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PREMESSA
L'idea di affrontare il tema della popular music attraverso le canzoni degli U2 nasce
dall'incontrastata passione che nutro per i Cultural Studies e l’importanza che assunsero
all’interno della popular music, rappresentando una sorta di linguaggio comune. La musica
nasce in luoghi diversi, in culture diverse, è parte integrante di essi, esiste da sempre, detto
alla Middleton e “vitale”. Tutti prima o poi ne entrano in contatto, è ovunque nella nostra vita
quotidiana, è parte integrante del nostro tempo libero e nelle pratiche sociali. Naturalmente
tutto questo grazie anche all’analisi che fanno i Cultural Studies, volti a spiegare chi la studia e
dove si sviluppa maggiormente e alle canzoni degli U2, dove nessuno si mostra indifferente
davanti a questo tipo di musica e ai loro impegni nel sociale. Il primo capitolo chiarisce il
significato del termine “cultura” e che cosa rappresenta in realtà, partendo dall’analisi che
fanno i Cultural Studies tracciando le linee principali sul concetto di “cultura popolare” e
quindi “cultura di massa”. In seguito ho voluto raccontare l’influenza che ebbero alcuni
studiosi alla loro nascita: dalla fase “culturalista” degli anni Cinquanta, alla fase
“strutturalista”, fino ad arrivare quella “post-strutturalista” di Stuart Hall. All’interno di questo
capitolo mi è sembrato opportuno parlare anche di alcune importanti opere degli studiosi di
spicco di quel periodo, che diedero ai Cultural Studies maggior prestigio negli anni a venire.
Nel secondo capitolo, inizialmente, ho tracciato una breve storia sulle origini della popular
music, e come alcuni musicologi e studiosi del tempo abbiano interpretato la stessa. Il
messaggio che vuole mandare, soprattutto ai giovani, che dagli anni Cinquanta in poi, grazie al
boom economico e quindi del relativo benessere che favorì l’accesso ai nuovi beni di consumo,
fece di loro ardui sostenitori. La sua diffusione attraverso l’utilizzo dei mass media,
diversamente non esisterebbe in quanto forma pura di comunicazione di “massa”, e la
funzione sociale che essi rivestono, sia attribuendo uno status alle persone e alle
organizzazioni, sia quella di imporre norme sociali. Dopo una breve introduzione sull’Irlanda,
terra natale degli U2, nel terzo capitolo analizzo le loro origini, il loro modo di essere, il modo
di credere a ciò cui fanno. Essendo contro ogni forma di nazionalismo, le loro canzoni parlano
spesso di guerra e libertà, sperando che l’amore prevalga sul male. Inoltre, attraverso le
canzoni parlano del loro paese e dei principali avvenimenti di sangue, dove alcune di queste
addirittura compiono un vero e proprio atto di denuncia. Non ultimo il loro impegno per la
salvaguardia dei diritti umani, soprattutto da parte del loro leader: Bono Vox.
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CAPITOLO PRIMO
I Cultural Studies
“culture as a whole way of life”
“Raymond Williams: Culture and Society”
Il significato di cultura
Prima di esaminare i Cultural Studies, occorre spendere due parole per spiegare in modo
appropriato il concetto di “cultura”, in che modo partecipa alla costruzione delle identità
individuali e di gruppo, e in quale rapporto si pone nei confronti delle comunità sociali, le
organizzazioni statali e le industrie dei media. Alcuni autorevoli studiosi tra gli anni Cinquanta
e Sessanta, sentirono l’esigenza di studiare la “cultura di massa” ricorrendo all’approccio di
altre discipline come la storia sociale, la semiotica, la storia letteraria, attribuendo un
significato diverso all’idea condivisa di cultura. Originariamente il termine “cultura” si
riferiva alla coltivazione della terra e all’allevamento degli animali (agri-coltura), ma verso la
fine del XIX secolo assunse come riferimento le arti, la pittura, il teatro etc. Nonostante vi
fosse una certa dissonanza tra i due termini, presentava alcune somiglianze. “Coltivare” è un
termine che si riferisce al miglioramento, qualità spesso associate alle arti. Leggere un libro
solo per il piacere di leggerlo non è del tutto appagante, ma farlo perché migliora la nostra
cultura, attribuisce al termine la prospettiva di un qualcosa di specifico. Questo fu il pensiero
di molti artisti e critici della Gran Bretagna del XIX secolo: cultura “alta” in contrapposizione
di cultura “popolare”. Difendevano la “cultura” da quella “popolare” associata all’anarchia e
una tradizione degradante. L’intellettuale di spicco di quegli anni Stuart Hall, considerava la
“cultura popolare” un ambito fondamentale per l’azione e l’intervento sociale, dove i gruppi
dominanti e subordinati combattevano le loro lotte quotidiane.
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Studiare la cultura significava mettere in evidenza le relazioni di potere che vi erano
all’interno della società, per comprendere come i gruppi subordinati potessero conquistare
quello spazio culturale che era appannaggio del gruppo dominante. La “cultura” è un
processo sul cui terreno si svolgono battaglie e lotte, non un oggetto statico che si può solo
descrivere o di cui si possa formulare una teoria generale unitaria. Per Stuart Hall la “cultura”
non è una pratica, ne la descrizione delle abitudini e dei costumi di una società, ma il risultato
delle interrelazioni di tutte le pratiche sociali. William Hoggart (fondatore del Centre for
Contemporary Cultural Studies), con il critico letterario gallese Raymond Williams e lo storico
marxista Edward Thompson, definirono la “cultura” una forma di espressione che emerge
dalle esperienze della gente, un modo particolare di vivere che esprime certi valori non solo
attraverso l’arte e l’apprendimento, ma anche nelle istituzioni e nel comportamento comune.
Insomma, una cultura da intendersi non solo come “alta”, ma anche come “sistema integrale di
vita”.
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1 Cultural Studies: le origini
I Cultural Studies sono un gruppo di discipline di provenienza diversa, rivolte ad analizzare un
unico oggetto che è la “cultura”, attraverso un comune metodo interpretativo. Non sono una
disciplina specifica, un preciso settore d’interessi, ma un insieme di strumenti che saranno
utilizzati per descrivere i vari fenomeni culturali. Sono il frutto di diversi percorsi e sono stati
creati da molteplici teorie metodologiche in continua disputa tra loro. La loro nascita si fa
coincidere con la pubblicazione di tre grandi opere intorno alla metà degli anni Cinquanta:
“Culture and Society” di Raymond Williams, “The Uses of Literacy” di William Hoggart e “The
Making of the English Working Class” di Edward Thompson, di estrema rilevanza perché
operarono una decisa “rottura” con le precedenti tradizioni di pensiero sulla cultura del XIX e
inizio del XX secolo, fornendo a Stuart Hall, una visione meno elitaria della “cultura” da quella
tradizionale. Occorre però fare un appunto sulla nascita dei Cultural Studies: nonostante si
affermi che nacquero con la pubblicazione delle tre opere sopra citate, Stuart Hall, sottolineò
come già da prima ebbero origine altrove, nei movimenti politici: New Left e nelle varie aree di
studi: letteratura, storia, sociologia. Fin dall’inizio, la New Left considerava “il marxismo” come
un pericolo, un problema e non una soluzione. L’idea che i Cultural Studies “sposassero” la
teoria marxista (struttura/sovrastruttura) era falsa, si lottava contro i limiti e le
contraddizioni che questo modello presentava. I Cultural Studies non sono mai stati in
sintonia con la teoria marxista, questo anche per la formazione politica di Stuart Hall (Nuova
Sinistra Britannica), anzi le carenze del marxismo sui temi della cultura, l’ideologia, il
linguaggio, avevano penalizzato il modello. Le sue ricerche e le tre opere furono definite
“culturaliste”, cioè utilizzate per interpretare le esperienze vissute di alcune classi e comunità.
Egli privilegiava l’originalità e l’individualità nell’“arte folkloristica”, rispetto alla de-
personalizzazione dell’“arte di massa”, anche se verso la fine degli anni Sessanta mise queste
“teorie” sempre più in discussione. Nel 1964 William Hoggart fondò il Centre for
Contemporary Cultural Studies (CCCS) presso l’Università di Birmingham, come centro di
ricerca post-laurea. L’idea era quella, attraverso la ricerca, di capire il rapporto tra le pratiche,
i processi e le istituzioni culturali con la società e il cambiamento sociale. Le ricerche,
all’inizio, furono svolte nei settori che riguardavano la sociologia, la storia, la filosofia, la
letteratura, ma nel 1968 quando Stuart Hall assunse la carica di direttore del centro, gli studi
si orientarono verso la riscoperta di quelle culture che prima erano state emarginate,
apportando un rinnovato approccio teorico e analizzando anche fenomeni socio-culturali
come: il razzismo, le etnie, il femminismo.
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Uno degli aspetti più importanti della ricerca che lui condusse all’interno del Centre for
Contemporary Cultural Studies, fu l’istituzione di gruppi di ricerca (media group), dove le idee
e i progetti di ciascun intellettuale erano sviluppati con i docenti insieme agli studenti. Egli ha
sempre rifiutato il ruolo di assoluto protagonista, anche se in realtà lo era, molte delle idee e
pubblicazioni sono state possibili grazie al lavoro di gruppo di tutti i collaboratori.
1.2 La New Left e “Arti per il popolo”
Come dichiarato da Stuart Hall, gli studi sulla “cultura popolare” avvennero già prima che le
opere di Hoggart, Williams e Thompson fossero pubblicate. Lo testimoniano i primi scritti
“pre-studi culturali” pubblicati nella rivista New Left Review e il libro “Arti per il popolo”. La
New Left Rewiew era la rivista principale della New Left (Nuova sinistra), movimento di
sinistra nato nel 1956 a Oxford, dove Stuart Hall fu un membro fondatore. Emerse dalla
fusione di due riviste: Reasoner (cui membri erano ex-comunisti) e Universities and Left
Review (ne facevano parte Stuart Hall in qualità di co-editore e gli studenti di Oxford). Il
movimento, costituito dai maggiori intellettuali britannici, molti dei quali si occuparono
successivamente di studi culturali (Thompson, Williams, etc.), condivise l’impegno politico
per affrontare i cambiamenti economici del dopoguerra, ignorati dal Partito Laburista e dalla
sinistra tradizionale, anche se non sempre vi era un unione di vedute all’interno del gruppo.
Proprio di questa crisi che Stuart Hall e altri critici scrissero negli articoli pubblicati nella New
Left Review, analizzando la nuova società dei consumi che si era creata tra gli anni cinquanta e
sessanta, e le forme di “cultura popolare” a essa associate. Per questo motivo la New Left fu
accusata di essere più un movimento culturale che politico, nonostante uno degli obiettivi
fondamentali fosse quello di dimostrare che la “cultura popolare” è politica, e che il calo del
sostegno al Partito Laburista fu causato dal “rifiuto” della sinistra tradizionale di considerare
la “cultura” in quanto politica. Nel libro “Arti per il popolo” sono riportati alcuni saggi come
Osservazione sulla decostruzione del popolare che mostrano, come il concetto di
“popolare” negli anni Ottanta cambi. Mentre prima si presumeva che avesse un valore
intrinseco identificabile, ora con riferimento alla teoria del marxista Valentin Volosinov la
“cultura popolare” è vista come un segno “pluriaccentuato” piuttosto che “monoaccentuato”.
Ossia: non vi sono segni o forme culturali che appartengono a una determinata classe, e che il
significato non sarà sempre lo stesso.