1. Cos'è la cronobiologia L'etimologia del termine cronobiologia è da ricercarsi nei termini di origine
greca chronos che significa tempo e biologia , ovvero la scienza che studia i
fenomeni della vita e le leggi che li governano. La parola composta assume
quindi il significato di scienza che studia i tempi dei fenomeni della vita e delle
loro oscillazioni cicliche. Scrive infatti Natale (1995): “Secondo la prospettiva
cronobiologica e cronopsicologica i ritmi delle funzioni biologiche e
comportamentali sarebbero generati e guidati da oscillatori interni. L'esistenza
di tali marcatempo interni autonomi può sembrare coerente con la finalità
adattativa. Un organismo che sia in grado di prevedere le variazioni cicliche
dell'ambiente circostante potrà mettere in atto le opportune strategie
biologiche e comportamentali, con conseguente maggior probabilità di
sopravvivenza. Sarebbero dunque gli orologi endogeni a regolare le diverse
funzioni dell'organismo, modulando e integrando stimoli provenienti dallo
stesso organismo (interni) con stimoli provenienti dall'ambiente (esterni), non
solo di natura geofisica, ma anche sociale”.
A causa della minore difficoltà metodologica e del fatto che l'applicazione
pratica delle conoscenze ottenute è rivolta al mondo del lavoro, in questa
disciplina è stato dato ampio spazio ai ritmi circadiani a scapito di altri ritmi
come quelli infradiani, circatrigintani e circannuali. Ma vediamo cosa si intende
esattamente con questi termini.
Il termine circadiano (circa=all'incirca; dies=giorno) è stato coniato nel 1959
da Halberg per indicare l'approssimazione alle 24 ore (con un periodo
compreso tra le 20 e le 28 ore) di un ritmo endogeno generato in un
organismo. Per analogia con l'analisi spettrale della luce i ritmi ultradiani hanno
un periodo inferiore alle 20 ore (come i raggi UV corrispondono a radiazioni
elettromagnetiche con lunghezza d'onda inferiore ai 400nm), mentre i ritmi
infradiani hanno un periodo superiore alle 28 ore (come i raggi IR hanno una
lunghezza superiore ai 740nm). I ritmi ultradiani sono stati oggetto di grande
interesse soprattutto in ambito cronopsicologico (Kleitman, 1982; Lavie 1982;
Stampi e Stegagno, 1985) e nello studio del sonno, dove è stata osservata
un'alternanza periodica delle fasi REM (sonno desincronizzato) e NREM (sonno
sincronizzato) di circa 90-100 minuti.
Kleitman (1963), estendendo l'osservazione all'intero arco delle 24 ore, notò
che l'alternanza simile a quella REM/NREM persisteva e dava l'impressione di
essere un ciclo fisiologico più generale che denominò BRAC (ciclo attività-
riposo di base).
Uno dei più tipici ritmi infradiani osservabili è il ciclo mestruale, che ha un
decorso di circa 28 giorni ed essendo approssimabile ad un mese, viene
denominato ritmo circatrigintano o circamensile. Sottocomponente di questo è
un altro ritmo infradiano, detto ritmo circasettano o circasettimanale. I ritmi
infradiani finora si presentano come i meno studiati a causa delle difficoltà
metodologiche che si incontrano per fornire un adeguato controllo sperimentale
alle ricerche. Infine esistono ritmi circannuali, con le loro sottocomponenti
circastagionali, il cui studio richiede laboriose e costose osservazioni
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longitudinali, dato che si estendono su un ampio arco di tempo.
E' abbastanza evidente che tali ritmi hanno la caratteristica di essere
ubiquitari, dato che coincidono con i tempi scanditi dalla meccanica celeste, e
che nel corso dell'evoluzione sono diventati segnatempo della vita in generale a
tutti i livelli evolutivi. Per dirlo con le parole di De Maio (1984): “Attività
bioperiodiche possono essere messe in evidenza a tutti i livelli di
organizzazione biologica, sia in senso di gerarchia biologica, cioè intendendo
tutti i tipi di esseri viventi dagli unicellulari fino all'uomo, sia a livello di
organismi superiori, a partire dai costituenti delle cellule ai tessuti, organi,
sistemi di organi, unità funzionali e metaboliche, alla totalità dell'individuo”.
2. Cenni storici Tracce della cronobiologia compaiono già nei trattati di medicina e psichiatria
dell'antichità. Il primo germe di questa disciplina si trova infatti nel trattato di
Ippocrate (460-380 a.C.) anche se ovviamente le sue osservazioni erano prive
della precisione statistica di cui godono quelle moderne. Egli scrisse infatti:
“sapendo il cambiamento delle stagioni e le levate ed i tramonti delle stelle […]
così riflettendovi e preventivamente conoscendo le opportunità, al meglio si
saprebbe riguardo ad ogni singola evenienza e nella grandissima parte dei
casi , si arriverebbe ad ottenere la sanità e si riporterebbero correttamente non
minimi successi nell'arte”. Inoltre Ippocrate pur non parlando di periodicità,
nella sua classificazione elenca le malattie periodiche più importanti come la
melancolia, la mania, l'epilessia, la frenesia e l'isteria, osservando che due di
queste, cioè la melancolia e la mania, compaiono soprattutto in primavera ed
in autunno.
Il concetto di periodicità nasce con l'epilessia per il suo preciso riferimento ai
cicli lunari. Areteo di Cappadocia (90-30 a.C.) parla di “morbo sacro”,
riferendosi al fatto che l'epilessia sarebbe la conseguenza di circostanze in cui
le persone epilettiche avrebbero peccato contro la luna, nonostante Ippocrate
avesse invece contrastato energicamente la credenza diffusa tra i greci
secondo cui la malattia sarebbe stata scatenata dall'ira della dea lunare Ecate
“l'epilettico non è un indemoniato... egli non ha commesso azioni empie o
delitti... il corpo degli uomini non può essere contaminato dagli dei”. Areteo di
Cappadocia si sofferma anche sulla descrizione degli elementi caratteristici
della psicosi periodica, imputandone l'insorgenza a cause sconosciute.
Poco più tardi Galeno (131-201d.C.), dopo essersi affidato alle conoscenze
reperite nel trattato di Ippocrate ed avere anch'esso escluso la possibilità che
l'origine fosse attribuibile a cause soprannaturali governate da divinità o
demoni, riuscì comunque a far conciliare le due posizioni. Egli riteneva infatti
che la malattia avesse una qualche relazione con l'intero ciclo lunare, ma
soprattutto con la fase di luna piena.
Il termine “lunatico” sembra comparire proprio in questo periodo e venne
inizialmente attribuito a dementi ed epilettici.
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E' solo comunque agli inizi del 1800 che si cominciano a vedere i primi lavori di
classificazione (Pinel, 1802; Esquirol, 1816) e dopo il 1850 che la nozione di
mania viene elaborata nel senso di crisi, la cui forma acuta viene poi integrata
alla psicosi periodica o maniaco-depressiva dai lavori di Faltret e Boillarger
(1854), Magnan (1890) e Kraepelin (1899).
Pinel parla di mania continua o periodica con fasi accessuali regolari o
irregolari, mentre Esquirol identificando per le psicosi intermittenti ritmi
giornalieri, mensili ed annuali, diventa l'antesignano della cronopsichiatria
attuale. Infatti i suoi periodi corrispondono ai ritmi circadiani, circatrigintani e
circannuali della cronobiologia moderna. Egli afferma: “L'intermittenza può
essere tanto regolare, quanto irregolare. Nel primo caso si riscontrano la
stessa ragione, la stessa epoca dell'anno, le medesime cause fisiche e morali,
lo stesso contenuto e la stessa durata della crisi. Più di sovente gli intervalli
sono più variabili... l'accesso si annuncia con sintomi premonitori che sono
generalmente sempre uguali a quelli che hanno preceduto le prime crisi”.
Esquirol inoltre conferma le osservazioni fatte secoli prima da Ippocrate, che
cioè quando la demenza è intermittente, l'accesso compare molto spesso in
primavera o in autunno.
Nello stesso periodo si collocano anche le prime osservazioni che riguardano
aspetti che oggi costituiscono l'argomento di studio della cronofarmacologia,
disciplina che si occupa dello studio della temporizzazione ottimale per la
somministrazione dei farmaci e che invita a non ignorare i ritmi biologici in
ambito terapeutico.
Nel 1814 Virey sosteneva che cibi e medicamenti non potevano essere
somministrati indifferentemente a qualsiasi ora del giorno “... gli ipnotici, i
narcotici, l'oppio, tranne che in casi estremi, non saranno mai somministrati al
mattino, allorché tutte le facoltà tendono al risveglio: questi rimedi avranno
un'azione più intensa e salutare alla sera, perché è in questa particolare parte
della giornata che la natura aspira al sonno ed al riposo”.
Così tra la fine del secolo scorso e l'inizio di quello attuale, i tempi sembravano
maturi affinché lo studio e la classificazione dei ritmi biologici avessero una
giusta collocazione nell'ambiente accademico, ed un risvolto applicativo data la
loro elevata capacità previsionale.
3. Aspetti metodologici Cercherò in questo paragrafo di dare brevemente qualche cenno della
metodologia seguita dagli addetti ai lavori. Per cronoma (struttura temporale
biologica o anatomia del tempo) si intende l'intreccio delle variazioni biologiche
non casuali, prevedibili, dipendenti dal tempo. Si tratta di ritmi che
appartengono a diverse frequenze dello spettro, infatti è noto che variabili
come le secrezioni endocrine, gastriche , la temperatura (T) e la frequenza
cardiaca, subiscono sia variazioni ultradiane, sia circadiane che mensili e
stagionali. Inoltre tali variabili interagiscono, e variazioni della frequenza di una
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sola variabile, possono ripercuotersi anche su quella delle altre.
Di un ritmo si deve stabilire:
a) i l periodo , che esprime la durata del ciclo completo della variazione b) l'ampiezza , cioè la misura di metà del valore del cambiamento valutata con
una funzione matematica (per esempio il coseno)
c) il mesor , ovvero il livello medio del ritmo d) l'acrofase , che corrisponde alla distanza espressa in unità di tempo o in
gradi, da un punto di riferimento al picco della funzione che approssima il
ritmo e) la batifase , che indica l'inverso, cioè il punto più basso.
L'unità di misura in gradi facilita il confronto tra acrofasi di cicli a diversa
lunghezza. Questi parametri possono essere rappresentati graficamente
attraverso diagrammi cartesiani dove la forma dell'onda che assume la
funzione, se adeguatamente privata del suo rumore ( noise ) con una analisi di
Fourrier, rappresenta la configurazione completa di una variazione periodica ed
è a carattere sinusoidale.
I dati possono essere rappresentati anche attraverso diagrammi polari, dove
l'ampiezza e l'acrofase sono rappresentate come un vettore la cui lunghezza
esprime una stima dell'ampiezza, cioè la misura dell'oscillazione e pertanto
della variazione predicibile e la sua direzione, rispetto alla scala circolare,
esprime l'acrofase.
La scala circolare copre un periodo di 360 gradi, all'interno del quale possono
essere indicate le fasi di riferimento (fotoperiodo, giorni, ecc.). Il riferimento
per l'acrofase esterna, per esempio mezzanotte, è situato per convenzione al
polo superiore. La zona di affidabilità o regione di confidenza, entro cui agisce
al 95% di probabilità la dispersione delle fasi e delle ampiezze, viene
rappresentata da un'ellisse attorno all'estremità del vettore. Se l'ellisse non
copre il polo, il ritmo è statisticamente significativo, l'ampiezza cioè è diversa
da zero. Le tangenti all'ellisse a partenza dal polo delimitano l'arco fiduciale o
confidenza dell'acrofase.
Questa rappresentazione viene utilizzata tipicamente durante l'applicazione del
metodo “single cosinor” ai dati relativi ad un singolo individuo, o con il “cosinor
medio” per dati relativi ad individui appartenenti ad una stessa popolazione.
Un esempio dei due tipi di diagramma è illustrato in fig. 1.
4. Alcuni esperimenti Secondo De Maio (1984) “Esempio di un aspetto della struttura temporale
circadiana di una cellula di mammifero può essere tratto da un lavoro di Haus e
Halberg F. sulla cellula epatica del topo adulto sano [L(06.00-18.00):D(18.00-
06.00)]: si può osservare la distribuzione temporale dei diversi avvenimenti
principali del ciclo cellulare tenendo come punto di repere temporale la mitosi.
Il picco della sintesi di RNA precede in fase il picco della sintesi di DNA, che a
sua volta precede la mitosi”.
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Altri esempi di ritmi endogeni si possono trovare nel lavoro di Rosen e coll.
(1976), i quali hanno effettuato una ricerca sulla periodicità riguardante
l'assunzione di cibo da parte di bambini molto piccoli.
I bambini venivano invitati a scegliere il cibo da un assortimento che veniva
offerto loro dalle nutrici e che era stato preventivamente pesato così da
poterne ricavare la quantità prelevata. In questo modo era possibile calcolare
l'assunzione giornaliera di grassi, carboidrati, proteine e di calorie. I risultati
ottenuti hanno messo in evidenza un un andamento circannuale per la
preferenza dei cibi solo per bambini molto piccoli che non avevano ancora
avuto contatto con fattori sincronizzanti di tipo ambientale o sociale.
Altre ricerche studiano invece l'alterazione dei normali ritmi in conseguenza
alla deprivazione del contatto con i normali fattori sincronizzanti (luce, orologi,
ecc.). Una ricerca di Montalbini e coll. (1989) illustra la dipendenza del sistema
endocrino dalla radiazione solare: Stefania Follini, una designer italiana,
trascorse quattro mesi in una caverna del New Mexico. Gli scienziati
osservarono le sue reazioni all'isolamento per analizzarne le implicazioni in
relazione ai viaggi nello spazio. La sua veglia durava 35 ore e il sonno solo 10
ore. La Follini perse 7,7 chili e venne interrotto il ciclo mestruale. Al termine
del periodo di isolamento la donna credeva di aver trascorso sottoterra soltanto
due mesi anziché i quattro reali. Era cioè passata ad un ritmo free-running ,
ovvero a corsa libera.
Un esperimento analogo (Montalbini e coll., 1994) è stato effettuato nelle
Grotte di Frasassi. Una ventottenne di Cesena, Cristina Lanzoni, accettò di
partecipare ad un esperimento che richiedeva di vivere in isolamento
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nell' Underlab 2 , una struttura abitativa sotterranea che per dimensioni e
funzioni, riproduceva una base spaziale planetaria. La ragazza dopo circa un
mese comunicando con la direzione del progetto via computer, dimostrava di
aver perduto la cognizione esatta del tempo, essendo rimasta indietro di 3
giorni e 14 ore rispetto al calendario solare. Inoltre, dopo 35 giorni di
permanenza in isolamento, il ciclo mestruale era scomparso.
I SINCRONIZZATORI 1. Aspetti generali Con il termine sincronizzatore, in generale, si intende un dispositivo adatto a
predisporre un'ordinata coincidenza temporale tra più eventi, azioni o funzioni.
Nel nostro caso specifico permette l'ottenimento di una coincidenza o di un
accordo temporale di fasi. In cronobiologia lo studio dei sincronizzatori
ambientali come ad esempio la luce e la temperatura, è molto importante,
poiché essi entrano a far parte di una complessa intermodulazione tra sistema
nervoso centrale (SNC) e sistema endocrino.
Aschoff nel 1954 introdusse il concetto di zeitgeber (sincronizzatore), parola
composta da zeit che significa tempo e geber che significa donatore. Nel 1965
egli pubblicò i dati di una ricerca rivolta allo studio di soggetti che vivevano in
condizione di totale isolamento temporale (condizione free-running), mettendo
in evidenza per la prima volta il fenomeno della dissociazione o
desincronizzazione interna. Infatti alcuni ritmi che in condizioni di normalità
mostravano gli stessi periodi, dopo una ventina di giorni tendevano ad
assumere ritmi con periodi completamente diversi. Ad esempio il ritmo sonno-
veglia assumeva un periodo di 36 ore, di cui 24 di veglia e 12 di sonno, e la
temperatura corporea assumeva un periodo di circa 25 ore.
Le ricerche successive replicarono ed anzi arricchirono queste scoperte a
conferma di come i sincronizzatori siano capaci di influenzare i ritmi biologici e
di modificare i parametri che li caratterizzano, ma che agiscono sempre su un
fenomeno endogeno insopprimibile.
Tutti i ritmi dei diversi organismi sono soggetti all'influenza di uno o più
sincronizzatori che possono essere definiti primari (cioè dominanti) o
secondari, in base al ruolo che assumono nei confronti della variabile in esame.
L'ordine gerarchico dei sincronizzatori non è rigido ed immutabile e in
condizioni particolari i sincronizzatori secondari possono assumere un ruolo di
priorità a scapito di quelli primari che diventano subordinati.
I ritmi tendono ad assumere la frequenza (anche multipli o sottomultipli interi)
dei sincronizzatori dominanti, i quali corrispondono in genere con i ritmi
dell'ambiente e sono in grado di trascinare i ritmi endogeni, fenomeno che a
volte dà luogo ad un effetto di mascheramento (Monk, 1989).
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