Introduzione
La celebre danzatrice statunitense Isadora Duncan
2
aveva fatto notare in passato a coloro
che le chiedevano delucidazioni sul perché lei danzasse come non fosse affatto facile
esplicitare verbalmente una pratica come la sua affermando che, se avesse potuto dirlo a
parole, non lo avrebbe danzato (Duncan 2003). Con questa lapidaria risposta, l'esponente
pioniera della danza moderna ci conduce a effettuare una riflessione circa la difficoltà che
scaturisce dal confronto con la propria esperienza vissuta, facendo qui riferimento
preminentemente a un livello conscio. D'altra parte, persino compiere un'indagine – nel
nostro caso etnografica – su corpi altrui può costituire una grande sfida epistemologica.
I corpi “altri” (come il proprio d'altronde) cercano talvolta di sottrarsi a quei contesti in
cui storicamente abbiamo cercato di incastrarli, al fine di poterli esaminare per mezzo di certe
categorie o modelli statici vincolanti, vale a dire attraverso un approccio che rischia di
bloccare il naturale flusso dinamico dell'azione nel mondo. Inoltre, in particolari contesti di
ricerca etnografica, è giusto e doveroso che il ricercatore si interroghi su cosa potrebbe ancora
essere utile dire riguardo il corpo altrui che non sia già stato indagato
3
. Nel mio caso, trattando
temi che concernono le dinamiche di mutamento in seno a un certo saper-fare dei kalbelia del
Rajasthan che ho potuto vedere espresso direttamente nella loro danza, ho voluto pormi delle
specifiche domande – provando a osservare la complessità a partire dalla cosiddetta visione
“dal basso”
4
– che volessero interrogare le intenzioni insite nell'atto comunicativo di un certo
corpo danzante e soprattutto, che mi portassero a riflettere su cosa volevo vederci io in quel
corpo.
Da un certo punto di vista, rispetto a questi interrogativi, posso considerare come
positivo il fatto che lo stato dell'arte circa l'oggetto della mia ricerca presenti una fase ancora
embrionale: fino a oggi si possono annoverare un numero molto esiguo di ricerche
antropologiche e indologiche incentrate sui kalbelia e in misura ancora minore sulla loro
danza, considerato che si tratta di una espressione coreutica che ha conosciuto uno sviluppo
solo di recente (anni Ottanta).
Alla luce di queste e di molte altre riflessioni iniziali è scaturito il presente elaborato,
2 Dora Angela Duncan (1877/1888-1927) è stata una danzatrice e coreografa statunitense.
3 Queste alcune delle domande emerse durante il convegno di antropologia organizzato dall'Università di
Bologna (Dipartimento delle Arti) avente come titolo: Danze africane in transito: spiriti ancestrali e miti
dell'oggi, tenutosi il 18-19-20 novembre 2015 a Bologna.
4 Opposto quindi alla presunta oggettività proposta come metodo dai primi padri dell'antropologia (cfr. Clifford
e Marcus 1986).
7
frutto di un periodo di ricerca svolto sul campo in India, nella regione nord-occidentale del
Rajasthan e durato quattro mesi, precisamente nell'arco di tempo compreso tra il 26 novembre
2014 e il 1 aprile 2015. Il soggiorno presso alcune comunità kalbelia, è stato finalizzato allo
studio tramite apprendistato della dimensione preminentemente pratica della loro danza,
considerando che essa non solo è da considerarsi una delle porte di accesso per la
comprensione di cruciali aspetti socio-culturali ma ne è anche, allo stesso tempo, diretta
manifestazione.
Tra le motivazioni profonde che mi hanno sollecitato a effettuare delle ricerche
concernenti quest'arte coreutica devo innanzitutto annoverare come fondamentale la mia
pregressa conoscenza nell'ambito di differenti stili di danze (ovvero quella medio-orientale e
alcuni rudimenti di danza classica indiana) che, nel corso di un decennio di apprendimento,
hanno senza dubbio forgiato il mio corpo e la mia personalità. La passione verso il tema della
danza si è congiunto al bisogno euristico riguardante un sapere di carattere squisitamente
antropologico ed etnografico, poiché, sulla scia di un concetto risalente alla filosofia platonica
riguardo il buon governo, ho sentito come intima necessità il fatto che “i danzatori si
facessero etnografi e gli etnografi si facessero danzatori”
5
. Una volta compiuto il desiderato
congiungimento tra le due dimensioni, gli interessi di ricerca hanno preso una precisa
direzione, vertendo cioè in quei settori già indagati con efficacia dall'antropologo Leonardo
Piasere, vale a dire uno tra i massimi esponenti in Italia degli ambiti di ricerca solitamente
definiti come “ziganologici” o meglio “romologici”
6
.
Tematiche riguardanti l'universo simbolico e culturale dei rom sono così diventate, lungo
il personale percorso accademico bolognese, l'oggetto principale delle mie indagini
7
. Alla luce
di questa premessa, occorre qui accennare alcuni dei temi dibattuti nel corso del primo
capitolo e necessari per comprendere la portata di quella teoria che, già dall'Ottocento, ha
sancito la connessione odierna tra gypsies occidentali e alcune comunità definite nomadi o
semi-nomadi del Rajasthan, in passato considerate dalit o intoccabili (fino alla promulgazione
della Costituzione indiana del 1950
8
), impersonificate proprio dai kalbelia. Per questo motivo,
5 La citazione si riferisce alla dottrina tratta dalla lettera VII di Platone che prevedeva la nascita di un buon
governo solamente se i politici fossero divenuti filosofi e i filosofi politici (Platone 1984, p. 28).
6 La ziganologia, nata nell'Ottocento, è un settore di studi storici, sociali, linguistici e antropologici che si
occupa di analizzare ciò che concerne le tematiche attinenti ai rom, o dei cosiddetti zingari (Piasere 1995, p.
7). È attualmente conosciuta anche come romologia (più politically correct), ossia lo studio dei rom.
7 Su queste tematiche verte il precedente lavoro di tesi triennale (2012-2013) dal titolo Diritto di essere Rom
oggi. Attivismo all'European Roma Rights Centre: costruzioni identitarie alla base del fenomeno di
empowerment (relatore: prof. Luca Jourdan, Università di Bologna).
8 Sulla questione riguardante i dalit (intoccabili) in India, cfr. Clelia Bartoli 2008.
8
nel primo capitolo è sorta l'esigenza di esplorare a fondo le dinamiche storiche e culturali che
hanno permesso ai soggetti della mia indagine di essere identificati con gli antenati viventi
originari (o ur-gypsies) di tutti i rom. In effetti è proprio la loro danza il simbolo incarnato e
tangibile che oggi esprime tale connessione. Il dato fondamentale da tenere in considerazione
è quello che prevede la rivedicazione identitaria da parte dei kalbelia stessi che si riconoscono
quali unici e autentici gypsies, denominando così la loro omonima arte coreutica una indian
gypsy dance. Perciò il mio interesse è stato quello di indagare, sulle orme della cosiddetta
etnografia sensoriale
9
quelle “embodied practices that shape identities and enable resistances”
(Pink 2009, p. 29). Quindi, sulla base di queste dinamiche, ho esplorato le possibili modalità
di impiego che gli attori sociali fanno dell'identità anche attraverso un percorso d'indagine che
tenesse conto del mito fondativo che vede i kalbelia far parte, da tempo immemore, di una
jati
10
i cui membri custodivano i segreti del mestiere di incantatori di serpenti.
Nel secondo capitolo si è evidenziato come l'interesse per il mondo indiano da parte
dell'occidente non è affatto storia recente, visto che già dal Cinquecento appare chiara la
spinta verso la ricerca dell'esotico rappresentato, nel nostro caso particolare, dai gypsies che
“(especially women) furnish a fantasy/escape/danger figure for the Western imagination”
(Silverman 2007, p. 340).
In questo capitolo vengono analizzati i mutamenti avvenuti in seno alla professione
tradizionale, che hanno previsto l'avvento della preminenza della pratica coreutica su quella di
incantatori di serpenti. In relazione a questa tematica si è riportato come esempio la storia
della danzatrice Gulabo Sapera, pioniera del repertorio attuale e oggi apprezzata a livello
internazionale. Considerando inoltre la danza alla stregua di un mezzo di comunicazione, ci si
è voluti approcciare anche alle problematiche che riguardano il dominio sui corpi che
danzano, rappresentati soprattutto dalle donne kalbelia che, come suggerisce la studiosa
Ananya Chatterjea, “found themselves paradoxically both at the center and margin of the
socio-cultural nexus in which they lived and worked” (2004, p. 145).
Partendo dal corpo come luogo dell'esperienza (Hastrup 1995), nel terzo capitolo si è
spostato il focus dalle mere rappresentazioni di vita all'esperienza vissuta, tramite la
metodologia del learning by doing che presuppone un certo tipo di coinvolgimento sociale,
personale e sensoriale del ricercatore che, letteralmente immerso nel campo, o meglio nel
paesaggio sensuale (Stoller 1989), giunge infine alla seguente riflessione: “il movimento
9 La sensory ethnography ha posto una nuova attenzione al modo di concepire il corpo, poiché maggiormente
vicina all'esperienza sensibile, all'azione e ai suoi significati incorporati.
10 Gruppi che costituiscono delle sotto-caste o, attualmente, dei sotto-gruppi sociali.
9
umano non simbolizza la realtà, esso è la realtà” (Jackson 2011, pag. 48). Le modalità di
azione in questione costituiscono un ventaglio di possibilità di esserci-nel-mondo che, a loro
volta si concretizzano nelle differenti manifestazioni degli stili di danza regionali praticati e
descritti qui per la prima volta in maniera quasi esaustiva.
In questa occasione, da apprendista-ricercatrice sono stata costretta perciò a mettermi in
gioco, posizionandomi sul campo in una relazione unica e innovativa che ha previsto il
passaggio dalla condizione di studiosa a quella di studente e a loro volta i soggetti della
ricerca, che in un primo momento vestivano i panni di informatori, li hanno mutati in quelli di
maestri. In virtù di ciò, molta importanza è data alla riflessione che ha riportato le vive voci
degli attori sociali che hanno reso possibile la buona riuscita dell'indagine etnografica, ossia le
danzatrici e insegnanti di danza kalbelia e, in riferimento al particolare contesto di Pushkar,
quelle delle allieve riflettendo congiuntamente sull'importanza delle relazioni venute in essere
sul campo tramite la condivisione dell'apprendimento delle medesime pratiche e la
frequentazione dell'universo socio-culturale dell'alterità, dove il vivere-con (Piasere 2009, p.
74) sul campo ha consentito la realizzazione dell'unione tra esperienza esistenziale e
intellettuale (Kilani 1994, p. 50).
10
Capitolo 1
Alla ricerca dei kal-belia: introduzione al panorama socio-culturale e
storico
1.1. Riflessioni sull'antropo-poiesi identitaria e sul tema delle origini
Gli antropologi sono tenuti a capire e a motivare le ragioni della vitalità e le dinamiche
della logica identitaria: il carattere fittizio e illusorio dell'identità non rende, infatti,
altrettanto irreali gli sforzi che gli attori sociali mettono in atto per rappresentarla e gli
esiti di tale messa in scena (Angelillo 2014, p. 14).
Secondo la studiosa italiana Maria Angelillo
11
è molto difficile stabilire ed individuare
un'identità kalbelia “se non nei termini di una finzione, storica e contestuale, rappresentata
dagli attori sociali onde perseguire finalità di carattere eminentemente pratico” (Angelillo
2014, p. 5). Il filo conduttore delle ricerche di Angelillo, nel volume sopracitato, si dipana
proprio lungo il sentiero della complessa questione identitaria. Anche chi scrive sente
l'esigenza di partire da una breve riflessione sul controverso concetto dell'identità, tema molto
dibattuto dall'antropologia odierna, alla luce di discorsi su temi che ci parlano di identità quali
finzioni culturali dannatamente serie, non essendo però queste da considerarsi come realtà
eterne e fisse ma bensì fluide, frutto di processi in divenire
12
. Essendo quindi una possibile
rappresentazione della realtà e non la realtà stessa, l'identità viene continuamente negoziata,
rappresentando “la tensione verso una fra le modalità di riconoscimento sollecitate dagli attori
sociali” (Angelillo 2014, p. 15).
Come vedremo più avanti, questo discorso si traduce, nel caso dei kalbelia del Rajasthan,
11 L'antropologa e indologa Maria Angelillo ha svolto ricerche sul campo tra i kalbelia di Pushkar dal 2005, con
soggiorni in loco di tre-quattro mesi ogni anno. È una delle pochissime studiose esistenti ad occuparsi di
ricerche antropologiche sui kalbelia. Pushkar è una piccola cittadina del Rajasthan di circa 16.000 abitanti,
considerata un luogo di culto per la presenza di uno dei pochi templi dedicati al dio Brahma. La cittadina è
meta di pellegrini e turisti che si recano con lo scopo, tra gli altri, di apprendere il patrimonio coreutico dei
kalbelia.
12 A riguardo si vedano gli studi di due importanti antropologi italiani, Francesco Remotti (1999, 2005 [ed.or.
1996]; 2010) e Ugo Fabietti (1991, 1998 [ed.or. 1995]; 2001 [ed.or. 1998]).
11
nella prassi in una modalità di riconoscersi portatori di un'identità ben precisa: quella gypsy.
Ma come si è arrivati a questa definizione? Inizialmente occorre fare una piccola premessa
e collocare nello spazio i soggetti di questa ricerca.
I kalbelia incontrati durante la mia permanenza sul campo della durata di quattro mesi (nel
periodo che va dal 26 novembre 2014 al 1 aprile 2015), si stanziano nello stato del Rajasthan,
situato in India nord-occidentale (fig. 1).
Fig. 1. Stato del Rajasthan (India), con capitale Jaipur. (www.mapsofindia.com/rajasthan/, consultato il
07/01/2015).
Approcciandomi al tema della danza kalbelia in qualità di danzatrice e studentessa di
antropologia, ho intrapreso in questi luoghi la mia prima ricerca di campo in ambito
extraeuropeo
13
. Delle questioni legate al lavoro squisitamente etnografico si parlerà
13 Una precedente ricerca di campo di tre mesi è stata da me svolta in Ungheria, a Budapest nel 2012. Lo
svolgimento di un tirocinio come attivista per i diritti dei rom all'European Roma Rights Centre (una ONG
12
profusamente nei prossimi capitoli. Per ora ci limiteremo a un'introduzione del lavoro di
campo riportando delle brevi considerazioni ricavate dal dialogo con i kalbelia,
imprescindibili per una adeguata ricostruzione storica ed etnografica.
Considerata la limitatezza di tempo a disposizione, non è stato possibile visitare tutti i
luoghi in cui sarebbe stato proficuo incontrare i kalbelia, ragion per cui, a seguito di precise
scelte nel metodo etnografico, si è preferito frequentare per la maggior parte del soggiorno di
ricerca alcune famiglie che abitano nei dintorni di Pushkar. Altri incontri importanti e
fondamentali per condurre il percorso d'indagine con i kalbelia sono avvenuti a Jaipur,
Jodhpur e Jaisalmer. Altri distretti nei quali possiamo riscontrare la loro presenza sono quelli
di Ajmer, Pali, Udaipur e Chittorghar (fig. 2).
Fig. 2. Mappa dei distretti del Rajasthan. La cittadina di Pushkar si trova nel distretto di Ajmer.
(www.hetv.org/india/rj/, consultato il 11/01/2016).
È difficile stabilire da dove provengano esattamente i kalbelia in origine, anche alla luce
del fatto che, fino a oggi, non ci sono fonti scritte di primissima mano utili a creare una
adeguata ricostruzione storica e temporale. A parte il caso dell'attuale nuova generazione,
nata nel 1996 che ha come intento quello di indagare la condizione dei rom in Europa e fornire loro assistenza
legale in caso di violazione dei diritti umani), come già accennato nell'introduzione, è sfociato nel lavoro di
tesi triennale (2012-2013) dal titolo: Diritto di essere Rom oggi. Attivismo all'European Roma Rights Centre:
costruzioni identitarie alla base del fenomeno di empowerment (relatore: prof. Luca Jourdan, Università di
Bologna).
13