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Prefazione
I diversi eventi che hanno caratterizzato i mercati finanziari negli ultimi decenni hanno
provocato un forte aumento della rischiosità.
Possiamo ricordare:
- gli accordi di Bretton Woods del 1970 che sancirono l’abolizione della parità
fissa dei tassi di cambio, provocando un notevole aumento della volatilità dei
mercati;
- la diffusione di strumenti finanziari complessi, come i titoli strutturati e i
derivati;
- i diversi shock che hanno colpito l’economia mondiale (le crisi petrolifere, il
crollo dei mercati azionari del 1987, gli avvenimenti luttuosi e drammatici
dell’11 settembre 2001, la crisi dei mutui subprime).
A seguito di questi eventi, l’attenzione rivolta verso la misurazione del rischio è
cresciuta notevolmente, come è dimostrato anche in tema di regolamentazione bancaria,
basata in gran parte sulle direttive del Comitato di Basilea.
Il Comitato di Basilea è un’organizzazione internazionale istituita nel 1974 dai
governatori delle Banche centrali dei dieci Paesi piø industrializzati (G10). Il suo
obiettivo era promuovere la cooperazione bancaria con l’intento di perseguire la
stabilità monetaria e finanziaria. Il Comitato coordina la ripartizione delle responsabilità
di vigilanza fra le autorità nazionali, con lo scopo di attuare l’attività di supervisione a
livello mondiale.
Nel 1988 alle banche è stata imposta l’applicazione di un modello di misurazione del
rischio per garantire l’esistenza di un capitale adeguato a fronte di tutti i rischi che
scaturiscono dalle loro attività. Nasce il primo Accordo sul capitale, chiamato Basilea 1,
che in seguito a un processo finalizzato alla realizzazione di una nuova
regolamentazione sui requisiti patrimoniali, verrà sostituito da un secondo Accordo
(Basilea 2) approvato nel 2004 ed entrato formalmente in vigore il primo gennaio 2007.
Tuttavia, la crisi finanziaria scoppiata nel 2007, sviluppata in tempi rapidissimi,
colpendo l’intero sistema finanziario globale e creando una depressione dell’economia
reale, ha evidenziato l’incapacità della struttura bancaria regolamentare, prevista da
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Basilea 2, nel prevenire la turbolenza finanziaria. La crisi ha dimostrato che nonostante
le innovazioni finanziarie, persiste il principio per cui è impossibile disporre di
un’informazione completa, in grado di annullare i rischi in misura totale.
A partire dal 2009 il Comitato di Basilea ha iniziato ad elaborare una serie di proposte
con l’intento di modificare Basilea 2. Il 12 settembre 2010 è stato approvato Basilea 3,
il nuovo Accordo sul capitale, che mira ad ottenere un sistema finanziario piø prudente,
in grado di affrontare le crisi da una posizione di maggiore solidità.
L’obiettivo del presente lavoro è descrivere le novità, le misure di rischio e le regole sul
capitale che Basilea 3 porterà rispetto all’attuale regolamentazione bancaria, in seguito
alla recessione economica internazionale che ha colpito intensamente il nostro sistema.
La prima parte è dedicata allo studio delle misure di rischio e dei requisiti fondamentali
che una buona misura dovrebbe soddisfare per essere considerata “coerente”, secondo
un lavoro del 1999 di Artzner, Delbaen, Eber e Heath.
Nel corso degli Anni Novanta, gli istituti bancari e finanziari hanno sviluppato nuovi
modelli statistico-matematici per la misurazione e il controllo dei rischi (inizialmente
solo per i rischi di mercato e successivamente per atre tipologie di rischio).
La principale risposta è stata data con l’elaborazione del modello Value at Risk (VAR),
diventato una misura standard nell’ambito della valutazione finanziaria. Il VAR
presenta alcuni limiti. Le debolezze del Value at Risk vengono affrontate dall’Expected
Shortfall (ES), inteso come l’evoluzione del VAR ed in grado di sintetizzare in un unico
valore la perdita media che un portafoglio o una posizione può subire con una certa
probabilità, in un arco temporale definito.
La seconda parte del lavoro descrive gli Accordi di Basilea, partendo dal primo Accordo
del 1988 fino alla nuova regolamentazione bancaria prevista da Basilea 3. Inizialmente
maggiore attenzione è attribuita al Primo Pilastro di Basilea 2: vengono descritti i due
metodi, previsti dal Comitato, per il calcolo del rischio di credito (metodo standard e
metodo IRB), i sistemi di rating e i vari modelli di rating quantification. Verrà
analizzato anche CreditMetrics, un modello basato sulla metodologia VAR, introdotto
nel 1997 ed utilizzato a livello internazionale per la stima del rischio di credito di un
portafoglio di esposizioni (prestiti o obbligazioni).
La crisi finanziaria, gli errori delle agenzie di rating e il conseguente fallimento della
Lehman Brothers, hanno spinto le autorità di Basilea verso la creazione di un nuovo
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Accordo. Nella parte finale verranno analizzate le nuove misure introdotte da Basilea 3.
L’obiettivo è attribuire maggiore capacità al settore bancario e prevenire eventuali shock
che potrebbero nuovamente colpire in futuro il sistema economico internazionale.
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CAPITOLO 1
LE MISURE DI RISCHIO
1.1 Introduzione
Nel mondo finanziario la valutazione del rischio è una delle fasi piø importanti di un
processo di Risk Management ed è considerata la piø difficile e soggetta ad errori.
Nella accezione comune, per rischio si intende la “possibilità di subire un danno, una
perdita, come eventualità generica o per il fatto di esporsi a un pericolo”. L’idea è che
il rischio sia legato all’imprevedibilità degli eventi futuri. Esiste in ogni caso disaccordo
sull’origine di questa imprevedibilità e soprattutto sulla natura degli eventi rischiosi. In
ogni caso due sono gli elementi fissi che lo caratterizzano:
- la possibilità di una perdita: si realizza quando un’entità può essere soggetta a un
fatto che può arrecare un danno;
- un difetto di conoscenza circa la realizzazione di tale perdita: se si può stabilire in
anticipo il verificarsi dell’evento indesiderato, la perdita non è un rischio, bensì un
costo. Si parla di rischio nel caso in cui, oltre a non poter evitare un danno, non si è
in grado di stabilire se l’evento indesiderato si verificherà.
Un'altra definizione afferma che il rischio è la distribuzione dei possibili scostamenti dai
risultati attesi per effetto di eventi di incerta manifestazione, interni o esterni al sistema
aziendale. Tale concetto è tipicamente connesso con le aspettative e capacità umane di
intervento in situazioni non note o incerte. Può indicare ad esempio, un potenziale
effetto su un bene che può derivare da determinati processi in corso o da determinati
eventi futuri. Nel linguaggio comune, rischio è spesso usato come sinonimo di
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probabilità di una perdita e pericolo. Ogni indicatore è proporzionale all’effetto atteso e
alla sua probabilità di accadimento. Le sue denominazioni dipendono quindi dal
contesto del danno e dal suo metodo di misura.
L’esistenza di un rischio è un problema strettamente connesso a quello dell’esistenza
dell’incertezza. Però anche se i concetti di rischio e incertezza sono collegati, non si
identificano. Tale problema ha interessato la letteratura economica sin dai primi del
Novecento. Una delle prime definizioni risale a Knight nel 1921, secondo la quale è
possibile distinguere tra “incertezza misurabile” ed “incertezza non misurabile”,
assegnando il termine “rischio” alla prima e “incertezza” alla seconda. L’incertezza non
si identifica con l’impossibilità di definire le manifestazioni di un fenomeno, in quanto
in tali condizioni, il verificarsi di un fenomeno e l’epoca in cui si verifica, non sono noti
a priori secondo valori unici, ma possono assumere molteplici valori, secondo una certa
distribuzione di probabilità. Se è possibile desumere questa distribuzione in via
sperimentale, si possono effettuare scelte su basi quantitative, essendo nota a priori la
probabilità dello scostamento rispetto al valore atteso.
L’eventualità del verificarsi dello scostamento spesso rappresenta il “rischio”.
In questo lavoro si parlerà dei rischi finanziari, una tipologia di rischi che interessa la
gestione finanziaria di un’azienda, rappresentando anche un elemento caratteristico e
strettamente connesso all’attività bancaria. Il rischio finanziario rappresenta la
variabilità indefinita (volatilità) degli investimenti, includendo perdite potenziali e allo
stesso modo inaspettati guadagni.
Distinguiamo i rischi finanziari in due grandi categorie: il rischio di mercato e il rischio
di credito.
Il rischio di mercato è genericamente il rischio che il valore degli strumenti in
portafoglio si riduca a causa di variazioni delle condizioni di mercato (prezzi azionari,
tassi di interesse, tassi di cambio e la loro rispettiva volatilità).
Abbiamo diverse categorie di rischio di mercato:
- rischio di prezzo: variabilità del valore di titoli, o merci, causata dall’incontro della
domanda e dell’offerta nei mercati regolamentati. E’ un rischio tipico dei titoli
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azionari e di tutte le attività quotate in borsa. Nel caso di una banca, generalmente
grava solamente sul valore dei titoli azionari detenuti in portafoglio;
- rischio di interesse: si manifesta quando, a parità di altre condizioni, il valore di
mercato dell’investimento è sensibile a variazioni dei tassi di interesse. Tale rischio
è tanto maggiore quanto piø lontana è la scadenza del titolo. E’ un rischio tipico
delle obbligazioni e dei derivati su tassi di interesse. Per una banca il rischio di
interesse non si manifesta solo con la diminuzione del corso, ad esempio di un titolo
obbligazionario, o con la diminuzione del rendimento di un titolo a tasso variabile,
ma si manifesta anche in termini di mancato guadagno;
- rischio di cambio: si ha quando, a parità di condizioni, il valore di mercato
dell’investimento è sensibile a variazioni dei tassi di cambio. Tutto ciò può portare
a una perdita del potere di acquisto della moneta detenuta e una perdita del valore
dei crediti;
- rischio di volatilità: prende in considerazione la variazione del valore di un titolo,
causata da variazioni della volatilità. La volatilità è una misura di rischio e,
generalmente, è rappresentata dalla varianza o dallo scarto quadratico medio dei
suoi rendimenti che sono appunto, misure della variabilità dei valori del titolo
intorno al proprio valore atteso.
Per quanto riguarda il rischio di credito, moltissime istituzioni finanziarie dedicano
considerevoli risorse alla sua quantificazione e gestione. Esso è determinato dalla
possibilità che i debitori e le controparti nelle operazioni sui derivati non rispettino gli
impegni assunti.
Comprende le seguenti principali tipologie:
- rischio di insolvenza: è connesso all’insolvenza della controparte, che dichiara
fallimento o comunque smette di onorare i pagamenti previsti sul prestito;
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- rischio di downgrading: è connesso a un deterioramento del merito creditizio della
controparte;
- rischio di spread: riguarda un eventuale rialzo degli spread richiesti dal mercato ai
debitori; in presenza di un aumento dell’avversione al rischio degli investitori, è
possibile che lo spread subisca un aumento anche se la probabilità di default del
debitore resta immutata;
- rischio di recupero: indica che il valore economico dell’ammontare recuperato da
una controparte divenuta insolvente risulta inferiore a quanto originariamente
stimato;
- rischio di esposizione: indica il rischio che l’ammontare dell’esposizione subisca un
incremento in prossimità del default;
- rischio Paese: indica il rischio che una controparte non residente non sia in grado di
adempiere alle proprie obbligazioni a causa di eventi di natura politica o legislativa,
per esempio, l’introduzione di vincoli valutari, che impediscono alla stessa
controparte di rimborsare il proprio debito.
1.2 Le prime misure di rischio
Il rischio è stato da sempre un elemento specifico di ogni attività umana. Già a partire
dal ‘600, si è cercato di comprenderlo, studiarlo e di ottenere una sua misurazione
quantitativa. Col passare del tempo, i lavori scientifici basati sullo studio del calcolo
della probabilità, portarono a una conoscenza specifica del caso e delle leggi su cui si
basa.
Quotidianamente l’uomo tenta di neutralizzare le perdite cercando di guidare gli eventi
e di perfezionare le previsioni, ma contemporaneamente sa di non essere in grado di
controllare totalmente l’ambiente in cui vive e pertanto si prepara al peggio,
predisponendo misure per superare le perdite, qualora queste si verifichino, con il minor
danno possibile.
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In finanza, la misura di rischio è riconducibile a una misura di probabilità sotto la quale
il prezzo corrente (di non arbitraggio) di un’attività finanziaria è pari al suo valore atteso
futuro scontato. E’ nota anche come misura a martingala equivalente (equivalent
martingale measure).
La misura di rischio può essere utilizzata per raggiungere diversi obiettivi, fra i quali
quantificare i premi assicurativi, porre dei limiti alle posizioni di ciascun trader di una
banca che non può andare oltre a una determinata soglia di rischio, oppure permettere
alle varie autorità di regolazione, di definire i limiti da porre agli intermediari finanziari.
Tenendo conto che il rischio è visto come un margine di sicurezza, i vari enti
determinano il capitale che l’istituzione deve detenere come cuscinetto contro le future
perdite inattese che ricadranno sul proprio portafoglio di esposizioni. Nel tempo furono
numerosi i contributi orientati alla quantificazione dei rischi finanziari che attraverso
modelli piø o meno raffinati proposero diverse prospettive del problema. Nel 1938
Maculay introdusse la duration, una misura temporale di immediata interpretazione
dell’esposizione di un titolo obbligazionario a variazioni dei tassi di interesse.
Seguirono le opere degli anni ‘50 di Graham e Dodd e in particolare quelle di
Markowitz. Quest’ultimo, generalmente riconosciuto come primo esponente della
moderna teoria di portafoglio, fa notare che gli investitori non sono orientati soltanto
alla massimizzazione del rendimento, ma le loro scelte prendono in considerazione
anche un altro fattore, il rischio. Per ogni soggetto esiste, in base alle preferenze
individuali e alle opportunità di mercato, una combinazione di rendimento e rischio
ottimale. Le misure di rischio e rendimento individuate da Markowitz, che si prestano
peraltro come un semplice modello, sono la varianza, deviazione standard e la media dei
rendimenti. Tali misure descrivono in maniera formale il profilo di rischio e rendimento
di un qualsiasi investimento. La deviazione standard di uno strumento finanziario è
definita dalla variabilità dei rendimenti intorno alla media e costituisce ancora oggi la
misura di rischio piø utilizzata in campo finanziario. “la deviazione standard del
rendimento di un titolo o di un portafoglio può essere determinata, fra l’altro, dalle
deviazioni standard dei titoli che lo compongono, a prescindere dalle distribuzioni”.
L’evoluzione dello studio di metodologie e modelli quantitativi in grado di fornire
indicazioni sul rischio degli strumenti finanziari ha continuato a svilupparsi nell’ultimo
ventennio grazie alle solide fondamenta teoriche poste dalla teoria di portafoglio e
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anche al forte progresso tecnologico che ha interessato gli strumenti di calcolo e di
elaborazione dei dati. In ambito bancario, la realizzazione di modelli di risk
measurement, richiede la predisposizione di un dettagliato insieme di informazioni,
generalmente superiore a quello richiesto per la valutazione ex post dei risultati
conseguiti da un generale processo di gestione di risorse finanziarie. Spesso le difficoltà
nel predisporre una dataware-house per l’osservazione dei flussi generati
dall’operatività bancaria, ha reso difficile l’applicazione delle metodologie di analisi dei
rischi, individuate dai vari approcci teorici. Il contributo maggiore in termini di
innovazione gestionale e teconologica, riguardo lo sviluppo e l’affinamento delle
tecniche di risk management bancario, è imputabile alle grandi banche d’affari
americane, che hanno introdotto un nuovo approccio (Business Risk Management)
focalizzato sulla gestione del profilo rischio-rendimento tipico di ognuno dei business
verso cui l’impresa è orientata. Il BRM non impiega tecniche innovative, ma focalizza
le misure in maniera chiara e sintetica, con lo scopo di rendere appetibili agli investitori
l’acquisto delle azioni della banca e di convincerli a mantenerle in portafoglio. Il
manager dovrà quindi attuare un processo di gestione capace di soddisfare l’investitore,
prestando attenzione non solo al ROE aziendale, ma anche al Beta specifico delle azioni
agendo sul profilo di rischio e sulla volatilità dei risultati aziendali. I modelli di Risk
Management applicati ai rischi di mercato, tendono a determinare la perdita potenziale
di una posizione d’investimento in un certo orizzonte temporale, con un certo livello di
confidenza, solitamente pari al 95% o 99%. Questa misura, attualmente adottata in
ambito operativo, prende il nome di VAR (Value at Risk), la cui invenzione è
riconosciuta a un funzionario della banca d’affari J.P Morgan. E’ una tecnica
comunemente usata dalle banche per misurare il rischio di mercato delle attività che
detengono in portafoglio.
Compito di questo capitolo sarà di descrivere le piø importanti misure di rischio che
hanno caratterizzato il mondo finanziario e di approfondire le tematiche riguardanti il
calcolo del VAR e la sua evoluzione, indicando i principali limiti tecnici e operativi.
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1.2.1 Durata finanziaria (duration)
Gli investimenti in titoli obbligazionari sono soggetti al rischio di tasso di interesse che
è dato dal cambiamento del prezzo di mercato di un determinato investimento a seguito
del mutare del rendimento richiesto dagli investitori.
Un semplice approccio alla gestione del rischio del tasso di interesse è dato dalla
duration.
Si tratta della media ponderata delle scadenze di ciascun flusso di cassa associato a un
titolo obbligazionario, dove il fattore di ponderazione è dato dall’incidenza del valore
attuale di ciascun flusso di cassa sul valore attuale complessivo del titolo [16].
In formula :
nullnull
∑ nullnull
null
null1nullnullnull
nullnull null
null
null
dove:
null : durata finanziaria
t = 1,2…….n : indica la scadenza di riscossione dei flussi di cassa (cedole o rimborso
del capitale) da cui è caratterizzato un titolo obbligazionario;
null
null
: flussi di cassa derivanti dal titolo al tempo t;
null1nullnullnull
nullnull
: fattore di sconto al tasso r;
null : prezzo del titolo, dato dalla sommatoria dei flussi attualizzati ∑ null
null
null1nullnullnull
nullnull null
null
.
La duration misura il tempo che il portatore di un’obbligazione deve attendere, in
media, prima di ricevere capitali e interessi.
La durata finanziaria rappresenta la durata media di un titolo obbligazionario,
ponderando ogni rimborso in base al momento in cui verrà effettuato e tenendo presente
che lo stesso flusso di denaro ha maggiore valore in un futuro prossimo piuttosto che a
una scadenza piø lontana.