6
Nel terzo capitolo si descrivono gli archivi della Banca d’Italia e le
varie fasi necessarie per la comprensione e l’utilizzo degli stessi.
3
Viene descritto in breve come vengono rilevati i dati sui bilanci delle
famiglie italiane, e gli accorgimenti necessari per non effettuare errori di
stima quando si effettuano analisi statistiche.
Nel quarto capitolo si commentano i risultati ottenuti dalle analisi
statistiche effettuate sugli archivi del reddito familiare, si precisa come
viene effettuata la misurazione della povertà relativa e si traggono le
prime considerazioni inerenti alle variazioni avvenute dal 1987 al 2002
nel reddito familiare medio annuo. Si presta attenzione alla composizione
del reddito familiare medio nell’arco dei quindici anni presi a riferimento,
e si analizzano i bilanci familiari dell’anno 2002. In particolare si focalizza
l’attenzione sulla disparità che intercorre tra i redditi da lavoro autonomo
e da lavoro dipendente soprattutto negli ultimi due anni di rilevazione.
Nel quinto capitolo si analizza l’archivio dei percettori
evidenziando le criticità che affrontano i giovani a inserirsi nel mondo
lavorativo e a rendersi autonomi dalla famiglia di origine.
Nel sesto capitolo si commentano i risultati ottenuti dalle
statistiche e dai grafici inerenti le spese affrontate dalle famiglie italiane
per l’acquisto dei beni di consumo, si specifica la distinzione tra beni di
consumo durevoli e quelli non durevoli. Si evincono delle considerazioni
interessanti sia analizzando l’arco temporale dal 1987 al 2002, sia
focalizzando l’analisi agli ultimi due anni di indagine.
Nel settimo capitolo si espongono le analisi effettuate sulla
variabile risparmio e la variazione che questa subisce dal 1987 al 2002.
Se consideriamo il rapporto tra il risparmio e il reddito disponibile medio
delle famiglie otteniamo il saggio di risparmio, che si attesta intorno al
3
In allegato sono disponibili le note metodologiche.
7
26% nonostante l’abbassamento del tasso di crescita dei redditi familiari.
A dimostrazione del fatto che le famiglie, percependo una diminuzione
del loro potere di acquisto determinato dalla caduta dei redditi, hanno
frenato i consumi e favorito l’accumulazione.
Nell’ottavo capitolo si osserva come sia cresciuta la ricchezza reale netta
in tutti i quartili di riferimento. Le famiglie che hanno registrato gli
incrementi maggiori sono quelle proprietarie di un immobile, in quanto
ad esempio, i prezzi delle case hanno subito negli ultimi anni una
rivalutazione molto significativa. Si pone l’attenzione anche sul tempo
impiegato dai lavoratori autonomi e dipendenti per poter comprare casa.
L’analisi è stata effettuata per comprendere le differenze in termini di
potere d’acquisto tra i due strati sociali.
8
CAPITOLO 1
CETI MEDI IN CRISI: POVERTÀ E DISUGUAGLIANZA.
1.1 I malanni dell’economia
Il ceto medio è caduto in difficoltà per molteplici cause, tra queste il
ridimensionamento di differenti settori produttivi che non riescono più a
sostenere l’esperta concorrenza dei Paesi emergenti, una diminuzione di
servizi e delle prestazioni sociali dovuta all’insostenibilità delle
tradizionali strutture del Welfare e dell’invecchiamento della
popolazione, oltre che una serie di rigidità che ostacolano il rilancio
dell’economia tale da garantire più sviluppo ed occupazione.
Sta aumentando il numero di quanti accusano un abbassamento
delle loro condizioni materiali e non si sentono sicuri rispetto alle
prospettive future.
Bisogna tenere in forte considerazione un fattore di carattere emotivo: la
percezione che la piccola borghesia ha, e finisce per interiorizzare, del
proprio status e del proprio ruolo nella società.
Come è stato osservato, “sentirsi poveri pesa più di esserlo”, e questo
stato d’animo “può frenare anziché stimolare l’iniziativa”, influenzando
perciò negativamente i comportamenti economici e le scelte personali
(cfr.Debenedetti, F., 2003).
9
1.2 Impoverimento dei ceti medi?
Il tema dell’impoverimento non è più solo interesse delle inchieste
giornalistiche, ma è entrato anche nell’agenda della ricerca sociale.
Vi sono diverse considerazioni in merito alla correttezza della
terminologia usata: a taluni il termine impoverimento pare esagerato, ma
di fondo gli analisti sostengono che il disagio e la sensazione di declino
non siano privi di fondamento.
Tito Boeri, facendo riferimento anche all’indagine Banca d’Italia
sui bilanci delle famiglie, evidenzia come sia aumentata la variabilità nel
tempo dei redditi individuali e, quindi, la probabilità di diventare più
ricchi o più poveri. Aggiunge: “In un paese che invecchia, in cui aumenta
perciò l’avversione al rischio, tutto ciò ha un nome: “diminuzione del
benessere”, non si tratta di impoverimento nel senso che il reddito medio
non è diminuito. Ne sono aumentate la povertà “assoluta”
4
o quella
“relativa”
5
secondo i dati dell’indagine Banca d’Italia.” Almeno per
quanto riguarda quelli che esaminano i redditi del 2002.
Analizziamo, più da vicino, le varie interpretazioni del fenomeno
fornite in particolare da alcuni autori quali: Chiara Saraceno, Massimo
Baldini, Luca Ricolfi
4
Povertà assoluta: la percentuale di famiglie che sono rimaste al di sotto di una soglia di reddito
minimo, vitale.
5
Povertà relativa: la quota di famiglie che hanno un reddito inferiore a metà del reddito mediano.
10
1.2.1 “Più poveri o più insicuri?”
Chiara Saraceno sostiene che le spiegazioni della percezione
diffusa di un peggioramento delle condizioni di vita, siano insite nella
risposta a queste domande:
“Siamo diventati più poveri o più diseguali? Più poveri o più insicuri?”.
La differenza, commenta, non è solo tra poveri e non poveri, ma tra
coloro che possono attingere a riserve o hanno una flessibilità di reddito
che permetta loro di supportare oltre all’inflazione anche il mutamento
dei propri bisogni (un figlio in arrivo, un genitore che ha bisogno di
assistenza, e così via), e coloro che sono privi di questi due elementi di
sostegno.
L’indagine speciale dell’Istat sulla povertà a livello regionale effettuata nel
2002 ha segnalato che oltre il 47% delle famiglie italiane consuma tutto il
proprio reddito.
“Si tratta per lo più di persone sole anziane, di coppie con almeno tre
figli, di coppie anziane e di famiglie monogenitore: non famiglie
spendaccione che vivono al di sopra delle proprie possibilità, ma famiglie
il cui bilancio è risicato rispetto ai bisogni”(Saraceno,C., 2004).
Ciò è documentato anche dai dati che asseriscono che la quota di coloro
che non solo non riescono a risparmiare, ma che sono costretti a fare
debiti, sale ad una percentuale dell’80% tra le famiglie che nel corso
dell’anno hanno faticato ad acquistare il cibo necessario, a pagare le
bollette, l’affitto e le spese mediche.
Sempre dall’indagine Istat del 2002 si rileva che la condizione di povertà
“oggettiva” e “soggettiva” non sempre coincidono, ciò può dipendere
dalle aspettative che ciascuno possiede.
11
Vi sono gruppi sociali, nello specifico i lavoratori autonomi a reddito
fisso, che hanno visto diminuire il loro potere di acquisto, in quanto i
loro salari sono aumentati tenendo in considerazione l’inflazione
programmata e non quella reale, quindi sono impoveriti relativamente
alla loro condizione precedente, pur non essendo divenuti del tutto
poveri.
Questo dato emerge anche dall’indagine della Banca d’Italia che mostra
come le famiglie di operai ed impiegati abbiano perso potere d’acquisto.
Le famiglie a cui si fa esplicito riferimento risultano particolarmente
colpite non solo dall’aumento dei beni di prima necessità, ma anche dal
rincaro di quei beni voluttuari che davano loro la sensazione di non
essere poveri, quali: una pizza, un cinema, un concerto.
Gli stessi gruppi sociali vedono ridursi le speranze di miglioramento, per
sé o per i propri figli, in un’economia stagnante, in un mercato del lavoro
profondamente modificato. La temporaneità dei contratti di lavoro non
solo di ingresso, ma per periodi di tempo prolungato, produce incertezza
rispetto al futuro a breve e medio termine, riduce l’orizzonte temporale
dei soggetti individuali e familiari, sovraccarica di attese la solidarietà
familiare che è così sottoposta a tensioni e talvolta a conflitti
redistributivi.
1.2.2 “Un’inflazione per ricchi e una per poveri”
Baldini sostiene che per verificare se sia in effetti possibile trovare,
nei dati al momento disponibili
6
, traccia di impoverimento, gli elementi
fondamentali che bisogna considerare sono: l’andamento della
disuguaglianza e della povertà in Italia nel corso degli ultimi 10-15 anni,
6
Analisi effettuate dall’Istat, Federconsumatori, Eurispes che analizzano la condizione di disagio
economico avvertita dalle classi medie.
12
l’evoluzione della spesa e dei redditi dei lavoratori e dei pensionati, quella
recente dei prezzi dei beni di consumo.
L’indagine biennale condotta dalla Banca d’Italia sui redditi delle famiglie
italiane mostra per il periodo 1977-2000, un andamento a U della
disuguaglianza, con una prima fase di contrazione fino alla metà degli
anni 80, e un successivo incremento, che persiste attualmente. L’indagine
della Banca d’Italia mette a disposizione un archivio storico di microdati
dal 1977 che consente un’analisi di medio-lungo periodo della
disuguaglianza.
Questa evidenzia come la composizione della povertà sembri essersi
modificata nel tempo: la quota di anziani poveri si è ridotta, mentre
aumenta notevolmente l’incidenza della povertà tra le famiglie con
minori.
In Italia un’altra fonte disponibile per studiare la distribuzione del
reddito e della spesa tra le famiglie è l’indagine Istat, che effettua ogni
anno un’accurata analisi sui consumi degli italiani, intervistando più di
20000 famiglie. Si apprende che tra il 1997 e il 2002 la spesa media delle
famiglie italiane, in termini reali, è diminuita, passando da 2266 euro
mensili nel 1997 a 2194 euro nel 2002, un calo di circa 3 punti
percentuali.
Baldini aggiunge che “un altro modo piuttosto rozzo ma illuminante per
osservare l’evoluzione del benessere delle famiglie consiste nel vedere
come si modificano nel tempo le quote di spesa tra diverse tipologie di
beni”
7
. Quando il benessere cresce, la gente spende quote sempre
maggiori del proprio budget all’acquisto di beni e servizi di “lusso” come
pasti fuori casa, viaggi, tempo libero, istruzione, cultura, ecc.., con una
conseguente diminuzione delle spese destinate agli alimentari.
7
Baldini, M.(2004), “Prezzi, redditi e impoverimento delle famiglie”, in Il Mulino, vol 53, n.412,
pp. 290-298.
13
Quest’ultima, per il complesso delle famiglie italiane, si riduce tra il 1999
e il 2000, passando dal 19.1% al 18.6%, ma aumenta nei due anni
successivi, fino al 19.3% del 2002. Parallelamente, la quota di spesa in
tempo libero e istruzione si contrae dal 6.4% del 1999 al 6% del 2002.
Secondo Baldini parlare di impoverimento è un po’ esagerato, anche se,
egli stesso, riscontra un tenore di vita diminuito per buona parte delle
famiglie italiane.
Inoltre, nota, che il tasso di inflazione è superiore per le famiglie a
reddito medio-alto, ciò segnala che i beni acquistati da queste famiglie,
ossia quelli di “lusso”, diventano sempre meno avvicinabili per una
famiglia media, contribuendo ad acuire il senso di disagio.
“Se la cena al ristorante diventa troppo costosa per una famiglia con
reddito medio-basso, questa famiglia smette di andarci (o riduce la
frequenza delle uscite serali) e si sente più povera, quella con reddito alto
continua ad andare al ristorante, e subisce un’inflazione elevata”.
8
Le famiglie italiane, traendo le conclusioni di Baldini, si sentono più
povere perché il loro tenore di vita si è notevolmente ridotto nel corso
degli ultimi due anni, non tanto a causa dell’aumento dei prezzi o agli
effetti dell’euro quanto alla stagnazione economica, che produce un
incremento dei redditi reali irrisorio.
1.2.3 “La polarizzazione del ceto medio”
Ricolfi, invece, per analizzare i cambiamenti in corso nei ceti medi,
senza entrare nello specifico dell’adeguatezza terminologica del termine
“impoverimento” per descrivere tale situazione, preferisce porsi due
interrogativi:
8
Baldini, M.(2004), “Prezzi, redditi e impoverimento delle famiglie”, in Il Mulino, vol 53, n.412,
pp. 290-298.
14
Il primo mira a comprendere se si possa sostenere che alcuni gruppi
sociali abbiano avuto una sensibile perdita del potere di acquisto negli
ultimi anni, il secondo cerca di carpire se siano stati effettivamente i ceti
medi i maggiormente colpiti.
“Una possibile definizione di ceto medio fa leva su una caratteristica
comportamentale del ceto medio stesso: la sua resistenza alla sostituzione
fra varietà del medesimo bene”
9
.
Un membro del ceto medio percepisce come caduta di status non solo la
rinuncia al bene stesso, ma anche la rinuncia a consumarlo nella sua
varietà preferita. In termini economici si può dire che mentre il paniere
dei ceti bassi è esposto all’inflazione per l’incomprimibilità dei consumi e
quindi per la sua rigidità merceologica, quello dei ceti medi è esposto
all’inflazione per la sua rigidità qualitativa, in quanto anche l’acquisto di
un bene di qualità leggermente inferiore, rispetto alle proprie abitudini, è
percepito come una caduta di status. È questo ciò che dicono i dati Istat
sull’evoluzione della distribuzione, con i consumatori che passano dai
negozi agli ipermercati, e dagli ipermercati all’ hard discount. Ricolfi
sostiene che agendo così le statistiche ufficiali non possono accorgersi
dell’evoluzione effettiva dei prezzi. La regola ufficiale “segui i prezzi della
varietà più venduta”, aggiunge, non fa che emulare, a livello statistico,
l’odissea del consumatore, impegnato a salvare la composizione
merceologica del paniere accettando la spirale discendente della qualità.
Ricolfi utilizza il termine “polarizzazione del ceto medio” per
sottolineare come la posizione relativa dei vari gruppi professionali sia
modificata sensibilmente: operai e impiegati hanno perso potere
9
Ricolfi L.(2005) “Impoverimento dei ceti medi?”in Il Mulino n.417 gennaio – febbraio.