6
stringente per il management, il quale per suo tramite può venire a disporre di
modelli e di strumenti idonei a supportare decisioni che, dovendo tener conto di
variabili interessate da uno stato di forte turbolenza e incertezza, si fanno sempre
più scomode e gravose.
Il secondo capitolo tratta il settore tessile-abbigliamento che, per
l’importanza assunta da componenti non strettamente industriali, spinge ad
adottare la definizione di sistema della moda, preferita a quella d’industria della
moda.
All’interno del sistema moda esistono due macrofiliere: quella del tessile-
abbigliamento e quella della pelle-calzature-accessori. Il secondo capitolo si
concentra sul funzionamento della prima, la più importante sia dal punto di vista
della dimensione della domanda e dell’offerta, sia del livello tecnologico
raggiunto. Successivamente s’illustrerà il peso del settore a livello nazionale e
internazionale con dati aggiornati e provenienti da fonti autorevoli come ISTAT,
ICE, Eurostat, Federtessile, Assofibre, SistemaModaItalia, Fashion Economic
Trends.
Poiché gran parte del Made in Italy viene generato in distretti industriali,
la trattazione non poteva trascurare tale aspetto vista anche l’attenzione data da
buona parte della letteratura economica. Se la dimensione è spesso vista come un
handicap rispetto ad obiettivi d’economicità, una possibile via d’uscita per le PMI
è rappresentata dall’adozione di strategie di tipo cooperativo. Il sistema italiano
delle piccole e medie imprese ha costituito un tipo d’organizzazione efficiente e
democratica, che ha funzionato bene per trenta anni. Oggi questo modello sembra
dimostrare che le forme organizzative di questa natura non potranno svilupparsi
ulteriormente se non attraverso una loro trasformazione da struttura frammentata a
struttura articolata. S’illustrerà il funzionamento dei distretti e successivamente si
delineeranno i distretti del tessile-abbigliamento e la loro distribuzione sul
territorio senza trascurare l’incidenza del settore a livello regionale.
Al termine del secondo capitolo si parlerà della liberalizzazione del
settore per via della scadenza dell’Accordo Multifibre, cercando di capire cosa
prevedeva tale Accordo. Infine s’illustreranno gli impatti che tutti gli organismi
internazionali hanno prospettato.
7
Nel terzo capitolo si è cercato di dare un’idea su quali possano essere le
cause che stanno mettendo in ginocchio il settore. Visto che da più parti la causa
scatenante di tale crisi è stata identificata nella Cina, nella prima parte del capitolo
è stata descritta, in linee generali, il funzionamento dell’economia del colosso
cinese per meglio comprendere l’impatto di tale economia sulla nostra. Si parlerà
inoltre di dumping, di contraffazione, della mancata tutela del “made in Italy”
attraverso la creazione di una vera e propria marca, degli scarsi investimenti in
ricerca e sviluppo da parte delle imprese e della loro bassa propensione
all’internazionalizzazione.
Nel quarto capitolo si sono prospettate delle proposte per il rilancio del
settore. Internazionalizzare la produzione può essere una possibile soluzione,
perché si sposterebbero all’estero quelle fasi lavorative a basso valore aggiunto
sfruttando quindi la possibilità di produrre in paesi a basso costo, ma ciò senza
incidere su i livelli occupazionali, contrariamente a quanto è stato sostenuto da più
parti. Infatti, secondo uno studio di Roberto Schiattarella in “Analisi di sistema e
delocalizzazione internazionale. Uno studio per il settore del made in Italy”, la
delocalizzazione internazionale della produzione si è rivelata una strategia di
successo.
Le imprese che hanno delocalizzato sono diventate più competitive ed
hanno avuto quindi migliori performances sui mercati internazionali. Si dirà
inoltre che l’internazionalizzazione rappresenta una rilevante possibilità di
crescita anche per le PMI.
La Cina inoltre più che come una minaccia può esser vista come una
possibilità, sempre in un’ottica d’internazionalizzazione, per questo ogni azienda
dovrà scegliere la strategia migliore per avvicinarsi alla Cina, un paese in crescita
che offre ancora immense opportunità.
Con riferimento alla Cina si è parlato di dumping, e per tale motivo nel
quarto capitolo si è accennato alle misure antidumping applicabili in caso di
concorrenza sleale.
Qualità, ricerca e innovazione sono sicuramente le chiavi di successo per
competere in un contesto globale altamente competitivo, laddove invece i nuovi
attori non fanno altro che puntare su una strategia competitiva fondata sul prezzo.
8
In una fase di ridefinizione dei ruoli di consumo e produzione, è
opportuno riflettere anche sull’importanza del design come leva di
differenziazione di prodotto. E’ proprio attorno al concetto di design
opportunamente rivisitato che oggi possono essere definiti percorsi plausibili di
rilancio della competitività d’impresa in senso più generale.
La crescita delle esigenze del consumatore di oggi, che richiede sempre
più prodotti di qualità e garantiti nel tempo, l’aumento della competitività, dovuta
ad un mercato sempre più globalizzato, che porta a politiche di differenziazione
possono essere efficacemente contrastati attraverso un’attenta politica di marca,
attuabile con una giusta strategia di comunicazione, che consenta all’impresa di
essere facilmente riconoscibile. Il successo di un’azienda è anche legato ad un
insieme di attività in cui la marca riveste un ruolo principale, poiché essa sa
comunicare con il mercato e permette all’azienda di posizionare il proprio
prodotto in un luogo preciso dell’immaginario del consumatore.
Serve un forte impegno al livello europeo per l’introduzione
dell’obbligatorietà dell’etichettatura di origine (Made in Italy) mediante la
creazione di un vero e proprio marchio Made in Italy per i prodotti del sistema
tessile abbigliamento moda per valorizzare le produzioni prevalentemente o
integralmente realizzate in Italia.
La valorizzazione, tramite iniziative di comunicazione e di promozione
del settore costituisce indubbiamente, in questo momento storico, una
straordinaria opportunità per riconquistare un vantaggio competitivo a livello di
sistema.
Sempre nel quarto capitolo si suggerisce il ripensamento del modello
familiare che contraddistingue la maggior parte delle imprese del TA italiano,
tentando di aprirsi verso manager esterni e impiegando maggiori risorse
finanziarie.
Al termine del capitolo è stata prospettata la soluzione di miglioramento
dei processi logistici, in quanto per essere competitivi è necessario intervenire sia
sulla tempestività, intesa come tempo d’evasione dell’ordine, sia sulla puntualità,
cioè la capacità di rispettare le promesse fatte al cliente.
9
Il quinto e ultimo capitolo analizza un caso aziendale, il caso Meltin’Pot
un marchio creato nel 1994 per conto dell’azienda Romano S.p.A. Si analizzerà
sia la struttura dell’azienda ed in particolar modo della divisione marchio, un
nucleo aziendale a sé stante. Il caso viene proposto a dimostrazione del fatto che
la crisi del settore è possibile superarla ed anche vincerla adottando le idonee
misure.
10
Capitolo Primo
IL SETTORE ECONOMICO
1. Premessa
Il seguente capitolo illustra il fenomeno dinamico in riferimento ad un
ambito settoriale. Prendendo le mosse dalla complessità che caratterizza gli
ambienti in cui si trovano ad operare oggi le imprese, si tenterà di leggere ed
interpretare questa complessità adottando una ben precisa chiave di lettura: non
bisogna pensare ad essa come ad un elemento esogeno alle imprese, capace
d’indurle a conformarsi passivamente; al contrario, sono le imprese stesse a
rendere il proprio ambiente complesso, intrattenendo con esso un rapporto
dialettico che ora prevede un passivo adeguamento, ora prevede forme di
controllo finalizzate a dominarlo, a modificarlo, a contrastarlo, più in generale a
comprenderne i condizionamenti e ad orientarli a proprio vantaggio, traducendoli
in opportunità. In questo senso turbolenza e dinamismo appaiono come il risultato
di un processo del quale l’impresa è l’elemento propulsivo, e non come il frutto di
una spesso incomprensibile ed evanescente complessità ambientale che rischia di
porsi quale fattore paralizzante.
Queste considerazioni sul ruolo attivo dell’impresa rappresentano la
chiave di lettura più convincente per addentrarsi nell’analisi settoriale: lo studio di
settore non può, infatti, prescindere in alcun modo dal considerare il
comportamento delle singole imprese, né affidarsi alle condizioni poco realistiche
previste dalla teoria delle forme di mercato, che tendono ad uniformarne le
condotte.
L’evoluzione del concetto di “settore” ha proceduto parallelamente e di
pari passo con il progressivo mutamento che ha interessato i criteri diretti
all’individuazione dei suoi confini, che sempre meno possono prescindere dal
considerare le caratteristiche delle singole imprese. I criteri selettivi generalmente
adottati, fondati sull’omogeneità dal lato della domanda o dell’offerta, mostrano
alcuni limiti nel definire un aggregato d’imprese significativo per l’analisi
strategica, suggerendo l’adozione dei criteri cosiddetti firm-centered, finalizzati a
11
circoscrivere il settore in funzione di caratteristiche ritenute più valide dalla
singola impresa e in grado di restringere il campo all’ambito di più immediato
riferimento.
La validità dei criteri incentrati sull’impresa è ancora più evidente se si
considera che i confini settoriali non sono un dato statistico ed immodificabile, ma
sono costantemente ridefiniti per opera di svariati fattori, ad esempio
un’innovazione tecnologica pervasiva e il processo di globalizzazione. Se si tiene
conto del fatto che, le imprese, nel monitorare la situazione competitiva, sono in
grado di rilevare tempestivamente ed in qualsiasi momento l’avviarsi di nuove
fasi d’attività dei suddetti fattori, si capisce il motivo per il quale i criteri firm-
centered riescono ad adeguarsi prontamente alla dinamica settoriale: sono le
imprese stesse a stabilire, in funzione dei mutamenti di natura tecnologica o
produttiva e dei cambiamenti nei bisogni della domanda, i fattori d’omogeneità da
adottare, rinunciando pertanto a ricorrere a denominatori comuni prestabiliti e
dotati di scarsa flessibilità.
Se è vero che le singole imprese creano continuamente dinamismo
all’interno del settore di appartenenza e che ciò comporta un’evoluzione continua
dello stesso, allora i modelli di analisi settoriale dovranno tener conto di tale
natura dinamica del settore; il che non avviene se e quando si faccia riferimento al
ben noto paradigma struttura-condotta-prestazioni, che, restringendo
notevolmente la capacità delle imprese di determinare le rispettive performance,
porta a trascurare gli influssi che queste possono esercitare sulla conformazione
dei settori.
Si proporranno i modelli del ciclo di vita e del ciclo di trasformazione,
che ridisegnano la struttura del settore nel suo continuo divenire, per poi
esaminare quegli strumenti d’analisi settoriale che consentono di porre in
evidenza gli elementi nodali e strategici dal controllo dei quali sembra dipendere
il successo delle imprese appartenenti al settore. Si vedrà come l’analisi dinamica
di settore rappresenta un’esigenza stringente per il management, il quale per suo
tramite può venire a disporre di modelli e di strumenti idonei a supportare
decisioni che, dovendo tener conto di variabili interessate da uno stato di forte
turbolenza e incertezza, si fanno sempre più scomode e gravose.
12
Infine, non può essere trascurato un fenomeno che va acquistando un
peso sempre maggiore, ossia il fenomeno del crossing border settoriale: alcune
aree di mercato, infatti, pur trovandosi in settori diversi, appartengono ad aree
convergenti, caratterizzate da un elevato grado di dinamismo e nelle quali le fonti
del vantaggio competitivo non sono più le scelte in termini di progetto e
d’investimento, bensì quelle in termini d’alleanze, di progetti d’acquisizione e
dismissione, di priorità di sviluppo tecnologico.
13
2. Il complesso rapporto tra impresa e settore
L’identificazione di un settore industriale “consiste precisamente nella
possibilità di circoscrivere una porzione del sistema industriale per studiarla in
relativo isolamento dal resto”.
1
Dal suo studio e dalla comprensione delle sue
caratteristiche si possono “acquisire conoscenze valide, sul piano generale, per
tutte le aziende che vi appartengono. Infatti, le aziende operanti in un dato
“settore”, pur nella varietà delle strutture patrimoniali ed organiche e delle
combinazioni produttive poste in essere, tendono a presentare notevoli caratteri
comuni: ad esempio per quanto attiene al livello quali-quantitativo del fattore
lavoro, ai volumi d’impiego, alle qualità e ai mercati d’approvvigionamento delle
materie e d’altri fattori della produzione della produzione, alle direzioni di sbocco
dei prodotti, ecc.”.
2
Resta evidente che un’affermazione del genere può essere considerata
valida solo se riferita ad un particolare contesto storico e settoriale mentre perde di
significato se da essa intendono trarsi generalizzazioni valide anche in tempi,
luoghi e mercati diversi.
Laddove questa condizione sia rispettata, l’analisi di un dato settore
industriale consente di cogliere le uniformità dei comportamenti gestionali delle
aziende che vi appartengono, le tendenze evolutive dei singoli rami di produzione,
le variazioni intervenute nei caratteri strutturali della domanda e dell’offerta, i
fattori di progresso tecnologico, le condizioni dei costi, dei rendimenti e dei
prezzi, le nuove vie di penetrazione nei mercati e d’integrazione con terze
aziende.
3
1
G. Becattini, Dal “settore” industriale al “distretto” industriale. Alcune considerazioni sull’unità
di indagine dell’economia industriale, in Rivista di Economia e Politica Industriale, n.1, 1979, p.7.
2
G. Pivato, Gli indirizzi “settoriale” e “funzionale” negli studi di economia delle aziende
industriali, Giuffrè, Milano, 1970, pp. 11-12.
3
Si legge in G. Pivato, Gli indirizzi “settoriale” e “funzionale” negli studi di economia delle
aziende industriali, Giuffrè, Milano, 1970, cit. pp. 15-17: “ i settori o i comparati, per i quali gli
studi di macroeconomia ricercano le conoscenze sopra ricordate, possono ritenersi composti di
categorie di aziende per le quali è possibile cogliere numerosi e notevoli aspetti comuni sia nelle
linee generali della loro economia, sia in molti svolgimenti operativi specifici. Le quantità
economiche rilevate in riferimento a questi settori, pertanto, sono significative anche nell’interesse
dei nostri studi (di economia aziendale N.d.R.)”
14
Tali informazioni rappresentano il fondamento per l’elaborazione
d’indagini comparate sui caratteri strutturali e sulle loro interdipendenze,
compongono le basi quantitative per le ricerche sugli sviluppi della produzione e
costituiscono le fondamentali conoscenze per la comprensione della natura della
concorrenza e dei processi di mercato, nonché per la formulazione delle strategie
aziendali.
4
Tuttavia, il settore industriale, uno degli elementi cardine dell’economia
classica e delle successive discipline d’economia industriale ed aziendale, rimane
un concetto non facilmente definibile. Le rappresentazioni che di esso si sono
tentate sono così numerose che oggi, parlando di settore industriale, si considera
lo stesso come un concetto primitivo, cioè noto a priori, e si evita accuratamente
qualsiasi ulteriore tentativo definitorio.
Taluni Autori, nel tentativo di risolvere l’annosa questione circa la
definizione del settore industriale, hanno spostato il campo d’osservazione sul
mercato giungendo a stabilire una sorta di coincidenza tra due concetti che
teoricamente sono invece distinti. Needham, ad esempio, afferma che “tutte le
imprese che vendono in un mercato (o comprano, se si prendono in
considerazione i mercati dei fattori di produzione) sono definite un “settore.”Ne
consegue che, una volta definiti i confini di un mercato, tutte le imprese che al suo
4
Così si esprime anche C. Scognamiglio, I settori industriali, in C. Masini, Lavoro e Risparmio,
2^ ed., Utet, Torino, 1979, p.595: “La conoscenza dell’ambiente, ed in particolare di quel
segmento delle variabili ambientali costituito dalle caratteristiche del settore di attività
dell’impresa medesima, rappresenta il fondamento per la formulazione delle strategie
aziendali[…]. I concetti familiari alla terminologia economico-aziendale quali ciclo di vita del
settore, diversificazione, posizione competitiva, quota di mercato, e più in generale, analisi dei
punti di forza e di debolezza dell’impresa, si fondano tutti sulla conoscenza del (o dei) settore in
cui l’impresa opera.
Sulla stessa linea di pensiero si pongono G. Pellicelli, Strategie e pianificazione nelle imprese.
Terza edizione, Giappichelli, Torino, 1992, p. 66, secondo cui “dalla definizione di settore dipende
la formulazione della strategia”aziendale, ed il M. Rispoli, L’analisi del sistema industriale, in
Economia delle imprese industriali, (a cura di) P. Saraceno, Isedi, Milano, 1978, p. 60 per il quale
“l’analisi settoriale, condotta dalla singola impresa, ha lo scopo di consentire l’individuazione dei
punti di forza e di debolezza dell’impresa stessa nei confronti della domanda e della concorrenza al
fine di effettuare le scelte strategiche più opportune rispetto agli obiettivi.
15
interno vendono prodotti (o comprano, nel caso di fattori produttivi) vengono
automaticamente a costituire il settore”.
5
In maniera assolutamente analoga si esprime il Masini definendo il
settore come un “insieme di aziende, con combinazioni simili di processi
economici caratteristici, operanti negli stessi mercati o in mercati strettamente
collegati”.
6
Vale inoltre ricordare che secondo l’economia classica “un mercato è un
insieme di acquirenti e di venditori che interagiscono tra loro e che si risolve nella
possibilità di uno scambio”. Un industria (o settore) è invece “un insieme di
imprese che vendono le stesse merci o merci in qualche modo omogenee tra
loro”.
7
Con l’evolversi del pensiero teorico, da Marshall ad oggi, la stessa
essenzialità di una sua delimitazione assolutamente rigorosa e stabile nel tempo è
venuta scomparendo, dato che i diversi autori hanno sempre più maturato la
relatività della funzione di settore al fine ultimo che suo tramite s’intende
conseguire.
Per gli economisti tradizionali, il cui scopo è la formulazione di una
teoria dell’allocazione delle risorse, il settore è solo rappresentazione teorica delle
condizioni necessarie al conseguimento di un equilibrio statico di lungo periodo.
Per gli economisti industriali, viceversa il cui fine ultimo è di prevedere
il comportamento delle imprese allo scopo di fornire informazioni utili per le
scelte di politica economica, e le cui teorie si basano, almeno inizialmente, sul
paradigma struttura-condotta- prestazioni elaborato da Bain,
8
il settore è ciò che
condiziona il risultato economico delle imprese. In opposizione a questa teoria si
pone il Lorenzoni, secondo cui “i risultati ed il successo delle imprese dipendono
dalla capacità, dalle competenze e dalle risorse messe in campo piuttosto che dalle
condizioni e dal contesto in cui operano le imprese. In sintesi, i risultati sono
5
D. Needham, The Economics of Industrial Stucture Conduct and Performance, Holt, Rinehart
and Winston Ltd., 1978 (trad. It. Struttura di mercato e comportamento d’impresa. Analisi
economica dell’organizzazione industriale, Etas, Milano, 1984, p.94).
6
C. Masini, Lavoro e Risparmio, 2^ed., Utet, Torino, 1979, p. 413.
7
R. S. Pindyck, D. L. Rubinfeld, Microeconomics, Macmillan, New York, 1989, p.11.
8
Vedi paragrafo 5.
16
determinati in specie dalle competenze e non dal settore o da altri dati
contestuali”.
9
Per gli aziendalisti, infine, il cui “obiettivo non è più quello di
comprendere come le imprese raggiungano un equilibrio stabile, ma come esse
possano rompere questo equilibrio”,
10
il settore è lo scenario in cui ogni impresa si
muove e costituisce il sistema di vincoli da ottimizzare per raggiungere l’obiettivo
di sviluppo.
11
Dati i presupposti, appare quindi chiaro che la definizione del settore non
può non tener conto dello scopo per cui essa è formulata.
Se quindi gli economisti, storicamente orientati alla ricerca di teorie
generali valide in ogni situazione, il settore è l’insieme delle imprese che vendono
la stessa merce, per gli economisti industriali invece, il settore è un insieme
d’imprese legate da una certa omogeneità nei comportamenti che, a loro volta,
ritrovano la stessa loro fonte nella struttura del settore stesso.
Per gli aziendalisti, infine, orientati come sono allo studio delle realtà
concrete, il settore può essere sia l’insieme delle aziende aventi qualche
caratteristica comune, sia l’insieme delle imprese tra loro in concorrenza.
Si tratta, ovviamente, di due definizioni non coincidenti in quanto non
necessariamente delle imprese aventi caratteristiche analoghe sono anche di
conseguenza in concorrenza tra loro.
12
9
G. Lorenzoni, L’evoluzione degli studi sulle strategie d’impresa, Sinergie, n. 27, Gen.-Apr.
1992, p. 70. Sull’argomento lo stesso autore rimanda a Selzenick ed al suo concetto di “distinctive
competence”. Cfr. P. Selzenick, Leadership in Administration:a sociological Interpretation, Harper
& Row, New York, 1957.
10
S. Vicari, Nuove dimensioni della concorrenza. Strategie nei mercati senza confini, Egea,
Milano, 1989, p. 22.
11
All’interno di questo scenario, ciò che conta non è quindi lo scenario in se per se (cioè il
settore), ma “i comportamenti delle singole aziende che, se di successo, possono alterare anche
sensibilmente le condizioni dell’offerta”. Cfr. S. Vicari, Nuove dimensioni della concorrenza.
Strategie nei mercati senza confini, Egea, Milano, 1989, op. cit. p. 32.
12
Ad esempio, le industrie petrolifere e quelle farmaceutiche impiegano al medesima tecnologia
produttiva di base: la chimica. Tale comunanza di tecnologia non può certo indurre a far
considerare queste due aziende come tra loro concorrenti.
17
Le nuove impostazioni in materia aziendalistica ruotano intorno a due
concetti fondamentali: “Innanzi tutto l’impresa e il suo sistema di relazioni
costituiscono il cuore della macchina evolutiva che produce il cambiamento.
L’impresa deve quindi rappresentare per il pensiero economico una
categoria centrale poiché con le sue scelte innovative, che esprimono sempre una
continua interazione con i fattori esterni, attua la sintesi dinamica degli aspetti
macro e micro del processo di sviluppo economico.
In secondo luogo, l’impresa non è concepibile come una categoria
astratta, ma si differenzia di continuo nelle sue forme e nei suoi modi di operare e
quindi nei suoi obiettivi: e ciò è particolarmente evidente, quando essa è collocata
e analizzata in un dato contesto o “sistema paese” e in una fase storica
determinata, anziché in un contesto teorico astratto, privo di connotazioni
nazionali e temporali.
13
In altre parole, impresa e sistema industriale sono specificazioni dello
stesso fenomeno: la prima è il fattore dinamico che con il suo agire crea continui
squilibri nel secondo.
E’ quindi opportuno orientarsi a leggere in senso dinamico il rapporto tra
imprese e settore, dinamicità che non è frutto esclusivo d’influenze ambientali
esterne, ma risulta in larga misura dal comportamento delle imprese stesse.
Il mutamento, così come appare ai nostri occhi, costituisce un aspetto
caratteristico della nuova realtà industriale, la cui analisi richiede il passaggio da
modelli settoriali molto omogenei, nei quali l’impresa assume il ruolo di
componente meramente adattiva, a modelli settoriali, articolati, complessi e
immersi in una profonda dinamica evolutiva, che le restituiscono la centralità
perduta.
13
S.Vaccà, L’economia d’impresa alla ricerca di un’identità, Economia e Politica Industriale, n.
45, 1985.
18
3. Definizioni di settore ed evoluzione del concetto
In linea con il forte dinamismo che investe il sistema economico e con la
sempre crescente centralità che l’impresa va assumendo in esso, il concetto di
settore si è evoluto nel tempo. Si è verificata una progressiva sostituzione dei
criteri che si limitano a definire il settore in funzione di “presunte” omogeneità dal
dato della domanda o dell’offerta, con criteri flessibili, incentrati sulle
caratteristiche delle singole imprese che operano nello stesso. Tali criteri,
esulando da criteri d’omogeneità predefiniti rivolgono l’attenzione a quei fattori
che, circoscrivendo meglio i confini di settore, consentono all’impresa interessata
di individuare i concorrenti attuali e quelli potenziali.
“Il problema della definizione di industria, o di settore o di ramo, o in
qualunque altro modo si voglia dire, consiste precisamente nella possibilità di
circoscrivere una porzione del sistema industriale, per studiarla in relativo
isolamento dal resto. Relativo isolamento significa che i rapporti tra le unità
interne alla porzione circoscritta sono considerati con un dettaglio e con una
ricchezza di angolature maggiori di quelli riservati all’esame dei rapporti fra le
entità interne e quelle esterne”.
14
“In prima approssimazione, (settore) o industria è dunque un insieme
omogeneo di unità produttive e decisionali, in altre parole una porzione
circoscritta e distinta del tessuto industriale, enucleata al fine di considerare i
rapporti fra le unità interne alla porzione predetta secondo una metodologia
accreditata e comunque ricca di dettagli e angoli visuali”.
15
Entrambe le definizioni chiariscono come il concetto di settore sia
funzionale all’individuazione di un nucleo di operatori che, pur mantenendo una
14
Cfr. G. Becattini, Dal “settore” industriale al “distretto” industriale. Alcune considerazioni
sull’unità di indagine dell’economia industriale, in Rivista di Economia e Politica Industriale, n. 1,
1979, p. 7.
15
Cfr. G.Panati, G.M. Golinelli, Tecnica economica industriale e commerciale, NIS, Roma, 1988,
p. 308. Si tenga presente – precisano gli Autori – che l’aggregazione di unità produttive e
normalmente più semplice e più significativa di quella delle unità decisionali, che talora si
presentano come imprese polisettoriali, le cui linee d’azione sono indipendenti dagli eventuali
condizionamenti settoriali.
19
propria individualità, presentano caratteristiche comuni che li differenziano
rispetto ad altri. Le predette definizioni richiamano anche il problema della
delimitazione dei confini settoriali, il quale, trovando soluzione
nell’individuazione di un denominatore comune, ovvero di un criterio
d’omogeneità, impone comunque una scelta delicata: stabilire confini
eccessivamente ampi comporta il rischio di raggruppare elementi che
difficilmente risentono delle reciproche variazioni (il denominatore comune
risulta, in questo caso, troppo aggregante), mentre se i confini risultano troppo
circoscritti (denominatore comune scarsamente aggregante), elementi sensibili a
determinate influenze sono esclusi dal settore.
Risulta preferibile affrontare il problema senza far ricorso ad un
approccio predeterminato e rigido: il criterio adottato per l’analisi deve essere
funzionale agli scopi conoscitivi che alla stessa s’attribuiscono.
16
Tutto ciò premesso, è possibile enucleare alcuni criteri per la definizione
del settore.
Un primo criterio è fondato sulla domanda: esso tende a riunire in un
unico settore tutte le imprese che producono una stessa merce, almeno quanto
percepito dai consumatori. In sostanza, si pone l’accento sulla sostituibilità dei
beni rispetto ai consumatori, ossia sulla capacità di determinati prodotti o servizi
di soddisfare un unico bisogno. Il ricorso a questo criterio non è privo di problemi,
soprattutto in virtù del fatto che nella società odierna i singoli bisogni non sono
autonomi, ma fortemente interrelati tra loro: si corre quindi il rischio di
concentrarsi su un insieme d’unità produttive numeroso e scarsamente
significativo.
Un secondo criterio è centrato sull’offerta: esso delimita i confini
settoriali in base alla similarità tecnologica dei processi produttivi.Si considerano
appartenenti ad uno stesso settore produttivo tutte quelle imprese che utilizzano
16
Leggiamo, infatti, in G. Panati, G.M. Golinelli, Tecnica economica industriale e commerciale,
cit., p. 309, che: “la natura e l’ampiezza del denominatore comune da utilizzare per costruire
l’insieme settoriale o di analisi/è essenzialmente funzione settore, sia esso un decisore pubblico,
un ente finanziatore o un decisore pubblico, un ente finanziatore o un decisore impresa” e dei due
scopi conoscitivi. […] Aggiungasi però che le variabili da considerare (….in una tale scelta) non
mutano completamente al muratore del soggetto interessato all’indagine, mentre può cambiare
notevolmente l’enfasi attribuita alle singole variabili e il loro grado di analisi”.