IV
INTRODUZIONE
La musica esiste da sempre, siamo immersi in essa, è «vitale» come direbbe
Middleton. Chi non ha mai ascoltato una canzone alla radio, al cinema o in qualsiasi
altro luogo e modo?
Tutti ne entrano in contatto, prima o poi, a tutti sarà capitato di fischiettare o
canticchiare un motivetto mentre si sta facendo altro, o sentire suoni provenienti da
chissà dove: la musica è ovunque nella nostra vita quotidiana. Anche senza saperlo, o
volerlo, ne siamo in contatto ogni giorno; musiche diverse sono parte integrante del
nostro tempo libero, al lavoro, in chiesa, nelle pratiche sociali, come inni nazionali,
canzoni delle regioni fino ad una semplice ninnananna. Quindi, la musica nasce in
luoghi diversi, in culture diverse e diventa parte integrante di essi e, quindi, di ogni
individuo. Questo è reso possibile grazie al suo carattere evocativo, permette di
ricordare delle immagini, delle sensazioni o emozioni, in chi la ascolta, ma suscita
sentimenti e stati d’animo anche in chi la produce.
Ma andiamo per ordine. Ho deciso di affrontare il tema della popular music
attraverso le canzoni di Bruce Springsteen e degli U2, proprio perché nessuno si mostra
indifferente davanti ad un tipo di musica, tutti ne vengono coinvolti, volontariamente o
no. Chiaramente il tema della popular music non poteva essere preso e analizzato di per
sé senza fare una specie di introduzione per dire chi la studia e dove si sviluppa
maggiormente. E, quindi, ho parlato dell’importanza assunta dai Cultural Studies e delle
subculture all’interno delle quali la musica rappresenta una sorta di linguaggio comune.
Il primo capitolo segue gli sviluppi del significato del termine “cultura”, cosa
significa e cosa rappresenta in realtà, partendo dallo studio dei Cultural Studies, volti
proprio a comprendere meglio le influenze che la cultura provoca in una data società. In
particolare, di questo se ne occupa il famoso Center for Contemporary Cultural Studies,
formato da studiosi dell’Università di Birmingham. Successivamente, ho seguito un
breve percorso di analisi che mi ha portato dalla fase culturalista degli anni Cinquanta
alla fase strutturalista, fino a quella post strutturalista di Stuart Hall. All’interno di
questo capitolo, inoltre, ho tracciato le linee principali su cosa significhi cultura
popolare e, quindi, cultura di massa prendendo in considerazione i mezzi attraverso i
quali essa viene diffusa, ovvero i mass media. A tal proposito, ho identificato un certo
tipo di audience e ho parlato, quindi, delle subculture, sia quelle americane che quelle
inglesi del CCCS, analizzate secondo gli studi fatti da Dick Hebdige e Phil Cohen. In
particolare, dopo un’analisi generale su cosa siano le sottoculture giovanili, ne ho presa
in considerazione una, quella dei rockers, proprio perché più vicina al genere musicale e
V
al tipo di pubblico degli artisti oggetto di studio. Questo, nel secondo capitolo, mi ha
permesso di parlare degli studi condotti dai popular music studies in ambito musicale.
Inizialmente, ho tracciato una breve storia su cosa sia la popular music e dei diversi
significati che può assumere, perché uno solo non è abbastanza, in quanto è un termine
che prende in considerazione troppi generi. Proprio per questo motivo, dopo un
excursus storico che percorre gli anni successivi alla II Guerra Mondiale, ho cercato di
definire cosa significa veramente la parola “genere”, di come il testo e il contesto
ruotino attorno ad esso creando un ciclo di interazione continua. All’interno di questo
processo comunicativo, ovvero come la musica popolare trasmette significati, i
principali destinatari sono le sottoculture giovanili, delle quali si è presa in
considerazione quella dei rockers.
In quella che si può considerare come seconda parte, ho analizzato attraverso i testi
delle canzoni di Springsteen prima, e degli U2 poi, i vari significati ed emozioni che
essi trasmettevano al proprio pubblico. In particolare, ho considerato i maggiori temi
trattati nei loro brani e come essi possano essere interpretati in maniera differente a
seconda del contesto storico, sociale e politico in cui si trovano. Ciò che mi ha spinto a
parlare della loro poetica è il fatto che in una semplice strofa siano in grado di
racchiudere una miriade di significati profondi e che permettano al pubblico che li
ascolta di fermarsi un istante a pensare.
Per quanto riguarda Springsteen, dopo aver definito cosa sia in realtà una canzone,
ho analizzato i temi dei suoi brani, in particolare: la religione, il binomio luce-ombra,
l’amore e la fuga. Inoltre, ho riservato un occhio di riguardo alla sua produzione rivolta
all’impegno socio-politico nella campagna per i reduci del Vietnam e per il sostegno dei
diritti umani con Amnesty International. Non solo, ricordo che Springsteen è stato
molto attivo dal 2001, ha preso per mano la sua America distrutta, moralmente e
“fisicamente”, dagli attentati dell’11 settembre 2001 e l’ha aiutata a risollevarsi fino ad
oggi con l’elezione del primo presidente di colore alla Casa Bianca. Un altro aspetto di
cui non ho potuto non tenere conto è stata la particolare influenza che Springsteen e il
cinema si sono scambiati. Questo dimostra come musica e immagini siano un tutt’uno e
si muovano insieme per creare una macchina perfetta: quella del cinema.
Gli U2, dall’altro lato, sono stati segnati principalmente dalla storia che ha coinvolto
l’Irlanda nel ultimo secolo, di cui, appunto, si è tracciato un breve excursus storico e
politico. La figura che rappresenta il gruppo irlandese è quella del leader Bono Vox. Gli
U2 sono contro ogni forma di nazionalismo, per questo nelle loro canzoni parlano
spesso di guerra e libertà, sperando che l’amore prevalga sul male; inoltre, tracciano la
storia del loro paese, in particolare, i principali avvenimenti di sangue, e mi riferisco a
“Sunday Bloody Sunday”, con i quali compiono un vero e proprio atto di denuncia. Un
VI
altro aspetto che li riguarda da vicino, e che non potevo lasciare da una parte, è il loro
impegno e, in particolare, quello di Bono, per quanto riguarda la salvaguardia dei diritti
umani. Il gruppo si è spesso battuto affinché certe stragi e certe situazioni non venissero
più ripetute come la questione dei desaparecidos in America Latina. Non solo, Bono si
è impegnato tanto, al punto di creare l’organizzazione DATA, volta a promuovere la
cancellazione dei debiti dei paesi poveri dell’Africa e sostenere una campagna per
evitare la rapida diffusione dell’AIDS in questi paesi.
In ultimo, ho svolto un saggio di traduzione prendendo in considerazione
un’intervista di Springsteen a Will Percy, nella quale vengono ribadite molte delle cose
trattate nel terzo capitolo.
A questo punto, non vorrei spendere troppe parole in chiacchiere, occorre addentrarsi
capitolo per capitolo, per comprendere meglio ciò che la musica può fare.
Il fare musica è la possibilità di un arricchimento per la propria vita,
per la propria personalità.
Come ogni cosa bella contiene un valore, anche la musica lo possiede
e ogni volta che la esprimiamo riaccade un avvenimento.
Il luogo della musica è dove passa qualcosa d'altro, un di più:
la ricchezza umana.
(Piero Bonauguri)
1
CAPITOLO PRIMO
UN VIAGGIO ATTRAVERSO LE SUBCULTURE,
PASSANDO DAI CULTURAL STUDIES
“So a musical phrase”, I said, “is a map reference?”.
“Music” said Arkady “is a memory bank
for finding one’s way about the world”.
Bruce Chatwin, The Songlines
In questo capitolo si abbozzerà una breve introduzione sul concetto di cultura, in
quanto in sé non racchiude un unico significato, ma è stata spesso assoggettata a più
significati. Per poter dare una miglior definizione del concetto di cultura, si farà un
passo indietro per parlare di quella disciplina che ha interessato, e interessa tutt’ora, gli
studiosi del XX secolo, i Cultural Studies, un insieme di studi e di ricerche sviluppate in
Gran Bretagna a partire dagli anni ’50, e in seguito, sviluppatisi in tutto il mondo, di
particolare interesse saranno le ricerche americane. Tali studi, come si vedrà meglio, si
svilupparono nell’Università di Birmingham intorno al Center for Contemporary
Cultural Studies (meglio identificato con la sigla CCCS), per interpretare i diversi
significati assunti dalla parola cultura. Per dare un ordine allo sviluppo della disciplina,
inizialmente, verranno tracciate le linee principali della fase culturalista degli anni
cinquanta, che vedeva come maggiori precursori Richart Hoggart, Raymond Williams e
Tompson. Si prosegue poi analizzando la fase strutturalista, dove il testo assume
importanza e con esso cresce il concetto di egemonia; infine si arriva alla svolta post-
strutturalista, dove il modello Encoding/Decoding di Stuart Hall assume una notevole
importanza perché permette l’analisi del contesto fruitivo e del contesto produttivo.
Questi tre approcci saranno studiati tracciandone le linee generali e senza addentrarsi
troppo nello specifico, in modo tale da evitare di rendere il lavoro troppo pesante.
Come sottolineò anche Grandi, «le categorie più utilizzate nell’attività attuale dei
Cultural Studies sono: la storia dei Cultural Studies, il gender e la sessualità, la
nazionalità e l’identità nazionale, il colonialismo e il postcolonialismo, la razza e
l’etnicità, la cultura popolare e le sue audience, la scienza e l’ecologia, le identità
2
politiche, la pedagogia, le politiche dell’estetica, le istituzioni culturali, le politiche del
disciplinamento, il discorso e la testualità, la storia e la cultura globale nell’età
postmoderna » (1994, p. 93), questo è tutto ciò che comprendono gli studi culturali, ma
di tutti questi elementi se ne sono presi in considerazione solo alcuni.
A questo punto, dopo un breve discorso su come si sono sviluppati i Cultural studies
in America, si è passati ad analizzare il concetto di cultura popolare e dell’importanza,
che è andata via via assumendo, la cultura di massa. In particolar modo, poi, si son presi
in considerazione i suoi mezzi, ovvero i mass media, considerati come il nuovo modo di
comunicare e di influenzare le masse.
A tal proposito, è bene ricordare che i Cultural Studies, negli anni 80, si articolano
verso due orientamenti, da un lato quello che usa il testo per esaltare la lettura di
resistenza e, dall’altro, quello che contrappone alla forza persuasoria del testo la
significatività del contesto per determinare tipi differenti di lettura. Entrambi gli
approcci conducono allo sviluppo degli Audience Studies. All’interno delle ricerche
orientate allo studio del contesto di fruizione dei media, è possibile distinguere l’analisi
del consumo televisivo e lo studio delle subculture. Quest’ultima analisi è stata oggetto
della seconda parte del capitolo. Procedendo per ordine, si è parlato prima dello studio
delle sottoculture in America, dalla Scuola di Chicago, per proseguire poi da quelle
fatte, a ridosso degli anni ’50, dal CCCS di Birmingham. Per poter comprendere meglio
cosa fossero le subculture giovanili, ci si è soffermati sullo studio condotto da Phil
Cohen nel East End di Londra prima, e da Dick Hebdige poi; nel mentre si è aperta una
piccola parentesi sull’importanza che assume lo stile nell’identificazione di un gruppo
sottoculturale e di come esso diventi una spia che oggettivamente stabilisce i canoni
principali della subcultura in maniera distintiva e consistente rispetto alla cultura
dominante.
Come conferma la stessa Thornton, «le ideologie sottoculturali sono un mezzo
attraverso cui i giovani si raffigurano il loro gruppo sociale e gli altri, affermano la loro
distinzione e dicono chiaramente di non far parte di una massa indifferenziata e
anonima» (1998, p. 21). Di tutte le subculture studiate, si è scelto di soffermarsi su una
in particolare, quella dei rockers, in quanto si appresta meglio alla comprensione di
quanto verrà trattato nei prossimi capitoli; inoltre, proprio per fare luce su quanto sarà
trattato in seguito, si è aperta una parentesi sulla poesia e suoi nuovi vati nel nuovo
millennio.
3
1. È possibile definire la cultura?
Prima di poter definire i Cultural Studies, è importante dare una nozione di cultura,
in quanto la parola in sé, può racchiudere un concetto piuttosto ambiguo. Secondo la
definizione data dall’Oxford English Dictionary
1
,
cultura: educazione, che tende, negli autori cristiani, verso la virtù; l’atto o la pratica di
coltivazione del suolo; coltivazione, agricoltura; cultura o allevamento di certi animali (per
es. pesci); sviluppo artificiale di micro-organismi, organismi ottenuti in questo modo; l’atto
di coltivare o di far sviluppare (la mente, le facoltà, le maniere), l’atto di migliorare o
raffinare attraverso l’educazione e l’esercizio; la condizione di essere istruiti e di essere
raffinati; il lato intellettuale delle civiltà; l’esercizio o l’attenzione speciale o lo studio di un
qualsiasi soggetto o ricerca.
La parola, durante i molti secoli in cui è stata usata, è stata assoggettata a numerosi
significati differenti e, in alcuni casi, contrastanti. Dal XVIII secolo è stata utilizzata da
intellettuali inglesi per porre l’attenzione su questioni controverse come «la “qualità
della vita”, gli effetti della meccanizzazione sull’uomo, la divisione del lavoro e la
creazione di una società di massa…» (1990, p.8) come sostiene lo stesso Hebdige. In
seguito, e in qualche modo grazie a questi dissensi, ha continuato a svilupparsi una
società come un insieme integrato dotato di significati, dove la cultura si volgeva verso
il futuro e assumeva due significati principali sostanzialmente diversi:
un concetto umanistico o classico che vede la cultura come una formazione
individuale; ossia un’attività che permette di “coltivare” l’animo umano (deriva
infatti dal verbo latino colere);
un concetto antropologico o moderno che mostra la cultura come il vario insieme di
costumi, credenze, atteggiamenti, valori, ideali e abitudini delle diverse popolazioni
o società del mondo. Riguarda sia l’individuo sia le collettività di cui fa parte. Il
concetto si può dunque intendere al plurale, poiché si suppone l’esistenza di diverse
culture
2
.
Infatti, anche secondo Raymond Williams
3
, «l’analisi della cultura, in base a questa
[ultima] definizione, consiste nella chiarificazione dei significati e dei valori impliciti ed
espliciti di uno stile di vita particolare, di una cultura particolare», ma tale definizione
aveva un estensione molto maggiore, e, usando le parole di T.S. Eliot, riguardava «tutte
le attività e gli interessi che caratterizzano un popolo.»
Inoltre, Williams scrive: «L’idea di cultura poggia su una metafora: curare lo
sviluppo naturale. E in verità, è sullo sviluppo, come metafora e come fatto, che in
1
Oxford English Dictionary citato in Sottocultura. Il fascino di uno stile innaturale, p. 8
2
Riferimento al sito www.wikipedia.it
3
Raymond Williams citato in Sottocultura. Il fascino di uno stile innaturale, p. 9
4
definitiva si deve porre l’accento». Questo perché la cultura fa riferimento ad una
comunità: in particolare una comunità di servizio, che si riferisce alle classi medie, e una
comunità di solidarietà, relativa alle classi lavoratrici.
Quindi, i Cultural Studies sostengono che la cultura del gruppo prevalente influenza i
diversi gruppi sociali in modi differenti, inoltre, crea, tra di essi, un conflitto, ma questo
sarà oggetto di riflessione nel prossimo paragrafo.
Con il trascorrere degli anni, la definizione di cultura ha subito molti cambiamenti,
secondo l’antropologo Ulf Hannerz
4
, «una cultura è una struttura di significato che
viaggia su reti di comunicazione non localizzate in singoli territori», mentre l’Unesco
5
considera la cultura come «una serie di caratteristiche specifiche di una società o di un
gruppo sociale in termini spirituali, materiali, intellettuali o emozionali».
A questo punto occorre fare un passo indietro cercando di riempire quel lasso di
tempo in cui nacquero gli studi culturali nel tardo XX secolo, un modo per studiare la
cultura e le sottoculture che da essa derivano. Lo studio dei Cultural Studies, dal termine
inglese, è oggetto di studio nel prossimo paragrafo.
2. Un breve percorso sui cultural studies inglesi
2.1. Approccio culturalista (anni ‘50)
Come anticipato nel paragrafo precedente, verrà ora trattata brevemente l’importanza
assunta dal fenomeno globale conosciuto come il movimento dei Cultural Studies. In
particolare, gli studi culturali furono inaugurati nel 1963/64 dall’ University of
Birmingham Centre for Contemporary Cultural Studies, capeggiati da un triunvirato di
studiosi attivi nel campo delle ricerche letterarie e storiche: Richard Hoggart, Raymond
Williams e E. P. Thompson.
Come suddetto, il termine “cultura” non è di facile definizione, o meglio, non ha una
sola definizione che permette di comprenderne appieno il significato; essa si esprime
attraverso l’alternanza di processi e pratiche culturali all’interno di determinati contesti
politici, economici e sociali. Per questo assumono particolare importanza i Cultural
Studies: tale termine può essere inteso come «prassi intellettuale tesa a descrivere la vita
quotidiana dell’uomo (everyday life) definita attraverso e mediante la cultura…[essi]
aspirano a un equilibrio tra impegno politico, approccio teorico e analisi empirica»
come sostiene Lutter (2004, p. 5), e per tale motivo vengono presi in considerazione per
esempio, gli effetti dell’industrializzazione e dell’urbanizzazione nelle classi urbane, ma
4
Ulf Hannerz citazione tratta da La complessità culturale, Il Mulino, 1998 Bologna.
5
Citazione tratta da www.wikipedia.it
5
anche i fenomeni della cultura di massa e popolare nelle loro implicazioni politiche e
sociali.
Quando si parla di Cultural Studies, in particolar modo, ci si riferisce agli studi
anglo-americani: spesso si collega l’idea di un’origine inglese ma, a partire dagli anni
Ottanta, riguarda prevalentemente il territorio americano; per questo anche gli studi
culturali, come il termine cultura, sono stati oggetto di discrepanze temporali e con
numerose fratture nella sua evoluzione.
Il primo esponente dei Cultural Studies è Richard Hoggart
6
che si riferisce al
«“quotidiano” come categoria di analisi della cultura della working class tradizionale
inglese, di cui esplora sia i consumi mediali e culturali che le pratiche culturali in senso
lato (passatempi, attività del quotidiano come pub, vacanze, canti…)». Inoltre, studia i
prodotti culturali popolari: fumetti, musica, stampa e fiction.
Un interesse simile per le forme della cultura popolare e per la loro componente
politica caratterizza anche i lavori di Williams: inizialmente infatti, gli studi culturali
non avevano come riferimento la cultura “alta” o d’elite, ma, partendo dalla rivoluzione
industriale, come sostenne Williams
7
appunto, si riferivano a una cultura intesa come «a
whole way of life», ovvero a una visione più ampia, «as a mode of interpreting all our
common experiences (come modalità di interpretazione delle nostre esperienze
comuni)» con riferimento ai differenti stili di vita che già esistono o sono possibili
all’interno di una comunità, sia tramite le varie istituzioni e le abitudini quotidiane, sia
con l’arte e la letteratura. Le diverse parti che costituiscono la cultura, possono essere
espresse come manifestazioni di un insieme di sentimenti, capacità di un gruppo, di una
classe, di una società.
Questa definizione permette di ritornare al fatto che i fenomeni culturali siano
frammentari e non continui. Inoltre, da qui emersero delle riflessioni fatte sulla cultura
popolare, in particolare, contro un certo disprezzo delle forme di cultura popolare e di
un declino culturale dovuto alle comunicazioni di massa. Come sostiene Lutter «la
divulgazione delle forme di comunicazione di massa non permetterebbe da sola di
definire a priori il valore dei prodotti culturali, ma esigerebbe la valutazione delle loro
qualità all’interno di un genere specifico come i film o i giornali» (2004, p. 21). Quindi,
grazie a Williams, l’analisi della cultura diventa analisi sociale: gli elementi che
compongono una cultura vengono messi in relazione tra loro.
Allo stesso modo, occorre ricordare Thompson
8
, di pensiero marxista, e che, al pari
di Williams, rifiutò «l’idea che la formazione di una coscienza sociale tra i lavoratori
6
Richard Hoggart, 1958 The Uses of Literacy Aspects of Working-Class Life with Special Reference to
Publications and Entertainments, London.
7
Raymond Williams citazione tratta da Culture and Society. Coleridge to Orwell, London, 1958 (trad. it.
1968, Cultura e Rivoluzione Industriale in Inghilterra 1780-1950, Torino)
8
Edward Palmer Thompson citazione tratta da The Making of the English Working Class, 1963,
Harmondsworth.
6
inglesi fosse determinata economicamente e pose l’accento sul ruolo della cultura,
dell’esperienza soggettiva e della resistenza», infatti, alla base del suo pensiero c’è
l’idea del conflitto, «a whole way of struggle» (2004, p. 23) tra forme culturali diverse,
tipiche di ogni classe sociale. Lui parla di una cultura popolare che era in grado di
sostenere un confronto positivo con la cultura dominante. Come ritiene la stessa Lutter,
egli si dedicò alla descrizione degli elementi culturali posti al margine, dei vicoli
ciechi e dei fallimenti, della soppressione di rituali e istituzioni, indici di sottomissione ma
che mettono in evidenza un’opposizione continua. (2004, p. 23)
La sua idea, però, non ebbe esiti particolarmente rilevanti all’interno dei Cultural
Studies, inizialmente venne considerata come una «storia dal basso» che in seguito
venne considerato sempre più come un modello valido per la storia del quotidiano, la
«oral history».
Successivamente, gli studi culturali condotti dal gruppo di Birmingham, come
dimostra Lutter, hanno messo in luce l’analisi «delle forme, pratiche e istituzioni
culturali» (2004, p. 25), in particolare della relazione tra le rappresentazioni e le
ideologie di classe, genere, razza, etnia e nazionalità nei testi culturali, nei quali si
include, inoltre, la cultura dei media: giornali, radio, televisione, film e altre forme
culturali popolari che hanno un qualche tipo di audience. Infatti negli studi culturali,
«ciascun individuo andava preso sul serio allo stesso modo sia come produttore sia
come consumatore di cultura» come sostiene Leavis
9
(2004, p. 26), analizzando i fattori
che hanno posto i responsi del pubblico in contrasto con i testi mediatici. Egli puntava
ad utilizzare il sistema educativo inglese per diffondere la conoscenza e
l’apprezzamento della grande tradizione letteraria inglese, contro la minaccia
proveniente dalla cultura di massa commercializzata. Nel prossimo pargrafo si
proseguirà con lo studio dell’evoluzione dei Cultural Studies, entrando nel vivo della
loro analisi, ovvero in seguito alla svolta strutturalista.
2.2. L’irruzione strutturalista (anni ‘60-‘70)
Nei primi vent’anni, si assiste ad una svolta, Stuart Hall con “The Popular Arts” del
1964, diventa, per un decennio, direttore del CCCS nel 1969, a questo punto, l’attività di
ricerca si dirige verso l’analisi dei prodotti e dei testi mediali. In poche parole, la scuola
strutturalista studia la cultura analizzando i testi, cioè come forme e strutture producono
significati culturali.
9
Frank Raymond Leavis citazione tratta da Mass Civilization and Minority Culture, 1930, Cambridge.
7
I principi di base degli studi culturali inglesi di questo periodo, adottavano un
approccio di tipo marxista nello studio della cultura, in particolar modo influenzato da
Althusser con la funzione dell’ideologia e Gramsci con il suo concetto di egemonia: in
entrambi si riconobbe che la cultura di massa stava giocando un ruolo di primo piano
nell’integrazione della working class nella già esistente società capitalista e che il
“nuovo” consumatore e la cultura mediatica stavano formando un nuovo stile
dell’egemonia capitalista.
In particolar modo, secondo Althusser
10
, «gli individui sono costrutti dell’ideologia
che viene considerata come l’insieme dei discorsi e delle immagini che costituiscono la
conoscenza diffusa degli uomini, ovvero il senso comune». La teoria modifica ciò che
era politico e aperto al cambiamento, in altro che sembri più naturale ed eterno.
Quindi, anche come sostiene Lutter, in quegli anni
la cultura venne “letta” come il campo di un confronto sulla definizione dei
significati, i testi mediali furono sottoposti a un’analisi esemplare degli effetti delle
ideologie, al fine di scoprire attraverso quali passaggi la distribuzione del potere politico e
delle risorse economiche potesse essere presentata come naturale, giusta e normale e
dunque potesse diventare una sorta di common sense. (2004, p. 28)
Accanto ad Althusser, si colloca Gramsci
11
, secondo cui il concetto di egemonia, che
è quello più utilizzato nei Cultural Studies, riferendosi ad una classe dominante, riesce a
chiarire come la cultura, anche quella mediatica, collabori all’esistenza di una società
controllata da una classe. E, quando si fa riferimento al termine “egemonia” si fa
riferimento ad un insieme di idee dominanti che impregnano una società, ma in modo da
darle un senso. Secondo Gramsci, la società civile, con istituzioni, famiglia, cultura
popolare e chiesa, è responsabile dell’egemonia, e non lo Stato come si potrebbe
pensare. Il consenso è considerato come un processo in continuo cambiamento, frutto di
una trattativa e non di un indottrinamento guidato.
L’importanza del ruolo assunto dai Cultural Studies risiede nella capacità di
mantenere un certo grado innovativo ed essere capaci di esaminare i continui
cambiamenti culturali: si ritorna quindi alla definizione di Williams, prendere in esame
e dare particolare rilievo alla “lived experience”, ovvero alle esperienze della vita
quotidiana.
Come si vedrà in seguito la cultura popolare assumerà una posizione di primo piano
all’interno degli studi culturali, «non [sarà] più soltanto […] strumento per la
divulgazione delle ideologie dominanti, ma anche […] luogo della resistenza e
dell’appropriazione produttiva di contenuti potenzialmente ambigui» (2004, p. 31),
10
Althusser L. 1965, Pour Marx, Paris
11
Antonio Gramsci, 1971, Lettere dal Carcere, a cura di Paolo Spriano, Torino
8
furono quindi esaminati testi culturali adottati all’interno dei singoli gruppi della
popolazione. Ciò che cambiò dopo gli anni 70, fu il modo di intendere l’atto
comunicativo, si passò quindi dal testo al contesto, attraverso lo studio del modello
Encoding/Decoding di Stuart Hall, oggetto di attenzione nel prossimo paragrafo.
2.3. La svolta post-strutturalista (anni 70-80): l’importanza dell’Encoding /
Decoding model di Stuart Hall
Negli anni ‘80 si arriva ad una svolta in cui, anche secondo Grandi, «gli apporti più
propriamente strutturalisti, ma anche quelli post-strutturalisti e semiotici…hanno dato
luogo a quella “svolta linguistica” che ha introdotto nella teoria e pratica del Centro [di
Birmingham] problemi di testualità e significazione, rappresentazione e resistenza»
(1994, p. 104), che sanzionano la rottura definitiva con i modelli comunicativi di
tradizione statunitense. Infatti, nel 1980 Stuart Hall elabora un nuovo modello
comunicativo: “Encoding/Decoding model”, questo modello, come sostiene Lutter,
incentrò la questione…sul modo in cui i media producevano significati (encoding), su
come questi circolassero e in che modo i vari gruppi di ascoltatori, o meglio gli individui,
adoperassero i “testi” offerti (decoding) conferendo a loro volta dei significati. (2004, p. 37)
Si considerano quindi i processi di produzione e ricezione come separati, influenzati
da numerose variabili, come quelle elencate da Grandi «i discorsi dei media, il contesto
discorsivo all’interno del quale prendono forma, le tecnologie utilizzate» (1994, p. 119)
che li caratterizzano come processi che creano eventi sociali.
Grazie a Stuart Hall, l’atto comunicativo inizia ad intendersi come uno sviluppo di
contrattazione e condivisione, dove si trovano le varie fasi della creazione, del consumo,
dell’analisi del testo e del contesto. Il testo diventa uno spazio dove si incontrano i
significati scambiati tra chi produce e chi consuma all’interno dei media, mentre il
processo di significazione diventa il frutto di un rapporto bilaterale.
È importante soffermarsi sul processo di codifica, dove chi emette il messaggio al
momento della sua produzione veicola culture e contenuti dominanti di una società:
infatti, Hall parla di «codice egemonico» perché come sostiene anche Grandi,
«riproduce il punto di vista dominante e … permette di elaborare definizioni globali …
riferite a visioni del mondo “totalizzanti”»(1994, p. 120). Il processo di decodifica del
destinatario invece, avviene al momento dell’utilizzo e, con un’interpretazione
soggettiva, corregge il significato primario del messaggio. A questo punto, si comincia a
riconoscere la centralità e il protagonismo del lettore nel processo comunicativo, questi
interpreta criticamente i contenuti mediali. Dunque codificare è per Hall quell’attività
9
grazie alla quale si definiscono «limiti e parametri che tendono a racchiudere la
“libertà” del processo di decodifica» (1980a, pp. 128-138). E dalla relazione che si crea
con tali limiti, Hall suppone tre punti di lettura che individuano tre diversi modi di
decodifica da parte del lettore:
1. la posizione dominante egemonica (lettura preferita)
2. la posizione negoziata
3. la posizione di opposizione.
Secondo Hall, si parla di lettura preferita quando il recettore
Prende il significato connotato da, diciamo, un telegiornale o una rubrica di attualità
direttamente e nella sua interezza e decodifica il messaggio nei termini del codice attraverso
il quale è stato codificato. (1980a, p. 136)
Questa prima lettura è considerata una lettura chiara e completa del testo dove la
comunicazione è trasparente, il lettore condivide l’interpretazione egemonica
dell’enunciatore e costruisce una comunicazione che si può definire “perfettamente
trasparente”. Per lettura negoziata, invece si ha un doppio atteggiamento «accordare la
posizione privilegiata alle definizioni dominanti degli eventi, … riservandosi… un uso
più negoziato» (1980a, p. 137). In questo caso, non si mette in dubbio la validità dei
valori del codice dominante, ma si riesaminano situazioni in cui il lettore si trova di
volta in volta coinvolto. La lettura di opposizione, infine, come supporta anche Grandi
«prevede un recettore che comprende la lettura preferita costruita che gli viene proposta,
ma la ricontestualizza all’interno di qualche cornice di riferimento alternativa» (1994,
p.121). Nella prima si esaminano dei fenomeni legati alla distorsione della
comunicazione, mentre nella seconda c’è la coscienza e l’intenzione di oppore
l’ideologia dominante ed il codice egemonico. Si può, quindi, concludere che il lettore
collabora alla costruzione di senso e significato del testo.
La svolta linguistica dei Cultural Studies, di cui si parlava in precedenza, inizia a
dare i suoi frutti, anche secondo Hall
12
«pensare le tematiche della cultura attraverso le
metafore del linguaggio e della testualità rappresenta il punto oltre il quale i Cultural
studies devono ora collocare necessariamente se stessi».
I cultural studies inglesi si distinguono decisamente dagli studi culturali statunitensi,
anche se negli anni ‘80 presero piede in tutte le istituzioni accademiche. Nel prossimo
paragrafo, dunque, si tracceranno le linee generali dei Cultural Studies statunitensi.
12
Stuart Hall citazione tratta da Cultural Studies and its Theoretical Legacies in Grossberg L., Nelson C.,
Treichler P. (a c. di), Cultural Studies, New York, London, p. 284