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scettico. Così, oltre all’insicurezza del presente, aumenta anche l’ansia
per il futuro.
Le ragioni? Meccanicamente si deve dire che la crisi dei consumi è
il risultato dell’azione sinergica di diversi fattori. A differenza di
quanti molti pensano, l’euro non è stato l’unica causa che ha
determinato questa situazione. L’aumento dei prezzi si verificò già
prima l’introduzione della moneta unica. Tra il 1999 e il 2000 ci fu un
aumento generale dei prezzi del petrolio seguito da un aumento
imprevisto dei prezzi degli alimentari nel 2001 che determinò
un’accelerazione dell’inflazione. La conseguenza di ciò fu l’erosione
del potere d’acquisto delle famiglie e dei consumi privati. Ma non è
finita, il rallentamento dell’economia americana nel 2001, a seguito
dell’attentato terroristico dell’11 settembre, contribuì a ridurre gli
scambi commerciali mondiali e questo ebbe un impatto fortemente
negativo per le economie di quei paesi, come il nostro, maggiormente
dipendenti dalla domanda estera. Per non parlare poi della costante
minaccia del terrorismo che crea instabilità, della crisi del risparmio,
dell’attuale psicosi dell’influenza aviaria.
Si capisce, così, che la crisi dei consumi è il risultato di tutti questi
fenomeni che, se da un lato hanno contribuito alla progressiva perdita
del potere d’acquisto dei consumatori, dall’altro costituiscono una
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robusta barriera allo sviluppo economico. E’ importante allora trovare
le giuste soluzioni per tornare a farli crescere, sia da parte delle
imprese, con delle strategie di marketing adeguate, che da parte dello
Stato con delle politiche vincenti.
Questo lavoro si pone, così, l’obiettivo di analizzare il fenomeno
della crisi dei consumi partendo dalle cause che l’hanno generato fino
alle possibili strategie che potrebbero permettere di uscirne. L’intento
è stato quello di analizzare non solo le ragioni che hanno portato alla
perdita del potere d’acquisto del consumatore, ma anche quelle
riguardanti le difficoltà che gran parte dei settori commerciali si
trovano a vivere.
Nel primo capitolo prenderemo in considerazione alcune teorie
sulla nascita della cultura del consumo per meglio comprendere
questo fenomeno. Successivamente analizzeremo il comportamento
del consumatore attraverso una prospettiva interdisciplinare.
Nel secondo capitolo focalizzeremo l’attenzione sulle cause che
hanno spinto i consumi degli italiani così in basso. Lo scopo sarà
quello di analizzare come accadimenti di natura sostanzialmente
diversa si siano intrecciati e, tutti insieme, abbiano influito sulla crisi
economica che attualmente viviamo.
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Nel terzo capitolo entreremo nel cuore del discorso e, dopo aver
parlato delle determinanti economiche dei consumi, analizzeremo una
ricerca svolta da Demetra per Coop sul tema dei consumi come
aspetto rilevante della socialità. La seconda parte è invece dedicata al
risparmio che da tempo mostra un calo costante dovuto, da una parte
al caro-vita e, dall’altra, ai crack finanziari che hanno minato la
fiducia dei risparmiatori.
Nel quarto capitolo analizzeremo lo sviluppo del commercio
italiano, fondamentale nella dinamica dei consumi, che dalla bottega
si è evoluto fino agli outlet, recentissime formule commerciali molto
appetibili in un periodo di crisi come il medesimo.
Il quinto capitolo è interamente incentrato sulla ricerca qualitativa
condotta in alcune città siciliane per capire più da vicino il tema che
stiamo trattando. Si è ritenuto fondamentale focalizzare l’indagine,
non tanto sul consumatore, di cui si conosce ormai ampiamente il
malcontento e il disgusto per una situazione che ne riduce fortemente
il potere d’acquisto e anche la fiducia nelle istituzioni, ma sui
responsabili di varie categorie commerciali.
Infine, nel sesto e ultimo capitolo prenderemo in considerazione le
possibili strategie di rilancio. Una parte di questo sarà dedicata alle
strategie d’impresa emerse dalla nostra ricerca, l’altra farà riferimento
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all’indagine Cermes-Bocconi sul rilancio dei consumi in Italia, sia per
quanto riguarda le possibili strategie a livello Statale sia quelle a
livello d’impresa.
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Capitolo 1
Nascita della cultura del consumo e analisi del
comportamento del consumatore
Prima di parlare della “crisi dei consumi” è importante capire cosa
si intende per consumo, come questo fenomeno si è evoluto nel nostro
paese e quali sono le teorie e le discipline che se ne occupano.
1.1 Che cos’è il consumo
In economia con tale termine si indica il processo di utilizzazione di
beni e servizi al fine di soddisfare un bisogno pubblico o privato. I
consumi sono detti privati se si riferiscono a beni acquistati per il
soddisfacimento dei bisogni dei singoli e se riguardano beni e servizi
del settore delle imprese; sono detti invece pubblici se riguardano beni
e servizi indivisibili forniti dalla pubblica amministrazione a tutti i
cittadini, pagati mediante i tributi e i contributi. Mentre nel linguaggio
comune la parola consumo implica la distruzione del bene consumato,
sia essa istantanea (p.es. il cibo) sia graduale (p.es. gli abiti), il
concetto economico di consumo riguarda unicamente la soddisfazione
del bisogno mediante un mezzo (il bene) la cui disponibilità sia
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limitata. Gli economisti si sono dedicati anche alla definizione di una
funzione del consumo, cioè della relazione esistente fra domanda di
beni di consumo e fattori che su di essa influiscono (fra i quali in
primo luogo è da considerarsi il reddito). Tale relazione è stata
analizzata in particolare da Keynes che ha definito i concetti di
propensione al consumo, cioè la quota di reddito dedicata al consumo
in relazione ai vari livelli di reddito, e di propensione marginale al
consumo ovvero il rapporto fra variazioni minime del consumo e
variazioni minime del reddito disponibile. Secondo la “legge di
Keynes”, inoltre, al crescere del reddito, sia la propensione al
consumo, sia la propensione marginale decrescono; cioè con
l’aumento del reddito i consumi aumentano, ma l’aumento dei
consumi è minore di quello del reddito poiché una parte di questo
reddito sarebbe stata risparmiata. La propensione al consumo da parte
dei singoli può essere modificata anche da orientamenti diffusi nella
società come quelli esistenti nelle attuali società dei paesi
industrializzati, dove si registra un consumo accelerato di beni e
servizi.
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1.2 Alcune teorie sulle origini della cultura del
consumo
“Sulla nascita della cultura del consumo non c’è accordo tra gli
studiosi, probabilmente a causa del ritardo degli studi storici nei
confronti della vita materiale degli individui e dunque delle pratiche di
consumo” (Codeluppi 2002, 13). Il proliferare di approcci e di
contributi multidisciplinari intorno al concetto di consumo testimonia,
al tempo stesso, sia la complessità del fenomeno sia la sua duttilità ad
essere indagato da diversi punti di vista. Le teorie sulle origini della
cultura del consumo provengono da diversi settori che vanno dal
commercio, passano dalla politica, dall’economia, dalla cultura
romantica. Questi studi attribuiscono la nascita della cultura del
consumo a cause diverse e a periodi storici differenti.
“Secondo Chandra Mukerji è nel periodo rinascimentale che si sono
formati nel commercio europeo e internazionale dei modelli culturali
di tipo materialistico per l’utilizzo dei beni che condizionano
fortemente anche i nostri attuali comportamenti di consumo e che
sono solitamente fatti risalire allo sviluppo del XVIII secolo della
prima rivoluzione industriale” (ibidem, 19). Cioè la studiosa non
mette in secondo piano l’importanza della rivoluzione industriale; ella
13
stessa sostiene infatti che questa giocò un ruolo fondamentale nel
passaggio da un’economia rozza e pre-industriale ad una economia
industriale e capitalistica. Soltanto che i modelli di consumo utilizzati
da questo tipo di economia erano già propri dell’epoca precedente e
cioè quella della rivoluzione commerciale dove ella colloca anche la
nascita della figura del consumatore. Per la Mukerji dunque la nascita
della cultura del consumo è da attribuire agli enormi progressi
compiuti nel campo dei mezzi di trasporto che resero possibile la
commercializzazione dei beni provenienti da tutte le parti del mondo.
Secondo Grant McCracken (1988) la nascita della cultura del
consumo ha una origine politica dovuta alla decisione di Elisabetta I,
nella seconda metà del XVI secolo, di far trasferire i nobili dalle loro
residenze di campagna presso la corte per ricevere direttamente dalle
sue mani quei regali e quegli onori che fino a quel momento avevano
avuto tramite degli intermediari. Dietro tutto questo naturalmente
c’erano dei motivi squisitamente economici; la regina infatti avendo i
nobili a corte riuscì in questo modo a far pagare loro buona parte delle
ingenti spese necessarie a comunicare il suo potere politico al mondo.
Una volta a corte i nobili si trovarono insieme a molti altri individui
che condividevano le stesse condizioni. Tutto ciò anche perché non
avevano più quel potere di cui godevano nei loro possedimenti. A
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corte lo scopo principale divenne quello di farsi notare agli occhi della
regina e da qui scaturì l’impiego di consumi prestigiosi tra cui abiti
lussuosi, regali prestigiosi, feste sontuose ecc. Bisogna comunque dire
che il consumo di beni di lusso era già un fenomeno molto sviluppato
fra i ricchi Signori dell’Italia del XIV secolo. In ogni modo le
modalità di consumo riservate all’elite progressivamente, col tempo, si
diffusero in tutta la società espandendo la cultura del consumo alla
stragrande maggioranza delle persone.
Studiosi come McKendrick, Brewer e Plumb sostengono invece che
la nascita di questo fenomeno sia la conseguenza del grande processo
di trasformazione prodotto dalla rivoluzione industriale in Inghilterra
nel XVIII secolo. Il consumo diventa grazie all’industrializzazione un
fenomeno sociale molto importante riservato realmente a grandi masse
di persone. E’ proprio in questo periodo che nasce il negozio moderno
dotato di vetrina e le imprese cominciano a far uso degli strumenti di
marketing e della pubblicità.
“La risposta di Campbel alla questione risiede sostanzialmente in
una riabilitazione del ruolo svolto dall’etica protestante, che Max
Weber aveva considerato la molla della produzione perché spingeva
gli individui a produrre ed accumulare come se si trattasse di un
dovere nei confronti di Dio, e nello stabilire un parallelo tra questa
15
etica e una nuova etica che è in grado invece di spiegare lo sviluppo
incessante del consumo e del desiderio di consumare: l’etica
romantica” (Codeluppi 2002, 31). Tutto ciò può apparire paradossale
perché il Romanticismo nacque in realtà come una forma di reazione
degli individui alla società industriale. La concezione Romantica si
basava infatti sull’unicità dei soggetti cioè sul privilegiare la parte
specifica e non la parte comune. Questa concezione taglia quindi i
ponti con il passato dove gli individui erano visti come soggetti che
sostanzialmente condividevano la stessa condizione. Il Romanticismo
porta dunque alla ribalta il “concetto di sé” che assume un valore
molto importante in quel periodo. Oggi infatti questo concetto può
sembrare scontato ma non lo era nel passato soprattutto per quei
soggetti sociali marginali come l’artista romantico. Con la scomparsa
dei mecenati e dei committenti tradizionali questi si trovò a dover
affrontare una scelta importante cioè adeguare le sue opere ai gusti del
mercato o esprimere liberamente la sua creatività. La scelta cadde su
quest’ultima opzione e così nacque la concezione dell’artista genio
che non esisteva prima del Romanticismo. Cambiò parallelamente
anche la concezione del consumatore di opere d’arte non più
“vincolato” nel ricercare nelle opere degli insegnamenti morali e
quindi valori di tipo sociale, ma libero, invece, di sperimentare
16
molteplici esperienze attraverso i rapporti con la stessa.
Progressivamente la concezione romantica del consumo fu applicata
dagli individui anche ai beni non culturali. Come si è detto, essa
appariva in contraddizione con l’ascetismo che era proprio della
religione protestante e che portava ad una negazione del sé. Era tutta
orientata, infatti, alla gratificazione del sé. “Eppure secondo
Campbell, la concezione romantica del consumo e la religione
protestante si sono nettamente spartite l’una la produzione e l’altra il
consumo e hanno potuto operare in assoluta complementarietà”
(ibidem, 32). Sempre secondo Campbell (1992) la rivoluzione dei
consumi si verificò proprio fra quei segmenti della società inglese
(artigiani, piccoli proprietari terrieri ecc.) dove più viva era la
tradizione protestante. La spiegazione stava nel fatto che in passato la
ricerca del piacere era riservata agli aristocratici, le cui soddisfazioni
di base erano garantite. Questi sperimentavano il piacere attraverso le
sensazioni, ma progressivamente, la ricerca del piacere, via via che si
espandeva, andò sempre più a riguardare le emozioni che fornivano
agli individui uno stimolo edonistico prolungato. Per ottenerlo, però,
era necessario saper prendere le distanze dalle proprie emozioni.
Dunque, a tale scopo, è stato particolarmente utile proprio l’avvento
dell’etica protestante perché insegnava a sopprimere le emozioni o
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comunque a saperle gestire in maniera adeguata. Tutto ciò ha prodotto
una concezione contemporanea della ricerca del piacere figlia
dell’etica romantica. Campbell la definì edonismo moderno il quale
ricercava il piacere attraverso il controllo dei significati degli oggetti
ed eventi ed era da opporre ad un edonismo tradizionale che ricercava
invece il piacere tentando di controllare oggetti ed eventi. L’edonista
moderno traeva piacere da ogni esperienza praticabile che andava oltre
le attività specificamente finalizzate a questo come il mangiare, il
bere, ecc. Egli sognava i prodotti che desiderava avere, possedere; una
volta però realizzato il sogno, esso non era più tale, ecco perché
bisognava sostituirlo con un altro. Il Romanticismo creava proprio
questo “sogno ad occhi aperti”, la ricerca continua di novità che
produceva continui cambiamenti tutto ciò grazie, naturalmente, ad una
gestione delle emozioni propria dell’etica protestante.
La nascita della cultura del consumo non ha dunque una unione
teorica. Certo è che un ruolo fondamentale al concetto di consumo lo
ebbe sicuramente la rivoluzione industriale in Inghilterra nel XVIII
secolo. Tutto quello che si verificò in quella terra, in quel periodo,
ebbe una grande influenza nel cambiare modelli e stili di vita radicati
da secoli nelle persone.
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1.3 Evoluzione della cultura del consumo in Italia
La concezione del consumo nel nostro paese è stata fortemente
condizionata da due subculture dominanti fino all’inizio degli anni
Sessanta. Le subculture in questione sono il Cattolicesimo e il
Marxismo che promuovevano un’etica del risparmio ed una logica
anticonsumistica. E’ importante sottolineare come non ci fossero dei
modelli di riferimento capaci di liberare il comportamento di consumo
dai suoi vincoli tradizionali. Ma gli anni Sessanta furono un decennio
di profonde trasformazioni un po’ ovunque nel mondo e anche l’Italia,
in ritardo rispetto ad altre realtà occidentali, sviluppò in quegli anni la
“cultura del consumo” dovuta anche ad un generale miglioramento
della situazione economica che permise al paese uno sviluppo senza
precedenti. L’Italia aveva raddoppiato la sua produzione industriale
tra il 1959 e il 1963 e, di riflesso, aveva aumentato il reddito
discrezionale a disposizione delle famiglie. Si svilupparono così i
consumi non necessari, si ebbe un sovradimensionamento dei consumi
privati rispetto a quelli pubblici, si registrò uno squilibrio tra il nord e
il sud del paese. Non bisogna in ogni caso dimenticare che la società
italiana era ancora legata a quella che Fabris nel 1995 definiva come
le caratteristiche della società contadina, ovvero autoconsumo, spirito
del sacrificio ed etica del risparmio. Inoltre a risollevare l’Italia dal
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disastro della seconda guerra mondiale fu il capitale americano che
permise di rilanciare l’economia del paese. Negli anni Sessanta ci si
avviò quindi verso un consumo sempre più libero e allo stesso tempo
fortemente veicolato dalle immagini proposte dal nascente media-
system. La prima ondata consumistica che investì l’Italia negli anni
Sessanta fu rivolta soprattutto all’acquisto di beni durevoli che
incrementarono la qualità della vita delle famiglie. Gli stili di vita che
iniziarono ad affermarsi e i modelli di consumo veicolati dai media
spazzarono via vecchie categorie concettuali come quella di classe.
L’agire di consumo era in gran parte correlato alla stratificazione
sociale per cui si manifestò attraverso modelli di comportamento e di
possesso di beni. Nello stesso tempo la televisione amalgamando la
nostra società fu in grado di colmare il vuoto culturale che impediva
l’affermarsi definitivo di maturi comportamenti di consumo. Già nel
1957 Carosello rappresentò un momento di aggregazione familiare di
fronte la TV. Attraverso la pubblicità romanzata i prodotti entrarono
nelle case così la televisione divenne il volano del nuovo consumo che
si aprì alle classi medie e fu l’apice e anche il punto di svolta del
consumo di massa. Ma la stessa pubblicità che fece scoprire i prodotti,
omogeneizzando i consumi, aveva posto anche le basi
involontariamente della crisi della massificazione attraverso il