4
Introduzione
Questo lavoro è nato dall‟idea di andare a capire come la cultura di un
contesto possa influenzare, in primis, l‟impresa nella sua gestione e, in secondi,
l‟impresa all‟interno di un network, di conseguenza, quale sia il suo ruolo nella
predisposizione di relazioni strategiche tra imprese tali da rafforzare la loro
posizione competitiva rispetto alle altre e, infine, sviluppare la forza economica
del sistema locale. Invero, l‟efficacia di un sistema locale è strettamente legata
alla sua complessità relazionale, che richiede una sintonia estremamente accurata
tra credi e valori dei vari attori presenti, poiché il progresso socio-economico non
discende solo dalla disponibilità di capitali ma è il prodotto di un‟adeguata
cultura. Una cultura d‟impresa che in alcune aree non è fortemente radicata o
meglio la presenza di forti stereotipi ostacolano il suo sviluppo.
Molte volte si studia la cultura dominante nei diversi contesti per ridurre e
superare quei conflitti che possono generarsi nei rapporti di collaborazione tra
imprese culturalmente distanti, ma questo non implica che parlare di culture
diverse significa parlare di contesti geograficamente lontani, anzi, in uno stesso
Paese, possono convivere credi e valori diversi, di conseguenza, il modo di “fare
impresa” risulterà diverso. Ma la presenza di differenze culturali in uno stesso
Paese non è sinonimo di arretratezza, bensì, bisogna studiarle e individuare le
soluzioni più idonee attraverso le quali sviluppare una determinata area, non
dimenticando quello che è il passato ma, spingendo ad un cambiamento culturale
attraverso l‟ausilio di adeguati strumenti.
5
Un cambiamento che dovrà “sprigionare” un effetto domino, partendo dalla
singola organizzazione aziendale, poi, ad una rete di organizzazioni, infine,
all‟intero sistema locale.
Sulla base di queste considerazioni, i temi che vengono trattati in questo
lavoro rappresentano degli elementi importanti per affrontare uno studio
sull‟importanza e sull‟impatto della cultura sulla singola impresa e su di un
network di imprese.
Nel primo capitolo si è posta l‟enfasi sugli studi della cultura nelle imprese,
partendo dall‟analisi dei primi studi sulla tematica del Cross Cultural
Management. Si è continuato nell‟illustrare i contributi dei vari studiosi in merito
al concetto di cultura e l‟introduzione di modelli di analisi per esaminare le sue
caratteristiche dominanti. Si è trattato, poi, del cambiamento culturale in
letteratura e degli strumenti che possono agevolarlo ed, infine, si è discusso
dell‟interazione tra cultura nazionale e cultura d‟impresa.
Nel secondo capitolo sono stati affrontati gli effetti della monocultura sulla
gestione aziendale e l‟influenza della cultura sull‟apprendimento di conoscenze
per le imprese. Si è partito nel discutere del ruolo strategico della cultura
d‟impresa, specificando la sua importanza nella gestione e come, purtroppo, nelle
realtà imprenditoriali, il suo studio è, ancora, “acerbo”, ma nello stesso tempo, in
altre è fortemente radicato.
In particolare, si è posto l‟attenzione sugli effetti del monoculturalismo e
quali possono essere le azioni da porre in essere per passare dal monoculturalismo
6
al multiculturalismo aziendale. Si è analizzato, poi, il legame tra cultura d‟impresa
e leadership, esattamente, di quanto la cultura può influire sullo stile di leadership
di un‟impresa e come le capacità imprenditoriali possono avere ricadute sul
territorio di appartenenza. Si è proceduto con l‟esame del rapporto tra cultura e
apprendimento, passando dall‟intra-firm process all‟apprendimento collettivo, per
l‟appunto, si è voluto conoscere in che modo la cultura incide sull‟apprendimento
intra-organizzativo dell‟impresa, poi, inter-organizzativo dell‟impresa in una rete,
elaborando, infine, un circuito dell‟apprendimento della cultura.
Nel terzo capitolo è stato trattato il ruolo della cultura nei network d‟imprese.
Partendo dall‟analisi dei punti di forza e di debolezza generali delle imprese
nazionali, si è messo in luce la valenza strategica delle reti di imprese per il
successo delle iniziative, specificando le tipologie e le forme di reti che possono
essere create. Si è proseguito con l‟analisi del ruolo dell‟impresa guida all‟interno
di una rete, spiegando l‟importanza o meno della sua presenza.
Nel quarto capitolo, infine, si è illustrato il case study del presente lavoro: il
Consorzio Imprese Diano- Salerno e le sue imprese.
I dati, ottenuti tramite intervista diretta proponendo un questionario redatto da
un team di docenti nelle discipline aziendali dell‟Università “Parthenope”, sono
stati convenientemente inseriti nei capitoli precedenti. In questo ultimo capitolo, si
è preferito trattare della nascita, dell‟evoluzione del consorzio e delle
caratteristiche strutturali delle sue imprese. Si è continuato nell‟analizzare le
caratteristiche culturali sia a livello di singola impresa, sia a livello di rete,
7
nonché, sono stati indicati i punti di forza e di debolezza delle imprese del
consorzio rapportandoli con le minacce e le opportunità che offre il territorio dal
nome di prestigio: Parco Nazionale del Cilento e del Vallo di Diano. Infine, si
sono illustrati i prossimi possibili obiettivi strategici che il consorzio intende
realizzare sia per migliorare la competitività delle sue consorziate sia per
incentivare lo sviluppo del sistema locale.
In conclusione, vorrei ringraziare qualche persona.
In primis, la Prof.ssa Calvelli, che mi ha permesso di realizzare questo lavoro
di ricerca, invero, dal primo momento mi ha “spronata” a cercare informazioni e
contatti utili per raccogliere i dati necessari per la stesura del mio lavoro di tesi,
inoltre, nei vari momenti d‟incontro avuti insieme mi ha permesso di capire che
con tanto impegno e caparbietà si possono ottenere dei piccoli risultati che con il
tempo possono portare a grandi risultati. Continuo con il ringraziare la Prof.ssa
Canestrino, che con tanta disponibilità mi ha aiutato nella stesura del presente,
consigliandomi di volta in volta su cosa e come affrontare il continuo del lavoro.
Doveroso è il ringraziamento al Consid, in particolare al Presidente, il Sig.
Cirigliano, che mi ha permesso di entrare in un nuovo mondo: l‟impresa, con tutti
i suoi pregi e suoi difetti. Ringrazio, ancora, tutti gli imprenditori che sono stati
disponibili e pazienti nel ricevermi per realizzare le mie interviste.
In finale, ringrazio tutte le persone amiche che mi hanno sostenuto in questo
progetto.
Maria Antonietta Aquino
8
CAPITOLO PRIMO
Una sintesi degli studi sulla cultura delle imprese
1.1 La genesi e lo sviluppo del fenomeno indagato
Fino agli anni „50 e „60 prevaleva l‟ipotesi che una cultura potesse dominare
sulle altre. Questo modo di pensare era chiamato ipotesi di convergenza, una sorta
di etnocentrismo
1
, come quello, che in quegli anni, guidava lo sviluppo
internazionale delle multinazionali statunitensi portando all‟ipotesi “one size fits
all”, che si basava sul fatto che le pratiche manageriali e i modelli di gestione
potevano essere applicate in maniera indistinta nelle economie dei diversi Paesi,
spingendo alla formazione di società sempre più omogenee. Poi, a partire dagli
anni ‟70, lo specializzarsi dell‟economia, l‟avvento della globalizzazione,
l‟aumento dei bisogni e l‟analisi della soluzione migliore da parte di consumatori
sempre più attenti ha comportato per le imprese la ricerca di più solidi vantaggi
competitivi sia a livello nazionale che globale nonché lo sviluppo di relazioni
collaborative in ambito internazionale. È stata abbandonata, quindi, l‟ipotesi “one
size fits of all” poiché, non era accettabile il principio di esportare, con successo,
gli stili manageriali e i meccanismi di governo delle attività imprenditoriali
2
nelle
1
È la tendenza che consiste nel pensare che le caratteristiche di un gruppo, o di una razza, siano
superiori a quelle di altri gruppi o razze (Hofstede, 1989).
2
Ad esempio la Coca Cola, da sempre un‟impresa globale, ha dovuto rivisitare la sua filosofia
aziendale promuovendo il seguente principio: “think local l’and act local” che si basa su di un
9
economie di diversi contesti. Effettivamente, le imprese non potevano più puntare
solo sul mercato locale o nazionale ma dovevano essere in grado di competere a
livello globale ma, allo stesso tempo, proteggere l‟economia locale, bisognava,
quindi elaborare continue e opportune scelte strategiche ed operative. Il
raggiungimento di adeguati livelli di competitività non poteva prescindere dalla
conoscenza della cultura dominante nei diversi contesti in cui le imprese
operavano o volevano operare; l‟analisi della cultura nazionale o di sub-aeree
territoriali
3
, quindi, era fondamentale, perché essa agiva sulla cultura dell‟impresa
influenzando stili e pratiche manageriali, impattando, in ultima istanza sulle
perfomance aziendali (Calvelli, 1998).
In quest‟ottica, era importante, che i manager sapevano riconoscere e
comprendere le diversità culturali e fossero in grado di trovare le soluzioni più
idonee per il superamento di conflitti che possono generasi tra imprese (Calvelli,
2008).
La rilevanza degli studi sulla cultura dei contesti come fonte di analisi a
sostegno della competitività delle imprese non è emersa che dalla fine degli anni
‟70 con la nascita del filone di studio del Cross Cultural Management che
maggiore decentramento del potere decisionale ai manager periferici, un marketing differenziato,
una corporate social responsability a rispetto delle abitudini locali (Boccia, 2009).
Si può, anche, menzionare il caso Mc Donald‟s dove la sua filosofia è “think global, act local”, in
questo caso la strategia dell‟impresa è globale ma si è attuato in ogni paese dove l‟azienda è
presente, con contratti di franchising, una sorta di marketing mix differenziato, basti ricordare la
campagna pubblicitaria di Mc Donald‟s Italia con lo slogan “Mc Donald’s speaks italian”, per il
lancio della nuova linea di prodotti 100% “Made in Italy” con l‟utilizzo di prodotti certificati
italiani interamente tracciabili; un modo per rispondere alle esigenze del consumatore italiano ma,
anche, un modo per portare all‟estero le tipicità locali (Database: notizia dall‟Italia per l‟Italia).
3
Si è notato che, in Italia, non solo esiste un gap tra Nord e Sud, ma esistono differenze anche nel
Mezzogiorno, a causa di uno sviluppo imprenditoriale differente (Calvelli, 1998).
10
descrive i comportamenti degli individui all‟interno delle organizzazioni e che
provengono da culture diverse; studia anche, in un confronto comparativo, le
diversità culturali esistenti tra organizzazioni di contesti culturalmente diversi
(Adler, 1983b.)
4
.
Le ricerche si sono suddivise in due filoni di studio: il Cross Cultural
Research e il Cross National Research. Il filone del Cross Cultural Research si
fonda sullo studio delle diversità e delle somiglianze delle culture delle macro-
aeree ambientali; mentre il filone del Cross National Research pone l‟enfasi
sull‟esistenza di una stretta correlazione tra il funzionamento delle organizzazioni
e la cultura dell‟ambiente in cui esse operano ( Calvelli, 2008).
Gli studi di Cross Cultural Management trovano le loro fondamenta in
discipline diverse ma, principalmente, si possono indicare i contributi
dell‟antropologia, della sociologia e si potrebbe aggiungere, anche, il contributo
della psicologia transculturale
5
.
Dagli studi antropologici deriva il concetto di “cultura unitaria” nel senso
che gli antropologi studiano la cultura di una comunità attraverso l‟identificazione
e l‟elaborazione di aspetti distintivi quali il linguaggio, le norme sociali, le
procedure condivise; invece, dagli studi di natura sociologica deriva il concetto di
“pluralità culturale” (Meschi, Roger, 1994) concetto, questo, connesso alla
presenza di una molteplicità di credi e valori in una stessa organizzazione.
4
Fonte: citato in Calvelli (2008), Cross Cultural Management, Enzo Albano Editore, Napoli.
5
È lo studio scientifico del comportamento umano e della sua trasmissione, tenuto conto dei modi
in cui i comportamenti sono plasmati e influenzati dalle forze sociali e culturali (Segall, Dasen,
Berry, 1990).
11
Il punto di partenza degli approcci alla pluralità culturale può essere
ricondotto all‟insorgere dell‟interesse etnologico, che si è venuto affermando in
connessione con l‟ampliamento dell‟ambito geografico del mondo europeo e con
il suo incontro con altri popoli e altre tradizioni culturali.
Infine, gli studi della psicologia transculturale pongono l‟attenzione su due
caratteristiche principali: la differenziazione del comportamento umano nei
diversi paesi e il legame tra il comportamento individuale e il contesto culturale in
cui si esplica (Segall et al 1990).
1.1.1 La cultura nella prospettiva antropologica
La prima formulazione del concetto scientifico di cultura risale al periodo in
cui l‟antropologia si è costituita, con l‟intento di riconoscere il valore delle forme
di organizzazione sociale e dei costumi di tutti i popoli, a partire dalla prima metà
dell‟Ottocento da parte di studiosi tedeschi e inglesi.
Matthew Arnold, pedagogo e letterato inglese, asseriva che la cultura era uno
“studio della perfezione”, riferendosi, in particolare al potenziale educativo in essa
connaturato. Egli sosteneva che la cultura rendeva capace la gente di connettere la
conoscenza, compresa la scienza e la tecnologia, al comportamento e alla bellezza
(Arnold, 1869.)
6
.
Nel suo libro Alle origini della cultura, l‟antropologo inglese Tylor definì la
cultura come quell‟insieme complesso che include il sapere, le credenze, l‟arte, la
6
Fonte: citato in Griswold Wendy (1997), Sociologia della cultura, il Mulino, Milano.
12
morale, il diritto, il costume, e ogni altra competenza e abitudine acquisita
dall‟uomo in quanto membro di una società (Tylor, 1871)
7
.
Questa definizione antropologica ad ampio raggio della cultura domina da
allora le scienze sociali, costituendo il punto di riferimento di ogni ulteriore
formulazione del concetto scientifico di cultura.
L‟analisi di Tylor indicava, in particolar modo, il carattere “acquisito”
della cultura. Infatti, insisteva sulla differenza tra eredità biologica ed eredità
sociale, e sull‟impossibilità di ricondurre la seconda alla prima: la cultura non si
trasmette mediante i meccanismi riproduttivi della specie umana, ma si acquisisce
mediante un processo dell‟apprendimento (Boas, 1911)
8
. Secondo Boas, quindi, la
cultura non era determinata dall‟ambito geografico in cui gli individui erano
collocati. Non a caso, infatti, credi e valori potevano sorgere in ambienti simili,
così come culture analoghe potevano radicarsi in ambienti diversi; la cultura non
era determinata dalle caratteristiche biologiche dei popoli, poiché tra differenze
razziali e differenze culturali non c‟era corrispondenza; infine la cultura non era
neppure determinata economicamente, poiché la stessa struttura economica
dipende a sua volta da condizioni culturali. Ad esempio, gli italiani hanno istituito
in un ambiente eterogeneo una vera e propria “little Italy” fino a quando non si
sono integrati a livello locale, lasciando spazio a nuove comunità, come quella
cinese.
7
Fonte: citato in Griswold Wendy (1997), Sociologia della cultura, il Mulino, Milano.
8
Fonte: Rossi Pietro (1983), Cultura ed Antropologia, G. Einaudi, Torino.
13
Kroeber (1983), inoltre, sosteneva che la cultura fosse “superorganica”, sopra
e al di là sia delle caratteristiche biologiche, sia psicologiche degli individui.
Presentò due argomenti a sostegno delle proprie argomentazioni, l‟Autore
sottolineò come, indipendentemente dalla variabilità, in termini di numerosità di
individui appartenenti ad un definito gruppo sociale, la cultura rimaneva
sostanzialmente stabile: nonostante un largo ricambio di membri a ogni nuova
generazione, in altri termini, credi, valori ed istituzioni rimangono relativamente
immutate. Analogamente Krober rilevava come gli individui, singolarmente
intesi, siano detentori soltanto di una porzione della cultura in grado di denotare
una collettività (Kroeber, 1983). Per tutte e due queste ragioni che Kroeber
riteneva che i fenomeni culturali siano collettivi, al di sopra e oltre la persona
individuale, e da qui il termine superorganico.
Anche Malinowski, antropologo polacco, identificava la cultura con l‟“eredità
sociale”, cioè la cultura è ciò che si trasmette socialmente, vale a dire ciò che è
oggetto ad acquisizione.
Contributo notevole fu dato, pure, da Max Weber, sociologo tedesco, che
definiva la cultura come risultato dell‟azione di forze psichiche e di una
“sostanza” che è nell‟esistenza che lo circonda. La “sostanza” era concepita in
continuo mutamento, per cui la configurazione psichica, cioè la cultura, era
sempre nuova; così la cultura era l‟espressione creativa delle personalità, che si
riusciva ad esprimere nelle opere una nuova posizione dell‟uomo nel mondo
(Weber, 1983).
14
Weber distingueva due tipi di grandi personalità: coloro che senza alcuno
scopo conferivano un‟immagine nuova del modo di sentire il mondo e del suo
contenuto spirituale e coloro che riuscivano a plasmare la forma naturale e sociale
dell‟esistenza, a dare un nuovo sentimento di vita e nuovi contenuti che
trasformassero l‟esistenza idealmente. Sintetizzando il concetto di cultura, in
Weber si possono enunciare quattro principi:
1) la cultura, poiché esula da uno scopo e da un‟utilità, è fine a se stessa;
2) la cultura è un campo di valori, mediante la quale l‟uomo legittima il
proprio agire;
3) la cultura è trascendente;
4) la cultura è vista come espressione dell‟anima, che è sede di quelle forze
dell‟uomo, che non hanno uno scopo e vanno oltre il vitale (Weber,
1904.)
9
.
A partire degli anni ‟30 l‟analisi del concetto di cultura diveniva uno dei temi
centrali di discussione della scienza antropologica e sociologica negli Stati Uniti,
difatti, la formulazione del concetto di cultura diveniva un luogo di incontro, e
talvolta anche scontro dei principali indirizzi dell‟antropologia americana.
Partendo dal sociologo funzionalista
10
Robert Merton, allievo di Parson, che,
a sua volta, definiva la cultura come l‟insieme dei modelli di comportamento dei
9
Fonte: citato in Berry W. John et al., (1994), Psicologia strasculturale: teorie, ricerche ed
applicazioni, Guerini Studio, Milano.
10
Il funzionalismo è quella branca della teoria sociale che parte dall‟assunto che un‟istituzione
sociale svolge alcune specifiche funzioni necessarie al benessere della collettività, identifica la
cultura con i valori che orientano i livelli sociali politici ed economici di un sistema sociale.
(Database: Libreria Universitaria).
15
prodotti dell‟azione umana che possono essere trasmessi in generazione in
generazione(Parson,1937)
11
.
Merton affermò che la cultura americana attribuiva un valore elevato al
successo economico, sicché il mancato raggiungimento dei delineati obiettivi di
successo e status economico-sociale si traducevano in una condizione di tensione
e stress psicologico per gli individui. Connaturata alla concezione americana era
l‟idea relativa alla ricerca di armonia tra obiettivi e mezzi utilizzati per conseguirli
(Merton, 1938)
12
. Negli anni ‟50 si sviluppava il filone di studi di Kroeber e
Kluckhon che definirono la cultura come l‟insieme dei modelli di comportamento
trasmessi attraverso simboli che costituivano il risultato distintivo dei gruppi
umani, compresa la loro concretizzazione in prodotti artistici; il nucleo essenziale
della cultura consisteva nelle idee tradizionali e specialmente nei valori ad essi
collegati (Kroeber e Kluckhon, 1952)
13
.
Da questo momento in poi, il concetto di cultura si andava sempre più
specializzando passando da una mera caratteristica che influenzava il contesto in
cui si viveva ad una competenza distintiva della realtà sia sociale che
organizzativa, quindi, si iniziava a intravedere lo sviluppo dell‟importanza dello
studio della cultura d‟impresa determinata dalla cultura nazionale. Degno di nota
al riguardo appariva il lavoro di Mary Douglas (1970,1978), sempre di natura
antropologica.
11
Fonte: citato in Calvelli (2008), Cross Cultural Management, Enzo Albano Editore, Napoli.
12
Fonte: citato in Griswold (1994), Sociologia della cultura, Il Mulino, Milano.
13
Fonte: citato in Berry W. John et al., (1994), Psicologia strasculturale: teorie, ricerche ed
applicazioni, Guerini Studio, Milano.
16
L‟Autrice definiva la cultura come insieme di conoscenze che descrivono e
identificano una comunità. Per descrivere la cultura delle organizzazioni, la
Douglas distingue due dimensioni, in base alla quale è possibile inquadrare i
fenomeni culturali:
1) il grado di influenza del gruppo sul comportamento degli individui;
2) l‟importanza data dagli stessi alla differenziazione tra i diversi ruoli
normativi (Calvelli, 2008).
Mentre, l‟antropologo statunitense, Clifford Geertz, definiva la cultura come
una struttura di significati, trasmessa storicamente, incarnati in simboli, un
sistema di concezioni ereditate espresse in forme simboliche per mezzo di cui gli
uomini comunicavano, perpetuavano e sviluppavano la loro conoscenza e i loro
atteggiamenti verso la vita (Geertz, 1973)
14
. Questa definizione catturava ciò che
la maggior parte dei sociologi comunemente intendevano quando usavano il
termine cultura.
Rilevando, in altri termini, l‟esistenza di uno stretto legame tra cultura e
società, gli studiosi di sociologia focalizzavano la propria attenzione più sulla
persistenza e sulla durata della cultura, piuttosto che sugli elementi di fragilità. In
tal senso, la cultura era concepita più come un‟attività che come qualcosa che
richiede di essere conservata in un archivio.
Una tendenza recente era quella di ridurre le dimensioni del concetto di
cultura e introdurre distinzioni in modo da precisare esattamente in cosa consiste
14
Fonte: citato in Griswold (2005), Sociologia della cultura, Il Mulino, Milano.
17
l‟oggetto di analisi (Wuthnow e Witten, 1988)
15
. Era possibile, a tal riguardo,
definire un duplice livello di indagine: il primo, a livello di cultura esterna che
analizzava il modo in cui la cultura nazionale influenzava il comportamento degli
individui o ancora le pratiche manageriali e infine la propensione alla
collaborazione; il secondo, a livello di cultura interna analizzava i credi e i valori
che distinguevano i membri appartenenti ad un gruppo.
1.1.2 Lo studio della cultura delle organizzazioni
E‟ giudizio condiviso dai maggiori studiosi di management e di cultura che la
cultura di impresa deve essere interpretata come il risultato di un processo
interattivo tra l‟organizational culture e la National culture (Child, 1981;
Dorfman e Howell, 1988; Trompenaars, 1993). La cultura, di conseguenza,
rappresenta, allo stato attuale, una competenza distintiva dell‟impresa volta al
conseguimento di migliori risultati e di un vantaggio competitivo duraturo e
difendibile.
Nell‟ambito degli studi volti ad indagare sul concetto di cultura si inserisce il
contributo di Hofstede (1980a) che ha definito la cultura di un contesto come una
programmazione mentale collettiva (cosiddetto “melting pot”) ovvero come il
risultato dell‟educazione e degli insegnamenti ricevuti dai membri di una
comunità. L‟Autore enfatizza, in altri termini, il ruolo del sistema educativo nella
formazione della cultura: individui di razza, colore, lingua, ecc. diverse, ma
15
Fonte: citato in Berry W. John et al., (1994), Psicologia strasculturale: teorie, ricerche ed
applicazioni, Guerini Studio, Milano.
18
accumunati dagli stessi insegnamenti, possono presentare gli stessi credi, valori,
idee.
Schein (1985) qualifica la cultura come un insieme coerente di assunti
fondamentali che un gruppo ha sviluppato, imparando ad affrontare i suoi
problemi di adattamento esterno ed integrazione interna. In questo modo, la
cultura è analizzata sulla base sia delle espressioni visibili quali: tecnologie e
pratiche manageriali, sia delle motivazioni invisibili quali: credi e valori interni
all‟azienda, che spingono le organizzazioni ad assumere determinati assunti
(Calvelli, 1998).
Per Martin e Siehl (1986) la cultura dominante in un‟impresa esprime i valori
centrali condivisi dalla “maggioranza” dei membri di un gruppo; segue la
sottocultura, che per gli Autori, è formata dalla minoranza dei membri dello stesso
gruppo contraddistinti da valori diversi da quelli della cultura dominante; la
controcultura, che si caratterizza da credi e valori in contrapposizione con quelli
della cultura dominante e nasce, di solito, in seguito, ad un‟insoddisfazione
diffusa dei membri di un‟organizzazione e può avere conseguenze negative
sull‟impresa quantificate da un peggioramento, nel lungo periodo, delle
perfomance aziendali ( Van Maaren, Barley 1985)
16
.
Herriot (1989) ha definito la cultura come ciò che resta dopo che si è
dimenticato tutto; questo significa che la cultura è vista come un insieme di valori
e di idee che evolvono nel tempo (Bollinger e Hofstede, 1989). Per descrivere la
16
Fonte: citato in Calvelli (2008), Cross Cultural Management, Enzo Albano Editore, Napoli.