Capitolo 1. L’ETICA
Premessa
Prima di approfondire il concetto di etica d’impresa, è interessante notare che
l’origine del termine “etica” deriva dal greco “ēthos”, “carattere”,“modo di
essere”, e che Aristotele sostiene derivare da “êthos” traducibile con la parola
“habitus”, “costume”. Il termine éthos significa dunque il complesso dei modelli
di comportamento che, non scritti né precisamente formulati dalla tradizione,
sono però in qualche modo da tutti riconosciuti ed apprezzati e diventano in tal
senso i referenti obbligati per ogni apprezzamento che si produca nella vita
comune dei comportamenti propri ed altrui. L’êthos esprime un patrimonio
normativo tramandato che, di fatto,condiziona l’orientamento ed il
comportamento dell’uomo, ma l’êthos esprime anche qualcosa di incondizionato,
ovvero un’esigenza che domanda al singolo soggetto agente di agire in conformità
al proprio essere.
Oggi il termine “etica” lo si utilizza per indicare i principi che governano la
condotta di un individuo o di un gruppo: l’“etica personale” è concepita quindi
come l’insieme di regole che indirizzano il singolo individuo nel vivere la propria
vita personale; l’“etica professionale” è invece la “deontologia”, il codice che
guida gli atti della condotta di un professionista. L’etica è quindi «un aspetto con
cui gli esseri umani abitano nel mondo» e si domandano che vita vivere, che
condotta seguire o che tipo di persone essere, cercando sia una giustificazione,
cioè una risposta che dica loro cosa è giusto fare, sia una motivazione, cioè la reale
e concreta ragione o motivo ad agire. L’etica trova i suoi fondamenti
nell’esperienza, intesa come contatto dell’uomo con il mondo, con se stesso e con
gli altri uomini, contatto che avviene grazie alla cooperazione tra intelletto e sensi.
Cooperazione dalla quale scaturiscono i tre caratteri dell’etica filosofica: pratico,
speculativo e normativo. Pratico perché la moralità degli atti umani è dipendente
e fortemente legata all’agente, in quanto è reale ciò che è realizzato dall’uomo.
L’etica, quindi, non è solo oggetto di contemplazione, ma soprattutto di
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realizzazione. Speculativo perché ogni atto deve essere razionale e filosoficamente
fondato, presupponendo un’indagine conoscitiva sulla natura della morale, della
giustizia e della virtù ad un livello teorico e astratto. Normativa perché stabilisce
virtù e norme di valore assoluto ed incondizionato, il cui valore non dipende da
norme stabilite da nessun altra scienza pratica.
Per concludere, è importante specificare che, nonostante a volte vengano
usati come sinonimi, l’etica si differenzia dalla morale. Quest’ultima ha a che
vedere con il retto agire dell'uomo come tale: è comunemente intesa come un
insieme articolato di leggi affidato in gran parte alla coscienza e all’educazione.
Essa vale per tutti allo stesso modo. L'etica ha invece a che vedere con il retto
agire non secondo l'essere membro dell'umanità in generale, ma secondo la
funzione particolare che si è chiamati a svolgere nella società: può essere
considerata come l’interpretazione delle dinamiche umane che permette di
indicare i fondamenti di ciò che è giusto o sbagliato, di ciò che è bene o male. Ci
sono perciò tante etiche quante le posizioni e le professioni sociali. Per esempio,
c'è l'etica del magistrato, che rende giustizia «senza guardare in faccia nessuno»;
dell'avvocato, che difende il cliente senza sabotare la giustizia; dell'uomo d'affari,
che fa i propri interessi senza corrompere gli uomini politici; dell'uomo politico,
che cura gli interessi dei suoi concittadini senza farsi corrompere dagli uomini
d'affari. Appartenendo ad ambiti diversi, tra etica e morale sorgono continuamente
conflitti. L'insegnante che aiuta all'esame il ragazzo poco dotato per gli studi
agisce moralmente, ma forse non eticamente. L'imprenditore che, dovendo ridurre
i suoi occupati, licenzia a iniziare da quelli meno produttivi - donne e anziani, per
esempio - va contro il principio morale di difendere il più debole, ma forse
conforme all'etica dell'impresa. Come afferma Gustavo Zagrebelski, “l’etica può
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essere moralmente disgustosa; la morale, eticamente insostenibile”. L'etica
professionale è dunque l'impegno a onorare la vocazione che è insita nella
posizione che si occupa entro l'organizzazione della società. Questo punto è
capitale. Dimenticare questa specificazione, significa contraddire l'etica della
1
Articolo tratto da La Stampa-30 GENNAIO 2002
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propria professione. Il professore che usa la cattedra a fini politici; il giudice che
vuole moralizzare la società con le sue sentenze; l'uomo di chiesa che usa il suo
ascendente spirituale per affermarsi nel campo politico; l'uomo di governo che
specula sui sentimenti religiosi per fini di governo; ma anche l'uomo di affari che
usa la ricchezza per uscire dal suo posto e invadere quello della politica, sono tutti
esempi - magari dettati dalle migliori e più morali delle intenzioni - di mancanza
di etica professionale. L'etica è dunque “limite”: è riconoscimento dell'essere parti
di un tutto, verso cui si è obbligati a non eccedere.
1.1Evoluzione del rapporto tra etica ed economia
Il rapporto tra etica ed economia non è un problema nuovo ed esclusivo del nostro
tempo. Fin dalle sue origini tali problematiche sono state, in modo più o meno
accentuato, una costante del pensiero economico, ma attualmente appare che la
frequenza e l’intensità con cui si impongono all’attenzione degli studiosi stia
aumentando. Questo perché, l’approccio economico contemporaneo non è sempre
in grado di dare risposte e soluzioni plausibili alla molteplicità di problemi
caratteristici del nostro secolo. Mi riferisco a questioni relative all'ambiente, alla
sopravvivenza del nostro pianeta, messo a dura prova da un sistema di produzione
e di consumo inquinante e dissipativo; al futuro della specie umana che, in alcune
aree della terra, dipende dalla equa distribuzione dei benefici, derivanti dalla
rapida crescita economica, cui è legata la possibilità di sopravvivenza del
cosiddetto terzo mondo; mi riferisco inoltre alla necessità di ridefinire i
fondamenti su cui si basa la legittimazione di funzioni assai importanti per la
riproduzione delle società moderne, quali quelle imprenditoriali e manageriali, il
ruolo dell'impresa e del profitto.
Il progresso tecnologico nel campo dell'elettronica, la globalizzazione e
l'evoluzione dei rapporti tra produzione e consumo - influenzandosi
reciprocamente - hanno determinato una profonda e rapida rivoluzione nei sistemi
economici e nei comportamenti delle organizzazioni produttive che in essi
operano. Il cambiamento è stato radicale; pur nella complessità che esso ha
generato, possono essere individuate alcune grandi e significative direttrici
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tematiche che assumono rilievo ai fini del discorso sull'etica e che danno prova
del fatto che l’economia, senza l’etica non può sopravvivere.
La prima direttrice tematica è sicuramente quella che si riferisce al tema della
trasparenza, che tende a diventare una condizione essenziale di accesso e
permanenza nei mercati, soprattutto finanziari, dove le risorse sempre di più
navigano nella direzione delle imprese con maggiori performance; ma che viene
anche imposto dalle Authorities, come esigenza di controllo e di salvaguardia di
alcuni interessi generali (risparmio, assicurazione).
Il tema immanente della qualità, nel cui ambito si devono annoverare non
solamente le esigenze di qualità (in senso stretto) della produzione finale, volta
alla soddisfazione delle specifiche attese del cliente, ma altresì:
• le esigenze di qualità (in senso più ampio) all'interno delle differenti fasi del
processo produttivo, nella filosofia del Total Quality Management;
• la tendenza a seguire logiche di produzione pulita, compatibili con la
salvaguardia ambientale;
•la tendenza delle produzioni ad assumere sempre di più la configurazione di
servizi ad alto valore, in sostituzione o integrazione dei beni, e a coinvolgere nella
creazione del prodotto/servizio i lavoratori e i clienti, in una logica di
integrazione, che trasformi un'economia basata sugli scambi in un’economia
basata sulla collaborazione sistematica (cooperazione) tra differenti soggetti nella
catena di creazione del valore.
II tema della cooperazione apre la strada alle differenti forme di collegamento,
collaborazione, alleanza tra organizzazioni produttive di ogni natura giuridica e
dimensione, che, prima, vivevano autonomamente la loro esperienza produttiva,
mentre oggi sono costrette a ricercare adeguati livelli di conoscenza partecipando
a più ampi sistemi, dai quali traggono parte non trascurabile delle risorse materiali
ed immateriali necessarie a realizzare la combinazione produttiva e a sostenere
l'innovazione, per competere con successo e possibilità di sopravvivenza nel
mercato globale. Il tema della cooperazione, inoltre, abbraccia le dinamiche
organizzative interne, trasformando lentamente rapporti basati sulle forme della
gerarchia (regole e rigidità) in rapporti, assai più flessibili, basati sulla
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partecipazione e sulla responsabilizzazione, richieste da forme più spinte di
decentramento anche strategico.
Appare evidente come la tendenza alla correttezza e alla trasparenza, così
come l'imperativo della qualità delle produzioni e la responsabilizzazione sulla
salvaguardia ambientale siano condizioni oggi necessarie per competere e
racchiudano in sé non trascurabili contenuti etici e valenze sociali.
Alla luce di tutto ciò, si deduce come sia in atto “un inversione di
rotta”volta a riconciliare il problematico rapporto tra l’etica e l’economia, così
come era nella tradizione aristotelica. L’origine etica dell’economia, infatti, risale
ad Aristotele, che nell’Etica Nicomachea collega la materia dell’economia ai fini
umani, riferendosi all’interesse di questa scienza per la ricchezza, che è rivolta al
raggiungimento del “bene umano”. Egli ritiene desiderabile lo studio
dell’economia comerivolto al perseguimento di tale ricchezza poiché legata a un
livello più profondo; rifiuta al contrario la vita dedita al semplice commercio,
2
poiché la ritiene contro naturae perché tale ricchezza non è il bene da ricercare
essendo rivolta solo al guadagno. Il bene da ricercare è infatti il bene umano
«desiderabile anche quando si riferisce a una sola persona, ma più bello e divino
se riguarda un popolo intero e le città» (Aristotele, 1094b 9-10). L’apice della
visione etica dell’economia avviene nel Medioevo con il pensiero scolastico, che
approfondisce e diffonde il contenuto sociale del messaggio evangelico, secondo
cui il fine ultimo dell’uomo è la salvezza dell’anima e che, in relazione a questo
fine, le ricchezze costituiscono più un rischio che un aiuto. Successivamente però,
in un clima di rivoluzione culturale - dovuto anche alla rivoluzione scientifica
iniziata con Copernico – inizia a venir meno la visione etica dell’agire economico
e si afferma nella società una condizione di perdita del senso autentico della
società e dell’uomo, il quale si abbandona alla ricerca di un interesse egoistico.
L’autonomia dell’etica dall’economia, nasce, in primo luogo, da due credenza
2
L’economia ha avuto due origini diverse, interessate rispettivamente all’”etica” da una parte, e a
quella che potrebbe essere chiamata l’”ingegneria” dall’altra. La tradizione legata all’etica risale
appunto alle’Etica Nicomachea di Aristotele e si occupa dei fini ultimi dell’uomo. L’approccio
“ingegneristico” è invece caratterizzato dall’interesse per temi prevalentemente logistici più che
per i fini ultimi; l’oggetto dell’economia consiste quindi nel trovare i mezzi adeguati per
raggiungere i fini che sono considerati dati (Sen 1988, pp. 9-11)
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complementari accettate come assiomi indiscutibili dai fondatori della scienza
economica e poi tramandate quasi per inerzia ai suoi successori.
Il primo di questi assiomi riguarda la motivazione che ispira l'azione e le
scelte degli individui: questi, secondo gli economisti, opererebbero in campo
economico, mossi esclusivamente dall'intento di massimizzare il loro vantaggio
personale, con il minimo impiego di mezzi e il minimo costo in termini di
penosità. Sebbene quest’idea sia già presente in A. Smith, essa verrà sempre più
esplicitamente formulata e difesa man mano che la scienza economica si
svilupperà, fino a trovare, con alcuni marginalisti, un espressione assiomatica nel
cosiddetto “principio dell’ homo oeconomicus”. Con i marginalisti si ha la
completa emancipazione della scienza economica la quale aderisce senza riserve
all'utilitarismo e non esita a riconoscersi debitrice nei confronti di J.Bentham, il
quale individua il movente dell'agire umano nell'utilità, intesa in senso
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edonistico. Con Jevons l'economia sarà definita come "una meccanica dell'utilità
e dell'interesse particolare". La tendenza non cambia con il passaggio dallo statuto
cardinalista a quello ordinalista, in cui il concetto di utilità sarà sostituito da quello
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di preferenza e dunque dalle scelte individuali.Con il secondo assioma
l'economia politica fornisce una giustificazione sociale al self-interest dell'homo
oeconomicus. Tale egoismo non viene infatti considerato solo un dato di fatto, ma
è ritenuto anche un comportamento socialmente utile, anzi il più socialmente utile
che si possa pensare. Ciò appare chiaro se si pensa alla provvidenziale "mano
invisibile" di Smith, che guida il naturale egoismo dei singoli, al di là di ogni loro
consapevole intenzione, a realizzare il maggior bene possibile per la società. Ciò
verrà ribadito con forza nel principio dell'ottimo paretiano, il quale essendo, a
3
Qualsiasi motivazione umana, secondo Bentham, può essere ricondotta a un solo principio: il
desiderio di massimizzare l’utilità. “Con principio di utilità si indica quel principio che approva o
disapprova ogni azione, in relazione alla capacità che essa mostra di avere di far aumentare o
diminuire la felicità della parte il cui interesse è in questione. (…) Con utilità si indica la capacità
di un oggetto di produrre beneficio, vantaggio, piacere, bene, felicità (…) o a prevenire che
accadano cattiverie, pena, male, o infelicità, sia della comunità in generale che di un individuo.
(Bentham 1789,1982)
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Per Bentham, così come per i primi marginalisti, l’utilità veniva trattata alla stregua di una
quantità osservabile e misurabile quantitativamente essendo identificata come la proprietà degli
oggetti di generare felicità e benessere fisico. L’utilità ordinale invece non è più una grandezza
psichica, misurabile cardinalmente, ma un indice ordinale delle preferenze del consumatore
rispetto ai diversi panieri di beni.
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detta dei suoi sostenitori, moralmente incontrovertibile e dunque neutrale, libera il
discorso economico dall'imbarazzante questione del suo rapporto con il discorso
etico. Il risultato di tutto ciò sarà l'esclusione di ogni vera preoccupazione etica
dalla teoria e, di conseguenza, dalla prassi economica.
L'evolversi del rapporto fra scienza economica ed etica non viene però
determinato solo da questi fattori: un ulteriore passo sulla strada della separazione
tra queste due discipline ci pare essere costituito dalla distinzione metodologica
tra esigenze pratiche e quelle teoriche, vale a dire tra economia applicata o
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normativaed economia pura. Il problema dei rapporti tra economia positiva ed
economia normativa, tra ricerca ed applicazione dei risultati della ricerca ha
costituito oggetto di studio di un filone di pensiero iniziato già nei primi decenni
del XIX secolo con W. N. Senior, per proseguire poi nella seconda metà del
secolo con J. E. Cairnes e J. N. Keyenes. Esso è presente anche nei contributi
degli economisti della scuola neoclassica i quali, pur essendo fervidi sostenitori
dell'"economia pura", affermano una compresenza di economia positiva e
normativa, che permette di risolvere in modo macchinoso il rapporto tra etica ed
economia, essendo l'economia positiva intesa, alla stregua della fisica, come
scienza teoretica e neutrale che si limita ad osservare e descrivere le dinamiche e
le regolarità che contraddistinguono l'agire umano e lasciando all'economia
normativa il compito di consigliare e prescrivere.
La garanzia di scientificità delle scienze sociali, cui l'economia appartiene,
verrà sancita in maniera definitiva solo con la celebre tesi dell'avalutatività di M.
Weber, la quale fondandosi sulla distinzione tra "fatto" e "valore", fra “ciò che è"
e "ciò che deve essere" sembra trovare una corrispondenza anche a livello
6
filosofico nella cosiddetta "legge di Hume".
5
L’etica normativa si impegna a fornire del criteri normativi per giudicare se un’azione è giusta o
sbagliata, se un certo atteggiamento è appropriato.
6
Il principio dell'avalutatività afferma che vi è una "differenza insormontabile" tra le proposizioni
descrittive e quelle valutative, tra le argomentazioni che mirano a ordinare concettualmente la
realtà e quelle che mirano a valutarla; mentre le prime hanno il carattere dell'oggettività, poiché
pretendono di valere universalmente per ogni individuo dotato di ragione, le seconde sono
puramente soggettive, valgono solo per chi le esprime e per chi, soggettivamente, si trova
d'accordo con lui, non possono pretendere di avere una validità intersoggettiva di diritto. Weber
non nega l'importanza della valutazione, dice soltanto ch'essa, essendo una presa di posizione
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L'idea di uomo che persegue solo il proprio self-interest e il prevalere
dell'economia positiva su quella normativa, promosso dall'affermarsi in campo
economico e filosofico dei contributi sopra citati, sanciranno la definitiva
neutralità della scienza economica rispetto all'etica.
Dalla precedente analisi, quindi, possiamo rilevare come la neutralità
della scienza economica si basi fondamentalmente su tre assunti:
in primo luogo, essa si fonda su di un'immagine assai riduttiva di uomo,
vale a dire l"homo oeconomicus";
in secondo luogo, il solo strumento cui la scienza economica fa riferimento
per garantire all'uomo la realizzazione del proprio interesse appropriativo e per
assicurare l'armonia degli interessi è il mercato concorrenziale;
in terzo luogo, tale ipotesi presuppone un concetto di razionalità
economica intesa come razionalità tecnico-strumentale: l'economia,
adottando un metodo proprio della fisica, può descrivere e prevedere i fatti, può
indicare i mezzi più idonei per raggiungere determinati scopi, ma non può in alcun
modo indicare e valutare i fini che l'uomo deve perseguire. In altri termini,
l'economia deve essere scienza positiva, non normativa.
Oggi tuttavia la complessità delle relazioni fra gli agenti economici mette
in discussione tali presupposti.
Il primo a dover essere ridiscusso è senza alcun dubbio il postulato
dell'homo oeconomicus. L'uomo teso a perseguire solo il proprio vantaggio è
caratterizzato da un individualismo esasperato e dal desiderio insaziabile di merci.
Una tale immagine di individuo non considera i sentimenti umani riguardanti ciò
che accade agli altri e la propria posizione all'interno della società; egli astrae
inoltre da ogni istanza di giustizia, di solidarietà e dai giudizi di valore. Ma, come
pratica, esce fuori dal compito descrittivo della scienza. Egli non ha mai cercato di trovare una
legittimazione alle azioni etico-politiche, ma si è limitato a chiarire in che misura è possibile
verificare se certe asserzioni scientifiche sono vere o false, se cioè esistono dei presupposti
verificabili.
La corrispondenza perciò con la legge di Hume sta nel fatto che anche secondo quest’ultima non è
possibile passare da descrizioni di stati di cose, quali possono essere offerte dalla scienza o dalla
filosofia, a prescrizioni di comportamento, quali sono invece richieste dall’etica.
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ha acutamente osservato A. Sen, "il tipo freddamente razionale può predominare
nei nostri libri di testo, ma il mondo reale è ben più ricco" (Sen 1988, p. 18).
Fondandosi quasi esclusivamente sul modello individualistico ed egoistico
dell'homo oeconomicus, la scienza economica si è così preclusa ogni possibilità di
spiegare comportamenti economici caratterizzati da relazioni di interdipendenza,
quali ad esempio i valori comuni, e quelli contrassegnati da motivazioni non
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economiche, quali i valori-dono. Valori comuni come la fiducia, la lealtà, la
solidarietà realizzano il loro valore solo all'interno delle relazioni sociali, in
quanto parte del loro essere bene risiede proprio nella circostanza di essere
posseduti in comune; i valori-dono hanno invece valore in quanto segno d'affetto,
di ammirazione, di rispetto e, di conseguenza, perdono tale caratteristica quando
vengono offerti per ragioni di mero interesse personale (Zamagni 1994, p. 394).
L'astrazione dalla complessa realtà della persona umana e soprattutto dalla
complessa realtà dei legami comunitari ha impedito, ed in parte impedisce tuttora,
agli economisti di percepire i “guasti sociali” prodotti dal mercato.
Il fenomeno del sottosviluppo e del ruolo che il mercato internazionale,
guidato soltanto dal principio della massimizzazione del profitto e privo di ogni
intento solidaristico, gioca nel perpetuare e perfino nell'ampliare il divario fra
paesi ricchi e paesi poveri, abbia definitivamente relegato l'idea delle naturali
armonie economiche ai margini del sapere economico e riproponga con urgenza il
problema dei rapporti tra economia ed etica.
In definitiva, pur riconoscendo la valenza strumentale del mercato e la
netta superiorità dell'economia di mercato rispetto all'economia pianificata,
sembra di poter condividere l'idea che esso non sia un'istituzione naturale - ne
sono un esempio le difficoltà incontrate in questi anni dai paesi del socialismo
reale, convinti che bastasse togliere il coperchio del sistema burocratico di
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La teoria economica, fondandosi sull'ipotesi che gli individui siano degli "egoisti razionali",
rende oltremodo difficile spiegare il fenomeno dell'offerta volontaria dei beni pubblici, la quale si
manifesta in misura sempre maggiore rispetto a quanto sarebbe dettato da uno stretto calcolo
d'interesse. Un esempio di tale tendenza è il continuo ampliaRsi nei paesi sviluppati del ruolo del
cosiddetto "terzo settore", vale a dire del volontariato, delle associazioni non-profit, delle
organizzazioni culturali, filantropiche, ambientali e simili (Bordignon 1994).
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governo per far decollare l'economia di mercato- ; esso è un'istituzione sociale
che può manifestare la propria influenza positiva sullo sviluppo solo se istituito e
protetto da una società civile che persegua il bene comune e il pieno sviluppo
dell'uomo. Ebbene, essendo il mercato in grado di percepire solo alcuni valori,
spetta alla società civile – e, in azienda, all’imprenditore - stabilire i confini delle
relazioni mercantili ed indicare i fini e i valori ultimi che esso deve perseguire.
E' inoltre ormai noto, in seguito ai risultati cui ha condotto il teorema
fondamentale dell'economia del benessere, che il mercato, mentre è in grado di
garantire un'allocazione Pareto-efficiente, non può assicurare che essa sia anche
equa (trade-off giustizia-efficienza). In tempi recenti, difficoltà di varia natura -
esternalità, asimmetrie informative, ecc. - connesse al corretto funzionamento del
mercato hanno però notevolmente attenuato la stessa certezza nella capacità di
quest'ultimo di perseguire l'efficienza. Da più parti (A. Sen, S. Zamagni) viene
ormai sottolineato che nelle società complesse, ove, essendo presenti massicci
fenomeni di interazione o interdipendenza sociale, si assiste sempre più al
dilatamento del conflitto tra azione individuale e soddisfacimento delle preferenze
individuali, mercato e interesse personale, abbandonati ai loro meccanismi, non
garantiscono più risultati desiderabili ed efficienti.
Se l'economia vuole uscire dal punto di stallo in cui si trova dovrebbe
abbandonare l'approccio tradizionale che, ispirandosi al modello della fisica
cartesiano-newtoniana, vede il sistema economico come un ipotetico sistema
meccanico, in cui lo stato dell'intero può essere dedotto dal comportamento
misurabile delle sue parti, per dirigersi verso un nuovo paradigma scientifico che
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può essere definito sistemico. Mentre il vecchio paradigma cartesiano o
newtoniano è rappresentato dalla metafora della macchina, tanto da essere
definito paradigma meccanicistico, il nuovo paradigma è rappresentato dalla
metafora dell'organismo o dal sistema vivente (paradigma organismico), in
relazione al quale l’economia, e dunque anche l’impresa, viene vista come un
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La caratteristica fondamentale dell'approccio sistemico consiste nel considerare gli oggetti
studiati come sistemi, vale a dire come un insieme di elementi interconnessi che rappresentano un
unico intero.
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processo nel quale gli elementi determinanti non sono equilibrio ed armonia,
bensì mutamento e dinamica.
Dalla ridiscussione dei "tre postulati", che sono alla base della neutralità
della scienza economica, sembra emergere la necessità di ripensare il rapporto tra
l'economia e l'etica, o meglio di reinserire una dimensione etica nell'economia.
Nelle parole del premio Nobel per l'economia, Amartya Sen, si ritrova
l'importanza sociale ed economica del coniugare l'etica e l'economia, rendendole
una parte dell'altra e indispensabile all'altra:
“La ricchezza della vita umana dipende dalle opportunità economiche,
dalle capacità sociali, dalle libertà politiche e queste, sommandosi, risultano
nella libertà. E in un senso fondamentale, direi che si rafforzano reciprocamente.
Se ce ne sono alcune e non altre, tutte sono vulnerabili, in un certo senso. Ma se
procedono di pari passo, non hanno questa debolezza.
Credo che il legame tra economia ed etica vada nei due sensi. L'etica è
molto importante per l'economia per due diversi motivi.
Il primo è che molta economia riguarda provvedimenti che vanno presi,
esaminati e valutati. E non è possibile fare una valutazione se non si hanno
valori, quindi c'è bisogno di un'etica per decidere se le cose vanno meglio o se
vanno peggio, se tal provvedimento sarebbe un bene o se talaltro sarebbe un
male. Per questo, ci vuole un'etica.
Il secondo motivo per cui l'etica è importantissima in economia è che il
comportamento umano dipende da valori etici. Non è vero che non ci badiamo.
Abbiamo tutti una quantità di valori etici diversi. A volte sono valori molto forti ,
a volte sono addirittura universali. A volte, invece, sono localizzati e forse legati a
una comunità o a un particolare gruppo: il comportamento morale
dell’imprenditore è più solidale con gli imprenditori che con i lavoratori e quello
dei sindacati è meno solidale con gli imprenditori. Qualunque essa sia,
qualunque forma assuma, l'etica influisce parecchio sul comportamento delle
persone. E perfino nell'economia non prescrittiva, non in quella che si occupa dei
provvedimenti da decidere e della loro valutazione, ma nell'economia descrittiva
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