Marco Ferrieri Cyberantropologia: Introduzione INTRODUZIONE Il lavoro è stato diviso in tre parti: nella prima parte ho provato ad affrontare il problema
metodologico della ricerca etnografica in rete; la questione è legata, secondo quanto abbia
potuto vedere e seguendo le indicazioni ricavate dalla letteratura (Escobar 1996, Hakken
2000, Miller e Slater 2003, Boellstorf 2008; ma anche Tosoni 2004, Paccagnella 2000) il
problema nel fare ricerca on-line, e quindi nel cercare di trovare spinti utili al proseguimento
della accumulo di sapere della disciplina, è che ci si pone difronte ad una scelta dicotomica,
un out – out che deriva dalla risposta a questa domanda: il Web è anche cultura nel senso
antropologico del termine? Senza saper (o poter) dare una risposta definitiva, credo che
l'antropologia possa procedere alla ricerca in questo campo utilizzando gli strumenti messi a
disposizione dalla cosiddetta antropologia post-moderna o multisituata (Clifford, Marcus
2001) e cioè cercando di giustificare le proprie scelte di indagine alla luce di una
interpretazione critica dell'oggetto di indagine stesso, cercando di mettere in luce la scelta del
“confine” , di ciò che definisce cosa fa parte dell'indagine e cosa invece ne esula. In questo
senso ho cercato di definire una (brevissima) “storia culturale” del Web, seguendo il libro di P.
Castellucci “Dall'ipertesto al web: storia culturale dell'informatica” per cercare di chiarire
quali discorsi (di tipo politico, economico e sociale) siano associabili alla tecnologia
informatica e come tali discorsi, con un accento particolare sul postmodernismo, si possano
sfruttare per costruire una descrizione antropologica della rete.
Ho poi proceduto ad analizzare due modi di giustificare il proprio indagare etnografico nel (o
sul) Web che ho arbitrariamente posto in contrapposizione: legare il lavoro a tematiche che
esulano dalla rete, e che la coinvolgono, per così dire, in conseguenza; e fare invece la rete, o
una parte di essa, la totalità del proprio campo di indagine. Cercando di mettere in luce i punti
in comune a questi due metodi, ho provato a definire da quale idea di uomo l'etnografo della
rete debba partire e come possa essere pensata quel che viene definita “Cyberantropologia”
(Guigoni 2001 ma il termine è di origine, a quanto abbia potuto osservare, incerta): l'uomo,
pur non avendo possibilità di un contatto fisico, ha comunque necessità di “incorporare” la
tecnologia e quindi di poterla usare come estensione del proprio sistema nervoso (come diceva
5
Marco Ferrieri Cyberantropologia: Introduzione McLuhan), arrivando a definire dei percorsi all'interno della rete che sono culturalmente
definibili, anche se difficili da osservare (esattamente come avviene in qualsiasi altro tipo di
ricerca sul campo, anche qui si ripropone il problema dei dati).
Nel secondo capitolo, tenendo presente tale linea teorica, ho provato a declinare in varie realtà
del Web quanto detto: attraverso dei semplici esempi (un forum, una chat, dei siti internet) il
tentativo è stato quello di definire come la cultura e l'identità vengano trasmesse in rete: tale
definizione è necessaria per poter conferire significatività alla cyberantropologia. Prendendo
come campo di indagine la società occidentale contemporanea e mantenendo in sottofondo le
dinamiche economiche e culturali del capitalismo odierno, ho utilizzato la teoria goffmaniana
della faccia per spiegare un fenomeno ricorrente nei forum (l'allentamento delle norme
grammaticali e sintattiche) e per descrivere alcune tecniche di presentazione dell'io in chat.
Infine, cercando di allargare il discorso fino a comprendere la società “off-line” ho legato la
descrizione di due siti internet “personali” (e cioè rivolti alla presentazione di una persona al
popolo della rete) alla teoria della modernità riflessiva per come essa è stata declinata da Lash
(Giddens, Beck, Lash 1994), arrivando a dire come la presentazione dell'identità e la
riproduzione della cultura in rete siano legate alla generale tendenza della società moderna all'
autodeterminazione dell'io, o almeno alla diffusione di una strutturata apparenza di
autodeterminazione.
Nell'ultimo capitolo mi sono concentrato sulle comunità on-line e su quanto viene chiamato il
“Web 2.0” e cioè la progressiva tendenza della rete a diventare “rete di relazioni” piuttosto
che rete di informazioni, cercando di decostruire il discorso mediatico inerente tale processo
di cambiamento e mostrando come fin dagli inizi le potenzialità della rete potessero essere
massimizzate dalla costruzione di relazioni tra i partecipanti ad una comunità virtuale.
Appoggiandomi al lavoro di Howard Rheingold (Rheingold 1993) ed alla sua concezione
della rete, ho accennato una descrizione della vita comunitaria in “The Well” (quel che oggi
appare come uno strutturato forum attorno al quale è nata una tra le primissime comunità
virtuali), proponendo poi una parallela descrizione delle caratteristiche del più utilizzato
social-network dei nostri tempi: Facebook. Volendo restringere il campo di indagine, ho
provato a descrivere quel che mi è parso un fenomeno significativo da diversi punti di vista
(linguistico, culturale ed economico) che è apparso all'interno di tale servizio on-line: la
6
Marco Ferrieri Cyberantropologia: Introduzione comparsa e l'utilizzo del pulsante “mi piace”. Nel parlare delle pratiche di utilizzo di tale
pulsante, il discorso è ritornato sull'ordine economico mondiale e sulle tendenze socio-
culturali dell'occidente.
7
Marco Ferrieri Cyberantropologia: Capitolo uno
CAPITOLO PRIMO
“CYBERANTROPOLOGIA” 1- LA COSTRUZIONE DEI CONFINI
« Che dire se qualcuno si desse a studiare la cultura degli hackers (un progetto di ricerca
antropologica perfettamente accettabile in molti, se non in tutti, i dipartimenti) e nel corso
dell’indagine non incrociasse mai, non “interfacciasse”, un solo hacker in carne ed ossa?
Potrebbero i mesi, magari gli anni, spesi a navigare sulla rete, essere considerati lavoro sul
campo? La risposta potrebbe benissimo superare sia i test di durata di soggiorno sia quelli di
“profondità”/interattività. (Sappiamo quante strane e intense conversazioni si possono svolgere su
Internet). E, dopotutto, il viaggio elettronico è un tipo di dépaysement . Potrebbe dar luogo a un’
intensa osservazione partecipante di una diversa comunità senza mai lasciare fisicamente casa
propria. Quando ho chiesto ad alcuni antropologi se questo potrebbe essere considerato lavoro sul
campo, essi hanno genericamente risposto “può darsi”, anzi , in un caso, “ovviamente”. Ma
quando, insistendo, ho domandato se sarebbero disposti a seguire una tesi di laurea basata
principalmente su questo tipo di ricerca immateriale, hanno esitato o risposto di no: non sarebbe
lavoro sul campo attualmente accettabile. Date le tradizioni della disciplina, si sconsiglierebbe ad
un laureando di seguire un simile iter di ricerca. Noi ci opponiamo alle limitazioni storico-
istituzionali che rafforzano la distinzione fra il lavoro sul campo e un più ampio ventaglio di
attività etnografiche. Il lavoro sul campo in antropologia è sedimentato con la storia della
disciplina, e continua a funzionare come un rito di passaggio e un marcatore di professionalità» 1
L'etnografia si è sempre occupata di studiare delle culture “altre”, attraverso la ricerca sul
campo effettuata attraverso diversi metodi che hanno sempre riguardato la comparsa di una
figura estranea al contesto studiato (l'antropologo) che detta le regole e i tempi della ricerca e
che decide a priori quali siano i confini oltre i quali l'indagine cambierebbe di soggetto.
Questa definizione dei confini, inizialmente data per scontata e poi con il sopravanzare del
sapere della disciplina divenuta sempre più problematica ed arbitraria,è tra i compiti
dell'etnografo. Con l'avvento della cosiddetta antropologia postmoderna (Clifford, Marcus
2001) la definizione del campo (e quindi dello status di “cultura” oggetto d’indagine) è una
scelta strategica dell'antropologo e non una dimensione oggettivamente rilevabile:
«(…) Due forme di costruzione di testi sembrano possibili.
1James Clifford, Routes: Travel and Translation in the Late Twentieth Century, Harvard University Press, 1997;
trad. it. Strade. Viaggio e traduzione alla fine del secolo XX, Torino, Bollato Boronghieri, 1999, pp. 81-82.
Citato in Montemuro, Marco “Blogosfere: indagine di cyberantropologia sull'area del golfo persico” Tesi di
laurea del corso in Teorie e pratiche dell'antropologia, Università La Sapienza, Roma anno accademico 2004
– 2005.
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Marco Ferrieri Cyberantropologia: Capitolo uno
Secondo la prima forma l'etnografo può tentare di rappresentare in un solo testo molteplici
realtà locali tra loro dipendenti in modo inconsapevole (…) Utilizzando invece la seconda
forma, assai più maneggevole, l'etnografo costruisce il testo attorno ad una località
selezionata in modo strategico, mantenendo il sistema sullo sfondo, senza tuttavia perdere di
vista il fatto che esso costituisce parte integrante della vita culturale interna all'oggetto di
studio.» (Ibidem: 236 - 237)
La scelta di una popolazione da studiare in tutte le sue forme, archetipo dell'etnografia della
prima metà del secolo, ha dovuto, con l'affinarsi degli strumenti interpretativi e della critica
metodologica, arrendersi alla considerazione che nessuna popolazione esiste in uno spazio ed
in un tempo avulsi da contatti, contaminazioni, ibridazioni con sistemi esterni (religiosi,
politici, economici o culturali) e che tali contatti, contaminazioni, ibridazioni, non sono
eccezioni o casi particolari, ma sono centrali per la comprensione etnografica. La purezza
nell'etnografia del passato (Clifford 1988) è tanto meno utile e rilevabile quanto più lo
sguardo dell'etnografo si sposta attraverso le tematiche politico-economiche della società
globale, cercando di rivolgere lo sguardo verso la cultura che ha prodotto la disciplina,
abbandonando la pretesa di parlare “in nome di” popoli che « Dopo il 1950 (…)
cominciarono a parlare e ad agire efficacemente per conto proprio» (ibidem: 18).
Secondo Fabietti, questo tipo di disciplina:
« Se fa proprio il dubbio cartesiano volto a diffidare del pregiudizio e dell’abitudine,
(l’antropologia) respinge anche, e al tempo medesimo, la pretesa che tale dubbio possa
fondare una forma di razionalità priva di legami con il contesto culturale che l’ha prodotta.
L’antropologia accetta così una “critica dei costumi” ( à la Descartes ), ma solo allo scopo di
negare ( à la Montaigne ) che i costumi degli “altri” siano in qualche modo addomesticabili da
un atteggiamento intellettuale che è, alla fine, esso stesso il prodotto di un “costume”: la
razionalità astratta della tradizione occidentale »
(U. Fabietti 2004
2
: 178)
In bilico tra due mondi (quello delle popolazioni studiate e quello di nascita) l'antropologia è
stata anche chiamata la “scienza del confine” (ibidem: 179) proprio perché chiamata ad
interpretare la differenza tra le culture. Su questo confine è difficile non perdersi: la varietà
delle costruzioni culturali, se da un lato si pone come caratteristica principale della
fabbricazione di tali confini, dall'altro è anche il risultato del loro continuo attraversamento; e
tenendo conto di questa complessità, l'etnografia contemporanea ha elaborato i propri concetti,
2 Pubblicato in Salvatici, Silvia (a cura di) “Confini, attraversamenti, rappresentazioni”, 2004, Trento,
Rubettino editore.
9
Marco Ferrieri Cyberantropologia: Capitolo uno
che, di conseguenza, sono sempre precari e versatili, esattamente come versatile e precaria è la
definizione dei confini che i soggetti studiati utilizzano per i propri scopi.
1.1- : La ricerca etnografica in rete il problema della fisicità Adottando questo paradigma metodologico, lo status di cultura del WEB
3
e quindi la
legittimazione di questa realtà come oggetto di studio etnografico non è un problema
pertinente: la reale difficoltà è inquadrare tale realtà in una narrazione che possa dare un
significato condivisibile alle descrizioni e alle speculazioni dell'antropologo che voglia
confrontarsi con tali temi, e inserirsi in modo pertinente nella letteratura per contribuire a
quell'accumulo di sapere che è lo scopo della disciplina.
Tuttavia la reticenza ad adottare dei progetti di ricerca sulla vita on-line e il ritardo
nell'esplorazione di quel che A. Escobar (Escobar 1994) sedici anni fa ha definito “Cyberia” è
significativo ed illumina sulla forza simbolica che il WEB è riuscito ad esercitare sugli
scienziati sociali: la costruzione di una dicotomia (studio delle pratiche on-line “tout court” Vs
studio delle pratiche off-line riflesse in attività on-line) nella mente degli esperti (come
esempio dei due approcci ho trovato illuminanti due libri, uno di Tom Boelstoff: Second Life
e l'altro di Daniel Miller and Don Slater: The Internet: an ethnographic approach), seppur
trattata in modo approfondito e seguendo (da ambo le parti) un approccio aperto e complesso,
illumina su come il WEB sia un'entità ibrida e compenetrata da varie tendenze, con dei confini
propri che vengono continuamente attraversati e costruiti dagli attori che in esso si trovano a
giocare i propri ruoli.
Ciò che crea queste difficoltà di metodo è l'evidenza empirica che nel WEB non c'è fisicità
(nel senso che comunemente viene dato alla parola) ma esistono spazio, tempo e relazione: ciò
ha enormi conseguenze sull'approccio che chiunque voglia cimentarsi con lo studio di tale
realtà deve adottare, ma anche di chiunque abbia avuto esperienza del WEB; in questo senso,
per capire le dinamiche della comunicazione on-line e per tentare di superare questa
dicotomia, è utile la considerazione che:
«Virtual worlds will continue to draw cultural assumption and social norms from actual world,
3 Per “web” qui non si intende il software di navigazione in internet che domina il mondo della rete
attualmente, ma il significato che questa parola ha assunto nel senso comune: un sinonimo di on-line, di
internet e di virtuale.
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Marco Ferrieri Cyberantropologia: Capitolo uno
but this influence is primarily indirect» (Boelstoff 2008: 201)
Con questa frase l'antropologo di Second Life vuole sottolineare che una realtà che ha ormai
decine di migliaia di utenti impegnati in interazioni quotidiane non può essere vista come una
sorta di “surrogato” della vita reale, ma deve poter essere studiata in sé, come prodotto della
società contemporanea, nello stesso modo in cui vengono studiate nell'antropologia recente,
ad esempio, i flussi migratori (Appadurai 2001, Sayad 2002, Signorelli 2006) , il
travestitismo e i transgender (Strayker 2006, Hirschfeld 2006) o la malattia (Quaranta 2006,
Good 2006).
La prima parte di questo capitolo riguarda la storia di questa dicotomia per come è intesa da
chi popola la rete.
2- LE ORIGINI DELLA RETE 2.1- Considerazioni di metodo La nascita di questa dicotomia sui generis (in quanto ampiamente superata nella pratica di
ogni giorno)
4
, è da vedersi come attinente alla nascita del WWW, o, per meglio dire, è con
tale evento che essa ha cominciato ad avere un significato concreto e “storico” (nel senso di
inserito nella pratica quotidiana) per le persone in essa coinvolte.
Utilizzando la vasta letteratura (tra gli altri Gilles R.Cailliau 2000, Gubitosa 2001, Hafner
1996, ecc... ) sulla storia della tecnologia che ha portato alla nascita del web e materiale
rinvenibile in rete, proverò a leggere i progressi tecnologici contestualizzandoli alla luce dei
processi antropologici in atto al momento della loro scoperta. Tale lettura non ha la pretesa di
essere esaustiva e non vuole inserirsi nel dibattito tra determinismo tecnologico e
determinismo sociologico, e cioè tra chi dà una certa preponderanza ai fattori tecnologici nel
mutamento tecnico e chi invece a quelli sociali:
4 Non parlo volutamente di reale e virtuale in senso proprio per contestualizzare il mio lavoro: quel che voglio
tentare di descrivere è la nascita di un luogo chiamato Web . La separazione tra reale e virtuale nasce molto
prima del web, e si può far risalire alla invenzione della visione prospettica nella pittura (T. Maldonado
1993): Il Web non è Il virtuale, ma, volendo, una delle sue declinazioni.
11
Marco Ferrieri Cyberantropologia: Capitolo uno
«Il determinismo sociologico è quel tipo di interpretazione che vuole alla base dello sviluppo
della tecnologia elementi sociali variamente declinati. Ora la situazione storica , ora la
necessità culturale, ora lo spirito dei tempi ( Zeitgeist ), ora le spinte del mercato ( Market push )
(…).
La posizione teorica opposta è detta determinismo tecnologico: nel rapporto tra la società e la
tecnologia, è la tecnologia ad avere un ruolo di primo piano rispetto alla società.»
(D. Bennato 2002: 16)
5
.
Qui si vuole semplicemente rendere esplicite le dinamiche in atto nella costituzione della rete:
partendo dall'ipotesi che il Web sia a pieno titolo un (non) luogo tipicamente moderno (Augé
1992), esattamente come si considerano (non) luoghi metropolitane, autostrade e aeroporti,
mi pare di un certo interesse dare una lettura a ciò che ha portato questo (non) luogo a
sorgere, vedere l'intreccio di discorsi politici, economici, sociali e culturali che hanno segnato
la nascita di questo nuovo medium.
La storia di internet, ormai entrato nel suo quarto decennio, è utile nella comprensione di quel
che significa “essere on-line” in quanto permette di illuminare su come il “sistema” agisce
nella costruzione delle identità e delle pratiche comunicative; fornendo una cornice che
permette di inquadrare meglio il legame tra i movimenti macro della cosiddetta “società
globale” e quelli, di profilo più ristretto, della rete.
2.2- , '68 Sputnik Agenzia Arpa e lo spirito del Il primo messaggio tra computer a distanza effettuato attraverso la commutazione di
pacchetto (la tecnologia che è ancora alla base delle trasmissioni di dati in Internet) fu
effettuata il 28 Ottobre 1969 tra l' Università della California e L'Istituto di Ricerca di
Stendford (Gilles, Cailliau 2000: 41) e “L O” era il contenuto (il messaggio “LOG” non fu
completato per un inconveniente tecnico).
Il progetto in cui tale evento era inserito fu finanziato dal governo americano e fu il risultato
di alcuni anni di ricerca da parte dell'agenzia ARPA costituita dal presidente Eisenhower per
dare una svolta alla ricerca militare della nazione, nel tentativo di rispondere alla prima
vittoria della Russia nella corsa allo spazio: il lancio dello Sputnik, il primo satellite in orbita
attorno al pianeta. Questo messaggio non fu il primo ad essere scambiato tra computer, ma fu
il primo ad essere inserito in un programma di ricerca volto alla costituzione di una rete di
5 Bennato, Davide “Le metafore del computer”, Roma, Meltemi Editore 2002.
12
Marco Ferrieri Cyberantropologia: Capitolo uno
vasta scala per lo scambio di informazioni; gli scopi di questa rete erano principalmente tre:
1- dare agli USA un sistema di comunicazione in grado di sopravvivere ad un attacco
nucleare;
2- migliorare il sistema di controllo e comando delle forze militari;
3- Produrre un nuovo sistema di comunicazione e aumentare la conoscenza nel campo delle
reti informatiche.
Le caratteristiche della rete ARPANET (la rete di cui l'Università della California fu il primo
nodo) erano in grado di rispondere a queste richieste
6
: la rete fu pensata per funzionare in
modo che ogni nodo connesso potesse comunicare con tutti gli altri, col risultato che nessun
nodo fosse più importante di altri e quindi insostituibile; inoltre, grazie alla stabilità del
sistema di comunicazione così concepito, si poteva pensare che se adotta “non solo gli Stati
Uniti sarebbero stati un posto più sicuro con un sistema di comando e controllo più durevole,
ma lo sarebbero stati ancora di più se anche l' URSS l'avesse avuto” (Paul Baran cit. in Gilles
- Cailliau 2000: 34).
Dal 1969 al 1975 la Rete Arpanet crebbe costantemente e furono costituite reti simili anche
in Europa ed in Asia; divenendo sempre più esplicita la potenzialità delle reti informatiche, i
governi di tutto il mondo occidentale e i principali istituti scientifici, cominciarono a mettere
in agenda la costruzione di una rete sovranazionale. Grazie all'interessamento di diverse cate -
gorie di persone e di agenzie di potere la rete si avviava a rendere tangibile il concetto di “vil -
laggio globale” offrendo alla società occidentale una efficace metafora della propria aspira -
zione: come parente stretto dei due oggetti-simbolo dell'epoca - la Bomba
7
ed il computer -
6 Queste motivazioni non vogliono però essere qui inserite per alimentare la retorica sulla nascita in ambito
militare della rete: la stessa agenzia Arpa, poco tempo dopo la costruzione, fu praticamente messa in secondo
piano dalla nascita di altre agenzie e di altri ruoli istituzionali che ne hanno eroso le mansioni, e la
costruzione di ARPANET si inserisce nella strategia politica e discorsiva di un'istituzione e degli uomini che
ne fanno parte per poter sopravvivere all'interno del sistema di governance americano. La costituzione di una
rete per lo scambio di informazioni fu una scelta strategica, giocata in un ampio e complesso scacchiere e che
ha coinvolto tanti attori eterogenei spinti da interessi, da forze politico/economiche e culturali differenti tanto
che non è possibile dare ad uno di questi (le forze armate americane) un ruolo preponderante, un “sine qua
non”.
7 ARPANET oltre ad essere concepita dal governo americano come metodo di difesa da un eventuale attacco
nucleare, ha anche avuto molto a che vedere con fisici e scienziati di Los Alamos (luogo di nascita della
bomba nucleare).
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Marco Ferrieri Cyberantropologia: Capitolo uno
(Castellucci 2008: 43 – 51), la rete fu consapevolmente investita della riflessività (Giddens
1991) che caratterizza la società contemporanea, divenendo un simbolo di liberazione all'in -
terno di una dimostrazione di potenza da parte degli USA: prima ancora di essere implemen -
tata la tecnologia è ostentata (lo stesso “little boy”, il nome della bomba gettata su Hiroshima
fu il primo esemplare di bomba atomica costruito ed utilizzato immediatamente) e il suo pote -
re diventa quello dell'immagine e della sua portata globale.
È importante notare come la tecnologia non abbia solo un valore d'uso, ma anche un valore
culturale (Castellucci :41) ben preciso: gli artefatti, per poter essere utilizzati, non solo devo -
no funzionare ma devono anche essere “incorporati” dall'utilizzatore, incorporazione che non
è solo conoscenza tecnica, ma anche sociale e culturale. Guardando in questo senso alla tec -
nologia che rende possibile dare significato al termine “on-line” per come è oggi inteso, è
possibile vedere come essa sia da ricondurre a quelle innovazioni che hanno reso possibile
l'accesso a chiunque abbia un minimo di socializzazione all'uso del computer nella rete: non a
caso la storia di internet, è la storia di come tale comunicazione si sia sempre più orientata ai
bisogni di un'utenza sempre meno esperta e sempre più in possesso di proprie aspettative ri -
spetto agli usi sociali o culturali.
Tenterò ora, appoggiandomi al lavoro di Paola Castellucci “Dall'ipertesto al web” di descrive -
re la costituzione della tecnologia che ha reso possibile l'incorporazione di internet nella pla -
tea mondiale che oggi è il suo bacino d'utenza: il World Wide Web.
2.3- ' Dall ipertesto 8 al Web La nascita del Web ha avuto molto a che fare con un concetto oggi dato per scontato, ma che
ha origini molto antiche e che è stato pensato per un obiettivo ancora da raggiungere (Castel -
lucci 2008 ) : l' ipertesto. È attraverso tale concetto che la rete ha potuto avere lo sviluppo e le
La Bomba ed internet, a livello più generale, hanno anche avuto il ruolo di far nascere nell'immaginario
occidentale e non qualcosa di simile quel che Anderson (B. Anderson 1996) chiama la “comunanza di
destino” alla base della costruzione dell'identità nazionale, su una scala globale.
8 "Con 'ipertesto' intendo scrittura non sequenziale, testo che si dirama e consente al lettore di scegliere; qualcosa
che si fruisce al meglio davanti a uno schermo interattivo. L'ipertesto include come a caso particolare la
scrittura sequenziale, ed è quindi la forma più generale di scrittura. Non più limitati alla sola sequenza, con
un ipertesto possiamo creare nuove forme di scrittura che riflettano la struttura di ciò di cui scriviamo; e i
lettori possono scegliere percorsi diversi a seconda delle loro attitudini, o del corso dei loro pensieri, in un
modo finora ritenuto impossibile" (Nelson, Theodor Holm “Litterary Machine” 1968)
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