3
Introduzione
Negli ultimi anni alcuni artisti, scrittori o giornalisti hanno assunto una
notorietà fuori dal comune perchØ tristemente legati a scandali mondiali e
dibattiti agguerriti.
Tutto sembra avere inizio nel 1989, quando l’ayatollah Khomeini condanna a
morte lo scrittore anglo-indiano Salman Rushdie, reo di aver deriso l’islam con
il suo romanzo The Satanic Verses.
In tutto il mondo si accendono gli animi: tumulti e proteste, pubblicazione del
libro proibita in numerosi paesi, accuse infamanti ma anche segnali di sostegno
allo scrittore costretto a vivere sotto scorta.
La controversia sembra essersi solo affievolita nel corso degli anni, anche
perchØ la condanna non è mai stata formalmente ritirata.
Un caso analogo, ma con conseguenze ben piø drammatiche, è stato quello di
Theo Van Gogh, il regista olandese ucciso nel 2004 per aver diretto il film
Submission, ritenuto blasfemo e irriverente nei confronti dell’islam.
Una condanna a morte costringe la sceneggiatrice olandese di origine somala,
Ayaan Hirsi Ali, a vivere nascosta.
Ma è forse la questione delle vignette satiriche su Maometto ad essere piø viva
nell’immaginario collettivo. Pubblicate sul quotidiano danese Jyllands-Posten
nel 2005 e poi ristampate nel 2006 da giornali di tutto il mondo, sono state al
centro di reazioni infuocate. Un susseguirsi di manifestazioni di protesta,
assalti ad ambasciate, numerose vittime, boicottaggi di prodotti danesi,
richieste di scuse ufficiali incrociate a strenue difese della libertà di stampa.
Ad alcuni è sembrato il riproporsi di uno scontro di civiltà, mai venuto meno e
semmai rinvigorito in seguito agli avvenimenti dell’11 settembre 2001:
un’opposizione radicale tra l’Occidente libero e tollerante e l’islam minaccioso
e intollerante, qualcosa di cui avere paura e di cui non sia possibile discutere se
non a costo di esplosioni di rabbia e violenza.
4
Queste pagine cercheranno di analizzare come la libertà artistica si possa
esprimere nei confronti di argomenti delicati come la religione, la fede e tutto
ciò che riguarda la sfera del sacro.
Esistono dei limiti oltre i quali non è possibile spingersi? Ci sono leggi che
difendono la libertà religiosa dei credenti da eventuali offese e mancanze di
rispetto? Ha davvero senso porre dei limiti agli artisti o godono invece di uno
statuto speciale?
Gli esempi riportati riguardano quasi esclusivamente autori europei, o
fortemente a contatto con la cultura occidentale, e il loro rapporto con diversi
aspetti del mondo musulmano e della religione islamica. A ognuno di essi sarà
dedicato un capitolo: l’intento è quello di cercare di comprendere il significato
delle opere e il motivo della loro condanna.
Un ulteriore capitolo si concentrerà esclusivamente sull’analisi del concetto di
libertà di espressione, indagata da punti di vista differenti. La pretesa non è
quella di trovare risposte definitive e inattaccabili: porsi domande su temi
universali e così profondamente sentiti è proprio della natura umana.
Si preferirà, piuttosto, far emergere i nodi problematici che accompagnano le
controversie e lì proporre letture critiche, non condizionate da pregiudizi o
ideologie.
Nel corso del lavoro si faranno riferimenti anche a fenomeni simili apparsi al di
fuori dell’Occidente e a polemiche all’interno dello stesso mondo cristiano-
cattolico.
Pensiamo al caso del premio Nobel per la letteratura Nagib Mahfuz, come a
innumerevoli altri scrittori e poeti arabo-musulmani, pesantemente minacciati e
condizionati da autorità politiche e religiose.
O il recente scandalo de Il codice da Vinci di Dan Brown, di film come Je vous
salue, Marie di Jean-Luc Godard o The last temptation of Christ di Martin
5
Scorsese, per non parlare di numerosissime opere d’arte figurativa,
installazioni, performance.
Con questo non vogliamo proporre paragoni inopportuni o decontestualizzati,
ma solamente ampliare il panorama della discussione e avere così un quadro
piø completo e dettagliato.
Anzi, saranno molto piø numerosi gli argomenti esclusi da questa trattazione
rispetto a quelli studiati, per motivi di spazio e pertinenza.
Non si tratterà, per esempio, della libertà di stampa in senso ampio.
Argomento principale di queste pagine sarà, dunque, il delicato rapporto tra la
libertà di espressione artistica e la sensibilità religiosa dei credenti.
6
Capitolo primo
Salman Rushdie e l’ affaire dei Satanic Verses
Lo scandalo internazionale passato alla storia come il Rushdie affair si
sviluppò pochi mesi dopo la pubblicazione del romanzo The Satanic Verses
1
(“I
Versi Satanici”), il 26 settembre 1988.
Il romanzo era in lavorazione da ben cinque anni: il 1983 è, infatti, l’anno in
cui l’autore pubblica la sua ultima fatica, Shame (“Vergogna”) e, se si esclude
il saggio-reportage sul Nicaragua The Jaguar Smile: A Nicaraguan Journey
(“Il sorriso del giaguaro”) del 1987, Rushdie si concentra esclusivamente su
quest’opera.
A destare le accuse maggiori di blasfemia e irriverenza nei confronti dell’islam
e delle sue figure principali sono essenzialmente due capitoli di un romanzo
complesso e costruito attorno ad almeno tre intrecci narrativi, a cui si legano
numerose sottostorie e personaggi secondari, ma non privi di importanza.
Cercheremo di addentrarci nella questione attraverso un’analisi dei contenuti
del romanzo, soffermandoci con maggior attenzione sui passaggi piø critici, a
cominciare proprio dalla questione dei versi satanici.
Un panorama sulla vita dell’autore aiuterà a contestualizzare e introdurre i temi
e i motivi presenti in The Satanic Verses e, piø in generale, all’interno della sua
produzione.
1. Breve biografia di Salman Rushdie
Ahmed Salman Rushdie nasce a Bombay il 19 giugno 1947 da Anis Ahmed
Rushdie e Negin (Butt) Rushdie, poche settimane prima che l’India ottenga
l’indipendenza dell’Inghilterra.
1
Salman Rushdie, The Satanic Verses, Viking Penguin, Londra 1988.
7
Tra il 1954 e il 1961 frequenta la Cathedral School di Bombay; nel 1961,
sedicenne, viene mandato a Rugby, nel Warwickshire (Regno Unito). Il cambio
di ambiente influenzerà profondamente la fantasia e la coscienza del giovane
Rushdie.
Negli stessi anni la sua famiglia si trasferisce a Karachi, nel neonato Pakistan,
seguendo il percorso fatto da molte altre famiglie musulmane.
Dopo il diploma, Rushdie trascorre l’estate del 1965 con la famiglia in
Pakistan.
Sempre nel 1965 torna in Inghilterra, controvoglia, perchØ il padre lo iscrive
all’università di Oxford.
Si laurea in Storia moderna nel 1968 con una specializzazione sui movimenti
indipendentisti indo-pakistani. Nello stesso periodo, stringe amicizie importanti
e si dedica al teatro.
Segue un ritorno a Karachi nell’estate del 1968, durante la quale lavora per la
Pakistan TV.
Riparte, però, per l’Inghilterra dove, tra il 1970 e il 1980, lavora nel campo
della pubblicità: prima presso una piccola agenzia chiamata Sharp MacManus
poi per la Ogilvy & Maher, entrambe a Londra. ¨, questa, un’esperienza
importante, che si riflette anche in alcuni personaggi e momenti di The Satanic
Verses. ¨ anche un’occasione per avvicinarsi alla scrittura, passione quasi
innata e sviluppata negli anni.
In un’intervista concessa a F. Nencini dichiara: “già a tredici anni avevo
cominciato a scrivere un romanzo, e mio padre mi aveva addirittura fornito una
segretaria. Parlavo di una città fascinosa, Bombay, e di un ragazzino”
2
. Il
romanzo in questione è Terminal Report, un breve lavoro autobiografico, nato
in seguito a certi episodi di discriminazione subiti a scuola.
Nel 1971 completa The Book of the Pir, opera che non sarà mai pubblicata.
Il vero debutto letterario arriva nel 1975, con la pubblicazione di Grimus, un
romanzo fantascientifico dedicato a Clarissa Luard, con cui si sposerà l’anno
2
S. Rushdie, intervista rilasciata a F. Nencini, «Il Resto del Carlino», 1 maggio 1984, art. cit.
in Stefano Manferlotti, Salman Rushdie, «Belfagor. Rassegna di varia umanità», 45, n°1, [265],
1990, p. 33.
8
successivo. Poche le recensioni positive, piø che altro viene ignorato e
recensito come inconcludente, frammentario. Anche dal punto di vista
commerciale non è certo un successo.
A viaggi interspaziali e interplanetari, creature dotate di telepatia e diversi altri
elementi tipici del genere fantascientifico si aggiunge una narrazione
fortemente ispirata al folklore e alla mitologia orientale, dove il primo
riferimento sono certamente Le Mille e Una Notte.
Il titolo è un anagramma di Simurg, il mitico uccello del paradiso, simbolo di
Dio nel poema Mantiq Uttair del poeta sufi persiano Fariduddin Attar (XII
secolo): da qui Rushdie riprende il tema della ricerca, ma lo svuota di
significato spirituale. I suoi protagonisti rappresentano, così, il moderno stile di
vita occidentale, caratterizzato dall’assenza di Dio e della morale.
Come sostiene Syed Amanuddin nella sua puntuale analisi dell’opera, “Grimus
may be viewed as an allegory of modern technological man with his
extraordinary ability to conceptualize, order, and reorder his own life and
society and the world around him”
3
.
Alcune tematiche come il rapporto Oriente-Occidente, la migrazione e i
processi di perdita/acquisizione di radici, sono già presenti nell’opera prima e
si ripeteranno costantemente in tutta la produzione dello scrittore.
Nel 1981 pubblica il suo secondo romanzo, Midnight’s Children (“I Figli della
mezzanotte”), dedicato al figlio Zafar, nato due anni prima. L’opera è un
successo planetario, ottiene l’ambito Booker McConnell Prize for Fiction e
Rushdie può finalmente dedicarsi alla letteratura a tempo pieno, abbandonando
il lavoro di pubblicitario.
La vicenda si svolge in anni di grandi cambiamenti: la fine dell’imperialismo
britannico sull’India e la problematica nascita del Pakistan come stato
musulmano (in urdu Pakistan significa “la terra dei puri”).
3
Syed Amanuddin, The Novels of Salman Rushdie: Mediated Reality as Fantasy, «Literature
Today», 63:1 (1989: Winter), p. 43.
9
Il titolo fa riferimento ai bambini nati esattamente alla mezzanotte del 15
agosto 1947, giorno in cui l’India ottenne l’indipendenza, e dotati, nella
finzione dell’opera, di poteri soprannaturali.
Dunque, il periodo storico coincide con gli anni vissuti a Bombay dall’autore
durante l’infanzia e il romanzo è nutrito di ricordi personali.
Nel saggio che dà il titolo a Imaginary Homelands c’è il racconto della genesi
di questo romanzo e un’interessante annotazione a proposito del rapporto tra lo
scrittore e il suo passato: “the past is a country from which we have all
emigrated, […] but I suggest that the writer who is out-of-country and even
out-of-language may experience this loss in an intensified form”
4
.
Il personaggio principale, Saleem Sinai, è uno di quei bambini prodigiosi e le
sue vicende mostrano in forma allegorica luci e ombre dell’India libera: lotte
socio-politiche, secolarismo e tradizione, modernità e conflitti religiosi, fino ai
mesi cupi dell’Emergenza, il periodo (giugno 1975-gennaio 1977) durante il
quale Indira Gandhi, in seguito a una sconfitta elettorale e ad accuse di brogli,
sospese ogni garanzia costituzionale, fece arrestare numerosi oppositori politici
e limitò fortemente la libertà di stampa.
Questo sfondo storico non impedisce alla narrazione di colorarsi di spunti
fantastici, anzi la commistione di storia e fantasia è una delle cifre stilistiche di
Rushdie.
In questo senso Midnight’s Children prefigura ampiamente lo stile narrativo di
The Satanic Verses.
In un’intervista del 1985, Rushdie spiega che influenza abbiano avuto sul suo
stile i racconti che ascoltava da bambino in India: “la prima cosa che ha piø
influenzato I figli di mezzanotte [sic], o la sua costruzione, è la forma che
prende in India la narrativa orale. Ho cominciato ad ascoltare i grandi
raccontatori in India: raccontano storie che durano tutto il giorno […].
Cominciano la mattina e finiscono al tramonto; poi il giorno dopo
ricominciano. E il pubblico di questi raccontatori è immenso: ci possono essere
4
S. Rushdie, Imaginary Homelands: Essays and Criticism 1981-1991, Granta & Penguin,
Londra 1991, p. 12.
10
piø di mezzo milione di persone che si radunano in un campo per ascoltare un
vecchio che racconta delle storie. In questi racconti orali è molto interessante la
forma. Innanzitutto, si tratta di mostruosi coacervi di reale e fantastico, di
mitologico e di quotidiano. Inoltre queste storie non hanno uno svolgimento
lineare, non vanno dall’inizio alla fine. Progrediscono in grandi cerchi
concentrici, in vortici; tornano indietro e si ripetono, riepilogano e poi
ripartono di nuovo; fanno digressioni e ritornano sull’argomento. […] ¨ una
forma che sembra senza forma; l’impressione è che sia frutto del caso, come se
la prima cosa che passa per la mente del raccontatore vada sempre bene. E
invece rimasi colpito da un’intuizione: che tutto questo era un travestimento:
che si trattava invece di una forma scelta con grande attenzione; forse non
scelta da un singolo raccontatore, ma da una tradizione che si è sviluppata per
certe ragioni. E la ragione principale, mi sembra, è che la forma del racconto
orale corrisponde al modo di ascolto che piace al suo pubblico. […] La gente si
diverte di piø perchØ il narratore gioca di piø”
5
.
Si è ritenuto opportuno riportare questa ampia citazione perchØ inquadra
precisamente alcune scelte stilistiche adottate da Rushdie in tutte le sue opere
principali: l’interazione di realtà e immaginazione, l’elemento comico, i
continui spostamenti spazio-temporali, l’incastro di storie e sottostorie che
rendono piø complessa la trama.
Una delle etichette usate per classificare questo modo di scrivere è quella di
“realismo magico”, che subito fa pensare a Gabriel García MÆrquez. Da
un’intervista con John Mitchinson si legge: “it amuses him how his own work
has become a critical by-word for ‘magic realism’, his name very often
mentioned in the same breath as the genre’s doyen, Gabriel Garcia Marquez.
‘[…] Suddenly everybody was writing that I’d obviously been influenced by
Garcia Marquez, of whom I’d literally never heard. […] Even after I’d read it
and succumbed to its wonders, I don’t think it influenced my own writing. It’s
5
Id., intervista rilasciata a G. Almansi, «L’Indice», 5, 1985, p. 26, cit. in S. Manferlotti, art.
cit., pp. 31-2.
11
really just a kind of labelling. To me there is no different except in terms of
geography between ‘magic realism’ and ‘surrealism’”
6
.
Dunque, uno stile aperto all’uso del fantastico, ma con forti appigli alla realtà,
alla storia e alla politica. ¨ questo uno dei maggiori aspetti problematici di tutta
la produzione di Rushdie, non solo di The Satanic Verses: è vero che i
riferimenti a persone e fatti storici sono rintracciabili chiaramente tra le righe,
ma si mescolano sempre a situazioni magico-oniriche, rendendo difficile la
loro interpretazione.
I suoi detrattori gli rimproverano di poter in questo modo esprimere, in assoluta
libertà, giudizi e idee personali su questioni socio-politiche, aspetti religiosi o
dubitare dell’essenza stessa di aspetti fondamentali della fede.
Sempre a proposito di Midnight’s Children, Mohamed Arshad Ahmedi spiega:
“Rushdie’s thoughts and views are clearly spelt out in this book. […] Prayer,
the most important part of a Muslim’s conviction of faith, is given to ridicule
and is almost regarded as a penance. Rushdie deeply regretted the Partition, as
he had to leave India for Pakistan, due to the fact that he was a Muslim, albeit
by name alone, but nevertheless a Muslim […]. Rushdie also makes a clear
differentiation between good and evil and, indubitably, chooses the latter, in
arrogant fashion”
7
.
Sulla questione si tornerà piø approfonditamente nel trattare da vicino The
Satanic Verses, dove i riferimenti a islam e Maometto sono molto piø diretti ed
evidenti.
Si arriva così al terzo romanzo, Shame (“La Vergogna”), del 1983 che è, in un
certo senso, la continuazione di Midnight’s Children, con lo spostamento delle
vicende dall’India al Pakistan: sullo sfondo delle sanguinose lotte tra Ali
Bhutto e Zia ul-Haq (sotto i nomi fittizi di Iskander Harappa e Raza Hyder), si
6
John Mitchinson, Between God and Devil, «Waterstone’s», Autumn-Winter 1988,
ripubblicato in Pradyumna S. Chauhan (a cura di), Salman Rushdie Interviews. A Sourcebook
of His Ideas, Greenwood Press, Westport London 2001, p. 96.
7
Mohamed Arshad Ahmedi, Rushdie – Haunted by his unholy ghosts, Avon Books, Londra
1997, pp. 77-8.
12
svolgono le avventure di Omar Khayyam Shakil, figlio di tre madri
8
e della
giovane Sufiya Zinobia, che assume su di sØ, attraverso una metamorfosi in
mostruosa belva fino all’apocalittica esplosione, la vergogna di chi sta
trasformando il Pakistan in una dittatura sanguinosa.
Il racconto è, dunque, un pretesto per illustrare la formazione del nuovo stato
indipendente e le problematiche nate da questa scissione forzata dall’India.
Dimostrando ancora una volta una grande capacità narrativa, Rushdie
costruisce avventure e personaggi fantastici sulla base di riferimenti storico-
politici ben chiari.
Come suggerisce Syed Amanuddin, “Rushdie’s novels are clearly attempts to
present mediated reality stretched to the frontiers of fantasy”
9
.
E nonostante Shame possa essere considerato un romanzo debole per il suo
eccessivo intento critico verso la realtà politica del Pakistan, mette in luce
alcune questioni delicate come, per esempio, il fondamentalismo e la
condizione della donna: “it is commonly and, I believe, accurately said of
Pakistan that her women are much more impressive than her men […]. Their
chains, nevertheless, are no fictions. They exist. And they are getting
heavier”
10
.
I tre romanzi che precedono The Satanic Verses contengono riferimenti
tematici e modalità narrative che saranno lì riprese ed ampliate: “in many ways
the three novels constitute a trilogy which presents a mythical interpretation of
the contemporary world, more specifically the obsessions and values of the
West and the dilemmas of the newly liberated Third World nations. The
author’s sympathies obviously are on the side of individual liberties in the
context of collective welfare and human values opposed to possessions and
obsessions with things in the name of progress and technology”
11
.
8
Nelle quali la critica ha visto un riferimento alle tre madri spirituali di Rushdie: India,
Pakistan, Inghilterra.
9
S. Amanuddin, art. cit., p. 42.
10
S. Rushdie, Shame, Jonathan Cape Ltd, Londra 1983, p. 173.
11
S. Amanuddin, art. cit., p. 45.
13
Così il confronto tra Occidente e Terzo Mondo liberato è solo una delle tante
chiavi di lettura dell’opera di Rushdie.
Sebbene riferimenti alla corruzione del governo pakistano fossero già presenti
in Midnight’s Children, in Shame lo scrittore gioca a confondere il lettore con
l’alternanza tra finzione e realtà. Sembra quasi che, avendo a che fare con un
romanzo di finzione, Rushdie possa concedersi la libertà di esprimere giudizi
anche duri e diffamatori su molteplici questioni: “but suppose this were a
realistic novel! Just think what else I might have put in. The business, for
instance, of the illegal installation, by the richest inhabitants of ‘Defence’, of
covert, subterranean water pumps that steals water from their neighbours’
mains […] And would I also have to describe the Sind Club in Karachi, where
there is still a sign reading ‘Women and Dogs Not Allowed Beyond This
Point’? […] the execution of Mr Zulfikar Ali Bhutto […] or about anti-
Semitism […] or about smuggling, the boom in heroin exports, military
dictators, venal civilians, corrupt civil servants, bought judges. […] Imagine
my difficulties!”
12
.
Naturalmente è un modo per denunciare indirettamente alcuni dei mali che
affliggono la classe dirigente pakistana. L’intenzione dello scrittore è, però, di
comunicare qualcosa di piø universale, non legato solamente a questioni
interne alle singole nazioni, di raccontare una sorta di fiaba moderna destinata
ai lettori di tutto il mondo, non solo a quelli pakistani.
Come fa notare Mohamed Arshad Ahmedi, un paragrafo presente in Shame
può essere letto come “an eerie premonition of events and circumstances that
were to befall him”
13
, tenendo presente che fu scritto ben cinque anni prima di
The Satanic Verses: “by now, if I had been writing a book of this nature, it
would have done me no good to protest that I am writing universally, not only
about Pakistan. The book would have been banned, dumped in the rubbish bin,
burned. All that effort for nothing! Realism can break a writer’s heart.
Fortunately, however, I am only telling a sort of modern fairy-tale, so that’s all
12
S. Rushdie, Shame, cit., pp. 69-70.
13
M. A. Ahmedi, op. cit., p. 85.
14
right; nobody need get upset, or take anything I say too seriously. No drastic
action need be taken, either. What a relief!”
14
.
E, invece, di sollievo proprio non ce ne sarà in seguito alla controversia nata
dalla pubblicazione di The Satanic Verses!
Sembra, comunque, evidente allo stesso Rushdie che certi argomenti trattati nei
suoi romanzi possano suscitare dibattiti o reazioni indesiderate. Non per questo
decide di evitare di parlarne. Anzi, il suo modo di scrivere pare essere diretto a
svelare la verità dei fatti, ad illuminare zone d’ombra, anche a costo di risultare
fastidioso, pungente.
Da questo desiderio nasce, nel 1987, The Jaguar Smile: A Nicaraguan Journey
(“Il sorriso del giaguaro”), in forma di saggio. In seguito a numerose letture e a
un viaggio di quattro settimane nel luglio del 1986 in Nicaragua, ospite della
Sandinista Association of Cultural Workers, Rushdie concepisce un reportage
di viaggio sulla rivoluzione sandinista, denunciando la violenta dittatura di
Somoza, ma non risparmiando critiche anche al ruolo assunto dagli Stati Uniti
nella questione.
Il titolo fa riferimento a una filastrocca inglese, nella quale si racconta di una
ragazza che esce a fare un giro in groppa a un giaguaro e torna a casa nella
pancia dell’animale sorridente. La ragazza e il giaguaro sono un’allegoria per
raccontare le vicende del Nicaragua postrivoluzionario.
Per la prima volta Rushdie compone un’opera esplicitamente non letteraria.
L’ambiguo gioco di scambi e connessioni tra realtà e fantasia torna
prepotentemente in The Satanic Verses, il romanzo di cui ci occuperemo nelle
prossime pagine e che tanto ha fatto discutere per via delle reazioni alla sua
pubblicazione.
14
S. Rushdie, Shame, cit., p. 70.