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PREMESSA
A seguito dello scoppio della crisi finanziaria, la risposta delle politiche
economiche è stata intensa: i governi europei e le banche centrali hanno agito
tempestivamente al fine di contrastare le crescenti difficoltà delle istituzioni
finanziarie, nonché la conseguente crisi di fiducia, e ripristinare la stabilità del
sistema. Se, da un lato, l’azione di contrasto alla crisi ha permesso di placare il
panico finanziario, dall’altro lato ha di fatto creato le premesse per un
cambiamento di scelte strategiche da parte del management delle banche, che in
alcuni casi (potendo scommettere su futuri interventi di salvataggio) si sostanzia
in un vero e proprio comportamento di azzardo morale.
Questo lavoro intende verificare, attraverso informazioni ottenute da una
stima cross-sections su un campione di banche europee osservate negli anni 2007-
2009, se gli interventi di salvataggio, messi in atto dai governi e dalle banche
centrali per far fronte alla recente crisi finanziaria, abbiano in qualche modo
influenzato i comportamenti delle istituzioni finanziarie, soprattutto con
riferimento alla loro propensione al rischio. L’attenzione sarà principalmente
rivolta a tre variabili che giocano un ruolo cruciale nella determinazione del moral
hazard: dimensione, fonti di finanziamento e rapporto price to book value. In
particolare, si cercherà di dimostrare (attraverso un’analisi statica) come il rischio
morale sia tanto più grande nelle banche caratterizzate da alta leva finanziaria,
grandi dimensioni e basso charter value, e soprattutto si evidenzierà (tramite
un’analisi dinamica) come queste relazioni siano cambiate a seguito delle misure
di sostegno adottate.
L’analisi è articolata come segue: il primo capitolo offre una sintesi degli
interventi governativi posti in essere per far fronte alla crisi, nonché i principali
effetti collaterali; il secondo capitolo presenta una breve rassegna della letteratura
sul problema del moral hazard; nel terzo capitolo vengono descritti il campione di
riferimento e le variabili rilevanti impiegate nell’analisi, viene presentato il
modello empirico e vengono discussi i risultati ottenuti. Seguono le conclusioni.
3
CAPITOLO 1
GLI INTERVENTI GOVERNATIVI A SOSTEGNO
DEL SISTEMA FINANZIARIO
In risposta alla crisi che dall’estate del 2007 investe i mercati finanziari
internazionali, accresciutasi nel settembre del 2008 con il dissesto della banca
d’affari Lehman Brothers, le autorità monetarie e fiscali dei paesi industrializzati
hanno varato tempestivamente una serie di misure a sostegno delle banche, volte a
ripristinare condizioni di fiducia nel sistema ed un ordinato funzionamento dei
mercati.
L’azione di contrasto alla crisi si è sviluppata lungo le linee guida tracciate
dai ministri delle finanze e dai governatori delle banche centrali nel corso del
vertice del G7, tenutosi a Washington il 10 ottobre 2008: riattivare i mercati
monetari e creditizi; fornire sostegno alle istituzioni finanziarie che rivestono
rilevanza sistemica; assicurare la continuità dei flussi di finanziamento alle
banche anche mediante la concessione di garanzie; rafforzare la posizione
patrimoniale delle istituzioni in difficoltà, mediante piani organici di intervento
pubblico nel capitale; ampliare le garanzie sui depositi bancari
1
. Il
coordinamento internazionale è proseguito nell’ambito del Gruppo dei Venti
(G20), nel quale sono state discusse le misure necessarie per fronteggiare la crisi e
riformare il sistema finanziario internazionale. Gli interventi pubblici da parte di
governi e autorità monetarie appaiono variegati nei diversi ordinamenti:
assicurazioni sui depositi, iniezioni di capitale, garanzie sulle emissioni
obbligazionarie, acquisti e garanzie su attività patrimoniali
2
.
Una delle maggiori preoccupazioni dei governi è stata quella di evitare la
corsa agli sportelli; per questo motivo la forma di garanzia più utilizzata è stata la
protezione del denaro depositato in banca. Prima fra tutti l’Irlanda, nel settembre
del 2008, è stata costretta ad aumentare l’assicurazione sui depositi e,
successivamente, a garantire interamente i depositi delle sei maggiori banche
irlandesi. In seguito, tale forma di intervento è stata ampiamente utilizzata anche
1
Banca d’Italia, Relazione Annuale del 2008, www.bancaditalia.it.
2
New York Federal Reserve Bank, International Responses to the Crisis Timeline.
4
negli Stati Uniti, in Germania, Svezia, Regno Unito, Italia
3
e Svizzera.
L’assicurazione sui depositi non è stata l’unica misura adottata. Molte banche
sono state nazionalizzate: la Northern Rock e la Bradford & Bingley nel Regno
Unito, la Anglo Irish in Irlanda. I due colossi americani Fannie Mae e Freddie
Mac sono stati invece posti sotto l’amministrazione controllata del governo. Sono
state altresì introdotte garanzie su capitale e interessi dei debiti emessi dalle
banche (es. sono state estese, senza limiti di importo e ad alcune tipologie di
debito, le garanzie offerte dalla Fdic negli Stati Uniti; nell’ottobre del 2008, anche
l’Unione europea ha garantito il debito obbligazionario delle banche), e posti in
essere ampi interventi di ricapitalizzazione.
Le banche centrali di tutto il mondo sono diventate “prestatori di ultima
istanza”. Nel complesso le loro azioni hanno evitato che si verificassero problemi
ancora peggiori, hanno impedito il fallimento di banche caratterizzate da posizioni
di liquidità precarie e da difficoltà di accesso ai finanziamenti esterni e hanno
scongiurato una paralisi dell’intero sistema (soprattutto grazie al significativo
coordinamento internazionale). Tuttavia tali salvataggi, necessari per ragioni
macroeconomiche e per la stabilità finanziaria, sono di solito interpretati dai
mercati come promesse di nuovi interventi in occasione della prossima crisi
(ovvero, creano un precedente). Ciò porta ad abbandonare un comportamento di
tipo prudente e accorto o, addirittura, spinge a rischiare di più nella presunzione di
essere prontamente soccorsi e restare dunque indenni in quanto le perdite
ricadranno sulla collettività. Provvedendo al salvataggio delle banche, il governo
può dunque facilmente incentivare in futuro comportamenti improntati
all’assunzione di rischi eccessivi: “Il problema dell’azzardo morale è una delle
più gravi eredità che questa crisi ci lascia per gli anni a venire”
4
.
Il rischio morale, meglio conosciuto nella sua espressione inglese moral
hazard, è il fenomeno generato dalle aspettative ex-ante dei salvataggi che
sacrificano la disciplina di mercato a favore di un’eccessiva e ingiustificata
propensione dell’individuo ad assumersi rischi (che tenderebbe normalmente ad
evitare), nella consapevolezza di non doverne sopportare gli eventuali costi, in
quanto altri si faranno carico delle conseguenze negative delle sue decisioni.
3
Il 9 ottobre del 2008, il governo italiano annuncia che non avrebbe lasciato fallire nessuna delle
sue banche e che nessun depositante avrebbe subìto perdite.
4
Draghi M., 2009, “Gli Economisti e la crisi”, Intervento del Governatore della Banca d’Italia alla
50° Riunione scientifica annuale della Società Italiana degli Economisti, Roma,
www.bancaditalia.it.
5
Il classico esempio si riferisce al settore assicurativo (è qui che nasce il
termine azzardo morale): gli individui tendono a prendere precauzioni minori per
evitare gli eventi sfavorevoli per cui sono assicurati (es. chi stipula una polizza
contro il furto dell’automobile non ha incentivo a prendere le necessarie
precauzioni, quali dotarsi di un dispositivo di antifurto o parcheggiare l’auto
dentro un garage, in quanto il rischio ricade sull’assicuratore).
L’aspetto più critico degli interventi governativi a sostegno del settore
bancario (safety net) è dunque rappresentato dal fatto che si possono originare
incentivi sbagliati: la più bassa (o addirittura nulla) probabilità di fallimento può
incentivare i managers ad assumere rischi oltre i limiti. Le misure di sostegno
adottate, sia esplicite che implicite, favoriscono dunque comportamenti di azzardo
morale, perché impediscono ai mercati di esercitare la loro azione di disciplina
5
.
Le società finanziarie infatti, a differenza delle comuni imprese, fanno maggior
ricorso a capitali di prestito per finanziarie le proprie operazioni: gli azionisti
hanno perciò pochi incentivi a scoraggiare il management dall’adottare
comportamenti imprudenti. D’altro canto, anche i creditori che concedono
finanziamenti alle banche ed altre società finanziarie, consapevoli di non dover
subire perdite in caso di fallimento (perché protetti dalle autorità governative),
preferiscono non esercitare attività costose di monitoraggio e controllo sulle
performance dei managers. Nemmeno i creditori non garantiti sono in grado di
prendere provvedimenti contro l’operato delle istituzioni finanziarie, forse perché
le somme non garantite sono troppo basse per fare la differenza, e soprattutto
perché “se c’è una lezione delle crisi finanziarie che tutti ricordano è che, quando
il gioco si fa duro, interviene un prestatore di ultima istanza a salvare la
situazione”
6
.
Un ulteriore canale di creazione di moral hazard, evidenziato anche dalla
recente crisi finanziaria, è quello legato alle banche di maggiori dimensioni.
Mario Draghi, in un articolo pubblicato su una newsletter del think tank «Eurofi»,
sottolinea infatti: “E’ stato necessario aiutare le grandi banche ma tutto questo ha
rafforzato l’azzardo morale in modo molto significativo”
7
. L’espressione “too big
5
La disciplina di mercato sanziona, mediante un incremento del costo della raccolta su passività
non garantite, le banche che assumono dosi di rischio giudicate eccessive dagli investitori (rende
dunque l’assunzione di rischio progressivamente più costosa).
6
N. Roubini, S. Mihm, “La crisi non è finita”, Feltrinelli, 2010, p.90.
7
Corriere della Sera, Redazione online, 17 febbraio 2011, www.corriere.it.