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CAPITOLO I
LA CRISI FINANZIARIA DEL 2007
1.1 Gli anni ’90 in America
Gli anni precedenti l‟odierna crisi finanziaria sono stati caratterizzati da una sostenuta
espansione delle economie mondiali: dopo il rallentamento del 2001, infatti, si è registrata
una crescita assai elevata nel triennio 2004-06. Fu questo il cosiddetto periodo della «Great
Moderation», in virtù della modesta entità delle fasi recessive
1
.
In USA, a capo della FED si trovava Alan Greenspan, che rivestì la carica di presidente
dal maggio 1987 al gennaio 2006. Egli governò la Federal Reserve in un periodo di
andamento generalmente positivo dell‟economia. Se infatti gli anni Settanta e Ottanta
furono caratterizzati da gravi shock (i tassi di inflazione e di disoccupazione raggiunsero
addirittura la doppia cifra) dagli anni Novanta in poi la situazione economica mondiale
migliorò decisamente.
Figura 1: Tasso di disoccupazione USA e recessioni (1969-2009)
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Stefano Mieli, La crisi finanziaria internazionale e le banche italiane, Roma (4 Marzo 2009)
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L‟occupazione era relativamente elevata: alla fine degli anni Novanta e poi ancora a metà
del decennio successivo, il tasso di disoccupazione scese a livelli che non si vedevano
dagli anni Sessanta, con il tasso di disoccupazione che tra il 1993 e il 2000 scese
addirittura al di sotto del 4%
2
. Per gli investitori finanziari, quegli anni furono di grande
prosperità, con l‟indice Dow-Jones che superò i diecimila punti e con un prezzo delle
azioni in crescita mediamente di oltre il 10% l‟anno.
Le imprese USA capirono in quegli anni come usare efficacemente le nuove tecnologie e i
continui sviluppi in ambito informatico, imprimendo cosi una fortissima accelerazione nel
tasso di crescita della produttività, ossia l‟output che produce un lavoratore medio in
un‟ora. Più che ad una corretta politica monetaria, fu proprio quest‟incremento della
produttività accompagnato dall‟aumento dei profitti societari, a mettere sotto controllo
l‟inflazione. Il paese avvertiva un forte senso di prosperità ed, apparentemente, non si
riscontravano segni di fragilità nel sistema finanziario: i bassi tassi di disoccupazione ,
contrariamente a quanto accadde nei due decenni precedenti, non andarono ad inficiare
sull‟indice dei prezzi al consumo. In altre parole, l‟inflazione riuscì quasi
sorprendentemente a rimanere stabile.
La recessione del 2001 fu invece imputabile al primo scoppio della bolla speculativa sugli
assets, quella azionaria (poi successivamente chiamata la bolla della New Economy):
l‟estremo ottimismo sul potenziale di profitto dell‟Information Technology, il crescente
senso di sicurezza sull‟andamento dell‟economia, le performance macroeconomiche
nettamente migliorate, fluttuazioni del ciclo economico che sembravano essersi attenuate e
la convinzione che l‟epoca delle recessioni fosse definitivamente alle spalle furono soltanto
alcune delle cause che spinsero i prezzi delle azioni a livelli stratosferici. Gli investitori,
visti gli enormi guadagni conseguiti dai primi acquirenti che avevano puntato sull‟IT,
erano disposti a credere che molte altre aziende potessero seguire il sentiero intrapreso da
Microsoft & C. Ma sembravano esserci anche delle ragioni più serie per acquisire azioni,
prima tra tutte la consapevolezza che lo strumento azionario potesse essere, in un‟ottica di
lungo periodo, un ottimo investimento, a patto di mantenerlo a lungo in portafoglio senza
liquidazioni.
2
Krugman Paul R., Il ritorno dell’economia della depressione e la crisi del 2008, Garzanti libri (2009)
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In tutto ciò, c‟era naturalmente un equivoco di fondo: nell‟economia non c‟era posto per
tutte le future Microsoft che le persone pensavano di aver identificato; ma la pubblicità ha
una sua eterna efficacia e la gente era disposta a sospendere le proprie facoltà razionali.
In quasi tutti i settori, le aziende erano convinte che le nuove tecnologie avevano cambiato
tutto, e che le vecchie regole sui limiti che si frapponevano al profitto ed alla crescita non
si sarebbero più applicate. Tuttavia, in non pochi casi, si è poi saputo che queste storie
edificanti erano sostenute da frodi contabili.
Figura 2: NASDAQ (1994-2008). Il punto di massimo delle Dot.com nel Marzo 2000
Con l‟incremento dei corsi azionari, la bolla iniziò ad autoalimentarsi e sempre più fondi si
diressero su questa tipologia di strumenti, con un inevitabile incremento del loro prezzo.
Ma solamente nella primavera del 2000 si capì di trovarsi di fronte ad una vera propria
bolla speculativa: nei due anni seguenti le azioni persero in media il 40% del loro valore.
Archiviata la recessione del 2001 in soli 8 mesi, l‟economia riprese a crescere a ritmi
sostenuti, dando cosi modo di gonfiarsi alla bolla successiva: quella immobiliare. Ma
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questa con effetti ben più disastrosi sull‟economia reale nel momento del suo
sgonfiamento.
1.2 L’evoluzione del sistema finanziario americano: il fenomeno
della cartolarizzazione come fattore centrale di instabilità
La crisi finanziaria che sta interessando l‟economia mondiale, ed in particolare le
economie più avanzate, ha avuto origine nel mercato dei mutui ipotecari (mortgages) degli
Stati Uniti
3
.
Tradizionalmente le banche finanziano l‟acquisto di immobili erogando mutui di medio
lungo periodo garantiti da ipoteche sulle stesse abitazioni. Il valore del mutuo erogato
sconta un margine (haircut) rispetto al valore di mercato dell‟abitazione, per rendere la
garanzia effettiva a fronte dei:
- costi connessi all‟eventuale pignoramento (foreclosure)
- possibilità di una discesa futura del valore di mercato dell‟immobile (price-down)
Inoltre, il mutuo può prevedere un tasso d‟interesse fisso o variabile, con quest‟ultimo
generalmente indicizzato con riferimento a tassi di mercato di breve periodo (es: spread
fisso applicato sopra il LIBOR).
Le banche possono tenere i mutui in bilancio fino alla loro scadenza, oppure grazie alle
innovazioni finanziarie ed ai nuovi strumenti negoziabili sui mercati dei capitali ma
soprattutto OTC (Over The Counter), trasformarli in titoli da cedere sul mercato.
Negli USA la cartolarizzazione (securitization) avveniva originariamente per mezzo di due
Government-Sponsored Enterprises (GSE), Freddie Mac e Fannie Mae, che acquisivano
dalla banche mutui che rispettassero però certi standard minimi, li trasformavano in titoli
denominati Mortgage-Backed Securities (MBS), in parte tenuti in portafoglio ed in parte
ceduti ad investitori di mercato. L‟attività di Freddie Mac e Fannie Mae era finanziata
attraverso l‟emissione di obbligazioni, con un costo della raccolta contenuto, in quanto era
3
Mario Tonveronachi, La crisi finanziaria del 2007, (2009)
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presente una garanzia pubblica che permetteva alle GSE di avere un alto rating4. Il basso
costo della raccolta era traslato sui prenditori di fondi, che potevano giovarsi di bassi tassi
d‟interesse, a patto che si rispettassero standard minimi sulla qualità del debitore e un tetto
massimo al valore del mutuo, solitamente commisurato al prezzo di un‟abitazione per la
classe media (ad esempio, il debitore doveva essere in grado di anticipare una somma
consistente e doveva avere un reddito sufficiente a rimborsare le rate, ed il finanziamento
poteva essere erogato solo per l‟acquisto della prima casa).
Questi standard minimi lasciavano tuttavia non soddisfatta una gran parte della domanda
potenziale verso questi prestiti (denominati prime), vuoi perché il valore dell‟immobile che
si andava ad acquistare e per il quale quindi si richiedeva il mutuo, era spesso più alto
rispetto a quello massimo consentito dai prime, vuoi perché molti prenditori non avevano
la caratteristiche di reddito e ricchezza tali da rispettare lo standard prefissato.
Fino al grande scoppio della bolla immobiliare, la cartolarizzazione era quasi
completamente limitata ai mutui prime: erano rari i casi di mutuatari che andavano in
default (al massimo, i default erano dovuti a perdite di lavoro o emergenze sanitarie della
famiglie americane), ed in ogni caso i tassi di insolvenza erano bassi, con gli acquirenti dei
titoli che in ogni caso sapevano a che cosa potevano andare incontro.
Le continue innovazioni finanziarie a cui abbiamo assistito a partire dai primi anni
Novanta, ed in particolar modo la nascita di nuovi strumenti finanziari derivati, permisero
tuttavia di estendere il finanziamento per l‟acquisto di abitazioni, anche a soggetti che non
rispettassero quei requisiti di cui abbiamo precedentemente parlato, dando cosi luogo ad un
crescente mercato dei mutui esterno al circuito di Freddie Mac e Fannie Mie.
L‟operatività degli intermediari finanziari è cosi passata dall‟originale modello “originare
per detenere” al modello “originare per distribuire”, attraverso il quale gli intermediari, ed
in particolar modo le banche, poterono concedere mutui per poi cederli cartolarizzati sul
mercato. Con questa complessa struttura di intermediazione, fu possibile espandere
l‟offerta di credito anche verso prenditori definiti sub-prime, ossia con merito creditizio
ben più basso rispetto ai prime originari. I mutui sub- prime, in altre parole, erano assunti
da soggetti che non erano in grado di fornire le assicurazioni richieste circa la loro capacità
futura di servire il debito. In questa categoria vi si trovavano sia coloro che con buona
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Ferruccio De Bortoli, Addio alle gloriose Fannie e Freddie, Il Sole 24 ore (approfondimenti), 2009
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probabilità erano in grado di servire il debito ma che offrivano una documentazione
modesta (mutui low doc), coloro che non presentavano alcuna documentazione (mutui no
doc), ed addirittura mutuatari che offrivano una documentazione non veritiera (mutui liar
loans)
5
. Infine poteva anche accedere che il prestito potesse essere concesso anche ai
cosiddetti ninja, cioè una categoria di debitori che avrebbero potuto restituire capitale e
interessi solo a seguito di circostanze future favorevoli.
Oltre ai mutui sub-prime, nacquero anche ulteriori categorie di prestiti, come gli Alt-A, che
costituivano una tipologia intermedia tra i prime ed i sub-prime, dove l‟ammontare erogato
era superiore ai prime e le informazioni circa il cliente erano limitate.
Fonte: Credit Suisse
Figura 3: Quota dei mutui sub-prime e Alt-A sul totale dei mutui originati (%)
L‟innovazione finanziaria che ha reso possibile la cartolarizzazione dei mutui sub-prime è
stata la collateralizated debt obligation (CDO), ossia un‟obbligazione che ha come
garanzia (collateral) un debito, che in questo caso era rappresentato da pool di mutui,
spesso appartenenti proprio alla categoria dei sub-prime.
5
Nicoletta Vaccaro, La crisi dei mutui sub-prime, Marzo 2008
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Ma vediamo più da vicino come avveniva l‟intero processo.
Le banche, solitamente di grandi dimensioni, generavano una serie di mutui, raccogliendoli
in un unico contenitore di tipo MBS. I titoli cosi strutturati erano poi ceduti ad una
istituzione fuori bilancio, spesso creata ad hoc dalla banca stessa, (denominata Conduit,
Special Purpose Vehicle o Special Investment Vehicle), che si finanziava attraverso
l‟emissione di obbligazioni.
I titoli emessi avevano tuttavia diversi gradi di subordinazione nel sopportare le eventuali
perdite sulle attività sottostanti. Si trattava in sostanza di distribuire i flussi di pagamenti
originati dal pool di mutui o di attività sottostanti in modo non uniforme, creando quote
(tranches) con decrescente grado di priorità: un “contenitore” di bassa qualità poteva
quindi essere in grado di generare tranches con elevato rating. Le tranches in cui erano
suddivisi i titoli cosi collocati erano essenzialmente tre:
1. Una prima tranche equity , che doveva assorbire le insolvenze iniziali sul pool di
prestiti, fino al suo esaurimento;
2. Una seconda tranche mediana, chiamata mezzanine, che doveva assorbire parte
delle perdite addizionali;
3. Una terza ed ultima tranche junior, cioè titoli che dovrebbero risultare protetti dal
rischio di insolvenza del pool di attività grazie all‟assorbimento delle perdite da
parte degli altri titoli subordinati.
Figura 4: Il processo di cartolarizzazione
Fonte: IMF staff estimates. CDO = Collateralized debt obligation
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Come si evince dalla figura, il problema che ha innescato l‟attuale crisi finanziaria è stata
la rischiosità non correttamente valutata di queste obbligazioni emesse sui mercati
finanziari. Molte delle tranches emesse erano titoli apparentemente investment grade, ossia
titoli che potevano contare su un ottimo rating, caratteristica basilare al fine di renderli
facilmente cedibili ad altri operatori finanziari. L‟alto rating attribuito a questa tipologia di
titoli era in particolar modo dovuto sia alla copertura offerta dalle compagnie di
assicurazione, per mezzo di credit default swaps (CDS), sia dalle garanzie prestate dagli
stessi originatori (ad esempio, sottoforma di opzioni di riacquisto dei titoli al valore di
cessione o di linee di credito contingenti qualora l‟acquirente si fosse trovato in difficoltà a
finanziarsi sul mercato)
6
.
Nell‟Aprile 2008, il FMI valutò ben nel 90% la quota dei titoli collocati con rating AAA
che avevano come sottostante i debiti sub-prime. Questa qualificazione risultava cruciale
nel sistema finanziario americano, in quanto la maggior parte degli investitori istituzionali
(come assicurazioni, fondi pensione) erano vincolati ad impieghi con alto rating. Quindi, i
prodotti strutturati ben si prestavano alle loro esigenze, anche in virtù di un rendimento
molto più alto a fronte di uno stesso rating.
Per le banche originanti e gli altri soggetti operanti in questa struttura complessa, come le
società di rating e le assicurazioni, i benefici derivavano dai redditi ricavati dai servizi
prestati, che si moltiplicavano con il volume dei mutui generati e poi trasformati e
distribuiti.
Il rischio di credito sui CDO ed ABS emessi era quindi traslato sugli assicuratori: se i rischi
fossero stati valutati in maniera conservativa, i premi richiesti per la loro copertura
sarebbero stati ben più consistenti; ciò avrebbe diminuito la redditività derivante dalla
creazione di CDO, frenando la loro crescita e quindi, a monte, la creazione dei mutui sub-
prime. La fragilità dell‟intera struttura dipendeva anche dalla concentrazione dei rischi:
rischi concentrati in poche unità pongono in primo piano il rischio di controparte, ossia la
possibilità che qualora si verifichino perdite significative gli assicuratori non siano in grado
di farvi fronte (come poi, infatti, è accaduto).
6
Mario Tonveronachi, La crisi finanziaria 2007, (2009)
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Infine, la metodologia impiegata dalle società di rating si limitava a valutare il rischio di
credito con riferimento all‟esperienza passata, ma in questo caso emersero due limiti
importanti:
I. La maggior parte degli strumenti strutturati era scambiata OTC e non in mercati
secondari organizzati, senza quindi le garanzie di liquidità che questi mercati sono
in genere in grado di assicurare. Non aver valutato in queste condizioni il rischio di
liquidità costituì una seria sottovalutazione dei rischi per questa tipologia di
strumenti;
II. I debitori sub-prime costituivano una popolazione statistica nuova, sulla quale non
si avevano dati passati che avrebbero permesso di poter stimare correttamente
probabilità e costi di un eventuale default. Quindi, l‟utilizzo a questo fine di dati su
una popolazione diversa da quella sub-prime portò ad una ulteriore distorsione
nella misura dei rischi.
1.3 La dinamica del mercato immobiliare USA e le caratteristiche
contrattuali dei mutui sub-prime
Tuttavia, ancora non abbiamo chiarito il motivo per il quale la domanda di mutui da parte
di soggetti con basso merito di credito aumentò in maniera esponenziale.
Essenzialmente, sono tre i motivi per cui ciò accadde:
1. Alcune caratteristiche contrattuali intrinseche dei mutui sub-prime;
2. La dinamica del mercato immobiliare;
3. Il basso livello dei tassi di interesse in quegli anni.
Relativamente al primo punto, si può affermare che pratica diffusa, specialmente a partire
dal 2004, era che molti prestiti prevedessero una sorta di “periodo di grazia iniziale”. Con
questa affermazione ci si riferisce alla consuetudine di tener basse per due o tre anni le rate
del mutuo, applicando “tassi allettanti” (teaser rate) e/o quote ridotte o nulle di
ammortamento di capitale. Alla fine di questo periodo avveniva il cosiddetto reset, e le rate
iniziavano ad includere l‟ammortamento e un tasso di interesse indicizzato su quello
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corrente di mercato. Ma per comprendere appieno l‟evoluzione del mercato dei mutui, che
costituisce l‟epicentro della crisi, occorre soffermarsi anche sulla dinamica del mercato
immobiliare. Il punto di partenza, ovvero la causa remota della crisi dei sub-prime è la
“ricerca di rendimento” e l‟associato “appetito per il rischio” determinatosi dopo il crollo
del mercato azionario del 2000, che aveva posto termine alla bolla della New Economy
7
.
Per far fronte alle conseguenze recessive del crollo del mercato azionario, Alan Greenspan
adottò una politica di bassi tassi di interesse che garantiva, da un lato, un‟ampia riserva di
liquidità agli operatori e, dall‟altro, deprimeva i rendimenti dei titoli a basso rischio. Per
questo motivo, gli investitori istituzionali a caccia di rendimento furono disposti ad
accettare titoli più rischiosi in portafoglio. E quali opportunità di investimento erano
disponibili in quel periodo? Il mercato azionario, come abbiamo visto, non ne offriva,
mentre le attività reali, tra le quali il posto principale è rappresentato dagli immobili,
costituivano il candidato naturale di investimento della liquidità in portafoglio. Nello stesso
tempo, la cartolarizzazione permetteva nuove opportunità di investimento in titoli, generati
indirettamente dal mercato immobiliare. Di qui, l‟incremento cospicuo e continuo sia dei
volumi dei prodotti scambiati, sia dei prezzi degli immobili.
Gli effetti della politica monetaria espansiva di Greenspan richiesti dopo lo sgonfiamento
della bolla azionaria, con un tasso di sconto che fu abbassato fino all‟1%, cominciarono
quindi a far presa solo quando iniziò a gonfiarsi la successiva bolla, quella immobiliare.
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Krugman Paul R., Il ritorno dell’economia della depressione e la crisi del 2008, Garzanti libri (2009)