4
INTRODUZIONE
La ricerca della tesi prende in esame uno degli argomenti più difficili da trattare e
anche in studio tutt’ora. Cristo e il peccato nella teologia paolina è vasta, ma anche stupenda
poiché interessano l’uomo nella sua essenza e lo interpellano nel suo scopo. I riferimenti
bibliografici a riferimento saranno tantissimi, però ci si concentrerà sull’aspetto scritturistico
con un’esegesi dei testi principali delle lettere di Paolo, specialmente quella ai Romani.
La ricerca esegetica sul tema verterà verso l’aspetto soteriologico più che rimanere
sulla condizione dell’uomo nello stato di peccato. Questo è doveroso per il senso stesso della
rivelazione e morte di Gesù per l’uomo e per l’esperienza fatta dall’apostolo. Paolo più volte
ci riporta la motivazione della morte di Cristo in rapporto a noi e al peccato
1
.
Scrive Barbaglio:
Ci preme rilevare come Paolo explicitis verbis presenti l’evento divino di salvezza incentrato
in Cristo quale presupposto, oggetto di fede o di previa conoscenza, pacifico e aprioristico
possesso non solo di lui mittente e dei destinatari delle lettere, ma anche comune ricchezza
spirituale di tutti i credenti. In una parola, prima del suo pensare teologico o ermeneutico c’è
un previo credere e conoscere per fede, dato per scontato
2
.
Aggiungerei che prima di scrivere o riflettere su dati argomenti che interessano
l’esistenza stessa dell’uomo, egli fa esperienza viva di tale questione. Come l’apostolo è
stato toccato da Cristo e per fede scrive ed esorta, così la redenzione di Cristo nel peccato
dell’uomo è un tema a me caro per l’esperienza della salvezza attuata da Gesù nella
condizione di forte schiavitù nel peccato in cui ero.
Con la sua morte Cristo ha redento non solo il peccato del mondo nella prospettiva
universale, ma continua a perdonare in continuazione ogni errore umano che allontana
l’uomo da Dio e dal prossimo. La ricerca tocca quindi la mia persona, ciò nonostante sia un
1
Cfr. Rm 4,25; Rm 5,6.8; Rm 6,6; Rm 14,15; 1Ts 5,10; 1Cor 8,11; 2Cor 5,14.
2
G. BARBAGLIO, Il pensare dell’apostolo Paolo, EDB, Bologna 2004 (La Bibbia nella storia, 9bis), p. 17.
5
tema esperito, cercherò di essere il più scientifico possibile ricercando in molti testi ciò che
è stato scritto a riguardo. Per l’appunto, lo scritto inizierà con una ricerca sull’argomento del
peccato originale sui testi previ alla rivelazione. Solo in conclusione al primo capitolo si
inserirà ciò che ha scritto il magistero a riguardo con l’esposizione del dogma nel Concilio
di Trento. Questo riferimento al dogma che è post-paolino, aiuterà a introdurre l’esegesi sui
testi di Paolo nel secondo capitolo.
Il secondo capitolo, centrale della tesi, farà un’esegesi di alcuni scritti di Paolo
significativi per la ricerca. I temi trattati sono gli aspetti focali dell’argomento della tesi.
Nei capitoli successivi di sintesi al capitolo secondo, si toccherà l’aspetto del peccato
e della redenzione di Cristo in ambito antropologico e morale. Ci saranno sempre molti
riferimenti agli autori specialmente studiosi dell’ultimo secolo, ma anche alcune riflessioni
personali di sintesi scaturite da, come dicevo precedentemente, una personale esperienza
della presa di coscienza dello stato di peccato e della redenzione attuata da Cristo.
Significativo nella ricerca dei teologi sull’argomento, è stato il dialogo sempre più
forte instaurato tra le varie confessioni cristiane. Ciò ha reso disponibile una grande quantità
di pensieri a riguardo e significativi sviluppi teologici che sono ancora in atto. Poiché il
paradosso sta che la teologia cristiana è nella rivelazione compiuta, ma la comprensione di
Dio e dell’uomo è sempre in progresso. Non finiremo mai di scoprire chi è realmente Dio e
l’uomo fino a quando non si apriranno tutti i sigilli del libro dell’Apocalisse.
L’introduzione si completa citando un testo di un padre della chiesa che mi ha
accompagnato negli anni di seminario e nel cui scritto biografico mi sono ritrovato e
interpellato dall’anno di discernimento del propedeutico:
Ma se fui concepito nell’iniquità, e mia madre mi nutrì nel suo grembo fra i peccati, dove
mai, di grazia, Dio mio, dove, Signore, io, servo tuo, dove o quando fui innocente? Ma ecco,
tralascio quel tempo. Che ho da spartire oggi con lui, se nessuna traccia ne ritrovo?
3
.
3
AGOSTINO D’IPPONA, Le confessioni, a cura di C. CARENA, Città Nuova, Roma 2009, Libro I, 7, 12, p. 30.
6
I CAPITOLO: DEFINIZIONE DI PECCATO E ORIGINE
Nel definire la parola peccato, tante persone pensano alla violazione dei dieci
comandamenti. Il termine peccato che nella Bibbia ricorre centinaia di volte, significa:
mancare il segno, fallire il bersaglio. La radice ebraica della parola peccato è ajx (chatà’),
il cui significato comune: è fallire, inciampare, sprecare.
1
In greco il termine peccato
traduce |amartéia (hamartìa), con lo stesso significato che in ebraico, di mancare per errore
o colpa, un obiettivo in senso lato.
2
La parola origine, ha significato etimologico di nascita di qualcosa, origine è intesa
anche come principio da cui una cosa procede.
3
La traduzione di origine o principio in
ebraico è תיִשׁאֵר (bereshìt), in greco il termine comune è \arcéh (archè), indica sempre un
primato: di tempo, di luogo o di grado.
4
1.1 PUNTO DI PARTENZA
In questa parte iniziale della ricerca si delineerà in breve come nella Bibbia e in
altri scritti apocrifi si parla del bersaglio mancato e del suo origine. Dopo una breve ricerca
del testo principale dell’Antico Testamento, si farà riferimento a due linee apocalittiche: il
libro dei Vigilanti e l’Apocalisse di Baruch. Il prendere in considerazione questi due scritti
apocalittici è a motivo dell’esegesi paolina nel capitolo successivo, per capire meglio il
pensiero circostante riguardo all’origine del peccato in cui l’apostolo è vissuto.
1
Cfr. L.A. SCHÖKEL, Dizionario di Ebraico Biblico, p. 252.
2
Cfr. Dizionario Esegetico del Nuovo Testamento, I, p. 174.
3
Cfr. Enciclopedia filosofica, p. 162.
4
Cfr. Dizionario Esegetico del Nuovo Testamento, I, p. 430.
7
1.1.1 ANTICO TESTAMENTO
«Il serpente era la più astuta di tutte le bestie selvatiche fatte dal Signore Dio. Egli disse alla
donna: «È vero che Dio ha detto: Non dovete mangiare di nessun albero del giardino?». Rispose
la donna al serpente: «Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto
dell'albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: Non ne dovete mangiare e non lo dovete
toccare, altrimenti morirete». Ma il serpente disse alla donna: «Non morirete affatto! Anzi, Dio
sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio,
conoscendo il bene e il male». Allora la donna vide che l'albero era buono da mangiare, gradito
agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede
anche al marito, che era con lei, e anch'egli ne mangiò. Allora si aprirono gli occhi di tutti e due
e si accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture.
Poi udirono il Signore Dio che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno e l'uomo con sua
moglie si nascosero dal Signore Dio, in mezzo agli alberi del giardino. Ma il Signore Dio chiamò
l'uomo e gli disse: «Dove sei?». Rispose: «Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura,
perché sono nudo, e mi sono nascosto».
Riprese: «Chi ti ha fatto sapere che eri nudo? Hai forse mangiato dell'albero di cui ti avevo
comandato di non mangiare?».
Rispose l'uomo: «La donna che tu mi hai posta accanto mi ha dato dell'albero e io ne ho
mangiato». Il Signore Dio disse alla donna: «Che hai fatto?». Rispose la donna: «Il serpente mi
ha ingannata e io ho mangiato».
Allora il Signore Dio disse al serpente: «Poiché tu hai fatto questo, sii tu maledetto più di tutto
il bestiame e più di tutte le bestie selvatiche; sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per
tutti i giorni della tua vita. Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe:
questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno».
Alla donna disse: «Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli.
Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà».
All'uomo disse: «Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dell'albero, di cui ti
avevo comandato: Non ne devi mangiare, maledetto sia il suolo per causa tua!
Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita. Spine e cardi produrrà per te e
mangerai l'erba campestre. Con il sudore del tuo volto mangerai il pane; finché tornerai alla terra,
perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere tornerai!».
L'uomo chiamò la moglie Eva, perché essa fu la madre di tutti i viventi. Il Signore Dio fece
all'uomo e alla donna tuniche di pelli e li vestì.
Il Signore Dio disse allora: «Ecco l'uomo è diventato come uno di noi, per la conoscenza del
bene e del male. Ora, egli non stenda più la mano e non prenda anche dell'albero della vita, ne
mangi e viva sempre!». Il Signore Dio lo scacciò dal giardino di Eden, perché lavorasse il suolo
da dove era stato tratto. Scacciò l'uomo e pose ad oriente del giardino di Eden i cherubini e la
fiamma della spada folgorante, per custodire la via all'albero della vita»
5
.
Il capitolo terzo di Genesi è introdotto dal capitolo precedente mettendo in
5
Gn 3,1-13; 17-19; 23-24.
8
evidenza tra tutta la creazione, la figura dell’uomo, rappresentata in Adamo ed Eva.
Nel brano di Gen 3 vi è rappresentato il dramma dell’uomo, in prospettiva universale, non
solo dell’uomo di allora ma anche di oggi. Il fatto che il testo parli anche all’uomo di oggi è
deducibile dal genere letterario:
Gen 1-11 è definito come un «mito» (da non confondere con mitologia), in cui ogni racconto
sembra descrivere, in positivo o in negativo, una sorta di modello archetipico delle particolari
relazioni di Dio con il mondo degli esseri umani. Come scrive P. Grelot, il mito «rappresenta
una risalita al cuore dell’essere», è la storia di sempre riproiettata alle origini
6
.
Ci sono miti simili al capitolo terzo di Genesi riguardanti la ricerca della vita e della
superiorità degli dèi che agiscono per rimanere tali. Testi con metafore come la pianta, ne
elenchiamo tre
7
:
- Il mito mesopotamico di Etana
8
: Etana il primo uomo senza figli, chiede agli dei di
mangiare dalla pianta della nascita. Il dio sole Shamas conduce Etana da un’aquila
intrappolata in un baratro dagli dei per aver divorato un piccolo di un serpente.
L’aquila promette di trasportarlo in volo nel cielo per cogliere della pianta della
nascita. Il racconto si interrompe, ma sembra che riesca nell’intento.
- Il mito di Adapa
9
: gli dei creano il primo uomo, Adapa, che ha grande sapienza. Un
giorno egli afferra e spezza le ali del vento del sud, che gli impediva di pescare. Alla
mancanza della brezza, gli dei scoprono che il responsabile è Adapa ed Anu, il capo
degli dei, lo invita in cielo a scagionarsi. Egli viene avvertito di non accettare da Anu
l’offerta del pane e dell’acqua della vita, perché in realtà è un cibo di morte. Invece,
quando Anu offre il cibo che è veramente pane e acqua di vita, Adapa rifiuta
perdendo così la chance dell’immortalità per gli esseri umani.
6
Introduzione generale allo studio della Bibbia. Edizione italiana a cura di F. DALLA VECCHIA - A. NEPI - G.
CORTI, QUERINIANA, BRESCIA 1996, p. 74.
7
Cfr. Ivi. p. 82.
8
Cfr. J.B. PRITCHARD, Ancient near eastern texts. Relating to the Old Testament, Princeton University Press,
Princeton N.J. 1969
3
, pp. 114-118.
9
Cfr. Ivi, pp. 101-102.