dei lavori di Geert Hofstede1, di Fons Trompenaars2 e del GLOBE project team3,
si è cercato di individuare quali siano le principali dimensioni culturali che
permettono il confronto tra i diversi contesti nazionali e in che modo tali
parametri influenzino la cultura d'impresa e le attività di management.
Il secondo capitolo tratta invece il rapporto intercorrente tra cultura e gestione
d'impresa. La prima parte concerne la struttura dell'impresa, ovvero come la
cultura condizioni la forma organizzativa e, inversamente, come il modello
adottato gestisca le diversità culturali derivanti dall'operare in contesti differenti.
Successivamente viene considerata la relazione tra cultura e strategia d'impresa,
così come l'influsso della prima sulla scelta del mercato e del metodo di ingresso;
viene in seguito posta una grande enfasi sulle implicazioni culturali derivanti da
alleanze strategiche, fusioni ed acquisizioni. Infine è dedicato spazio al rapporto
tra la cultura e le strategie di marketing internazionale.
Nel terzo capitolo si considera la comunicazione interculturale, focalizzandosi
soprattutto sulle variabili culturali che la influenzano. Le abilità di
comunicazione tra culture sono assolutamente necessarie per i negoziatori, per gli
expatriate managers e per i membri dei team cross-culturali, di conseguenza tali
argomenti verranno discussi in questa sezione.
Infine il quarto capitolo mira a dare un risvolto concreto al presente lavoro,
cercando di individuare quali siano le peculiarità culturali del contesto cinese e
come esse possano condizionare le organizzazioni internazionali che intendono
operare in Cina.
1 Si faccia riferimento a: Hofstede, G., Culture's consequences: Comparing values, behaviours,
institututions and organizations across nations, Thousand Oaks, Sage Publications, 2001.
2 Si veda: Trompenaars, F., Hampden-Turner, C., Riding the Waves of Culture: Understanding
Diversity in Global Business, London, Nicholas Brealey, 1997.
3 Si consideri: House, R. J., Hanges, P. J., Javidan, M., Dorfman, P. W., Gupta, V., Leadership,
Culture and Organizations: The GLOBE study of 62 societies, Thousand Oaks, SAGE, 2004.
6
CAPITOLO I
CROSS-CULTURAL MANAGEMENT E CULTURA D'IMPRESA
1.1 La cultura: da ostacolo a vantaggio competitivo
Nei mercati globali, le attuali tendenze culturali volgono verso un progressivo
avvicinamento reciproco, grazie alle molteplici leve della globalizzazione, tra
cui i network mediatici (internet in primis) ed i servizi di trasporto. Tali strumenti
ci stanno così proiettando verso una società sempre più globale.
Questo tuttavia non comporta una omogeneizzazione culturale, in quanto sono
sempre esistite differenze basilari tra soggetti appartenenti a diverse popolazioni
e sembra impossibile che esse possano venire meno, o perlomeno si è ancora
molto lontani da una tale prospettiva.
Per questo motivo diventa essenziale per le numerose e crescenti imprese
market-driven oriented4 considerare i propri consumatori come soggetti connotati
da una determinata “cultura” con proprie peculiarità.
4 Le imprese “market-driven oriented sono quelle aziende il cui scopo è saper anticipare le
dinamiche del mercato per cogliere le opportunità, adeguandosi in base alle esigenze dei
consumatori.
Sull'argomento si veda: Brondoni S. M., Market-driven management e mercati globali,
Torino, Giappichelli, 2007.
7
Attualmente esistono centinaia di definizioni del termine, in quanto esso può
essere interpretato da discipline totalmente differenti: l'antropologia, la
sociologia, la filosofia, fino a giungere agli studi manageriali. Non c'è dunque da
stupirsi se ancora oggi manca il consenso sul concetto di cultura, viste le
numerose contraddizioni che questa ricchezza di letteratura si porta dietro.
Un buon punto di partenza per la comprensione deriva dal pensiero di Edward
Burnett Tylor, il quale sostiene che “la cultura sia quell'intero complesso che
include la conoscenza, le credenze, l'arte, la morale, la legge, i costumi e ogni
altra capacità ed abitudine acquisita dall'uomo come membro della società”5.
Sulla stessa filosofia si può collocare l'ampiamente utilizzata definizione degli
antropologi americani Kroeber e Kluckhohn: “Culture consists of patterns,
explicit and implicit of and for behaviour acquired and transmitted by simbols,
constituting the distinctive achievement of human groups, included their
embodiments in artifacts: the essential core of culture consists of traditional (i.e.
historically derived and selected) ideas and especially their attached values;
culture systems may, one the one hand, be considered as products of action; on
the other, as conditioning elements of future action”6.
Il principale spunto che si può trarre da questa citazione è che i membri di una
cultura condividano un insieme di idee e, specialmente, valori, i quali sono
trasmessi da una generazione all'altra attraverso simboli.
Una delle più celebrate definizioni che si ritrova nella letteratura cross-cultural,
poiché è in grado di concentrare in poche parole il significato di cultura
ricomprendendo il pensiero di altri Autori, è quella elaborata da Geert Hofstede,
secondo cui essa è: “The collective programming of the mind which distinguishes
the members of one human group from another”7.
Hofstede sottolinea dunque come la cultura sia un fenomeno collettivo, in quanto
5 Cfr: Tyler, E. B., (1871) Primitive culture. Citato in: Holden, N.,Cross-cultural management:
a knowledge management perspective, Harlow , Financial Times/Prentice Hall, 2002.
6 Cfr: Kroeber, A. L., Kluckhohn, C., Culture: A critical review of concepts and definitions,
Cambridge, Harvard University Press.,1952.
7 Cfr: Hofstede, G., Culture's Consequences: International differences in work-related values,
Beverly Hills, Sage Publications, 1980.
8
essa viene condivisa, almeno in parte, con persone che vivono, o hanno vissuto,
all’interno dello stesso ambiente sociale. Egli sostiene che i valori siano la parte
più interna e invisibile di una cultura, cioè le tendenze a preferire certi modi di
operare rispetto ad altri, mentre le pratiche ne siano l'aspetto più visibile,
comprendendo i simboli, gli eroi ed i rituali8. Infine precisa che la cultura viene
appresa, non ereditata: “It derives from one’s social environment, not from one’s
genes”9.
Joy Paul Guilford ha definito la personalità come “the interactive aggregate of
personal characteristics that influence the individual’s response to the
environment”10; secondo Hofstede la cultura, per la collettività umana,
rappresenta ciò che per un individuo è la personalità, di conseguenza essa
consisterebbe nel complesso di azioni reciproche con caratteristiche comuni che
influenzano la risposta di un gruppo di persone all’ambiente circostante. La
cultura determina perciò l’unicità di un gruppo umano nello stesso modo in cui la
personalità determina l’unicità di un individuo11.
Una volta compreso il significato della parola cultura, si può notare come nella
letteratura manageriale degli ultimi quarant'anni si possano distinguere tre usi
primari del termine: il primo si riferisce agli attributi mentali, come esposto da
Hofstede; il secondo si rifà alle nazioni, ai gruppi regionali od etnici all'interno o
tra Stati; il terzo infine fa riferimento alle organizzazioni, sotto forma di cultura
d'impresa12.
Il concetto di cultura può essere applicato ad una qualsiasi collettività o categoria
di persone: ad esempio una professione, una fascia di età, una categoria sessuale,
una famiglia, una classe sociale, etc...
8 Sull'argomento si veda: Hofstede, G., Culture's consequences: comparing values, behaviours,
institututions and organizations across nations (second edition), Thousand Oaks, Sage
Publications, 2001.
9 Cfr: Hofstede, G., Hofstede, G. J., Culture and organizations: software of the mind (2nd
edition), McGraw-Hill, 2005.
10 Cfr: Guilford J. P., Personality. New York, McGraw-Hill, 1959.
11 Si veda: Hofstede, G., Op. Cit., 2001.
12 I concetti di cultura nazionale e di cultura aziendale verranno trattati più nel dettaglio nei
paragrafi successivi.
9
La cultura è un aspetto fondamentale nei mercati globali, in ragione degli effetti
che determina.
Il primo fenomeno, nonché il più evidente, è che gli individui appartenenti a
culture diverse possano differire notevolmente sotto vari punti di vista, ad
esempio un consumatore europeo non utilizzerà gli stessi criteri di scelta di un
consumatore asiatico, questo perchè l'influenza delle norme sociali del territorio
è forte e comporta bisogni e necessità dissimili. Ciò significa che il divario
culturale può portare un'azienda ad una difficile previsione ed interpretazione
delle reazioni della domanda13.
Il secondo effetto riguarda invece l'influenza che la cultura esercita sull'impresa,
ovvero le implicazioni che possono derivare a livello di cultura aziendale e
manageriale14.
A causa di questi effetti, le differenze culturali sono state spesso considerate in
passato come un fortissimo ostacolo alle interazioni commerciali; questa visione
è comprensibile tenendo conto degli svariati fallimenti subiti dalle aziende che si
sono cimentate in operazioni internazionali15.
13 Ad esempio si può citare il caso dell'entrata di Procter & Gamble nel mercato giapponese:
l'impresa fece il suo ingresso nel 1973, offrendo beni americani e focalizzandosi su uno stile
di advertising tipicamente statunitense. Nel 1987 aveva totalizzato una perdita di 200 milioni
di dollari, poiché non aveva considerato in modo appropriato le differenze tra le due nazioni e
non era riuscita a prevedere le reazioni della domanda giapponese. Una volta compreso il
problema P&G si focalizzò sull'analisi della cultura locale e vi si adattò, riuscendo ad invertire
la tendenza e portare il Giappone ad essere il suo secondo maggiore mercato, con vendite che
superarono il bilione di dollari nel 1990.
Dati tratti da: Dyer, D., Dalzell, F., Olegario, R., Rising tide: lessons from 165 years of brand
building at Procter & Gamble, 2004.
14 Sull'argomento si consideri: Arrigo E., Codignola F., “Imprese globali e Cross-Cultural
Management”. In: AA.VV. (a cura di S.M. Brondoni), Cultura di network e dinamiche
competitive, Torino, Giappichelli, 2006.
15 Si può portare come esempio il caso dei sandali Bata che nel 1989 in Bangladesh hanno
persino provocato una rivolta in cui vi sono stati più di 50 feriti; la protesta nasceva dai
fondamentalisti islamici poiché il logo riportato sul prodotto somigliava in arabo alla scritta
“Allah”, come conseguenza il governo ha vietato la vendita dei sandali.
Si potrebbero anche citare centinaia di casi in cui la traduzione del nome del prodotto o della
marca hanno un significato negativo nel mercato di destinazione e ciò ha causato il fallimento
delle vendite: ad esempio la Ford ha lanciato in alcuni paesi dell'America latina un camion
chiamato Feira, la cui traduzione è “vecchiaccia”; oppure la Olympia non è riuscita a vendere
bene la propria fotocopiatrice Roto in Cile poiché tale parola significa “rotto” nella lingua
spagnola.
10
La letteratura manageriale internazionale mostra di conseguenza in molti casi
inquietudine, rappresentando il divario culturale e la cultura stessa come
principale causa della rovina aziendale. In questo filone di pensiero possiamo
ritrovare Hampden-Turner per la pubblicazione sull''Harvard Business Review di
un articolo sotto il titolo “the cross-cultural quagmire”16, che utilizza la metafora
delle sabbie mobili per far capire in modo chiaro l'idea sull'argomento.
Anche Wendy Hall sosteneva che “le differenze culturali fossero abbastanza
importanti da rovinare partnership che altrimenti avrebbero avuto senso
economico perfetto”17.
Altri scrittori che enfatizzavano questo concetto furono Alison Rankin Frost, che
comparava lo scontro culturale ad un terremoto18, e gli americani Seelye e
Seelye-James, i quali lo paragonavano ad una malattia terminale19.
Tuttavia si inizia ad osservare un allontanamento da questa visione estremamente
negativa con Lisa Hoecklin, la quale affermava correttamente che “il divario
culturale, se non propriamente gestito, potesse portare alla frustrazione
manageriale, a costosi fraintendimenti e persino a fallimenti di business”20, ma
l'Autrice precisava ulteriormente: “To think about cultural differences as a
source of competitive advantage, there must be a shift in assumptions about the
impact of cultural differences … Culture should not simply be seen as an
obstacle to doing business accross cultures. It can provide tangible benefits and
can be used competitively”21.
Compare così per la prima volta il concetto di cultura non più considerato come
un ostacolo ma come un fattore da utilizzare competitivamente per produrre
16 Cfr: Hampden-Turner, C., “The Boundaries of business: the cross-cultural quagmire”,
Harvard Business Review, September-October, 1991.
17 Cfr: Hall, W., Managing cultures: Making strategic relationships work, Chichester, Uk: John
Wiley & Sons, 1995.
18 Si veda: Frost, A. R., “Negotiating culture in a global environment”, Journal of Management
Communication, 2000.
19 Sull'argomento si veda: Seelye, H. N. e Seelye-James, A., Culture clash: Managing in a
multicultural world, Lincolnwood, NTC Business Books, 1995.
20 Cfr: Hoecklin, L., Managing cultural differences: strategies for competitive advantage,
London: Economist Intelligence Unit/Addison Wesley, 1995.
21 Ibidem.
11
benefici tangibili.
In seguito molti altri scrittori si sono allineati su questa stessa concezione, ad
esempio per John Viney il modo in cui la cultura viene gestita è forse il più
importante elemento della competizione per la supremazia nel business22.
Ulteriori voci a sostegno di questa tesi sono quelle di Schneider e Barsoux,
ritenendo che l'obiettivo della politica aziendale non debba essere la
neutralizzazione o contenimento delle differenze culturali, bensì il loro
sfruttamento23; troviamo infine anche Dupriez e Simons, la cui tesi era: “The
firms which are able to draw on the diverse experience of their multicultural
workforce enjoy a wider and more open platform for addressing difficult
problems in a critical spirit”24.
Da quanto esaminato finora, appare che tutti gli Autori considerino la cultura
come una componente complessa per il management; coloro che la trattano come
un fattore con impatto negativo sulle operazioni internazionali sottolineano che
questa influenza deve essere anticipata, controllata o limitata; coloro invece che
affermano che essa sia una fonte di vantaggio competitivo enfatizzano la
necessità di creare sinergie dalla diversità internazionale e intra-nazionale.
In ogni caso il riconoscimento che in un contesto di international business il
fattore culturale crei sfide e problemi di difficile gestione per le imprese ed il loro
management ha dato vita ad una sotto-disciplina del management internazionale,
chiamata “cross-cultural management”.
22 Si consulti: Viney, J., The culture wars: How American and Japanese business have
outperformed Europe's and why the future will be different, London: Capstone, 1997.
23 Si consideri: Schneider, S., Barsoux, J. L., Managing across cultures, London: Prentice Hall,
1997.
24 Cfr: Dupriez, P., Simons, S., La résistance culturelle: Fondements, applications et
implications du management interculturel, Brussels: De Boeck & Larcier, 2000.
12
1.2 Il Cross-cultural Management
“Cross-cultural management explains the behaviour of people in organizations
around the world and shows people how to work in organizations with employees
and client populations from many different cultures. Cross-cultural management
describes organizational behaviour within countries and cultures; compares
organizational behaviour across countries and cultures: and, pheraps most
important, seeks to understand and improve the interaction of co-workers,
managers, executives, clients, suppliers and alliance partners from countries and
cultures around the world”25.
La precedente definizione è attribuibile a Nancy Adler e si ritiene essere una
delle più esaustive attualmente esistenti.
Adler sottolinea dunque che lo scopo principale della disciplina sia quello di
mostrare come lavorare in aziende che devono confrontarsi con dipendenti e
clienti provenienti da differenti culture, imparando a gestire e migliorare le
interazioni tra i vari soggetti legati all'impresa.
L'importanza del cross-cultural management è ormai evidente in un mondo ove i
mercati si ampliano e diversificano, facendo proliferare le relazioni commerciali
con aziende straniere, le quali possono appartenere a paesi inseriti in una cultura
radicalmente dissimile dalla nostra.
É palese come anche le forme di cooperazione tra imprese di distinte nazioni
siano in costante aumento. Fusioni, rilevamenti, partnership ed alleanze
strategiche devono essere tutte analizzate in termini culturali, non solo per
determinare quali benefici possano essere ottenuti ma anche per scoprire quali
siano le difficoltà che si possono incontrare quando le aziende lavorano insieme.
Infatti, i soggetti che intrattengono rapporti economici su scala globale si
dovranno confrontare con individui appartenenti ad un diverso contesto e
linguaggio, perciò sarà assolutamente necessario conoscere al meglio la cultura
25 Cfr: Adler N. J., International dimensions of organizational behaviour (4th edition),
Cincinnati, OH, South-Western College Publishing, 2002.
13
con cui essi hanno a che fare per creare un'ottima sinergia ed evitare pericolosi
conflitti od incomprensioni.
Diventa di conseguenza fondamentale intraprendere, come punto di inizio per
un'azienda che voglia adottare l'ottica cross-cultural, una corretta comunicazione
interculturale, la quale dovrà puntare a:
• decidere quali siano i modelli comunicativi e culturali da accettare e quali da
rifiutare, a seconda delle situazioni;
• evitare che il divario culturale sia causa di conflitti non voluti;
• stimolare l'interesse verso soluzioni differenti dalle proprie ed insegnarne il
rispetto26.
Non è comunque da sottovalutare la rilevanza del cross-cultural management
persino su scala nazionale o regionale, in quanto nei mercati locali si possono
trovare sempre più dipendenti e collaboratori di cittadinanza e cultura differente,
le cui interazioni vanno gestite con attenzione.
Come conseguenza di ciò che è stato finora considerato, il tema cross-culturale
ha iniziato ad esser sempre più trattato all'interno delle organizzazioni, che
istituiscono ricerche, riunioni e corsi sull'argomento. Infatti le imprese, poiché
spesso caratterizzate da una forte eterogeneità culturale al loro interno, vanno
considerate come punto di partenza per l'apprendimento interculturale. Lo stesso
management delle multinazionali, che ovviamente avrà una costituzione di
stampo interculturale, dovrà perciò rendersi conto che i propri valori e
comportamenti non potranno essere adottati universalmente, ovvero dovrà evitare
di agire in ottica etnocentrica.
Per etnocentrismo si intende la propensione a credere che la categoria culturale a
cui si appartiene sia superiore ed al centro di tutto, di conseguenza i caratteri ed i
valori degli altri verranno misurati in relazione ai propri27.
Coloro che utilizzano un approccio etnocentrico tenderanno dunque a pensare
che ciò che fanno se funziona e va bene nel proprio paese, andrà bene anche per
26 Su questo argomento si veda: Arrigo E., Codignola F., Op. Cit., 2006.
27 Fonte: www.it.wikipedia.org
14
gli altri; questa filosofia però, in particolare in campo aziendale internazionale,
non può che portare a risultati disastrosi28.
Al contrario l'adozione di una prospettiva interculturale non comporta
l'abbandono dei propri valori ma vuol dire comprendere gli altri, rispettare le
differenze e tollerarle, ed infine confrontare i diversi modelli culturali.
É ovvio però che l'ambito cross-cultural sia tuttora aperto a notevoli
contraddizioni, sia da un punto di vista teorico e strategico che da quello
operativo29.
Ciononostante l'approfondita analisi di questa tematica da parte delle aziende che
operano in mercati globali non può che portare ad un valore aggiunto in termini
competitivi.
Gli effetti ottenibili sono infatti numerosi e preziosi: l'azienda potrebbe riuscire
ad eliminare i conflitti al proprio interno ed aumentare la soddisfazione dei propri
dipendenti, ottenendo anche conoscenze ed esperienze utili dal proprio staff;
potrebbe poi aver successo nella costituzione di buoni rapporti con operatori e
clienti esteri, sfruttando opportunità che prima erano impossibili o pericolose da
cogliere e che ora possono essere gestite al meglio evitando il rischio di condurre
operazioni commerciali fallimentari.
Ci sono però molte imprese che non si sono ancora rese conto dell'importanza
della questione e non sono pronte ad integrare il concetto di intercultura nella
loro routine lavorativa, ovvero il management non è in grado di ricoprire la
funzione di intermediario culturale tra gli individui facenti parte del personale,
oppure tra essi e gli altri operatori economici.
Il rischio in questi casi è che i dipendenti vengano considerati in modo
indifferenziato, sottovalutando così l'importanza che le loro relazioni possano
28 Ad esempio la ditta di spedizioni Federal Express al suo ingresso ingresso sul mercato
europeo ha rivelato le proprie tendenze etnocentriche: tutti gli opuscoli, il materiale
promozionale e le bolle di sortita erano infatti in americano; per mantenere poi i tempi di
arrivo costanti fu stabilito che i pacchi potessero essere ritirati fino alle 17, nonostante per
molti europei l'orario di lavoro si protragga normalmente oltre quell'ora. La Federal Express
ha quindi dato per scontato che lo stile di vita e l'orario lavorativo in Europa fossero gli stessi
degli Stati Uniti: non sorprende che questa presupposizione erronea sia risultata un fallimento.
29 Si veda: Arrigo E., Codignola F., Op. Cit., 2006.
15
avere ed i conflitti che possano venire alla luce30.
Per quanto riguarda la letteratura accademica incentrata sul tema cross-cultural
prima dell'opera di Adler, si può notare una sostanziale mancanza di materiale.
La causa di ciò va ricercata nel fatto che, come sostenuto da Usunier nel 1998, i
costrutti teorici esistenti sviluppati nel contesto domestico, in particolare negli
Stati Uniti, venivano troppo spesso applicati in altri paesi e contesti31. Questo non
solo sottolinea il problema dell'etnocentrismo, ma evidenzia anche la tendenza
americana all'universalismo, che voleva vedere il mondo come un'entità uniforme
e generalizzabile32.
Un'altra questione presa in considerazione da Bartholomew e Adler33 alla fine del
secolo nasce dall'analisi delle opere ed articoli esistenti fino ad allora; gli Autori
evidenziano la ridotta percentuale di lavori (il 9,3%) in cui il tema cross-culturale
viene trattato in ottica aziendale.
Numerosi scrittori in effetti utilizzano considerazioni e conclusioni di Autori
risalenti a molti anni prima come basi per lo sviluppo delle proprie teorie. Infatti,
solo per citarne alcuni, i riferimenti ad opere del livello di Culture's
consequences di Hofstede, od il concetto di cultura ad alto o basso contesto di E.
T. Hall34, sono largamente presenti nell'odierna letteratura cross-culturale.
Non tutti però pensano che le elaborazioni ed i risultati tratti da ponderazioni e
ricerche effettuate trenta o più anni fa siano ancora valide ed adattabili al
contesto moderno, in quanto il mondo economico si evolve e le sue
caratteristiche sono in continuo cambiamento.
Così nel 2000 Segalla, Fischer e Sandner hanno criticato la lentezza della
produzione di rinnovati costrutti teorici in grado di dare utili informazioni per
30 Su questi argomenti si è fatto riferimento a: Arrigo, E., Codignola, F., Op. Cit., 2006.
31 Si consideri: Usunier, J. C., International and cross-cultural management reasearch, London,
Sage Publications, 1998.
32 Cfr: Hampden-Turner, C., Trompenaars, F., The seven cultures of capitalism: Value systems
for creating wealth in the United States, Britain, Japan, Germany, France, Sweden and
Netherlands, New York, Currency Doubleday, 1993.
33 Si veda: Bartholomew, S., Adler, N., 1996, Building networks and crossing borders: the
dynamics of knowledge generation in a transnational world. In: Joynt e Wasner (1996).
34 Di questo si tratterà nello specifico all'interno del Capitolo 3.
16