Introduzione
A fronte di numerosi studi sul processo di
internazionalizzazione dei brand della moda e sul
country-of-origin effect, la letteratura è meno ampia sul
tema dell’aspettativa che si crea tra i consumatori
precedentemente all’introduzione, nel proprio paese, di
un brand di successo internazionale.
L’utilizzo delle nuove tecnologie, di internet, della tv
digitale ha permesso la diffusione delle informazioni e,
presumibilmente, la globalizzazione e uniformazione dei
gusti e delle aspettative dei consumatori.
Il ruolo del passaparola, quale tentativo di superare le
informazioni procurate dalla pubblicità tradizionale,
l’utilizzo di testimonial globalmente famosi, la maggior
possibilità di viaggiare in termini di frequenza e di
distanza sono i catalizzatori di questo fenomeno.
Non sorprenda quindi che i consumatori conoscano le
marche d’abbigliamento straniere ancor prima che i
prodotti vengano esportati nel loro paese e che
attendano impazienti per mesi l’apertura nella propria
città dei flagship store delle marche preferite.
Questa circostanza si è rivelata particolarmente vera per i
fashion brand americani, a partire da Nike, Levi’s, Gap e
Polo, di cui tutti conosciamo il successo; a finire con
Abercrombie e Fitch, Juicy couture e non ultimo Victoria’s
Secret.
Le spiegazioni del fenomeno potrebbero
ragionevolmente risiedere nell’attrattività del paese di
origine del brand (country-of-origin effect), nell’effetto di
2
desiderabilità provocato dalla scarcity o nella fashion
leadership di alcuni giovani che porta a desiderare
prodotti stranieri e a diffondere questa moda tra i
coetanei.
Indagare le differenze nelle percezioni dei consumatori in
termini di appealing, attitude, interest, posizionamento e
intenzione d’acquisto di un brand nel paese di origine
prima e in un paese straniero poi, risulta quindi il punto di
partenza fondamentale.
Mentre è stato ampiamente riconosciuto l’impatto
rilevante che l’immagine del paese d’origine possiede
sulle valutazioni effettuate da un consumatore su un
brand o prodotto straniero (umbrella effect), quello che
qui si vuole indagare è se e in che misura la country
image possa condizionare l’appealing di un brand
americano nella fase che ne precede l’introduzione in un
determinato paese.
In tale fase, infatti, i potenziali consumatori non sono
ancora entrati in familiarità con il brand e i suoi prodotti;
pertanto si affidano a deduzioni per giudicarlo,
proiettando l’immagine generale del paese d’origine sulla
specifica categoria di prodotto (halo effect).
L’ipotesi che la presente ricerca vuole avvalorare, quindi,
è che esista una significativa differenza tra l’appealing di
un brand nel suo paese d’origine, rispetto ad un paese in
cui non siano ancora stati commercializzati i suoi prodotti
ed effettuate comunicazioni pubblicitarie e che il country-
of-origin effect influenzi significativamente tale differenza.
Al fine di verificare la suddetta ipotesi, per la presente
tesi, si è scelto di focalizzare l’attenzione sul caso
aziendale del brand americano di biancheria intima
3
Victoria’s Secret, poichè non possiede punti vendita al di
fuori degli Stati Uniti ma, allo stesso tempo, risulta godere
di una discreta notorietà tra le ragazze italiane.
A causa dell’originalità del tema, questa tesi sperimentale
affronta la questione sia sotto il profilo teorico che sotto il
profilo pratico.
La Parte Prima (Contenuti teorici), dunque, ha compreso
una fase esplorativa di raccolta di dati secondari su
pubblicazioni e riviste internazionali dedicata al brand,
all’internazionalizzazione dei brand della moda e al
country-of-origin effect.
Tale fase è stata svolta in parte a Roma, dove si è
consultato il database dell’Università degli studi Roma
Tre (EBSCO) e prevalentemente a Londra, dove è stato
possibile consultare le risorse elettroniche della
Greenwich University che comprendevano numerosi
database (tra cui Emerald e Brad) e molti articoli
accademici, compresi quelli provenienti da: Journal of
consumer marketing, Asia Pacific journal of marketing
and logistics, International journal of market research,
Journal of fashion marketing and management,
European journal of marketing, Journal of Advertising,
Journal of product and brand management, International
marketing review.
Questa prima parte ha permesso di contestualizzare
meglio il fenomeno e si è rivelata fondamentale per la
redazione delle ipotesi di ricerca.
La Parte Seconda (Ricerca empirica) è dedicata alle
ricerche empiriche effettuate e all’analisi dei risultati
ottenuti.
4
Un’indagine qualitativa è stata svolta a Roma ed è
consistita in interviste in profondità su 8 ragazze italiane.
Da tale indagine è scaturita una catena mezzi-fini (o
grafico a lisca di pesce) che ha permesso di ipotizzare le
possibili relazioni e dipendenze tra variabili.
Questa fase è risultata necessaria ad indirizzare la
costruzione del questionario, utilizzato per la raccolta dei
dati quantitativi.
Per quanto riguarda l’indagine quantitativa, è stato
opportuno effettuare una cross-cultural comparison tra
Italia e Stati Uniti.
Pertanto, grazie ad un finanziamento offerto dall’ufficio
delle relazioni internazionali di Roma Tre, è stato svolto
un sondaggio prima a Roma e poi a New York, attraverso
l’utilizzo di un questionario speculare (uno in italiano e
l’altro in inglese) che ha coinvolto un campione di 420
giovani donne, in modo da rilevare dati quantitativi utili al
confronto.
Infine, l’ultimo paragrafo di questa seconda parte è
dedicato all’analisi dei dati e alla rassegna dei risultati
ottenuti, al fine di accertare la validità delle ipotesi
proposte.
5
Parte prima: contenuti teorici
6
Il ruolo strategico del brand
“A brand has an existence separate from an
actual product or service: it has a life of its own”
Randall (1997)
Sommario:
1.1 Il Brand come asset strategico,1.2 Brand identity, 1.3
Brand awareness, 1.4 Brand image, 1.5 Brand reputation e
loyalty, 1.6 Il brand come leva di posizionamento, 1.7
Branding, 1.8 Brand equity, 1.9 Benefici apportati dalla marca
all’ impresa, 1.10 Valore della marca per i consumatori.
7
1.1
IL BRAND COME ASSET STRATEGICO
Secondo la definizione dell’American Marketing
Association, “La marca è un nome, un termine, un segno,
un simbolo o qualunque altra caratteristica che ha lo
scopo di far identificare i beni o i servizi di un venditore e
distinguerli da quelli degli altri venditori”.
Per lungo tempo la marca è servita esclusivamente a
permettere l’identificazione di un prodotto con il suo
produttore; in questi termini la marca rischia di essere
confusa con il termine marchio o trademark, inteso quale
rappresentazione del nome o del simbolo (logo) che
l’impresa è in grado di far valere e tutelare
giuridicamente.
La funzione segnaletica della marca riveste notevole
importanza nell’ economia d’impresa. Tale carattere
costituisce infatti l’elemento informativo elementare per il
processo di scelta del consumatore e soprattutto pone le
premesse per difendere prodotti e produttori da offerte
simili realizzate da concorrenti, esprimendo quindi
l’elemento chiave per la tutela di un particolare prodotto
da eventuali contraffazioni.
In condizioni di limitata intensità competitiva, la funzione
della marca può essere contenuta nella dimensione
segnaletica, mentre all’intensificarsi della pressione
concorrenziale, la marca tende però ad assumere
funzioni più complesse1.
Solo a partire dagli anni ’20 il brand ha iniziato ad essere
utilizzato come strumento di marketing .
In antitesi alla visione della “marca-oggetto” si è levata,
insieme ad altre, l’autorevole voce del famoso
pubblicitario Jaques Sèguèla che ha proposto la
1
Brondoni (2002)
8
metafora della “marca-persona”: il brand non dovrebbe
essere inteso come il nome o cognome del prodotto, ma
come l’anima dello stesso2.
In questa accezione, la marca è un organismo vivente,
fusione di tre elementi: il fisico, il carattere e lo stile.3
Oggi è opinione consolidata che la marca rappresenti
una delle più importanti risorse immateriali dell’impresa,
in quanto permette di creare preferenza da parte dei
consumatori e costituisce l’unica risorsa non imitabile dai
concorrenti4.
Fonte di vantaggio competitivo per l’impresa e al
contempo fonte di valore per il consumatore, il brand è
portatore di un potenziale economico, fiduciario e di
immagine; ciò fa si che le decisioni sulla sua creazione,
sviluppo e gestione, rivestano sempre di più una portata
strategica. 5
La marca sintetizza la notorietà e l’immagine che
un’offerta è stata in grado di affermare presso un
determinato pubblico di riferimento e quindi, oltre ad
identificare un prodotto, garantisce una promessa e
definisce un sistema di responsabilità nei confronti di un
pubblico di riferimento6.
Un brand deve il suo successo ai due percorsi distinti di
sublimazione e resilienza: rispettivamente l’aggiunta di
elementi intangibili che aumentano il valore del brand e la
manutenzione ed il consolidamento nel tempo dei risultati
raggiunti.
2
Jaques Sèguèla (1982)
3
Pastore, Vernuccio (2008)
4
Si veda a riguardo Ambler T. (1995)
5
Pratesi, Mattia, 2006
6
Brondoni (2002)
9
La struttura della marca si articola in tre componenti
fondamentali7:
- la componente identificativa, è l’aspetto messo in rilievo
dall’American Marketing Association, costituito
dall’insieme dei segni (nome, logo ecc.) e dei valori
sottostanti, che sono chiamati anzitutto a svolgere un
ruolo di identificazione e distinzione della specifica
offerta rispetto alla concorrenza (ruolo informativo).
Fulcro della componente identificativa è
rappresentato dalla brand identity, alla quale è
connessa la valutazione della brand awareness.
- la componente valutativa, è data dalla brand image, che
attiene ai significati, vale a dire alle associazioni
mentali, alle utilità (funzionali e simbolico-emozionali)
che il consumatore annette alla marca. Si tratta
quindi, di una sintesi di percezioni in grado di svolgere
un ruolo di tipo soprattutto comunicativo verso il
cliente, il quale attraverso l’acquisto e il consumo del
brand esprime se stesso.
- la componente fiduciaria, riguarda la relazione, la
fiducia e la reputazione (brand reputation) che si
formano nel lungo periodo, vale a dire il meta-
significato del brand, che, avendo garantito la
soddisfazione delle attese nel tempo, consolida nella
mente del consumatore un positivo giudizio in termini
di credibilità e affidabilità (brand trust).
In linea generale una reputazione positiva svolge un
importante ruolo relazionale e di garanzia circa un
dato livello di performance e di qualità, riducendo il
rischio percepito.
7
Pastore, Vernuccio (2008)
10
Accogliendo la metafora della “marca-persona”, il brand
può essere osservato in un’ottica dinamica; difatti, la sua
vitalità emerge nelle interazioni tra le componenti
identificativa, valutativa e fiduciaria, delle quali appaiono
difficilmente intellegibili i confini, in quanto sono legate in
un tutto inscindibile.
1.2
BRAND IDENTITY
L’ elaborazione della brand identity da parte dell’ impresa
è il primo passo della strategia di creazione del brand,
poiché attraverso l’identità l’impresa cerca di esprimere la
propria individualità e unicità nei confronti di tutti i pubblici
rilevanti.
La brand identity può essere considerata come “l’insieme
di elementi espressivi utilizzati dall’ azienda per veicolare
le credenziali di una marca”8.
In realtà la parte visibile di un brand (anche detta visual
identity) è solo una componente dell’ identità del brand.
Esistono comunque unità espressive che, in virtù della
loro stabilità nel tempo, possono essere definite identity
elements9.
Queste sono:
- il nome della marca,
- il design distintivo,
- i simboli,
- i caratteri tipografici (lettering),
8
Van Gelder S. (2003)
9
Si consulti in proposito:Aaker 1991, Keller 1993 e Keller, Heckler,
Houston 1998.
11
- lo slogan,
- il jingle.
Aaker e Joaschimsthaler (2000) vedono l’identità di
marca come un insieme di connotazioni in cui
implicitamente è insita una promessa ai clienti da parte di
tutti i componenti dell’ organizzazione.
Gli autori propongono inoltre un vero e proprio modello di
pianificazione della brand identity, che comprende:
1) Le dimensioni dell’ identità di marca.
- Brand essence, è la promessa di fondo, ovvero “il
mantra del brand”.10
- Core identity, costituita da un insieme di valori che
completano la promessa di fondo e dovrebbero
riflettere la mission e la strategia di mercato
dell’impresa.
- Extended identity, comprende attributi della marca
che ne specificano meglio il significato.
2) I concetti connessi all’identità di marca.
- marca come prodotto (gamma, attributi, rapporto
qualità/ valore, esperienze d’ uso, utilizzatori, Paese
d’ origine).
- marca come organizzazione (connotazioni
istituzionali, nature globale o locale).
- marca come persona (personalità della marca,
relazione tra cliente e marca).
- marca come simbolo (metafora o iconografia della
marca, eredità della marca).
10
Keller (1999)
12
3) La Proposta di valore, ovvero la promessa della marca
riguardo a specifici benefici funzionali, esperienziali o
simbolici.
4) Il Relationship construct, ossia il tipo di rapporto che si
intende attivare tra marca e cliente.
L’identità di marca pertanto è un sistema complesso,
riferibile a più categorie logiche, che si articola su più
livelli, contiene un impegno verso gli stakeholder ed è la
premessa per la costruzione di un particolare tipo di
relazione con il consumatore.
Altri autori11 hanno enfatizzato le componenti costitutive
della brand identity, come ad esempio la vision, la cultura
e la personalità.
Con un approccio di sintesi dei contributi teorici proposti
si ritiene di poter ricondurre l’ identità di marca alle
seguenti componenti principali12:
-cultura,
- valori,
- mission,
- personalità,
- visual identity,
- essenza.
11
Harris, de Chernatony,2001
12
Pratesi, Mattia, 2006
13
1.3
BRAND AWARENESS
La notorietà di un brand (brand awareness) può essere
definita come “l’abilità di un consumatore nel riconoscere
o ricordare una marca nell’ ambito di una certa categoria
di prodotti”13.
La brand awareness è spesso data per scontata ma, in
realtà, può costituire un aspetto strategico. In alcune
industrie dove c’è product parity , la notorietà accorda
una superiorità competitiva sostenibile nel tempo.
Prima di tutto la notorietà attribuisce al brand un senso di
familiarità e, specialmente per i prodotti a basso
coinvolgimento, la familiarità può a volte spingere le
decisioni di acquisto.
Secondo, la conoscenza della marca può essere un
segnale di presenza e coinvolgimento, attributi che
possono essere molto importanti anche per i clienti
industriali; la logica è che se un nome è riconosciuto, ci
deve essere una ragione.
Terzo, il passaggio iniziale per selezionare un’agenzia di
pubblicità, una macchina per un test drive, o un computer
è quello di decidere quali marche prendere in
considerazione14.
La brand awareness è un asset che può essere
fortemente duraturo e quindi sostenibile. È davvero
difficile distruggere un brand che ha ottenuto un livello di
notorietà dominante.
13
Aaker D.A. (1991).
14
Aaker (1992)
14
Recenti ricerche di marketing15 mostrano che la notorietà
del brand non è una misura meramente cognitiva: è
infatti correlata con molte dimensioni dell’ immagine.
L’awareness porta con se un messaggio rassicurante e
nonostante sia misurata a livello individuale, la brand
awareness è un fenomeno collettivo: quando un brand è
conosciuto, ogni individuo sa che è conosciuto. Questo
porta ad inferenze spontanee.
In particolare, la notorietà di marca può essere valutata
mediante:
1. analisi di forza competitiva, condotte sulla base di
raffronti diretti di marca in termini differenziali di:
-share of voice ( cioè la quota di spesa pubblicitaria di
marca riferita a definiti tempi),
-share of mind (ossia il livello di conoscenza generica
di certe marche),
-quota di mercato (ovvero l’analisi di vulnerabilità della
struttura competitiva).
2. indicatori sintetici del grado di ricordo (aiutato e
spontaneo) di norma desunti mediante indagini
dirette.
La notorietà di un brand, quindi, risulta dalle sue due
componenti: il riconoscimento e il ricordo; pertanto a
seconda del livello di notorietà si possono identificare
quattro categorie di marche:
- marche sconosciute,
- marche riconosciute,
- marche ricordate,
- marche top of mind.
15
The new strategic brand management: creating and sustaining brand
equity di Jean Noel Kapferer (2004)