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Abstract
Il sempre più spinto processo di internazionalizzazione delle imprese pone
rilevanti questioni in materia di sviluppo di strategie e gestione coerenti
con il mercato estero prescelto come obiettivo. Tale coerenza diventa ancor
piu importante, nonché più difficile da conseguire, laddove le
caratteristiche socio-culturali del mercato target differiscono notevolmente
da quello di origine della impresa.
Il seguente lavoro analizza l'impatto delle variabili culturali sulle principali
business practices e su i vari aspetti della vita organizzativa, focalizzandosi
sul caso delle multinazionali italiane che operano in Cina.
Dopo un'introduzione teorica sul tema della cultura nei contesti aziendali,
segue l'applicazione dei modelli proposti da Hall e Hofstede alle due
culture coinvolte, quella italiana e quella cinese. Da tale analisi si evince
che numerosi aspetti critici possono derivare da un'errata percezione della
cultura ospitante e che molteplici sono le realizzazioni concrete derivanti da
tale errore di valutazione.
Il lavoro si conclude con due testimonianze di managers italiani operanti in
Cina. Le interviste confermano, con qualche innovazione rispetto alle
descrizioni proposte dalla letteratura sul tema, come le differenze culturali
riscontrate incidano concretamente sulla vita organizzativa e sulle pratiche
manageriali applicate nelle filiali cinesi.
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Introduzione
Il processo d’internazionalizzazione delle imprese combinato con lo
sviluppo di nuove e differenti economie nell’arena competitiva globale ha
sollevato numerose criticità sconosciute rispetto al passato specie quando
gli operatori economici privati si ritrovavano ad operare al di fuori dei
propri confini nazionali. Il recente fenomeno dello sviluppo delle nuove
potenze economiche ha sicuramente allargato quelle che sono le
opportunità commerciali di ogni impresa che voglia espandersi all’estero,
ma non poche sono le criticità da considerare per far si che tale espansione
sia di successo.
Nello specifico si richiede alle aziende abituate ad operare con i mercati
nazionali di provenienza (come ad esempio le aziende italiane sul territorio
italiano) o con mercati simili per sviluppo e cultura prevalente (si pensi alle
aziende italiane che operano nel mondo occidentale) di riconsiderare in
chiave strategica alcune variabili che, anche se spesso non direttamente
connesse alle dinamiche economiche-aziendali, impattano in modo diretto
sulla redditività e il successo delle operazioni commerciali e produttive
all’estero. Tale insieme di variabili può essere sinteticamente definito con il
termine ‘cultura’ con il quale si intende il generale programma mentale
collettivo che contraddistingue i membri di un gruppo o di una categoria da
quelli di un altro. La cultura diventa quindi la base di partenza per l’analisi
di ogni mercato che l’impresa voglia raggiungere in maniera efficiente ed
efficace.
Da tali premesse parte questo lavoro. Nello specifico si vuole dimostrare
come le differenze culturali possano nel concreto influenzare le più comuni
business practices inerenti alla vita organizzativa nonché come una
profonda comprensione di tali differenze sia necessaria per gli operatori che
per la prima volta si affacciano su un nuovo mercato.
In particolare la trattazione proposta si focalizza sul caso delle aziende
italiane operanti in Cina. Tale scelta è dovuta alla crescente importanza del
ruolo ricoperto della Cina nella scena internazionale nonché dalle enormi
opportunità di crescita offerte dal Paese agli operatori stranieri.
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Il fine di questo lavoro è quello di illustrare come un’analisi che vada oltre i
semplici numeri in termini di crescita dell’economia cinese o della sua
popolazione possa nel concreto favorire lo sviluppo di relazioni economiche
di successo per gli operatori italiani.
Per quanto riguarda la struttura della trattazione proposta, il primo capitolo
introduce la cultura come variabile organizzativa. Tale approccio di tipo
teorico parte dall’esposizione dei principali studi sul tema presentati in
ordine cronologico. La prima classificazione delle variabili culturali proposta
è quella elaborata da Kluckhohn e Strodtbeck nel 1961. In seguito è
introdotta la visione di Hall sulla comunicazione in relazione alla cultura di
riferimento. Seguono gli approcci di Hofstede e Trompeenars che
forniscono le loro classificazioni delle variabili culturali con specifico
riferimento ai contesti aziendali.
Il secondo capitolo tratta più da vicino le peculiarità del Paese estero di
riferimento, la Cina. Una breve disamina della storia recente è la base di
partenza per la spiegazione dei caratteri essenziali della cultura odierna,
con riferimento agli studi sul tema degli ultimi tre decenni.
Il terzo capitolo completa il quadro offerto mettendo a confronto i due Pesi
di riferimento, Italia e Cina. Dopo una breve istantanea sulle attuali
relazioni economiche tra i due paesi, nonché sui settori di maggior
rilevanza nell’interscambio, si propone l’applicazione concreta dei modelli
elaborati da Hall e Hofstede con lo scopo di evidenziare divergenze e
criticità delle due culture nazionali riguardanti le più comuni business
practices.
Il lavoro si conclude con la testimonianza di due italiani che attualmente
ricoprono posizioni manageriali per aziende nazionali operanti in Cina al
fine di rilevare la concretezza delle problematiche relative alla cultura in
ambito aziendale.
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1. Cultura e business practices: definizione e studi di riferimento
In contesti di internazionalizzazione crescente, le imprese che operano al di
fuori dei propri confini nazionali devono necessariamente capire la cultura
del mercato ospite. Per mercato ospite non s’intende solamente il mercato
di sbocco, quindi gli utenti-acquirenti finali di un bene o servizio, ma anche,
ed in questa tesi soprattutto, tutti i diversi interlocutori che a vario titolo
entrano in contatto con l’azienda.
Autori come Sonjae e Philips (2004) sostengono che, nonostante trent’anni
di ricerca diretta sull’interazione cultura-ambiente di lavoro, molti manager
di multinazionali trovano nelle divergenze culturali uno dei maggiori
ostacoli al raggiungimento delle performance ottimali. Le ragioni sono ben
spiegate: il comportamento degli individui, il loro operato, le modalità di
interazione con gli altri attori all’interno dell’organizzazione (e quindi
l’effetto sull’operatività) diventano difficilmente prevedibili in quanto
profondamente diverso è il background culturale di origine. La conoscenza
della cultura nazionale nella quale si opera è quindi necessaria al
management per predire quali comportamenti sono considerati auspicabili
e possibili e come i membri di una comunità, quella aziendale, si
comporteranno nelle singole circostanze della vita organizzativa (Mead e
Andrews, 2009).
È necessario quindi capire cosa s’intende per cultura, come essa influenza
l’operato degli individui nonché il suo effetto sulle organizzazioni. Di seguito
verranno introdotti i principali studi sul tema, in modo da dare un preciso
quadro di riferimento delle principali studi teorici sull’argomento.
1.1 Cultura: significato e impatto nelle organizzazioni economiche
Il mondo accademico ha offerto diverse definizioni al termine “cultura”
applicata ai contesti organizzativi. Quella più utile ai fini di questo lavoro è
quella enunciata da Hofstede (1980): la cultura è l’insieme dei valori,
credenze e il generale modo di percepire gli eventi che l’individuo apprende
fin dall’infanzia. La cultura è quindi il programma mentale collettivo che
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distingue i membri di un gruppo o di una categoria da quelli di un altro
(Hofstede, 1991).
La cultura opera quindi in prima battuta sui singoli individui. Il sistema di
valori enunciato da Hofstede condiziona in modo determinante l’operato dei
singoli individui, influenzandone giudizi, pensieri e sentimenti (Milliken e
Martins, 1996). Essendo le organizzazioni economiche formate da gruppi di
individui, il legame tra cultura e organizzazione è presto spiegato: gli
individui all’interno di un’organizzazione devono conoscere e analizzare la
cultura prevalente perché hanno bisogno di capire quali possibili
comportamenti sono insiti nella routine organizzativa e quali effetti e
conseguenze sono ottenibili nelle circostanze della vita di impresa (Meads e
Andrews, 2009). Questa conoscenza del “cultural background” diventa
tanto più importante in contesti di globalizzazione crescente dove spesso
convivono singole e diverse culture organizzative nazionali (Boyacigiler,
2003).
Una volta definito il concetto di cultura, l’analisi e la comprensione della
“host culture” permettono lo sviluppo e la sostenibilità di un modello di
comportamento coerente con il contesto, prerequisito per il successo sia
economico che sociale, con soddisfazione di tutti gli attori coinvolti nel
processo di business (Elkington, 2008).
Per queste ragioni, una moltitudine di studi sono stati condotti per cercare
di capire come classificare in maniera analitica le varie culture nazionali (e
regionali). Il dibattito sull’esistenza di un unico modello valido per ogni
contesto di analisi è ancora in corso, cosi come quello sull’individuazione
delle ‘variabili culturali’ più importanti.
I primi studi su argomenti come la classificazione della cultura e le matrici
culturali sono collocabili nella seconda metà del novecento. Tanti e diversi i
punti di vista offerti dai differenti autori, con alcuni lavori che più di altri
hanno contribuito su larga scala all’affermazione di concetti quali
‘dimensioni culturali’, ‘orientamenti’ o ‘high - low context’. Tali concetti pur
essendo non recenti nel concepimento, rimangono un punto fermo per ogni
tipo di studio sull’argomento come illustrato nei paragrafi successivi.