5
rilanciare l’ attività dell’ impresa, per un immediato ritorno al valore. Tale processo è
definito dal termine anglosassone “turnaround”.
Tutto questo è argomento del quarto capitolo, insieme alle varie conseguenze che tale
processo comporta.
Una volta data al lavoro un’ impronta teorica sugli aspetti che contraddistinguono le
varie fasi di un’ azienda in crisi, nel quinto capitolo si focalizza l’ attenzione su un caso
concreto di recente sviluppo: quello del gruppo Gandalf, il quale sarà preceduto da un’
analisi generale sull’ andamento del settore del trasporto aereo.
La Gandalf Airlines è una compagnia aerea regionale europea, principalmente
dedicata a voli di linea internazionali nei giorni lavorativi infrasettimanali, con base
operativa presso l’aeroporto di Orio al Serio (BG).
Tale società, oltre alle normali difficoltà che si incontrano nella fase di start-up, ha
dovuto affrontare la situazione di profonda crisi che di recente ha coinvolto l’ intero
settore del trasporto aereo, soprattutto in conseguenza ai ben noti fatti dell’ 11 settembre
2001.
Nonostante i vari tentativi di turnaround, di ricapitalizzazione e di consolidamento del
debito, il gruppo è ormai prossimo alla liquidazione. Tutto ciò viene analizzato nel
dettaglio nel quinto capitolo insieme all’analisi dei bilanci e dei dati più significativi.
Il lavoro si conclude cercando di evidenziare: 1) come mai una società neonata e
quotata nel nuovo mercato, e quindi con maggiori attenzioni e controlli da parte degli
organi preposti, non sia riuscita a riemergere da una ben delineata situazione di crisi; 2)
quali sono state le cause e i principali colpevoli; 3) cosa si sarebbe potuto fare per
evitare di giungere alla liquidazione.
6
Capitolo 1 – La crisi d’ impresa: definizione, cause,
gestione.
1.1 Gli squilibri alla base del decadimento.
La ricerca ed il mantenimento dell'equilibrio economico nel lungo periodo, condizione
prima per la sopravvivenza e lo sviluppo della vita aziendale, comportano continue
trasformazioni di strutture, di processi e di combinazioni produttive, necessarie per
adeguare il sistema aziendale alla costante evoluzione del più ampio sistema nel quale
esso si trova inserito e con il quale instaura una serie di relazioni attive e passive.
Durante tutto l’ arco del proprio ciclo di vita, un’ azienda si trova a dover affrontare
un’ alternanza di periodi positivi e negativi, nella continua ricerca di un equilibrio che
possa garantire il successo o, quanto meno, l’autosufficienza economica.
1
Se l’ obiettivo primario di un’ azienda che opera in condizioni di normalità è
accrescere il valore del proprio capitale economico, la realizzazione di performance
negative può risultare un campanello d’ allarme da tenere in grande considerazione.
Nonostante il recente shock e il clamore suscitato dalla crisi di colossi industriali come
Cirio, FIAT e il recentissimo caso Parmalat, o ancora del colosso energetico americano
Enron, spostando l’ attenzione oltre oceano, il fenomeno della crisi aziendale non è mai
una situazioni che si viene a creare da un giorno all’ altro, ma è caratterizzato da lunghi
processi logoranti che arrivano agli occhi di tutti solo quando la situazione è ormai
compromessa. L’analisi svolta da alcuni studiosi ha evidenziato come la crisi di una
società o di un gruppo non sia improvvisa, ma nella maggior parte dei casi si evidenzi
almeno due anni prima dell’assoggettamento: capire i segnali significa evitare il
progressivo peggioramento della consistenza patrimoniale dell’impresa.
2
La decadenza e lo squilibrio sono le tipiche fasi che precedono uno stato di crisi.
Vengono definiti come sintomi premonitori o, addirittura, motivi di propensione al
1
Si veda AA.VV., Crisi d’ impresa e strategie di superamento, Giuffrè editore.
2
Al riguardo si veda l’analisi di Floreani A. , Gli strumenti per la gestione delle crisi in Italia, Milano,
Mediocredito Lombardo, pp. 352-67.
7
declino o alla crisi. Generalmente i primi sono di tipo qualitativo, i secondi di tipo
quantitativo. La difficoltà possono essere rilevate dall’andamento negativo degli
indicatori di redditività e di economicità; andamento negativo che, ovviamente, non è
spiegabile alla luce di fenomeni generali, e soprattutto transitori, interessanti il mercato
e, allo stesso modo, le aziende concorrenti. Le valutazioni di efficienza possono essere
di prezioso ausilio per individuare precocemente l’esistenza di una fase di decadenza o
di squilibrio: l’abbassarsi di certi rendimenti (in senso temporale e/o spaziale), l’iniziale
complessivo peggioramento degli intangible assetts aziendali, la constatazione di una
sensibile perdita di clientela dovuta ad una perdita di immagine, dovrebbero richiamare
l’attenzione sull’esigenza di avviare i primi interventi di risanamento.
Appurato che la crisi prende corpo in un periodo certamente non breve, si può
affermare che essa è causata dal protrarsi di tendenze sfavorevoli (sommarsi di
situazioni critiche), che producono distorsioni progressive all’equilibrio economico e
finanziario. Il declino o la crisi di un’impresa sono, quindi, il risultato di fatti
“strutturali”, di alterazione profonda di meccanismi di funzionamento dell’impresa, di
stati di grave inefficienza e di inefficacia della gestione, non avvertiti tempestivamente
dal management. Appare chiaro, di conseguenza, l’importanza del ruolo del
management nell’ individuare i sintomi di una situazione di squilibrio e nel porvi
immediatamente rimedio.
Una crisi d’impresa può essere definita anche come l’epilogo di una situazione di
degrado delle risorse immateriali fondamentali (conoscenza e fiducia)
3
, che invece di
seguire il circolo virtuoso di arricchimento del patrimonio aziendale, favorendo lo
sviluppo d’impresa, innescano un circuito vizioso che, in assenza di interventi di
risanamento, conduce alla perdita di fiducia all’interno e all’esterno dell’azienda.
Nei dibattiti sulle cause di irreversibilità che hanno portato ad una crisi, di solito si
fronteggiano due tesi contrapposte: quella che attribuisce la crisi all’incapacità del
management di trovare nuove formule di governo dell’azienda e di diversificazione
degli investimenti, e quella che invece ribalta la responsabilità sulle avverse condizioni
esterne. Entrambe hanno un fondamento di verità, ma, prese singolarmente, danno solo
delle spiegazioni parziali di quello che in realtà è un fenomeno altamente complesso.
L’irreversibilità può dipendere, in effetti, da incapacità soggettive dei protagonisti nel
3
Si veda Vicari S., Risorse aziendali.
8
fronteggiarla o dalla mancanza dei tempi minimi per ottenere risultati atti a superare
situazioni di difficoltà; d’ altra parte è anche vero, però, che una crisi di settore
complica qualsiasi tentativo di risanamento.
4
Spesso risulta, quindi, difficile
comprendere se il ritardo dei risultati previsti sia dovuto al mancato superamento di
ostacoli fisiologici e non eccezionali, legati a problemi di introduzione nel mercato e di
messa a punto dell’organizzazione oppure trovi origine in errori di progettazione delle
scelte strategiche e strutturali assunte nel business plan.
5
Bisogna tuttavia rilevare che le situazioni di crisi quasi sempre si acuiscono in
concomitanza del modificarsi delle situazioni di mercato (a loro volta legate alle
situazioni economico-generali a livello interno ed internazionale) e all’incedere del
progresso tecnologico. Spesso l’evoluzione dell’ambiente e del mercato, anche sotto il
punto di vista tecnologico, pretendono un’elevata professionalità e preparazione nella
gestione dell’impresa, non sempre proprie di un management che si trova ad affrontare
situazioni non alla propria portata.
6
E’ possibile tentare di distinguere situazioni di decadenza o squilibrio che possono
trasformarsi in vere e proprie crisi a matrice esterna, da quella a matrice interna. Nelle
prime, l’impatto di fattori fuori del controllo imprenditoriale è dominante e
determinante; nelle seconde gli errori strategici ed organizzativi compiuti dal
management aziendale rappresentano la causa prima dello stato patologico.
Per quanto concerne le crisi esterne, il caso più comune è quello della crisi settoriale che
investe comparti dell’economia o particolari settori industriali. Le crisi settoriali
possono avere cause specificatamente economiche (calo della domanda, eccesso di
capacità produttiva, ecc.), ma anche cause ecologiche ed accidentali: si pensi per
esempio alle devastazioni provocate dalle calamità naturali, sempre più frequenti negli
ultimi anni.
Per quanto concerne le crisi a matrice interna, esse si legano alla gamma degli eventuali
errori compiuti sul piano imprenditoriale. Si può generare una situazione di difficoltà
dovuta ad errori nella progettazione di investimenti e nella loro attuazione: questi ultimi
si collegano all’interruzione e alle disfunzioni prodotte nei processi operativi di
4
Al proposito si veda Sciarelli S., La crisi d’impresa, e Vergara C., Disfunzioni e crisi aziendali, 1988.
5
Una disamina approfondita degli errori strategici all’origine di una crisi aziendale è compiuta da
Canziani A., Le strategie d’impresa.
6
Si veda Gilardoni A. e Danovi A., Cambiamento, ristrutturazione e sviluppo dell’impresa, 2000, Egea.
9
gestione, i cui effetti possono riflettersi pesantemente sui flussi di ricavi e di entrate
aziendali. Si pensi ad un rinnovo parziale o totale di un impianto o di una linea
produttiva: esso può comportare la fermata della produzione, l’arresto delle vendite e la
conseguente perdita della clientela. In un’azienda in funzionamento, la progettazione
corretta degli investimenti e la loro puntuale attuazione, costituiscono eventi importanti
ai fini dell’equilibrio gestionale e possono, in presenza di errori, diventare cause di crisi.
Gli squilibri possono essere ancora più gravi al crescere dell’incidenza dei costi fissi e al
peso del fattore “innovazione”: l’incapacità di padroneggiare investimenti innovativi
può essere, sovente, all’origine di crisi economico-finanziarie.
I rischi di crisi aumentano, inoltre, in presenza di aziende dotate di scarsa flessibilità
strategica, strutturale ed operativa, per cui la complessità e il dinamismo dell’ambiente
possono contribuire in maggior misura al determinarsi di situazioni generali di difficoltà
aziendale.
7
Altro fenomeno collegato a situazioni di squilibrio o decadenza interne all’azienda, è
quello di un errore di posizionamento. Frequenti sono gli esempi di imprese che
decidono il lancio di un prodotto su un determinato segmento e/o nicchia di mercato.
Può accadere che, nonostante il prodotto e l’idea su cui si basa sia buona, il mercato o il
segmento di clientela cui si è rivolti, non è quello idoneo ad ottenere i risultati sperati.
Indipendentemente da quelle che possono essere state le cause dell’insuccesso
(culturali, di marketing, di pubblicità, ecc.), compito del management è cogliere subito
l’errore e rimediare. A volte accade che, soprattutto se il prodotto è frutto di un
investimento notevole, si persevera nel voler a tutti i costi “piazzare” il prodotto in quel
mercato o nicchia, con il risultato non solo di investire altro denaro nel lancio, ma di
perdere gli investimenti già effettuati per la sua creazione. Questo tipo di politica,
economicamente e finanziariamente scellerata, spesso trasforma una situazione di
difficoltà e di squilibrio iniziale in un vero e proprio declino per l’azienda in questione.
Con ciò si intende operare una prima distinzione tra la “crisi”, quale fatto
complessivo che riguarda la struttura e l’operare dell’impresa, e le “situazioni critiche”,
che si collegano ad eventi puntuali e circoscritti nei loro riflessi negativi sugli squilibri
aziendali. Un grave errore nella progettazione e nel lancio di un nuovo prodotto, un’
errata taratura del mercato, uno sbaglio nella costruzione della rete di vendita, un
7
Per un’attenta analisi su tale concetto, Sciarelli S. L’impresa flessibile, Cedam, 1987.
10
insuccesso nella penetrazione di un mercato, comportano situazioni critiche che possono
essere meglio circoscritte e più facilmente valutate ai fini del risanamento.
Il successo di un’azienda dipende dall’intrecciarsi di più elementi, ma la validità della
formula imprenditoriale, l’idoneità della formula operativa (sistemi e meccanismi
operativi), l’efficienza dell’organizzazione dono elementi da cui non si può
prescindere.
8
La formula imprenditoriale si collega all’individuazione di opportunità di
mercato, cioè alla capacità di cogliere, sulla base delle risorse specifiche disponibili e
acquisibili, occasioni d’affari. Il ruolo dell’imprenditore nel migliorare l’uso delle
risorse, di disporle in modo che possano aumentare il loro ritorno in termini economici
attraverso le informazioni possedute, la conoscenza programmata dei nuovi fenomeni e
la sua capacità di tradurre il patrimonio informativo in idee innovative, risulta di
fondamentale importanza nel predisporre le condizioni di successo. Bisogna saper
prendere decisioni valide in termini economici ma, anche, avere l’abilità di attuarle in
condizioni di efficienza. Efficacia ed efficienza rappresentano un binomio indissolubile
alla base del risultato aziendale.
L’incisività della formula imprenditoriale (efficacia) discende dall’assunzione di
scelte strategiche valide (ossia in grado di procacciare occasioni durevoli di affari per
l’impresa); l’idoneità della formula operativa (la traduzione delle decisioni in azioni
congruenti con i risultati da raggiungere) sta nella capacità di creare sistemi e procedure
applicabili con successo dagli esecutori.
Per concludere, quando un’impresa si trova in una situazione di squilibrio, per evitare
che tale stato si tramuti in crisi, c’è bisogno innanzitutto di un processo di analisi della
situazione di difficoltà e vedere se:
a) si collega, e in quale modo, a crisi di carattere settoriale;
b) deve comportare anche un mutamento, parziale o totale, della formula
imprenditoriale in essere;
c) richiede, in assenza di una modifica della formula imprenditoriale, una revisione
della formula operativa;
d) impone un cambiamento anche nella formula organizzativa, intesa quale sistema
di tipo strutturale e procedurale e quale espressione di un sistema di valori
professionali e culturali.
8
A tal proposito, sempre Sciarelli s., La crisi d’impresa, pp. 45-46.
11
Emerge l’importanza, dunque, della programmazione preventiva per affrontare la crisi,
quello che viene definito “Crisis Management”: predisposizione di processi di controllo
per prevenire le crisi stesse. Si tratterebbe, in altri termini, di creare una struttura e di
attivare delle procedure per cogliere tempestivamente i segnali di crisi.
9
Ciò,
naturalmente, non appare possibile quando ci si trova in presenza di un evento
catastrofico, per sua natura imprevedibile e incontrollabile.
1.2 La fase di declino.
Nell’ultimo decennio i casi di crisi hanno subito un forte incremento. Secondo le
statistiche giudiziarie elaborate dall’Istat., il numero dei fallimenti dichiarati è passato
da 5.967 del 1981 a 13.407 del 1998: una crescita superiore al 200%.
10
Gli anni novanta hanno messo in risalto alcune peculiarità in relazione:
• alla tipologia delle aziende in dissesto (grandi imprese, holding finanziarie ed
industriali);
• al superamento quasi totale del principio secondo cui allo Stato spettasse un
obbligo, quasi morale, di “salvataggio” delle imprese in crisi;
• all’importanza del ruolo assunto dai creditori, in special modo banche,
nell’ambito della predisposizione e della gestione dei piani di ristrutturazione;
• alla natura e specificità degli attori coinvolti: banche d’investimento, società di
consulenza e professionisti.
• all’ampio spettro di soluzioni poste in essere.
Se in passato si è dibattuto sull’individuazione della scelta da effettuare di fronte ad una
crisi, e cioè se adottare una scelta di tipo giudiziario (che avrebbe dovuto portare verso
la liquidazione) o una scelta di tipo economico, sociale e finanziario (la
ristrutturazione), oggi al centro della discussione vi è, invece, la ricerca di “sistemi di
9
Tale tema è trattato da Kiyonari T., La gestione delle crisi connesse alla crescita delle medie imprese in
Giappone, in Prevenzione e terapia delle crisi d’impresa, a cura di F. Corno, Cedam, 1988.
10
Al riguardo si veda Bertoli G., Crisi d’impresa, ristrutturazione e ritorno al valore, Egea, p.11.
12
gestione della crisi”, cioè di meccanismi istituzionali volti alla gestione della crisi
stessa.
L’accrescimento del valore è il fondamentale obiettivo economico che tutte le
imprese si prefiggono. Quando la continua creazione di valore economico viene
interrotta, appare necessaria l’esigenza di effettuare un’analisi che mostri il più
chiaramente possibile qual’è la reale situazione dell’azienda, al fine di distinguere
momenti di diversa gravità: il declino e la crisi appunto.
Il concetto di declino è affiancato al concetto di perdita di valore nel tempo. Il declino
è identificabile con una sensibile flessione, sistematica e irreversibile, dei flussi
economici non solo passati ma anche, e soprattutto, legati alle attese. Insieme ai flussi,
anche la presenza di elementi di rischio può causare perdite di valore nel tempo e,
quindi, il declino dell’impresa.
La crisi rappresenta un’ulteriore degenerazione rispetto al declino: è uno stato di
grave instabilità originato dalla caduta di capacità di reddito (dovuta anche ad una
perdita di fiducia da parte di clienti, fornitori, personale e della comunità finanziaria), da
forti squilibri finanziari conseguenti a rilevanti perdite economiche, dall’insolvenza
(termine che indica una tensione finanziaria dovuta all’incapacità dei flussi di cassa di
far fronte alle obbligazioni derivanti dai contratti in essere) e, di conseguenza, dal
dissesto che testimonia una situazione di patologia aziendale per cui il valore delle
attività è insufficiente a garantire il rimborso dei debiti.
La manifestazione di uno stato di tensione finanziaria, è spesso interpretato dai
finanziatori esterni all’azienda come un segnale di possibile dissesto. Il segnale, però, è
imperfetto in quanto, da un lato l’insufficienza dei flussi di gestione corrente può essere
solo momentanea e, quindi non perdurare nel tempo e, dall’altro, non è detto che
l’impresa non possa far fronte alle scadenze di breve termine attingendo a riserve di
liquidità o “facendo cassa” con la dismissione di alcuni cespiti.
La crisi è, secondo quella che è un’accezione adottata dalla dottrina, “la fase
conclamata, ed esteriormente apparente, del declino, cioè la continuazione di una
traiettoria negativa delle vicende dell’impresa in cui l’aggravamento degli squilibri
economici e finanziari è pienamente percepito all’esterno” (Gopinath). Il declino può
rappresentare solo un passaggio relativamente fisiologico dell’impresa, una fase da cui
13
l’azienda può uscire attraverso opportuni sforzi per ricostruire pienamente i vantaggi
competitivi ed evitare ulteriori squilibri che determinerebbero una vera e propria crisi.
1.3 Le cause della crisi.
L’ enumerazione delle cause che possono accelerare il declino di un’ impresa fino a
farlo generare in una crisi, può risultare lungo e incompleto, dal momento che ogni
singola situazione di crisi può essere determinata da un’ innumerevole combinazione di
eventi. L’ elenco ora proposto cerca di mettere in evidenza quelle che a grandi linee,
possono essere considerate le cause principali alla base di tali processi degenerativi.
- Cattiva gestione
- Inefficienza
- Sovracapacità
- Rigidità
- Deterioramento dei prodotti
- Carenze ed errori di marketing
- Incapacità di programmare
- Errori nelle strategie
- Squilibrio finanziario
Uno per uno verranno analizzati nel dettaglio i punti enumerati in tale elenco. Prima
fra tutti è da analizzare la cattiva gestione. La presenza di un management debole
composto da persone non all’altezza dei compiti loro affidati, un eccesso di burocrazia
tale da far divenire la struttura manageriale troppo rigida ed incapace di adattarsi al
mutare delle situazioni, la scarsa o l’ inesistente capacità dei consigli d’amministrazione
di controllare efficacemente e di incidere sull’attività del management, sono tutti fattori
che favoriscono l’attecchirsi di situazioni critiche. A tutto ciò si dovrebbero aggiungere
le responsabilità dei singoli lavoratori impegnati nell’impresa: tecnici qualificati,
ricercatori, addetti all’amministrazione e alla finanza, addetti all’organizzazione.
Costoro potrebbero avere delle responsabilità non indifferenti nella manifestazione del
declino o della crisi dell’azienda. C’è da dire che il loro operato, prima della grave
14
situazione in cui l’impresa dove lavorano si trova, sarebbe dovuto essere costantemente
monitorato e controllato proprio da quei dirigenti che divengano i principali responsabili
della crisi. Il ruolo che il management ricopre è questo, la responsabilità che essi
rivestono è enorme perché tale è l’estensione delle proprie competenze e, per questo
motivo, adeguatamente remunerati.
Un’altra causa che determina un declino o una crisi è l’inefficienza. Tale situazione
può generarsi quando una o più funzioni o aree aziendali operano con rendimenti e costi
non “in linea” con quelli dei competitori presenti nello stesso mercato. Sono cause
d’inefficienza l’invecchiamento fisico e l’obsolescenza che colpisce gli strumenti
produttivi, l’insufficienza dimensionale dei singoli impianti, il livello di retribuzione
rispetto al rendimento fornito, un livello di costi di produzione superiore alla media del
settore. Il possibile stato di inefficienza riguarda non solo l’area produttiva ma anche
altre aeree, come quella commerciale. Ne è un esempio la pubblicità condotta con modi
e misure inadeguate e con costi sopportati troppo elevati in relazione al risultato
ottenuto (es: alta incidenza delle spese di marketing in relazione al fatturato). Il
giudizio, anche qui, deriva da confronti con altre imprese concorrenti.
Inefficiente potrebbe anche essere il settore amministrativo: eccesso di
burocratizzazione, carenze del sistema informativo, cattiva gestione dei crediti verso la
clientela, inadeguatezza degli acquisti ecc., sono fenomeni tutt’altro che positivi per
un’impresa.
Anche nel campo organizzativo si possono segnalare condizioni di inefficienza. Ci
sono aziende in cui è carente la presenza di mezzi di programmazione, oppure imprese
in cui le carenze sono state riscontrate a livello della manutenzione degli impianti, della
gestione delle scorte e dell’ organizzazione del lavoro degli uffici.
Nell’ambito dell’attività finanziaria, le condizioni di inefficienza si manifestano con il
maggior costo dei mezzi propri e del credito. L’origine di tale fenomeno può ricollegarsi
alla debolezza strutturale dell’azienda (talora legata a quella del Paese a cui appartiene),
all’incapacità degli addetti alla struttura finanziaria, e così via. Le imprese con tali tipo
di problema faticano a trattare le condizioni per l’ottenimento di un credito o per
presentare un aumento di capitale. Il superamento di tali difficoltà passa anche
dall’efficienza dei mercati finanziari dei Paesi in cui l’azienda opera: i Paesi
15
“finanziariamente evoluti” consentono l’accesso al capitale di rischio in maniera più
agevole rispetto ad altre Nazioni i cui mercati finanziari sono meno sviluppati.
Un altro tipo di declino è quello legato alla sovracapacità e alla rigidità. Un fenomeno
è quello della duratura riduzione della domanda originata da un eccesso di capacità
produttiva del settore rispetto alle possibilità di collocazione sul mercato
11
.
Gli effetti negativi della sovracapacità (che può essere determinata da una caduta
della domanda globale, da una continua ricerca di economie di scala, da errori di
previsione della domanda, ecc.) sono più gravi sulle piccole aziende, le grandi imprese,
di fronte a tale situazione, reagiscono accrescendo la propria quota di mercato. Un
rimedio ad una situazione del genere è la ricerca dell’adattamento dei costi fissi
(classico esempio è quello dei costi degli impianti che, vista la loro rigidità, hanno come
solo rimedio quello del ricorso a produzioni alternative) e dei costi del personale (con i
risvolti conflittuali, e a volte drammatici, che socialmente possono determinare).
Sempre legati alla sovracapacità sono i fenomeni di declino e di crisi connessi alla
perdita di quote di mercato, a sviluppo dei ricavi inferiori alle attese o, addirittura, quelli
(poco frequenti e più facilmente evitabili) legati all’aumento dei costi a cui non
corrisponde un aumento dei prezzi, soggetti a controllo pubblico.
Declino e crisi possono essere innescate dal decadimento dei prodotti e da carenze ed
errori di marketing.
Può accadere che il prodotto o il mix di prodotti offerti da un’impresa non sia più in
grado di reggere la concorrenza a causa della carente capacità innovativa, degli scarsi
investimenti in ricerca e sviluppo, ecc. Un’analisi dei margini di contribuzione del/i
prodotto/i può essere un utile strumento per misurare adeguatamente e tempestivamente
il fenomeno
12
.
Il decadimento può essere generato anche da errori nell’attività di marketing e dalle
politiche commerciali: un mix di prodotti errato, o con palesi carenze, l’eccessiva
onerosità dell’apparato distributivo, errori nella scelta dei mercati e del target di
clientela, una caduta d’immagine dell’impresa.
Anche l’incapacità di programmare è letta come una possibile causa che determina
una crisi.
11
Efficace ed approfondita è l’analisi di Guatri, Turnaround, 1995 Egea, pp. 125-33.
12
Si veda al proposito Guatri, Turnaround, 1995 Egea, pp. 135-38.
16
Una condotta che ha come obiettivo il conseguimento di risultati a breve termine e/o
basata sull’improvvisazione, è foriera, a lungo andare, di risultati economici negativi.
Sicuramente l’atteggiamento descritto è da condannarsi se perseguito in un momento di
non particolare difficoltà per l’impresa: l’incapacità o la non volontà di
programmazione non è auspicabile nel periodo che precede il declino o la crisi, visto
che essa risulta, invece, una costante spesso imprescindibile nella vita delle imprese in
gravi difficoltà.
Errori nelle strategie, quali possono essere il mantenimento a tutti i costi
dell’impegno di attività che distruggono valore, l’ingresso in nuove aree strategiche
lontane dal proprio core business e quindi la mancanza di competenza, la mancata
verifica della sostenibilità dello sviluppo a causa dell’ostinazione nel perseguire idee
troppo audaci e prive delle relative coperture finanziarie, la carenza di idee innovative
(oggi, più che mai, aspetto di fondamentale importanza) in ambito di prodotto, processo,
mercati, consumatori, mezzi di promozione, determinano instabilità che spesso
generano declino e crisi.
Un ultimo fattore che può determinare gravi difficoltà per le aziende è lo squilibrio
finanziario Esso è connesso ad una serie di situazioni quali:
• una grave carenza di mezzi propri con corrispondente prevalenza di leverage,
mezzi di terzi a titolo di debito;
• prevalenza di debiti a breve rispetto ad altre categorie di indebitamento;
• insufficienza o insussistenza di liquidità;
• squilibri tra investimenti duraturi e mezzi finanziari stabilmente disponibili;
• difficoltà ad affrontare le scadenze (fornitori, rate mutui, contributi
previdenziali, retribuzioni dipendenti);
Alcune teorie
13
hanno evidenziato un’interpretazione differente sul problema dello
squilibrio finanziario, il quale è, senza dubbio, un possibile e probabile generatore di
perdite economiche (causate dagli alti oneri finanziari che i suddetti generano) e quindi
di declino e crisi, ma questa non risulta essere motivazione sufficiente per poterlo
annoverare tra le possibili cause di crisi.
13
Si veda in particolare Guatri, Turnaround-Declino, crisi e ritorno al valore, 1995 Egea, pp. 145-50.
17
Tale teoria rigetta quindi l’idea che vede negli squilibri finanziari una delle ragioni del
declino aziendale: vengono identificati altri fattori primari quali l’inefficienza, la
rigidità, il decadimento, ecc. come l’origine delle perdite economiche che determinano
gli squilibri finanziari che, a loro volta, producono un aggravamento delle perdite
economiche e quindi una chiara situazione di difficoltà. Gli squilibri finanziari, quindi,
sono delle conseguenze e non la causa di una crisi.
Lo squilibrio finanziario è spesso associato a quello patrimoniale. Tale squilibrio si
caratterizza per una scarsità di mezzi vincolati all’azienda, a titolo di capitale e riserve,
rispetto ad altri componenti patrimoniali (l’indebitamento) ed economici (giro d’affari,
entità delle perdite effettive e potenziali). Avere mezzi propri (capitale e riserve)
adeguati, permette di assorbire con una certa disinvoltura anche perdite di un certo
rilievo.
L’elemento patrimoniale svolge, quindi, due distinte funzioni: accresce l’entità degli
oneri finanziari, a causa del forte indebitamento che ad esso si associa e a causa della
scarsità delle garanzie da offrire ai creditori e, nelle fasi ulteriori, diviene condizione
essenziale per resistere al declino.
Si deve comunque opportunamente sostenere che è opinione diffusa parlare del
contemporaneo operare di più fattori che generano i fenomeni di declino o crisi, e non di
un unico fattore scatenante.
Al termine di questo elenco di inefficienze, si può concludere con quello che può
essere visto come un tipico “profilo” di un’ azienda in crisi:
• Eccesso di indebitamento
• Indebitamento incoerente con il fabbisogno
• Eccesso di investimenti industriali
• Mancanza di un piano industriale
Ovviamente anche in questo caso siamo di fronte ad una descrizione generale, e magari
anche riduttiva, di quella che è la reale situazione di un’ azienda in crisi. Questo elenco,
infatti, non vuole e non può essere una esposizione esauriente, data la complessità dell’
analisi che sottende, ma solo un “indice” approssimativo che ne evidenzia le possibili
caratteristiche principali.
18
1.4 La gestione della crisi.
Il management dell’ impresa, che nel caso delle imprese italiane è spesso costituito da
rappresentanti dell’ azionista di maggioranza, non ha in genere nessun incentivo a
dichiarare tempestivamente la situazione di crisi, ma anzi ha interesse a rimandarne il
più possibile il riconoscimento. Ciò infatti equivarrebbe a riconoscere un fallimento
nella gestione dell’ impresa e nella definizione delle strategie, e la rinuncia al tentativo
di potervi porre rimedio. In genere si giunge alla dichiarazione di insolvenza solo
quando il passivo è di molto superiore all’ attivo e quando anche la normale gestione
operativa è stata compromessa dalle conseguenze di una mancanza di risorse
finanziarie. In sostanza, quando ormai non è più possibile fare altrimenti.
Bisogna prima di tutto valutare se la stato di insolvenza ha carattere temporaneo o
permanente: nel primo caso è possibile provare a ristabilire la situazione cercando di
giungere ad accordi stragiudiziali con i creditori, come la ristrutturazione del debito. Il
vero problema si verifica quando ormai la stato di insolvenza è patologica.
La prima scelta da affrontare per un’ impresa che si trova in una situazione di crisi
conclamata, è quella dell’ alternativa tra liquidazione e ristrutturazione. In teoria tale
scelta spetterebbe ai creditori i quali, in questa particolare situazione, hanno il diritto di
subentrare agli azionisti nella gestione dell’ impresa.
Il criterio da seguire, da un punto di vista puramente economico, sarebbe quello della
minimizzazione dei costi: si tratta di adottare una soluzione che consenta di garantire
l‘allocazione ottimale delle risorse possedute dall’impresa e il contenimento delle spese
di gestione. La scelta a favore della liquidazione dell’impresa deve essere presa solo ove
si valuti di ottenere, in conseguenza di tale scelta, un controvalore netto superiore al
going concern value, il valore economico della società dopo la ristrutturazione, al netto
dei costi connessi ad essa. Nella realtà dei fatti intervengono una serie di interessi
contrastanti tra loro, che fanno capo ai vari soggetti coinvolti: i creditori, gli azionisti e
altri stakeholders coinvolti (sindacati, lavoratori…).
Gli azionisti e il management (qualora non sostituito), il più delle volte, spingeranno
per la prosecuzione dell’attività societaria dato che questo risulta essere il solo modo
possibile, per loro, per non perdere il capitale sottoscritto.