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culturale non attiguo, hanno avuto pochi rapporti di scambio con la nostra
civiltà. Addentrandoci nell’universo islamico è bene tenere presente non
solo la matrice linguistica, che essendo diversa ed autonoma dalla nostra,
prevede l’appropriazione di un linguaggio concettuale, prima che
speculativo-filosofico, ma evidenziare anche le differenze che intercorrono
in ambito sociologico ed antropologico, che non permettono una simmetria
tra Ummah ed Ecclesia. A ciò si aggiungano le divergenze in campo
teologico e speculativo-filosofico, ai fini di una comparativa ermeneutica
dei testi sacri. A questo punto, è giusto mettere in evidenza, che se ci
soffermiamo sulla struttura formale dell’Islām, ben presto ci rendiamo
conto, che il suo sistema religioso si compone di parte di quelli ebraico e
cristiano, per la filosofia ed il relativo pensiero teologico basi sono da
ricercarsi nella scolastica medievale, mentre, per quanto concerne la mistica
(sufismo), parte è da considerarsi continuazione della tradizione ellenistica e
cristiana. Con tali parole non bisogna cadere nell’errore già perpetrato nel
Medioevo, dove non pochi cristiani credevano che l’Islām fosse un’eresia
del credo biblico e di conseguenza blasfema e perseguibile; né bisogna
affermare o sottintendere che il Corano, in quanto “segno tangibile”
dell’Islām, possa sembrare un libro cristiano, solo perché ricorrono in esso,
idee, personaggi ed avvenimenti comuni alla Bibbia sia dell’Antico che del
Nuovo Testamento. Proprio perché totalizzante, l’Islām non è soltanto
religione, ma anche storia, cultura, etica e diritto, in senso normativo, del
popolo cui Dio ha rivelato la Sua Parola (Il Corano) tramite la mediazione
6
prescelta di un uomo, Mu4ammad, e di coloro che preannunciarono e
spianarono la strada al Prescelto di Dio.
Proprio prendendo in esame questa concezione messianico-profetologica,
riscontriamo asimmetrie e cavilli speculativi sul concetto di profetologia e
messianismo, tra cristiani e musulmani, che attribuiscono rispettivamente,
valori diversi a Cristo e Mu4ammad. Ai primi è inconcepibile il concetto di
Mu4ammad, Sigillo dei Profeti, ai secondi, riesce impossibile capire il senso
della Trinità (Cristo-Figlio-Dio stesso). Partendo proprio da quest’ultima
definizione è possibile tracciare un iter, talvolta tortuoso e complesso, altre
volte sotteso ed enigmatico, degli elementi comuni ad Islām e
Cristianesimo. Il primo elemento è senz’altro l’analisi dei due rispettivi testi
sacri, Corano e Bibbia, che seppure tanto diversi, riservano “sorprese” al
loro interno non indifferenti; secondo, l’attenzione che suscitano alcuni
personaggi comuni ai due libri, i profeti ebraico-cristiani; e terzo ed ultimo,
per lo studio preso qui in esame, la figura rilevante di Gesù nella tradizione
religiosa musulmana. Riguardo al primo punto, vi sarà una sintesi generale
dei testi che avverrà tramite le citazioni, in un’ottica esplicativo-
comparativa, quanto il più possibile inerente alla figura di Gesù Cristo, e
dove necessario, su tutti i passi che a Lui si connettono, sia in forma diretta,
sottintesa o allusiva; per il secondo punto, si riporterà un’analisi riassuntiva
molto semplice, sulla storia dei profeti biblici nella tradizione musulmana,
con evidenti riferimenti alla vita e alle opere di Gesù, per poi aprire un vero
e proprio studio sulla figura di Cristo nell’Islām tout court.
Obiettivo di questo studio è fare notare il valore di Cristo come uomo e
7
profeta, non riferendosi solo ed esclusivamente alle tradizioni canoniche ed
extracanoniche, ma dove è possibile e realmente veritiero, riprendere anche
il pensiero spirituale più “sotterraneo” ed “impalpabile” della mistica
dell’Islām, che trova la sua forma essenziale nella sua più intima
conoscenza esoterica d’unione con l’Altissimo.
8
1. Bibbia e Corano
Comparare due testi come la Bibbia ed il Corano in chiave cristologica, non
è semplice più di quanto non lo sia mettere a confronto il messaggio divino
enunciato da ambedue le Sacre Scritture. Ben sappiamo gli sforzi che
tutt’oggi si compiono non solo in ambito politico-sociale, ma anche
speculativo-teologico, per far avvicinare ed accettare l’Islām al
Cristianesimo ed il Cristianesimo all’Islām, eppure, sarebbe quanto mai utile
cercare di attuare tale riflessione per una conoscenza globale della Parola di
Dio, quanto per una convivenza di reciproco rispetto e pace.
Se partiamo dall’etimologia dei due testi, ci rendiamo subito conto delle
differenze e delle difficoltà che nascono dalla semplice comparazione
letterale dei termini. La parola con la quale noi traduciamo il termine
Corano (al-Qur’ān), è un sostantivo deverbale che in arabo vuol dire
«Lettura ad alta voce, recitazione» e per traslato più ampiamente
«predicazione», dal verbo di forma intensiva (qara’a: leggere, recitare). Per
tale motivo, essendo d’origine divina, è Parola di Dio Proclamata e fatta
Verbo, in altri termini è il Verbo divino dato come legge all’uomo e giacché
tale, immodificabile, eterno e da riverirsi; da qui il concetto d’Islām (dal
verbo aslama: sottomettersi), ossia, sottomissione fiduciosa a Dio.
Per quanto concerne la parola Bibbia, invece, essa deriva dal termine greco
9
«Biblios: Libri
1
» poi latinizzato Biblia ed infine l’italiano Bibbia, con il
significato di raccolta di libri e quindi per assimilazione di Libro per
antonomasia, nel quale sono enunciate la Parola e gli insegnamenti di Dio
all’uomo, tramite il suo Verbo, Cristo. Paragonare quindi il Corano alla
Bibbia non è simmetrico, proprio perché, nonostante siano considerati
entrambi libri sacri, hanno per le rispettive religioni valori molto differenti.
Per i musulmani, il Corano è la Parola stessa di Dio, il suo Verbo, ed occupa
la posizione centrale che Gesù Cristo ha nel Nuovo Testamento. Come per i
cristiani il Verbo si è fatto uomo in Cristo, così si è fatto Libro per i
musulmani. In un’ottica islamica possiamo affermare che il Corano come
testo, è rappresentato da un uomo, Cristo, nella Bibbia. Dunque la Bibbia
come libro, non ha nessun valore simmetrico col Corano. Eppure Bibbia e
Corano, hanno molte cose in comune. Basti pensare alla presenza in
ambedue i testi, dei nomi dei Patriarchi e dei Profeti biblici, tra i quali
ritroviamo Gesù, prescelto tra i “preferiti di Dio”. Ciò che accomuna quindi,
cristiani e musulmani, è la rivelazione e genesi del testo sacro.
Per quanto riguarda la prima, bisogna partire dal concetto di rivelazione
come tanzīl (discesa), sotto forma di Kitāb (Libro o Scrittura), corroborato
dai versetti Cor. 10:94: «E se tu sei in dubbio su qualcosa che ti abbiam
rivelato, domandane a quelli che leggono la Scrittura antica. Il tuo Signore
t’ha mandato la Verità, non esser dunque perplesso e dubbioso»; dove
1
Secondo il Canone della Chiesa Cattolica, la Bibbia si compone di ben 73 volumi tra
Antico e Nuovo Testamento, rispetto ai 5 (Pentateuco) componenti la Tôrâh ebraica e
profeti, ed il solo volume del Corano, diviso in 114 Sure o Capitoli e 6263 Āyāt o versetti.
10
Kitāb è tradotto con i termini: Libro, Scrittura e verrebbe da dire Bibbia. La
parola Kitāb, si rivela centrale a fini esegetici, tanto più che l’etimo del
sostantivo, l’accomuna con la tradizione giudaico-cristiana dei Ketūbīm,
ossia, libri agiografici; anche se comunemente, il valore attribuitole è quello
di Scritture. Da qui, l’enigmatico senso del versetto coranico Umm al-Kitāb
«Matrice del Libro»
2
, ripetuto tre volte all’interno del Corano stesso, cui la
tradizione esegetica ha preferito dare il significato più alto di “Prototipo
Celeste o Lettura Santissima”
3
. Partendo proprio dal versetto Cor. 10:94, è
possibile riscontrare l’importanza della Bibbia nella visione musulmana ed
il rispetto che si nutre per i testi sacri del passato, com’evidenziato in Cor.
87:18-19: «Ché queste cose son tutte scritte nelle pagine antiche, - le
pagine di Mosè e d’Abramo»; dove tra l’altro è corroborata, la veridicità
delle precedenti scritture rivelate. Tutto ciò fin qui enunciato, rientra
appieno nel concetto ciclico dell’Islām, che concepisce la rivelazione come
discesa. Per quanto riguarda invece, la genesi del testo sacro, essa è
attribuita pienamente a Dio, che ne è “l’autore”, mentre l’uomo come sua
creatura prescelta ne è il trascrittore, il mezzo, lo strumento più consono e
preciso. Tali affermazioni sono da ritenersi molto simboliche, onde evitare
di cadere nel problema reale, da sempre esistente in tutti i monoteismi e
soprattutto nell’Islām, del contributo umano alla compilazione del testo
2
Cor. 43:1-4: «Nel nome di Dio, clemente misericordioso! H.M. - Per il Libro chiarissimo!
- Noi ne facemmo un Corano arabo a che per avventura intendiate, - ed esso sta scritto
presso di Noi nella Madre del Libro, ed è alto savio». Altrove nel Cor. 13:39, ha significato
di Comunità Religiosa.
3
Con tale termine, si intende il prototipo divino del testo coranico, conservato su tavole ben
custodite.
11
divino. Per i cristiani la personalità dello scrittore sacro è normativizzata
dalla volontà di Dio, che in quanto Essere superiore, ne impedisce gli errori
in campo dogmatico e morale, oltre ad avvalersi del libero arbitrio concesso
da Dio agli uomini; mentre nell’Islām, il testo sacro è coeterno a Dio, è già
scritto nei cieli prima che in terra ed i “compilatori materiali”, non sono
altro che “la mano del volere divino”. Mu4ammad, quindi, non è altro che
un semplice trasmettitore
4
del testo divino, prescelto in modo insondabile
dall’Eccelso. Collegato a questo concetto c’è l’ovvia intraducibilità del
Discriminante tra il bene ed il male, altro nome per il Corano, che ha in se
un recondito significato religioso. La differenza con la Bibbia in tale ambito,
è abissale, poiché quest’ultima è tradotta in tutti gl’idiomi esistenti, proprio
per il suo valore di solo “testo” divulgativo. A questo punto, è possibile
definire che nell’Islām c’è un certo “rigore formale” anche nella
consultazione del testo sacro, che per i cristiani è ormai decaduto da secoli.
Alla venerazione di Dio, si affianca anche una venerazione del testo che da
Lui è stato fatto discendere (nazzala) agli uomini. Alla visione della
Rivelazione è possibile affiancare anche il problema della veridicità ed
autenticità della genesi coranica, insieme alla sua trasmissione fino ai giorni
d’oggi, che nonostante le varie polemiche sorte nel periodo di formazione
del credo, primi secoli dell’Ègira, trova una piena rassicurazione in Dio
stesso che come creatore ed autore “fa scendere” (cioè rivela), il testo sacro
al suo ultimo profeta Mu4ammad, sotto dettatura divina in lingua araba, la
4
Cor. 75:16-19: «E tu, non muovere la lingua ad affrettarlo - che a Noi sta raccoglierlo e
recitarlo - e quando lo recitiamo, seguine la recitazione - e poi a Noi spetta spiegarlo!»
12
lingua per eccellenza dell’Islām
5
. Tale pensiero pone seppure
semplicisticamente, una soluzione al problema delle fonti coraniche, che
nonostante i voluminosi e numerosi commentari, ignora qualsiasi
dipendenza da fonti umane. Eppure il dilemma tutt’oggi persiste, ma va
spostato verso le relazioni di Mu4ammad con la “Gente del Libro”, ossia
cristiani ed ebrei, ai quali è palese ascrivere il contributo tradizionistico
apportato alla formazione del nuovo credo monoteistico. È proprio in
quest’ambito, che si inseriscono le storie dei profeti già presenti nella Tôrâh
ebraica e nel Vetero e Neotestamento biblico.
5
Cor. 12:1-2: «Nel nome di Dio, clemente misericordioso! A. L. R. Ecco i Segni del Libro
Chiarissimo: - ecco l’abbiam rivelato in dizione araba a che abbiate a comprenderlo».
13
2. I profeti biblici nella tradizione islamica
6
Le storie dei profeti narrate nel Corano, occupano una posizione rilevante
all’interno della tradizione musulmana. Il motivo di tale fama e diffusione è
dovuto al fatto che le vicende dei patriarchi e dei profeti hanno grande
spazio nel testo sacro islamico, proprio perché rappresentano una parte
molto consistente, sotto vari aspetti, ai fini d’ammaestramento morale del
popolo musulmano. Un esempio, ne è la storia d’Abramo e di suo figlio
Ismaele, quest’ultimo ricordato principalmente per essere stato il padre
fondatore della progenie araba
7
e santificatore con Abramo del luogo sacro
ai Musulmani, la Ka‘ba
8
. Interi brani biblici sono ripetuti spessissimo, così
come il nome di alcuni profeti maggiori (Abramo e Gesù), e minori (Giona
ed Eliseo), a tal punto, che l’iterazione, nella maggioranza dei casi, è
riportata in maniera identica all’originale cristiano ed ebraico.
Quest’integrazione delle storie all’interno del Libro
9
è talmente pregnante,
6
Per una più completa ed esauriente trattazione dell’argomento: R. Tottoli, I profeti biblici
nella tradizione islamica, Paideia, Brescia 1999 e di: Al-(arafī, Storie dei profeti, Il Nuovo
Melangolo, Genova 1997 (a cura di R. Tottoli).
7
Cor. 19:54-55: «E nel Libro ricorda Ismaele: che fu sincero nella sua promessa e
Messaggero Profeta. - E invitava la sua gente alla preghiera e all’Elemosina, e fu bene
accetto al Signore».
8
Cor. 2:25, 127: «E quando facemmo della Santa Casa luogo di riunione e di rifugio per
gli uomini (…) ed ingiungemmo ad Abramo ed Ismaele: “Purificate la mia Casa per coloro
che attorno vi correranno venerabondi, vi pregheranno devoti, vi s’inchineranno e si
prostreranno reverenti”», «E quando Abramo ed Ismaele ebbero levato a le fondamenta
della Casa, invocarono: “Accettala da noi, o Signore! Tu che tutto ascolti e conosci!». Ed
anche, Cor. 14:37; 22:25-26.
9
Altro nome del Corano.
14
che a volte i particolari di personaggi storici o episodi, sono dati per
scontato, allusi o addirittura omessi, così da lasciare nel dubbio e senza
continuità, il lettore non erudito in materia. Lo spazio dedicato ai profeti, di
cui solo tre arabi, risulta comunque positivo e sotto vari aspetti,
significativo, perché è testimonianza della divulgazione di questi argomenti,
ancor prima che il messaggio di Mu4ammad fosse giunto al suo popolo, e
quindi, essendo stato successivamente incluso nel testo rivelato, assunse
valore o meglio crisma sacrale agli occhi del “popolo eletto”. La Parola di
Dio fatta Libro, venne così a suggellare una tradizione già esistente prima
dell’Islām e che nell’Islām aveva trovato pieno appoggio e consenso. Ciò
non deve trarre in inganno, perché nel Corano, le storie dei profeti non
hanno il valore attribuitole dalla Tôrâh e dalla Bibbia, tanto è vero, che la
loro menzione non segue nessun criterio né cronologico né logico. Esse,
infatti, sono inserite secondo le circostanze, a scopo d’ammaestramento
morale ed in funzione dell’insegnamento da impartire al credente. In altri
termini, hanno lo stesso valore delle parabole evangeliche che Gesù
predicava al suo popolo. Proprio in virtù di questo “metodo logistico”,
l’Islām ignora la distinzione tra i due Testamenti, che segnano
cristianamente, la continuità del preannuncio di Cristo (nel Vecchio) e la sua
venuta come Redentore (nel Nuovo). Se nella Bibbia l’opera dei profeti
prelude a quella messianico-parusica del Regno di Dio in Cristo, nel Corano
invece, le profezie sono “voci” che Dio fa preannunciare, o meglio
preavvisare dai suoi inviati e messi, per istruire il suo popolo sul destino
dell’umanità nell’ultima ora; dove il supremo annientamento escatologico e
15
la resurrezione finale, porteranno ad una ripartizione di pene per i malvagi e
ricompense per i benemeriti. Alla “rettilinearità” del disegno biblico si
oppone la “circolarità” di quello coranico. Di conseguenza in prospettiva
coranica, Gesù non è figlio di Dio, ma di Maria ed è Suo servo e profeta.
Sarebbe perciò errato e quanto mai riduttivo, ricercare significati univoci
nelle storie dei profeti, che come gran parte delle descrizioni coraniche,
hanno in se un recondito significato religioso. Bisogna a questo punto far
notare un ulteriore corollario islamico, ossia, il rapporto strettissimo tra
Mu4ammad ed il Corano, che in quanto rivelazione divina, non dà spazio a
fonti tradizionistiche allotrope. Dalla lettura coranica, è possibile inoltre
estrapolare passi esaurienti sulle caratteristiche di questi personaggi biblici,
nella loro funzione di inviati (rasūl) e profeti (nabī)
10
di natura umana Cor.
7:35 e 14:11; scelti arbitrariamente da Dio
11
; sull’importanza della loro
disuguaglianza Cor. 2:253; 17:55; sulla necessità di credere in tutti Cor.
4:150-151; sulla valenza dei singoli nel Giorno del Giudizio
12
ed infine,
nella mansione di “mandati” a varie comunità con rivelazioni divine
13
.
Legate alle storie bibliche sono le cosiddette storie di punizione, che
segnano il monito che Dio ha mandato a tutti coloro che negheranno la Sua
10
Nella gerarchia profetologica, per rasūl (inviato), s’intende colui la cui missione ha
apportato un libro sacro o istituito una nuova religione, mentre per nabī (profeta), s’intende
colui che si è limitato a ribadire il messaggio del rasūl senza apportare con sé nessuna
nuova rivelazione. Un nabī non può essere un rasūl, mentre è vero il contrario.
11
Vedi Cor. 3:179; 6:50, 88; 13:38; 16:2; 23:33-34, 38, 47-48; 25:20; 26:185-187 e
40:15, 78.
12
Vedi Cor. 4:41; 5:109; 7:6; 10:47; 16:84-89 e 77:11.
13
Vedi Cor. 2:213; 6:42; 7:52-53; 10:47, 74; 13:4; 12:10; 16:36, 43; 17:15-16; 22:75;
30:46-47; 35:24 e 37:72, 171.
16
rivelazione tramite le opere dei profeti ed infine di Mu4ammad. Quindi, in
“un’ottica preventiva”, Dio istruisce i Suoi inviati a far ricordare queste
vicende, e così facendo, sprona a continuarne la menzione proprio in virtù
dell’ineluttabile destino che colse e colpirà chi in Lui non volle e né vorrà
riporre fede. Le storie dei tempi passati, così come sono tramandate e
testimoniate nel Libro, non sono altro che storie di responsabilità e
d’ammonimento a tutti i popoli, che come «la gente del Faraone» Cor. 8:54,
rifiutarono non solo la Rivelazione, ma ancor di più, l’opera dei “segni” di
Dio, i Suoi inviati e profeti, nel corso della loro missione. Il Corano non dà
una definizione alle storie dei profeti e ciò significa che tali storie, al di là
della loro funzione per la missione di A4mad (altro nome del Profeta), non
hanno altri pregnanti valori ai fini della rivelazione stessa, se non la loro
narratività. Mu4ammad quindi, può rientrare a pieno diritto in una
concettuale linea di continuità della tradizione dei profeti biblici che
l’avevano preceduto, ed in maniera particolare con Abramo, annoverato
come “coincidente con l’Islām”
14
. Le fonti delle tradizioni e leggende
riguardanti le origini della letteratura musulmana sui profeti, sono
soprattutto da ricondursi ai commentari esegetici dell’Islām, tra i quali è
possibile annoverare il famosissimo tafsīr di a9-(abarī; alla storiografia di
tutti i periodi dell’era musulmana, alle storie dei profeti (a9-(arafī ed al-
Kisā’ī, tanto per citarne alcuni), ai detti di Mu4ammad e a quella serie di
14
Se si osserva il linguaggio utilizzato nel Corano nei vari versetti riguardanti Ibrāhīm
(Abramo), in particolare Cor. 3:67, 95; 4:125; 6:161; 16:120 e 21:51; ci si rende conto
“dell’indecifrabilità” di Abramo, che è definito emblematicamente 4anīf, cioè monoteista e
uomo retto per natura, né cristiano né ebreo, ma nemmeno musulmano.
17
racconti extracanonici, che derivano in maggioranza dai convertiti all’Islām
da Ebraismo e Cristianesimo, uno per tutti Ka‘ab al-A4bār; ed infine, ai
cantastorie appartenenti alla tradizione musulmana, come Tamīn ad-Dārī,
tra i presunti compagni del Profeta. Di queste fonti prenderemo in esame le
storie dei profeti ed i detti di Mu4ammad, che riservano tra l’altro, un posto
di primo piano alla figura di Gesù.
a. I detti di Mu4ammad sui profeti biblici
Nella letteratura religiosa musulmana, con il termine detti di Mu4ammad,
s’intendono tutte quelle narrazioni che avevano per protagonista più o meno
diretto il Profeta stesso. Le sue parole rappresentano una fonte d’ispirazione
e di guida per il popolo musulmano di non poco inferiore al Corano, ed in
certi punti di paritario livello, visto che il solo testo sacro non può esaurire
tutti gli aspetti della vita del credente all’interno della comunità religiosa. In
alcuni 4adīth (nuova, notizia, poi: detto), non sono riportate soltanto
aggiunte agli articoli di fede, ai rituali del credente, ma anche, questioni
giuridico-amministrative, che il Corano non menziona esplicitamente o che
ignora completamente. Secondo la tradizione islamica, tali 4adīth sono stati
tramandati oralmente o per iscritto attraverso isnād (“catene”) di garanti,
che sanciscono l’attendibilità delle notizie, in grado crescente al rapporto di
fiducia instaurato col Profeta. Questi “rapporti di fiducia” sono costituiti dai
cosiddetti Compagni del Profeta. In base allo studio approfondito di queste
catene di trasmettitori si appura la validità della notizia e la sua veridicità.