INTRODUZIONE
¨ da tempo in corso un dibattito circa la rilevanza del cuneo fiscale e contributivo per la
crescita e l’occupazione nei paesi industrializzati. Da piø parti si sono levate voci
favorevoli ad una sua riduzione, come misura per incrementare la competitività delle
economie piø sviluppate, nella “guerra” globale con i paesi di nuova industrializzazione.
Oltre che sulla competitività, un cuneo molto invadente ha ripercussioni occupazionali
negative. La presenza del cuneo fiscale e contributivo crea, infatti, distorsioni sul
mercato del lavoro nell’incontro tra domanda e offerta; un incremento della parte
datoriale del cuneo fa sí che la domanda di lavoro ne risulti ridotta: maggiori contributi
sociali versati dalle imprese si traducono, a parità di salario lordo, in un costo del lavoro
piø rilevante per ogni lavoratore impiegato. La minor convenienza ad occupare lavoro,
spinge le imprese ad una sua sostituzione con il capitale, e, di rimando, la quota di
disoccupati nell’economia diventa piø consistente.
Anche l’offerta di lavoro non rimane insensibile alla presenza del cuneo fiscale e
contributivo. La parte di cuneo che incide sul comportamento dei lavoratori – o di chi li
rappresenta – si presenta sotto forma di imposte sul reddito e contributi sociali. Questi
prelievi riducono il salario netto disponibile per i consumi dei lavoratori ed un loro
aumento, in un sistema di contrattazione salariale, rafforza le richieste per un maggior
salario lordo. Dal punto di vista delle imprese, il risultato è il medesimo, ovvero un
aumento del costo del lavoro che agisce da deterrente per la creazione o il
mantenimento di posti di lavoro.
In sintesi il cuneo fiscale e contributivo sembra avere effetti negativi sia sulla domanda
sia sull’offerta di lavoro, configurandosi così come un elemento distorsivo per la
determinazione di salari e occupazione d’equilibrio nel mercato del lavoro.
Oltre l’interpretazione del cuneo come costo per le imprese, non va trascurato un
elemento che riguarda una delle funzioni principali di imposte e contributi. Questi due
elementi sono necessari, seppur con mix diversi a seconda dei sistemi di welfare, per
finanziare numerose prestazioni pubbliche, tra cui quella per la protezione sociale dei
lavoratori. Visto sotto quest’ottica, il cuneo assume caratteristiche assimilabili ad una
sorta di risparmio obbligatorio, che assicura i lavoratori contro i rischi imputabili alla
vita lavorativa. Non sempre la copertura di questi rischi è affidata al sistema pubblico, e
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in alcuni paesi si sono sviluppate forme di protezione sociale gestite da soggetti privati.
Sorge, dunque, il problema di fornire una definizione univoca di cuneo fiscale e
contributivo: nella sua accezione piø generale le componenti del cuneo sono soltanto
quelle di natura pubblica, ma la presenza di contributi privati, che svolgono la
medesima funzione assicurativa e previdenziale, deve essere tenuta in debita
considerazione.
Inoltre, la percezione in chiave “assicurativa” che i lavoratori hanno del cuneo, può in
qualche misura attenuare la relazione causale tra alto cuneo, alto costo del lavoro e alta
disoccupazione. In questo contesto, un incremento del cuneo non si traduce
necessariamente in salari lordi piø alti – ed in un maggior costo del lavoro – poichØ i
lavoratori “scambiano” una parte della loro retribuzione netta per una maggior
protezione contro gli eventi negativi connessi al lavoro. Si determina cosí un processo
di moderazione salariale che contiene il costo del lavoro favorendo l’occupazione.
La relazione tra cuneo e disoccupazione è, quindi, interpretabile in modi diversi: se in
un confronto internazionale emergono differenziali fiscali e contributivi, non è scontato
che i differenziali del tasso di disoccupazione debbano necessariamente avere un
legame diretto con essi.
Allo stesso modo, possono emergere dei differenziali tra aliquote fiscali e contributive
all’interno dei paesi stessi se si fa riferimento alle tipologie contrattuali sviluppatesi
nell’ultimo ventennio. In particolare Ø interessante analizzare se la diffusione di
contratti a tempo determinato o a tempo parziale sia connessa in qualche modo ad un
vantaggio fiscale e contributivo; o, al contrario, se ai contratti di “nuova generazione”,
tipicamente piø rischiosi dal punto di vista reddituale ed occupazionale, sia garantita
una maggior protezione sociale attraverso una contribuzione maggiore di imprese e
lavoratori e, ove ciò non avvenga, sotto forma di compensazione salariale.
Nel presente lavoro, tratteremo dunque i temi presentati precedentemente; in
particolare, nel primo capitolo, dopo aver definito il cuneo fiscale e contributivo,
opereremo un confronto a livello internazionale utilizzando alcuni indici forniti da
Eurostat ed OCSE. Tale comparazione mostrerà tanto l’evoluzione del cuneo negli
ultimi quarant’anni quanto il suo legame con tasso di disoccupazione e costo del lavoro.
Inoltre, per ogni paese, sarà possibile osservare l’incidenza delle componenti fiscali e
contributive sul cuneo stesso. Verrà, altresì, presa in esame la spesa per protezione
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sociale finanziata dal cuneo, con particolare attenzione alla distinzione tra spesa
pubblica e spesa privata. In conclusione di capitolo si esaminerà come la spesa privata
sia fondamentale nel sistema pensionistico britannico.
Nella seconda parte presenteremo un modello teorico di contrattazione salariale tra
imprese e sindacati con presenza del cuneo fiscale e contributivo, sotto determinate
ipotesi. Grazie a tale impostazione, emergeranno valori del salario e dell’occupazione in
equilibrio differenti da un contesto in cui non è presente la tassazione. In seguito
approfondiremo il comportamento di imprese e sindacati che massimizzano le rispettive
funzioni di utilità, secondo un modello che porta alla conclusione che un incremento del
cuneo è nocivo per l’occupazione. Infine, introducendo ulteriori ipotesi riferite alla
percezione dello scopo assicurativo dei contributi, verificheremo come la relazione tra
cuneo e occupazione sia in realtà piø problematica.
Nell’ultimo capitolo verificheremo empiricamente l’esistenza di un differenziale fiscale
e contributivo tra alcuni paesi UE e all’interno di essi. Differenziando poi per tipologia
contrattuale e settore economico di appartenenza, valuteremo l’effetto di eventuali gap
di aliquote sulla quota di lavoratori “non standard” o di uno specifico settore sul totale
degli occupati. Questo è un buon esempio per verificare la presenza di un effetto
negativo o positivo del cuneo sull’occupazione. In seguito, facendo alcuni accenni alla
flexicurity, stimeremo la presenza di un wage gap tra dipendenti con contratti di lavoro
di durata diversa, con lo scopo di verificare l’esistenza di una compensazione salariale
per quei dipendenti che corrono maggiori rischi lavorativi.
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CAPITOLO I
Cuneo, occupazione e spesa sociale
1.1 - Cos’è il cuneo fiscale
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Il cuneo fiscale può essere definito come la differenza fra il costo del lavoro ed il
reddito effettivamente percepito dal lavoratore; il costo del lavoro è la somma di
retribuzione lorda e contributi sociali a carico del datore di lavoro, mentre il reddito
effettivamente percepito dal lavoratore si ottiene sottraendo alla retribuzione lorda i
contributi sociali a carico del lavoratore e l’imposta personale (in Italia, l’Irpef).
Tralasciando per ora la parte del cuneo legata all’imposta personale, si considerino i
contributi sociali: questi vengono considerati generalmente come delle tasse, in quanto
vengono prelevate dalla busta paga in maniera obbligatoria. Tuttavia si può vedere
questa situazione sotto una diversa luce: i contributi sociali, in quasi tutti i paesi
industrializzati, fungono da premio assicurativo per coprirsi contro diverse eventualità
(infortuni, malattie, disoccupazione, ecc…). In Italia, ad esempio, per un’azienda
industriale generica con piø di 50 dipendenti, il datore di lavoro deve versare allo Stato
(in percentuale della retribuzione lorda per ogni operaio) l’1,31% per la disoccupazione,
lo 0,68% per assegni familiari, il 2,20% e per CIG e lo 0,3%, il 2,22% e lo 0,46% per
mobilità, malattia e maternità. Inoltre sono da aggiungere i contributi previdenziali con
un’aliquota del 23,81% sulla retribuzione lorda che, insieme al 9,19% versato dal
lavoratore, dicono che l’ammontare dell’aliquota contributiva totale è di circa il 41%
della retribuzione lorda.
¨ a tutt’oggi in corso un dibattito riguardante gli effetti permanenti o transitori che il
cuneo fiscale e contributivo esercita sul costo del lavoro: alcuni studi sostengono una
limitata influenza nel tempo del cuneo fiscale sul costo del lavoro, con eventuali effetti
sull’impiego del fattore lavoro che verrebbero ad attenuarsi nel tempo. Altri studi
pongono invece l’accento sugli effetti permanenti di un incremento del cuneo
1
Stiamo utilizzando in questo caso l’espressione “cuneo fiscale” per indicare il cuneo totale, ovvero la
somma di cuneo fiscale e cuneo contributivo. La stessa espressione sarà utilizzata per l’analisi svolta con i
dati OCSE.
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complessivo sul costo del lavoro e, tramite questa via, sulle insoddisfacenti prestazioni
occupazionali di un sistema economico.
Naturalmente, il costo del lavoro che un’impresa deve valutare è determinato a partire
dai salari stabiliti in sede contrattuale: bassi salari e alti contributi a carico dell’impresa,
o viceversa, alti salari e bassi contributi, possono entrambi tradursi in un medesimo
costo del fattore lavoro per i datori di lavoro, ma con diverse conseguenze relative ai
consumi correnti dei lavoratori o al livello di protezione sociale a cui essi stessi
aspirano. Ad esempio, sempre in Italia, con l’inizio della concertazione tra le parti
sociali per la fissazione dei salari nel luglio 1993, ha avuto inizio un periodo di
moderazione salariale, con una sorta di “scambio” tra bassi salari contrattati e contributi
elevati, in quanto se i lavoratori dovessero attingere direttamente alla loro retribuzione
netta per acquistare prestazioni sociali e pensionistiche fornite a livello privato,
richiederebbero sicuramente salari piø elevati.
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Un altro costo per le imprese di cui si può discutere è costituito, per l’Italia, dall’IRAP
(Imposta Regionale sulle Attività Produttive) con aliquota attualmente del 3.90% della
base imponibile. In realtà, risulterebbe difficoltoso calcolare quanta parte dell’IRAP
debba rientrare nel calcolo del costo del lavoro. BenchØ questa imposta serva
principalmente a finanziare il Servizio Sanitario Nazionale, al momento della sua
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introduzione ha sostituito sei diversi prelievi : l’Ilor , i contributi sanitari, l’imposta
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patrimoniale, l’Iciap , la tassa sulla partita Iva, le tasse di concessione comunali. Il
problema deriva appunto dall’individuazione della quota-parte che possa essere
ricondotta al finanziamento della spesa sociale, essendo in realtà un’imposta che grava
sul reddito prodotto dall’impresa e non propriamente classificabile sotto la voce “oneri
sociali”.
Dopo questa breve introduzione, analizziamo la struttura del cuneo complessivo in
alcuni paesi europei e non, cercando di mettere in risalto le diverse caratteristiche socio-
economiche in essi presenti.
2
Istituita con il decreto legislativo 15 dicembre 1997 n.44.
3
Visco V. - Le ragioni dell’Irap, 23.10.2009, www.lavoce.info.
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Imposta Locale sui Redditi.
5
Imposta Comunale Imprese, Arti, Professioni.
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1.1.1 - Uno sguardo all’Europa
Il cuneo fiscale e contributivo viene spesso utilizzato come misura della tassazione sul
lavoro, intesa come impianto impositivo e contributivo implementato dai governi
influente su domanda e offerta di lavoro, senza tener però conto della sua funzione
assicurativa; è quindi chiaro che nel computo del cuneo fiscale, a livello internazionale,
è necessario trovare un comune denominatore.
Un importante passo per effettuare un confronto internazionale è quello di trovare una
definizione comune di cuneo. Quella piø utilizzata è sicuramente quella fornita
dall’OCSE nel suo Taxing Wages, su cui ci soffermeremo piø avanti.
Seguendo i dati forniti da Eurostat, vediamo brevemente la composizione delle entrate
provenienti dalla tassazione sul lavoro in alcuni paesi europei; tali introiti derivano dalle
imposte personali sui redditi da lavoro ed dai contributi sociali versati sia dai lavoratori
che dai datori di lavoro. Questo approccio, di tipo backward-looking, consiste nel
rapportare le entrate fiscali dello Stato, provenienti da diversi canali, al PIL.
Sebbene ingenti entrate possano rispecchiare tanto alte aliquote fiscali quanto un’estesa
base impositiva, questo indice fornisce una prima immagine del peso che le diverse
fonti di finanziamento assumono nei vari paesi europei.
Grafico 1
Fonte: Taxation trends in Europe – Eurostat (2009).
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Come si vede dal grafico 1, in Danimarca, Irlanda e Regno Unito le entrate associate
alle imposte sul reddito superano di gran lunga quelle provenienti dai contributi sociali
di imprese e lavoratori; in particolare, in Danimarca, dove il rapporto delle entrate
fiscali rispetto al PIL è tra i piø alti dei paesi considerati, i contributi sociali delle
imprese sono praticamente inesistenti e quelli dei lavoratori bassissimi, a causa del
maggior finanziamento del welfare a carico della fiscalità generale; altri paesi, come
Francia, Germania e Spagna, prediligono un finanziamento del welfare supportato
prevalentemente a livello contributivo. Per quanto riguarda l’Italia si assiste ad un’equa
ripartizione delle imposte personali sui redditi da lavoro e dei contributi sociali dei
lavoratori e delle imprese, con un peso complessivo della tassazione ad un livello medio
maggiore rispetto ai paesi considerati, preceduta però da Francia, Austria, Svezia,
Finlandia, Danimarca e Belgio.
1.1.2 - “Implicit tax rate” sul lavoro
Analizziamo adesso il cuneo totale in base ad un altro indicatore fornito da Eurostat che
misura il carico fiscale e contributivo effettivo che grava sul lavoro. Tale indicatore,
l’implicit tax rate (ITR), è calcolato in base al rapporto tra le entrate fiscali effettive e la
base imponibile potenziale.
Le entrate imputabili al lavoro sono: le imposte sul reddito personale, gli oneri sociali
obbligatori (quelli volontari non rientrano nel calcolo) pagati dai lavoratori e dai datori
di lavoro e gli altri contributi non direttamente connessi ad alcuna prestazione che
gravano sul lavoro. La base imponibile potenziale, al denominatore, è rappresentata dai
compensi lordi dei lavoratori.
Nel 2007 i paesi con un ITR maggiore, intorno al 40%, erano Belgio, Danimarca,
Germania, Francia, Italia, Austria, Finlandia e Svezia, ma tuttavia c’è stato un
decremento di tale valore rispetto al 2001 in tutti questi paesi eccetto che per l’Italia
(anche se il 2007 costituisce l’eccezione dopo un trend decrescente in cui l’ITR è
passato dal 44,2% nel 1999 al 42,5% nel 2006). Nonostante l’alto ITR in valore assoluto
di questi paesi, la riduzione relativa nel periodo 2001-2007 può essere spiegata, in
Austria, dalla minor tassazione per i redditi da lavoro medio-bassi e dai minori
contributi sociali delle imprese per la sanità; o ancora dalla riduzione strutturale dei
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contributi sociali a carico delle imprese in Belgio. In Finlandia la diminuzione dell’ITR
Ø dovuta a misure quali l’abolizione della tassazione per la fascia di reddito piø bassa e
la revisione dei contributi pagati dalle imprese per pensioni e sanità.
Al contrario, nei paesi con un ITR piø basso come Portogallo, Gran Bretagna, Spagna e
Grecia, si registra una differenza positiva confrontando i valori del 2007 e del 2001,
eccezion fatta per l’Irlanda, che invece ha sperimentato un trend decrescente durante
tutto il periodo preso in considerazione.
Grafico 2
Fonte: Eurostat.
Per quanto concerne l’Italia, l’ITR sul lavoro si attestava nel 2007 al 44%, il valore piø
alto tra i paesi considerati; come mostrato nel grafico 3, l’ITR ha una componente
minoritaria delle imposte sui redditi rispetto all’entità dei contributi sociali. Colpisce
come in Danimarca l’apporto dato dagli oneri sociali sia molto basso, pur avendo una
spesa per protezione sociale abbastanza elevata; nel Regno Unito è presente, invece, un
ITR relativamente basso soprattutto nella sua parte contributiva. Il peso degli oneri
sociali nel già basso ITR irlandese è anch’esso scarso, ma bisogna ricordare che la spesa
per prestazioni sociali è in Irlanda la piø bassa dei paesi considerati. La Svezia ha
invece un alto ITR, secondo solo all’Italia, composto per lo piø dagli oneri sociali, che
vanno a finanziare l’alta spesa per protezione sociale che è a carico del governo per i
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lavoratori coperti dal sindacato (quasi la totalità), mentre per i lavoratori non
sindacalizzati è possibile fare ricorso a schemi previdenziali privati.
Inoltre la composizione dell’ITR può spiegare le variazioni che vi sono state tra il 2001
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e il 2007 di questo indicatore: in Italia, in quel lasso di tempo, sono aumentate sia le
entrate derivanti dalle imposte dirette che quelle provenienti dalla contribuzione delle
imprese, a differenza della Gran Bretagna dove, alla riduzione delle tasse sul reddito, si
è accompagnato un aumento piø che proporzionale degli oneri sociali di imprese e
lavoratori. Il fisco spagnolo ha beneficiato, invece, sia di maggiori imposte dirette che
di piø alte contribuzioni da parte dei datori di lavoro, con una quota di contributi dei
lavoratori pressochØ immutata. Tra i paesi che hanno sperimentato una riduzione
dell’implit tax rate, in Belgio e Svezia hanno inciso fortemente le riduzioni delle entrate
da redditi personali, cosi come in Irlanda, dove però c’è stato un parziale bilanciamento
scaturito dall’incremento dei contributi sociali. I tre elementi che compongono il cuneo
fiscale hanno avuto pari importanza nella riduzione dell’ITR sul lavoro in Germania, a
dispetto della Francia, in cui la lievissima discesa di tale indicatore è nata dal minor
gettito delle imposte sul reddito.
Non si deve dimenticare, tuttavia, che altri elementi non direttamente visibili in questi
dati, ma controllabili dalle istituzioni, possono contribuire a modificare questo
indicatore: da un lato l’inflazione e la crescita reale dei guadagni spingono verso l’alto
l’ITR a causa della progressività delle imposte, e dall’altro i sistemi di sicurezza sociale
che sono quasi sempre regressivi a causa dell’esistenza di tetti di contribuzione. A
seconda dell’influenza esercitata da questi due elementi l’ITR si muoverà verso l’alto o
verso il basso durante gli anni in mancanza di aggiustamento degli scaglioni e delle
soglie fiscali.
6
Vedi Taxation trends in the European Union, European Commission (2009).
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