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«Come può la bellezza essere causa di tanti mali? Non dovreb-
be prodigarci soltanto gioia ed essere fonte di piacere per tutte le
creature? La bellezza, replicò Giunone, come tutto ciò che è prezioso
suscita cupidigia e desiderio di possederla, non solo di contemplarla
e a tale impulso cedono mortali ma anche gli stessi dei. Eco replicò:
Ma non è anche vero che, se non si condivide, se non si offre in alcun
modo agli occhi che la anelano, essa non si può possedere del tutto?
O forse qualcosa o qualcuno, per quanto sia bello può possedersi da
solo?».
DIALOGO TRA ECO E GIUNONE
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Introduzione
Se mai ci sia stato un Secolo Breve, l’esistenza di Dmitrij Shostakovich vi è
interamente contenuta: nato a San Pietroburgo nel 1906, un anno dopo
l’ondata insurrezionale che aveva scosso la sua città e che viene considera-
ta quasi come la “prova generale” della Rivoluzione del 1917, muore a Mo-
sca nel 1975, cioè all’indomani di quella crisi petrolifera mondiale i cui ef-
fetti avrebbero trascinato nel baratro l’intera economia sovietica nell’arco
di appena quindici anni.
Egli si forma artisticamente nel clima politicamente e culturalmente acceso
della Rivoluzione Sovietica.
Nella sua opera è evidente un legame molto sincero con gli avvenimenti
più significativi della storia russa: la Rivoluzione Russa del 1905, la Prima
Guerra Mondiale, la Grande Rivoluzione Socialista d’Ottobre, la guerra civi-
le, la formazione della società socialista, la lotta al fascismo e i problemi
del dopoguerra.
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Il suo stile presenta curiosità modernistiche nelle prime opere, ma per uni-
formarsi ai dettami del Realismo socialista, ha spesso fatto ricorso ad un
linguaggio compositivo di tipo tradizionale.
I suoi primi lavori rimangono infatti ancora oggi la testimonianza musicale
più significativa di un periodo di grandi aperture nei confronti della cultura
e dell’arte sovietica (ovviamente ci riferiamo a quella che seguì immedia-
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A tal proposito dice di lui la scrittrice Sof’ja Chentova: “L’opera di Shostakovich è divenuta tanto
la cronaca quanto la confessione di generazioni che aspirano ad un grande futuro”.
Tratto da Shostakovich, la vita e l’opera, Sof’ja Chentova, Sovetskij Kompozitor, Leningrado 1985-
86, pg. 5. Anche Koechlin descriveva S. come un uomo che, come Verdi, “...Si rivolgeva ai propri
fratelli, li consolava, li sosteneva e imponeva simpatia e ammirazione…”.
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tamente la Rivoluzione d’Ottobre), quasi per “volontà di rispecchiamento
della realtà oggettiva in un momento storico determinato” (cit. Gentilucci).
La sua personalità era un insieme di tendenze artistiche di egual valore.
Così come Cechov vedeva la vita con sfumature comiche ma impregnate di
pungente malinconia, in S. convivevano dolore cosmico, nevrosi, interesse
per la morte e per il crimine.
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Tutto il pagliaccesco, il grottesco e il facilmente monumentale che trovia-
mo nelle sue Sinfonie sconfina con il dramma e ne diventa, anzi, l’espres-
sione simbolica più acuta.
Un altro contrasto tipico dello stile di S. è il contrasto tra il senso magnilo-
quente del trionfo e l’introspezione soggettiva. Egli è stato infatti cantore
delle masse e al tempo stesso poeta del proprio io lirico.
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Tali tratti tipici della personalità del compositore resi in musica tramite un
mix magistrale di parodia, sarcasmo, ironia ed un largo uso di sottintesi.
La situazione cambia radicalmente però dopo l’esecuzione di Lady Ma-
cbeth e della Quarta Sinfonia: S. va infatti incontro, nel 1936, ad accuse di
formalismo da parte della critica sovietica più sbrigativa ed intransigente.
Tali attacchi traevano velenosa linfa dal desiderio (praticamente irrefrena-
bile) di fiaccare tutto quello che non poteva essere compreso senza sforzo
dalle masse.
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Il suo inseparabile amico Sollertinskij diceva di lui: «...Egli è una sorta di Dostoevskij rinarrato da
Charlie Chaplin…».
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Un io lirico reso in musica anche con autocitazioni quali il motto “DSCH”, che si analizzerà più
avanti nei capitoli sulle Sonate per viola e per violino.
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Conseguentemente a tali accuse, scomparve dalla programmazione teatrale la Lady Macbeth ed
anche il balletto L’Onda Limpida. S. confessò a Volkov: «Due attacchi della Pravda in dieci giorni:
era troppo per un uomo solo. Nessuno ebbe dubbi che sarei stato fatto fuori e devo ammettere
che il ricordo di quella prospettiva non mi ha più abbandonato».
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Quanto all’accusa di formalismo è doveroso chiarire il significato del ter-
mine. In arte il formalismo è l’espressione dell’ideologia borghese ostile al
popolo sovietico. Il Partito non ha mai cessato di vigilare e combatte ogni
manifestazione, per quanto piccola, di formalismo. Contro coloro che fos-
sero accusati di essere formalisti, l’autorità poteva far ricorso ad ogni sorta
di punizione, compresa l’eliminazione fisica.
Il compositore, chiuso nella sua casa e isolato anche dalla vita pubblica, se-
condo le direttive culturali del Partito, era considerato un compositore di
“musica degenerata antipopolare e formalista”; egli non scrive per il pre-
sente, e forse neanche per il futuro, compie un atto di fede nei confronti di
un linguaggio considerandolo un po’ come un’utopia.
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Tale situazione raggiungerà negli anni Trenta momenti drammatici e con-
traddittori: l’eterno scontro dell’intellettuale con il potere costituito, il taci-
to assenso alle istituzioni, pena l’isolamento e l’emarginazione, il cedimen-
to, alla fine, verso linee culturali ufficialmente riconosciute.
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L’impeto avanguardista di S., come di altri compositori (si pensi, per esem-
pio, a Prokofiev) e ad artisti a lui contemporanei, venne immediatamente
spento dalla burocrazia totalitaria sovietica, ormai completamente succu-
be delle direttive del Partito.
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In conseguenza di quella situazione e con la persistente accusa d’esser “un nemico del popolo”,
S. decise di non far più eseguire la Quarta Sinfonia, alla cui stesura aveva lavorato dal giugno
1935 al gennaio 1936, completandone l’orchestrazione il 27 maggio, in vista della première pro-
grammata alla Filarmonica di Leningrado, sotto la direzione di Fritz Stiedry, a proposito del quale
S. confessò: «Anche Stiedry era spaventato a morte perché neppure lui sarebbe stato risparmia-
to». Di per sé S., scrivendo la Quarta Sinfonia, un lavoro di proporzioni mahleriane e di linguaggio
avanzato, si era proposto di dar una risposta ai suoi detrattori in termini creativi, esaltando però
certi aspetti della propria arte che allora venivano posti sotto accusa. Nell’immediato, l’inter-
vento di Stalin convinse S. che la lotta era senza speranza ed allora si decise a sconfessare quel
lavoro. La Quarta, sarebbe stata conosciuta la prima volta solamente nel 1961, dopo il “disgelo”
kruscioviano.
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Celebre la dichiarazione al Congresso Panamericano per la Cultura e la Pace di New York in cui
pronunciò un discorso datogli qualche secondo prima, ammettendo sotto costrizione di essere
d’accordo con i giudizi negativi della Pravda su Stravinskij e Schoenberg.
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I processi estetici e ideologici, le accuse di formalismo rivolte ad alcune sue
composizioni ed infine l´obbligo di inserire la musica al centro di nuovi ri-
tuali collettivi ritenuti indispensabili per dare corpo allo spirito di una na-
zione unita: tutto questo pare sconfinare in un sogno o un incubo, quasi
che alla vita reale se ne fosse sovrapposta una virtuale fatta essenzialmen-
te di burocrazia e dispotismo, di uffici dalle stanze immense e dagli scaffali
stipati di dossier, di funzionari tanto potenti da sovvertire l´esistenza di un
uomo con la semplice apposizione di un timbro e al tempo stesso tanto
acquiescenti con l´autorità suprema da non rispondere mai in prima per-
sona dei propri atti.
Incubi, dunque, ma incubi in carne e ossa e non solo sognati.
Traumi che fronteggiano una situazione di continua emergenza e che a vol-
te alimentano, proprio di fronte a pericoli estremi, persino il senso di ap-
partenere a una comunità più giusta, con l’orgoglio di chi ha combattuto
per difenderla.
Questa visione patriottica di S. fu rigettata nel tempo a seguire dalle nuove
generazioni russe e, in alcuni casi, tacciata di retorica; in Occidente egli fu
addirittura accusato di opportunismo politico per via della fama raggiunta
dalla propaganda involontaria avuta dal regime con i suoi riconoscimenti e
le sue persecuzioni.
Addirittura non sono mancate spiegazioni psicoanalitiche a tale questione;
scriveva infatti un giornalista tedesco:
«Shostakovich forse era contento di essere accolto in un partito che,
come una maestra severa, sa punire, ma anche premiare e viziare.
Non si può dire quanto gli sia costata questa decisione e cosa ci fosse
realmente dietro quel suo volto teso».
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Detlef Gojowy, Shostakovich, Reinbek bei Hamburg, Rowohlt, 1983, pg. 140.
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Ciò che Hegel chiamava la “dialettica tra servo e padrone” ha finito, nel caso
del compositore, per subire degenerazioni in campo giornalistico-letterario.
A tal proposito scrive T. Walker:
«…La stampa capitalista si è sempre appigliata avidamente ai
cambiamenti nei rapporti tra Shostakovich e la burocrazia post-
stalinista, senza però averli mai capiti…».
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Nata in un’epoca sempre più distante dalla nostra comprensione immedia-
ta, la musica di S. possiede per noi qualcosa di straniante: nelle sue Sinfo-
nie, in particolare, è come se le ferite che Mahler aveva proiettato in un li-
vello onirico - per esempio quei suoni d’infanzia che si ripresentano con il
meccanismo del “perturbante” freudiano, cioè come il ritorno di un rimos-
so - comparissero in S. al livello della vita reale.
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La Quinta Sinfonia, che in Occidente venne considerata fin troppo accessi-
bile e comunicativa, è in realtà lontanissima dalla retorica sovietica
dell’arte “realistica” e “popolare”, ma è il frutto di un lavoro di ferrea sem-
plificazione e stilizzazione dei tratti più innovativi emersi nella Quarta Sin-
fonia, punto di volta dello stile sinfonico dell’autore ma certo non ancora
strutturalmente equilibrata come la Quinta.
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Tratto da: Thomas Walker, Momenti politici nella ricerca occidentale della musica di Shostako-
vich, in «Musica/Realtà», 4, Bari, 1981, pg. 131.
Il compositore, durante tutta la sua carriera artistica, si prefiggerà sempre l’obiettivo di parlare
sia alle moltitudini che alle élites. Nel 1955, due anni la morte di Stalin, egli compose la Decima
Sinfonia accompagnandola strategicamente da un velo di autocritiche poiché sapeva che i venti
cambiavano continuamente; paradossalmente tale opera gli valse il titolo di “Artista del popolo”.
Nonostante la sua opera sia sostanzialmente accessibile, il suo pensiero rimane tuttavia comples-
so e a tratti contraddittorio.
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Rispetto a Mahler, al quale egli sinfonicamente deve molto, la sua lingua musicale è più secca,
più fredda e razionale. Shostakovich, per la prodigiosa capacità assimilativa, pareva avviato in
gioventù sulla strada dell’eclettismo stravinskiano. Nello stesso tempo permanevano in lui ele-
menti strutturali cari al sinfonismo post-romantico europeo, ai quali rinunciava mal volentieri,
malgrado all’interno di essi fossero evidenti segni di insofferenza e di sfaldamento formale, ri-
conducibili alla lezione di Mahler. E proprio a Mahler, con alle spalle il gusto del grandioso caro a
Strauss e a Wagner, S. guardò in modo affatto personale.
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L’Ottava Sinfonia è invece uno dei documenti sonori che con maggior for-
za, nel Novecento, denunciano la carneficina della guerra.
Nel sinfonismo di S. ci sono passaggi nei quali i tratti tipici della retorica
bellica (la contrapposizione fra “buoni e cattivi”, l’immagine del nemico e
del pericolo, l’euforia della vittoria) emergono in primo piano.
Eppure tale trionfalismo è sempre tenuto lontano tramite un atteggiamen-
to volutamente antiromantico, che presenta quei contenuti senza parteci-
parvi, quasi come se fossero visti in un cinegiornale del tempo: sullo
schermo della musica, allora, scorrono le immagini delle battaglie vinte,
ma nel fondo degli occhi di chi guarda resta conficcata, gelida, solo
l’impressione dell’orrore.
Altri tratti importanti della sua personalità artistica erano la meticolosa
precisione dello stile, la logica e la consequenzialità dello sviluppo, la ra-
zionalità del pensiero e un grande senso dell’autocritica, tratti più scientifi-
ci che artistici.
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Il punto di partenza del suo stile è il distacco dal cosiddetto Gruppo dei
Cinque; a tal proposito scrive Koechlin:
«...In lui non ritroviamo più i tipici tratti della musica russa: la sotti-
gliezza sognante e nostalgica delle armonie cromatiche di Borodin,
l’atmosfera modale di Musorgskij, il clima asiatico di Balakirev, il pit-
toresco di Rimskij - Korsakov, ne l’equivalente di Stravinsky…».
S. ha prosciugato il tratto romantico sia nelle parti ironiche che in quelle
liriche, non consolandosi con nostalgie passate; egli, lontano dal facile ed
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Egli nasce da una famiglia di scienziati, dai quali ha probabilmente ereditato tali peculiarità del-
la sua personalità, riportate poi in musica.
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effimero sentimentalismo, è il musicista della disperazione grigia, della
rabbia fredda, impotente.
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Una particolare caratteristica del linguaggio di S. è proprio quella della na-
tura cadenzale delle prime battute di alcuni suoi lavori, in cui si vuole evi-
denziare una tonalità più apparente che reale.
Egli vuole comunicare col mondo esterno attraverso l’uso della tonalità
anche lì dove particolari passaggi armonici non richiedono affatto l’uso del-
la stessa, con in più una particolare predilezione per la bitonalità e la poli-
tonalità, a cui consegue un’oscillazione dei centri tonali.
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Ma ancor più interessante è l’uso della completa atonalità e della tecnica
del serialismo, soprattutto nelle ultime opere, come le Sonate per viola e
violino; tali tecniche verranno usate in modo sostanzialmente diverso dai
Maestri della dodecafonia dell’Europa Occidentale.
Nei suoi incisi melodici ritroviamo anche forti tratti modali arcaici (uso di
finalis e repercussio) e nuove scale da lui elaborate teoricamente sulle qua-
li scrivere i temi, mirando all’urto e al contrasto.
In lui vi è anche la tendenza ad un contrappunto semplice, a poche voci, in
cui potenti accordi dissonanti irrompono improvvisamente, amplificandone
la forza d’urto.
Il centro argomentativo di questa tesi consiste nella disamina analitica di
due opere del compositore, la Sonata per viola op. 147, ultimo lavoro
compositivo di S., considerato il suo testamento artistico, e la Sonata per
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Per descrivere la disperazione della Settima Sinfonia (Sinf. Leningrado) egli usa la bellissima e-
spressione “...Dolore senza pianto...”, mentre nella Ottava vediamo le rovine di un animo deva-
stato, molto più cupo ed introverso della “nevrotica estroversione” di Mahler (cit. Pulcini).
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Nelle prime ed ultime opere di S. troviamo infatti diatonismi, alquanto fittizi, inseriti con magi-
strale abilità in strutture musicali atonali.
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violino op. 134, in un confronto tra i due linguaggi compositivi, al fine di ri-
levare la differenza di spessore e valore tra i due lavori.
Segue una breve sintesi dei principali eventi della storia dell’URSS dal 1905
al 1924, in particolare le due Rivoluzioni Russe, dalle quali il compositore
prenderà spunto per alcune delle sue opere più significative, ovvero la Sin-
fonia n. 2 (A Ottobre), n.11 (Anno 1905) e n.12.
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«Un artista sul palcoscenico è come un soldato in battaglia. Per
quanto la difficoltà sia estrema, non esiste ritirata».
D. SHOSTAKOVICH
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Contesto storico
Le Rivoluzioni russe del 1905 e del 1917 possono considerarsi fasi distinte
di un unico processo che mutò radicalmente l’assetto politico della Russia
e abbatté il regime zarista.
La Prima Rivoluzione Russa venne favorita dalla sconfitta contro il Giappo-
ne (1905), che indebolì lo zarismo e riattivò i conflitti interni, frutto
dell’incapacità dell’autocrazia di affrontare le crescenti richieste di parteci-
pazione politica provenienti dalla borghesia e dall’aristocrazia liberale e di
risolvere la questione agraria e sociale.
Iniziata a S. Pietroburgo (gennaio), quando la polizia uccise un migliaio di
persone nel corso di una manifestazione per presentare una petizione allo
zar, in breve la rivoluzione si estese coinvolgendo operai e soldati, che die-
dero vita a soviet (“consigli”) con la partecipazione dei partiti socialisti.
Nelle campagne si diffuse la rivolta dei contadini poveri.
Per far fronte al pericolo rivoluzionario lo zar Nicola II in ottobre promise la
concessione di un sistema parlamentare e di maggiori libertà, ma nel corso
dei mesi successivi una repressione sempre più dura si abbatté sul movi-
mento rivoluzionario. Anche il Parlamento (in esercizio dall’aprile 1906)
venne gradualmente esautorato, e il regime zarista tornò al suo tradiziona-
le funzionamento autocratico.
LA RIVOLUZIONE DEL 1917
i problemi che avevano causato la fallita Rivoluzione del 1905 restavano
aperti e anzi, si andavano aggravando. La partecipazione alla Prima guerra
mondiale e i gravi rovesci militari fecero precipitare gli eventi.