Afrique des Grands Lacs, cit., p.226.
12
Jean-Léonard Touadi, Congo, Ruanda, Burundi: le parole per conoscere, Roma, Editori riuniti, 2004,
p.20.
13
R. Casadei, A. Ferrari, op. cit., p.75.
14
M. Fusaschi, op. cit., p.117.
14
da uccidere) in cui viene specificata l’appartenenza etnica degli individui. In realtà
in molti casi risulta difficile trovare dei criteri oggettivi per determinarla, al punto
che si decide, nei casi di incertezza, di classificare come Tutsi chi possedeva più
15
di dieci capi di bestiame, e come Hutu chi ne possedeva meno di dieci. Ciò
costituisce una conferma del fatto che non esiste nella realtà una netta linea di
divisione tra le due etnie; essa viene introdotta artificialmente e forzatamente ad
opera dell’amministrazione coloniale ed avrà delle ripercussioni su tutta la storia
del Rwanda dagli anni ’50 fino al tragico epilogo del genocidio.
Proprio negli anni ’50, comunque, una serie di fattori determinano dei
grossi cambiamenti all’interno della società rwandese. Intanto perché nelle scuole
cattoliche si è effettivamente concretizzato il timore principale dei belgi, e cioè
che la formazione di una élite istruita hutu li renda coscienti della loro totale
esclusione dagli incarichi pubblici, portandoli così alla rivendicazione dei propri
diritti. Un secondo fattore è l’arrivo in Rwanda, nello stesso periodo, di un nuovo
gruppo di missionari profondamente influenzato dagli ideali del cattolicesimo
sociale che si sta diffondendo in quegli anni in Europa. I missionari iniziano a
denunciare le condizioni dei contadini poveri e dei braccianti e dalle loro scuole
emerge un personaggio, Gregoire Kayibanda, che si farà portavoce delle
rivendicazioni politiche degli Hutu, fonderà negli anni successivi il partito
16
PARMEHUTU e sarà il primo presidente eletto della Repubblica Rwandese.
Nel frattempo anche da parte dell’amministrazione coloniale si registra un
cambiamento di posizioni; nel 1946 il Rwanda diviene un territorio fiduciario
delle Nazioni Unite che ne affidano la tutela al Belgio, ma alla condizione che
vengano rispettati alcuni criteri (come la democratizzazione delle istituzioni e la
concessione dell’indipendenza). L’amministrazione belga dunque, pur non
abbandonando la politica di sfruttamento e di divisione etnica, deve procedere a
una serie di riforme, a partire da quella elettorale, per cui vengono istituiti dei
consigli elettivi in vista di una consultazione popolare (a suffragio universale
maschile) che si sarebbe svolta nel 1956. La consultazione non fa che riaffermare
il predominio dei Tutsi (perché evidentemente non vi sono ancora formazioni
politiche dell’altro schieramento), deludendo le aspettative delle élites hutu,
ancora una volta escluse da qualsiasi posizione di potere, e rafforzando il loro
movimento di emancipazione. Viste le proteste crescenti nel Paese,
15
A. Makintosh, op. cit., p.471.
16
R. Casadei, A. Ferrari, op. cit., p.78.
15
l’amministrazione belga è costretta a interessarsi ai problemi della massa dei
contadini; ciò crea allo stesso tempo delle forti tensioni con i Tutsi che temono di
perdere i loro privilegi e che iniziano un’opera di propaganda anticoloniale per
ottenere l’indipendenza dal Belgio. Da questo momento i belgi capovolgono la
loro strategia rompendo l’alleanza che fin dall’inizio li legava ai Tutsi e
decidendo di appoggiare gli Hutu. Ciò segna l’inizio di un periodo in cui la lotta
politica tra i due gruppi, che ormai trovano la loro legittimazione nel criterio,
imposto dagli europei, dell’appartenenza etnica, si radicalizza sempre di più; tra
chi cerca di conquistare nuovi privilegi e chi vuole difendere quelli che già
possiede si creano delle tensioni che non si riescono a stemperare e che
troveranno sfogo, prima che nel 1994, in altre situazioni, a partire dalla
17
rivoluzione del 1959.
I.1.2 La rivoluzione “sociale” del 1959 e l’indipendenza
Dalla metà degli anni ’50 si respira in tutto il Paese un clima infiammato,
in cui le tensioni sociali vengono continuamente alimentate da quelli che ormai
sono divenuti due veri e propri schieramenti che a breve inizieranno a
istituzionalizzarsi in partiti politici. Tra il 1958 e il 1962 la piccola élite hutu, che
si era formata nelle scuole cattoliche, rovescia la monarchia rwandese e dà vita a
quella che sarà ricordata negli anni successivi come “rivoluzione sociale”. Ciò
avviene con la connivenza dell’amministrazione coloniale che, come si è visto,
nell’ultimo periodo aveva deciso di appoggiare gli Hutu, sia per un ritrovato
attaccamento alle istituzioni rappresentative (imposto in realtà dal sistema delle
Nazioni Unite) sia, e soprattutto, per il timore dell’élite tutsi, sempre più animata
18
da sentimenti anticoloniali e indipendentisti.
Particolare importanza riveste un documento stilato da un gruppo di
attivisti hutu guidati da Kayibanda nel 1957, che diverrà noto come “Manifesto
dei Bahutu”, e che verrà utilizzato nel 1994 per legittimare l’eliminazione dei
19
Tutsi. Si tratta di un documento animato da forti sentimenti razzisti (viene per la
prima volta utilizzato dai rwandesi il termine “razza” per classificare Hutu, Tutsi e
17
Carlo Carbone, Burundi, Congo, Rwanda. Storia contemporanea di nazioni, etnie, Stati, Roma,
Gangemi, 2000, p.38.
18
P. Uvin, Ethnicity and Power in Burundi and Rwanda, cit., p.256.
19
M. Fusaschi, op. cit., p.131.
16