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Lo scopo è quello di delineare un quadro chiaro delle alternative che si presentano alle imprese
costrette a ridurre le proprie emissioni di gas serra, e poste di fronte alla scelta tra i costi
dell’abbattimento interno ed il ricorso al mercato del carbonio.
Questo nuovo mercato globale è stato poi analizzato nella sua struttura, osservando i segmenti
e gli assets che lo compongono, le dimensioni attuali in termini di volume e di valore, ed il
modo in cui è evoluto negli ultimi anni.
Il Secondo Capitolo si conclude con un bilancio dell’efficacia del Protocollo di Kyōto nel suo
complesso, operando un’analisi su tre fronti: il differente grado con cui sono stati osservati gli
impegni assunti da ciascuno Stato vincolato a ridurre o controllare attivamente le proprie
emissioni; il raggiungimento complessivo del target prefissato dal trattato; l’utilità di questo
strumento internazionale ai fini dell’effettiva mitigazione dei cambiamenti climatici.
Nel Terzo Capitolo l’attenzione è stata focalizzata sull’Unione Europea, e sulla sua
implementazione del Protocollo di Kyōto. L’analisi si è rivolta dapprima a verificare il sistema
con cui l’Unione Europea ha ridistribuito gli impegni di abbattimento/controllo delle emissioni
tra i suoi Stati membri: il Capitolo si apre dunque con la presentazione degli oneri differenziati
stabiliti dal “Burden Sharing Agreement” e con un’analisi di questo sistema di allocazione dei
target nazionali.
In seguito si è guardato al trend ed al livello delle emissioni in Europa, verificando la probabilità
di un effettivo raggiungimento degli obiettivi fissati da Kyōto per l’UE.
La ragione dei progressi europei è stata ricercata negli strumenti istituiti a livello comunitario:
primo fra tutti l’Emission Trading Scheme comunitario. Questo sistema di scambio dei permessi
di emissione è stato analizzato nelle sue due fasi di attuazione: quella sperimentale, dal 2005
al 2007, e quella effettiva in vigore dal 2008 al 2012, che dovrebbe servire al raggiungimento
degli obiettivi di Kyōto.
A fronte delle imperfezioni di questo meccanismo flessibile intra-europeo, comunque il più
grande ed il più importante al mondo, si è scelto di prestare particolare attenzione alle
innovazioni predisposte per la fase che seguirà alla scadenza del Protocollo di Kyōto, sulla base
degli impegni che l’Unione Europea ha fissato unilateralmente per il periodo 2102 – 2020.
Il “Pacchetto Clima-Energia”, vincolante per gli Stati dell’Unione Europea, è stato così
analizzato in modo approfondito, guardando con occhio economico ai costi comportati da
ciascuna misura; la peculiarità di questo Piano, informalmente chiamato “20-20-20”, risiede
nella connessione della politica contro le emissioni ad una più ampia strategia energetica di
miglioramento dell’efficienza e di espansione delle fonti rinnovabili.
I costi comportati da queste innovazioni vengono seguiti da una presentazione degli interessi
perseguiti dall’Unione Europea e da una stima dei costi che dovrebbero provenire in futuro
dall’impatto dei cambiamenti climatici sul territorio europeo, in assenza di politiche di riduzione
delle emissioni.
La quinta parte del Terzo Capitolo, poi, è dedicata specificamente all’identificazione degli
interessi economici che guidano l’azione dell’Unione Europea contro il climate change.
L’assunto di partenza, infatti, presuppone che l’UE tragga dei benefici netti dal suo impegno sul
fronte climatico, ed in particolare dall’interconnessione della politica contro le emissioni alla
8
strategia di sicurezza energetica: il paragrafo 3.5 illustra quali sono questi interessi, ed il modo
in cui essi rafforzano l’impegno europeo sul fronte climatico.
Il Capitolo Terzo, infine, si chiude con un’analisi politica della strategia perseguita dall’UE per
assumere la leadership internazionale delle politiche e delle negoziazioni multilaterali sul clima.
Il Quarto Capitolo, poi, permette di sottoporre le ambizioni europee alla prova dei fatti, a fronte
del più recente tentativo di stipulare un nuovo accordo di portata globale contro il climate
change: la Conferenza di Copenhagen.
Questo appuntamento, programmato per dicembre 2009, aveva generato aspettative diffuse e
piuttosto ambiziose nella società internazionale e tra le organizzazioni non-governative. Per
confrontare queste attese con l’esito effettivo delle trattative, il documento prodotto dal
vertice, noto come “Copenhagen Accord”, viene analizzato nella prima parte del Quarto
Capitolo; esso si compone di due Appendici, in cui gli Stati industrializzati avanzati ed i paesi in
via di sviluppo riportano rispettivamente i propri impegni di abbattimento delle emissioni per il
futuro e le misure di adattamento e di mitigazione che intendono adottare a livello domestico.
L’efficacia dell’Accordo di Copenhagen e dei target finora presentati dalle Parti, nella forma non
vincolante e non definitiva in cui si presenta attualmente, viene discussa in conclusione al
paragrafo 4.2.
Nella seconda parte del capitolo si procede ad analizzare la posizione di Stati Uniti e di Cina in
merito alle politiche contro i cambiamenti climatici, e le ragioni economiche della loro scarsa
propensione all’abbattimento giuridicamente vincolante delle emissioni. Questi due Paesi,
infatti, sono responsabili della quota maggiore di gas serra rilasciati oggi a livello mondiale, ed
entrambi hanno una spiccata propensione all’unilateralismo, e peculiari interessi da proteggere
in campo energetico.
A fronte dell’esito della Conferenza di Copenhagen, la strategia europea volta al
raggiungimento della leadership internazionale viene messa in questione, e nell’ultimo
paragrafo è possibile avere un’anticipazione delle modifiche e degli assestamenti che l’Unione
Europea sembra intenzionata ad introdurre nella propria strategia negoziale per il futuro.
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10
-Capitolo primo-
I CAMBIAMENTI CLIMATICI COME PROBLEMA
GEO-ECONOMICO
11
1 – I CAMBIAMENTI CLIMATICI
COME PROBLEMA GEO-ECONOMICO
Nel corso dei lavori preparatori per la stesura di questa tesi si è reso necessario rispondere a
molte domande e approfondire diverse questioni. Sebbene le spiegazioni comunemente
divulgate su cosa sia il surriscaldamento globale e che cosa abbia condotto ai cambiamenti
climatici siano puntuali e di facile comprensione, generalmente le cause di questi fenomeni
vengono illustrate in sede separata, e raramente i testi altamente scientifici o i documenti
istituzionali si soffermano sull’esplicazione dei nessi causali basilari. La curiosità e l’esigenza di
avere un quadro completo dell’argomento che mi accingevo a trattare mi hanno condotta a
ricercare le origini di questi problemi ambientali, facendo necessariamente riferimento a
discipline diverse dall’Economia. Sulla scorta degli approfondimenti effettuati è stata così
creata un’Appendice inserita in coda a questa tesi, in cui è possibile rinvenire le spiegazioni
scientifiche e qualche informazione aggiuntiva sui cambiamenti climatici di origine antropica. In
particolare, al paragrafo 1 dell’Appendice sono stati riportati alcuni dati specifici sui
combustibili fossili, analizzando i principali vettori energetici compresi nella categoria,
l’evoluzione storica del loro utilizzo, e le alterne vicende nello sfruttamento di ciascuna fonte
non rinnovabile dall’avvio della Rivoluzione Industriale ai nostri giorni.
Sempre in Appendice, al paragrafo 2, viene fornita una spiegazione scientifica dell’effetto serra
e dei principali gas serra: per ciascuna sostanza responsabile di influire sull’alterazione
climatica sono state rintracciate le principali fonti di emissione, all’interno dei vari settori
dell’attività umana.
Il Primo Capitolo di questa tesi presuppone la padronanza di tali informazioni pregresse, e si
concentra esclusivamente sull’analisi geopolitica delle emissioni clima-alteranti a livello
mondiale, ma per chi desiderasse approfondire il passaggio che collega il rilascio dei gas serra
nell’atmosfera al risultante aumento della temperatura globale media, è stato predisposto il
paragrafo 3 in sede di Appendice.
Un ultimo approfondimento è stato infine dedicato alle concrete manifestazioni del
cambiamento climatico: quelle in atto, quelle attese per il futuro entro la più probabile cornice
di evoluzione, e tutti i rischi e le incertezze connessi ai diversi scenari di surriscaldamento
globale (paragrafo 4, Appendice). Sulla base di queste informazioni è possibile comprendere in
modo più pieno e maturo il senso del paragrafo 1.2, nodo centrale di questo primo Capitolo,
volto ad esplicitare le ragioni per cui “i cambiamenti climatici sono una questione economica”.
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1.1 – PASSATO, PRESENTE, FUTURO E GEOPOLITICA DELLE EMISSIONI
Intendendo con il termine “Gas Serra” – GHGs, dall’Inglese Greenhouse Gases – alcuni
composti allo stato gassoso responsabili di provocare un innalzamento della temperatura
globale media in virtù della loro proprietà riflettente dei raggi termici infrarossi, è possibile
convenire che, a livello mondiale, le emissioni di queste sostanze sono cresciute con un
andamento inflessibile a partire dall’inizio della Rivoluzione Industriale.
Al paragrafo 2 dell’Appendice sono stati analizzati i principali GHGs, la cui lista può essere
ristretta a biossido carbonio (CO2), metano (CH4), ossido di diazoto (N2O), alocarburi (CFC, HFC,
HCFC, PFC), esafluoruro di zolfo (SF6), ozono (O3) e vapore acqueo (H2O), insieme alle fonti che
li generano; è stato così possibile osservare come quasi tutti vengano rilasciati sia da fenomeni
naturali, sempre avvenuti nella storia del Pianeta, sia da attività antropiche. È allora evidente
che prima dell’avvento della Rivoluzione Industriale molte delle attività umane che producono
gas serra non esistevano cosicché, in definitiva, fino all’anno 1700 circa le emissioni
antropogeniche di gas serra erano trascurabili, poiché non andavano ad incidere sulle
concentrazioni1 atmosferiche degli stessi.
Solo negli ultimi 200 anni, invece, secondo i dati forniti dal working paper “Navigating the
Numbers. Greenhouse Gas Data and International Climate Policy”2 pubblicato nel 2005 dal
World Resources Institute, sono state rilasciate nell’atmosfera più di 2,3 miliardi di miliardi di
tonnellate di anidride carbonica, ed esclusivamente in seguito al consumo dei combustibili
fossili ed alle modifiche nell’utilizzo del suolo; il 50% di queste emissioni, poi, sono avvenute
solo nei 30 anni compresi tra il 1974 ed il 2004.
Secondo i dati custoditi dal Climate Analysis Indicators Tool –CAIT-, nel 18503 vennero emesse
a livello mondiale 197,9 Mega Tonnellate di CO2 (ma sono escluse quelle provocate dalle
modifiche nell’uso del suolo), ed è molto difficile risalire a dati anteriori la metà del XIX secolo.
Nel 20054, ne sarebbero state rilasciate 27.525,7 Mega Tonnellate, e si sta considerando solo
l’emissione di biossido di carbonio, non di tutti i gas ad effetto serra.
1
Infatti, non è l’emissione in sé stessa a procurare un’immediata modifica del forzante radiativo della Terra,
quanto la concentrazione di quel gas che si accumula in atmosfera. Non tutte le emissioni, dunque, finiscono per
permanere nell’atmosfera: fortunatamente una grande porzione di esse viene assorbita dal sistema, si dissolve
e si disperde. Ma il concetto di concentrazione è stato analizzato approfonditamente in Appendice, e non è
necessario ripetersi oltre.
2
Baumert K.A., Herzog T., Pershing J. (2005), Navigating the Numbers, Greenhouse Gas Data and International
Climate Policy, World Resouces Institute, pagina 5.
Disponibile on line all’indirizzo: http://pdf.wri.org/navigating_numbers.pdf, pagina consultata il 3 dicembre 2009.
3
I dati sono disponibili all’indirizzo internet:
http://cait.wri.org/cait.php?page=yearly&year=1850§or=natl&sort=cou-
asc&co2=1&lucf=0&bunk=0&ch4=0&n2o=0&pfc=0&hfc=0&sf6=0&mode=view, pagina consultata il 3
dicembre 2009.
4
I dati sono disponibili all’indirizzo internet: http://cait.wri.org/cait.php?page=yearly&mode=view&sort=cou-
asc&pHints=shut&url=form&year=2005§or=natl&co2=1&update=Update, pagina consultata il 3 dicembre
2009.
13
Il grafico riportato qui sotto illustra l’andamento delle emissioni globali di CO2 derivanti dal
macro-settore energetico dal 1850 al 2000, a partire cioè da quando esistono dati storici
affidabili (le collezioni di dati relativi a tutti i principali gas serra antropogenici sono disponibili a
partire dall’inizio degli anni ’90).
FIGURA N. 1
Fonte: Stern N. (a cura di), (2006), Stern Review on the Economics of Climate Change, Parte III: The Economics
of Stabilisation, Capitolo 7: Projecting the Growth of Greenhouse-Gas Emissions, pag. 175.
Il grafico permette di osservare come l’incremento più veloce nel saggio di emissione di CO2 si
sia registrato dopo il 1945. Nella seconda metà del secolo scorso infatti, in seguito alla Seconda
Guerra Mondiale, l’industrializzazione connessa al circolo virtuoso della ricostruzione
postbellica investì un gran numero di nuovi Paesi, facendo impennare il ritmo di emissione dei
gas ad effetto serra risultanti dalle diverse attività antropiche. La “Stern Review on the
Economics of Climate Change”, di cui si parlerà più diffusamente in seguito, riporta che tra il
1950 ed il 2002 il rilascio nell’atmosfera della sola CO2, ad opera di tutte le attività legate alla
combustione di vettori energetici fossili, è cresciuto ad un saggio medio annuo superiore al
3%5. Il ritmo è andato in qualche misura riducendosi nei tre decenni seguiti al 1970, ma tra il
1971 ed il 2002 ha mantenuto comunque una media annua dell’1,7% (inferiore tuttavia al
tasso medio annuo con cui è cresciuta la domanda di energia nel mondo, pari a 2%). Il relativo
rallentamento sembra associato agli aumenti nel prezzo reale del petrolio durante gli anni ’70
ed ’80, alla riduzione delle emissioni provenienti dall’ex Unione Sovietica (a causa delle
5
Fonte: Stern N. (a cura di), (2006), Stern Review on the Economics of Climate Change, Parte III: The Economics
of Stabilisation, Capitolo 7: Projecting the Growth of Greenhouse-Gas Emissions, pag. 175.
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modifiche che hanno investito il sistema economico-produttivo dei nuovi Stati durante gli anni
’90), ed ai nuovi livelli di efficienza energetica raggiunti in molti Paesi del mondo.
Analizzando solo i dati relativi al biossido di carbonio –CO2-6, si ricava che negli ultimi trent’anni
le emissioni pro capite medie sono aumentate di circa il 15%; nello stesso arco di tempo, la
popolazione mondiale è aumentata del 50%: l’effetto di questi due fenomeni espansivi, sia nel
numero dei fattori impattanti che nell’impatto effettuato da ciascuno di essi, ha determinato un
aumento delle emissioni totali mondiali di due terzi, rispetto al livello della prima metà degli
anni settanta.
Nel passato la maggioranza delle emissioni provenivano dai Paesi ricchi: dal 1850 il Nord
America e l’Europa si sono resi responsabili del 70% delle emissioni di CO2 collegata al settore
energetico; i Paesi in via di sviluppo, invece, hanno provocato nel complesso meno di un quarto
delle emissioni di tutti i gas serra.
Solo a partire dal 1990 sono disponibili dati riguardanti tutti i gas serra di origine antropica: in
questo caso, quando ci si riferisce al loro insieme considerandoli come un aggregato, si utilizza
l’unità di misura CO2e, anidride carbonica equivalente7. Dall’inizio degli anni ’90 fino al 2000, le
emissioni di queste sostanze clima-alteranti nel loro insieme sono cresciute ad una media
dell’1,2% annuo (il saggio di crescita della sola CO2, molto più alto, si è temperato nella media
con il tasso, più modesto, a cui aumentano comunque ogni anno le emissioni degli altri gas
serra).
Secondo quanto riportato da Tim Herzog nel rapporto del WRI “World Greenhouse Gas
Emissions in 2005”, infine, tra il 2000 e il 2005 le emissioni totali (cioè comprensive di tutti I
greenhouse gases e di tutti i settori di rilascio) nel mondo sono aumentate del 12,7%, con un
saggio di crescita medio annuo del 2,4%8: nel corso di cinque anni, dunque, la velocità media
6
Purtroppo, i dati disponibili relativi all’emissione di gas CO2 equivalenti sono perlopiù disomogenei e in
generale non esistono raccolte di lungo termine dei rilasci di CO2e per i singoli Paesi; per questo motivo, per
studiare l’andamento nel tempo Paese per Paese ci si rifà più spesso a quelli concernenti la sola anidride
carbonica, reperibili in statistiche omogenee presso le banche dati nazionali.
Ovviamente, l’immagine che emerge dall’osservazione di questi dati non è che un’approssimazione, tuttavia
può essere integrata considerando che per i Paesi ad alto reddito passare da CO2 a CO2e significa aumentare di
circa un quarto le emissioni, mentre per i Paesi in via di sviluppo, aumentarle di circa un terzo. Fonte: Stern N.
(2009), Un piano per salvare il Pianeta, Feltrinelli, Milano.
7
Ragionare in termini di gas aggregati non è immediato: infatti le differenze tra i vari elementi sono notevoli,
dal momento che alcuni di essi sono molto concentrati ma poco “impattanti”, mentre altri più rari ma molto
efficienti in termini di cattura del calore. Per questa ragione è stata elaborata una unità di misura che permette
di trattare tutte le emissioni di gas a effetto serra come se consistessero solo di anidride carbonica: in pratica, il
metano, gli idrofluorocarburi, l’esafluoruro di zolfo, ecc., continuano ad essere prodotti da specifiche fonti e
mantengono le proprie caratteristiche chimiche una volta immessi nell’atmosfera. Però, nelle statistiche e nei
testi di supporto alle politiche ambientali, questi gas vengono convertiti in una unica unità di misura: il biossido
di carbonio equivalente, o CO2e.
Il World Resources Institute (si è scelto il glossario tratto dalla pubblicazione di Baumert K.A., Herzog T.,
Pershing J. (2005), Navigating the Numbers, Greenhouse Gas Data and International Climate Policy, World
Resouces Institute. Consultata alla pagina web: http://pdf.wri.org/navigating_numbers.pdf il 28 novembre 2009),
definisce tale unità come l’ammontare di anidride carbonica (in termini di peso) che se emessa nell’atmosfera
produrrebbe lo stesso effetto forzante radiativo di una data quantità di un altro gas serra. La conversione di un
gas diverso dall’anidride carbonica in CO2e viene effettuata moltiplicando il peso del gas in questione per il suo
indice GWP, o potenziale di riscaldamento globale.
L’anidride carbonica, in questo senso, rappresenta il metro rispetto a cui viene valutata la pericolosità di tutti gli
altri gas serra, e l’unità di misura in cui essi vengono, per convenzione, espressi.
8
Fonte: Herzog T. (a cura di), (2009), World Greenhouse Gas Emissions in 2005, World Resources Institute.
Documento disponibile all’indirizzo Internet: http://www.wri.org/publication/world-greenhouse-gas-emissions-in-
2005, pagina consultata il 4 dicembre 2009.