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ristrutturazione o riorganizzazione, il cui obiettivo principale è tipicamente la miglior
valorizzazione dell’attivo finalizzato all’ottenimento di ritorni più elevati e rapidi a
favore dei creditori.
Le soluzioni concordate oggetto della riforma sono riconducibili a tre tipologie pensate
come alternative e tarate su gradi crescenti di gravità della crisi: si tratta del “piano
idoneo a consentire il risanamento” ex art. 67, comma 3°, lett. d); dell’“accordo di
ristrutturazione dei debiti” ex art. 182-bis; del nuovo “concordato preventivo” ex art.
160.
In quest’opera si è scelto di approfondire quest’ultima tipologia di “accordo”, il
quale – sotto il vigore della nuova disciplina - enfatizza i rapporti diretti tra creditori e
debitore, ma soprattutto consente al debitore di regolare la crisi, da un lato evitando la
dissoluzione dei complessi aziendali e, dall’altro, garantendo un miglior
soddisfacimento del ceto creditorio.
La legge fallimentare del 1942, nel disciplinare il concordato preventivo, lo aveva
congegnato come strumento diretto a tutelare anzitutto i creditori, assicurando loro, con
la sottrazione al fallimento, pagamenti più rapidi e in misura superiore: in quel contesto,
la conservazione dell’azienda era ritenuta un obiettivo auspicabile, ma che non poteva
essere anteposto al soddisfacimento dei creditori. Negli oltre sessant’anni di
applicazione della disciplina introdotta nel 1942 si è affermata la consapevolezza che la
conservazione dei complessi aziendali potesse rispondere all’interesse dei creditori,
tant’è che con la riforma del 2005 si è imposta la filosofia del risanamento mediante il
recupero dell’equilibrio gestionale nell’esercizio di imprese aventi la capacità di
produrre reddito, regolando l’insolvenza attraverso l’attribuzione ai creditori della
partecipazione ai guadagni dell’impresa sgravata dai debiti e così risanata.
Il concordato preventivo è stato quindi trasformato da mero strumento di realizzazione
della garanzia generica sui beni del debitore, a strumento per la risoluzione della crisi
d’impresa diretto alla conservazione del complesso aziendale. Quest’ultima da
intendersi non tanto in contrapposizione agli interessi dei creditori, quanto in vista di
una maggior tutela degli stessi e di un loro più congruo soddisfacimento, come
espressamente chiarito dalla Relazione ministeriale al d.l. 14 maggio 2005 n. 35, che
impone di perseguire l’obiettivo del “superamento della contrapposizione tra tutela dei
creditori e conservazione degli organismi produttivi”, alla ricerca di un giusto equilibrio
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che deve essere raggiunto “attraverso il consenso dei creditori ogni qual volta sia
possibile evitare una procedura liquidatoria”.
Il risanamento ai fini della conservazione dell’impresa e di un miglior
soddisfacimento dei creditori è, dunque, la finalità di natura generale che ispira la nuova
disciplina e che il legislatore ha inteso perseguire accentuando la natura negoziale della
procedura. L’obiettivo del presente lavoro è quello di comprendere come il concordato
preventivo, in virtù della sua natura di “soluzione concordata della crisi”, possa
perseguire la conservazione dell’impresa e il miglior soddisfacimento dei creditori: a tal
fine saranno analizzate tre importanti aree di intervento: quella dei presupposti, quella
del piano di regolazione della crisi e quella del ruolo del giudice.
Il primo capitolo introduce lo scenario nell’ambito del quale le soluzioni
concordate alla crisi d’impresa – cui il nuovo concordato preventivo appartiene – hanno
preso forma. Partendo da un’analisi comparativa fra l’alternativa liquidatoria e quella
conservativa dei complessi produttivi, si vogliono far emergere le ragioni a sostegno di
quest’ultima, sia sotto un profilo di convenienza economica, sia sotto il profilo della
tutela degli interessi di quanti nella crisi dell’impresa sono coinvolti. Questa maggiore
importanza attribuita alla salvaguardia dei valori dell’impresa ha imposto in molti Paesi
una riconsiderazione delle procedure liquidatorie tradizionali e la necessità di gestire la
crisi in maniera più flessibile. Questo capitolo ha lo scopo di illustrare come le soluzioni
concordate abbiano voluto costituire la risposta a queste esigenze: dapprima dando una
definizione delle stesse, poi analizzando quelli che sono stati gli interventi più
significativi in ambito internazionale e successivamente illustrando l’iter normativo che
le ha introdotte nel sistema italiano.
Il secondo capitolo introduce l’istituto del concordato preventivo e ne evidenzia
le caratteristiche e le finalità con riferimento sia alla disciplina previgente che a quella
attuale. In particolare, questo capitolo si sofferma sull’analisi della prima importante
area di intervento per il raggiungimento delle nuove finalità dell’istituto di cui si è detto,
ossia quella dei presupposti. Questi hanno visto, da un lato, l’eliminazione dei requisiti
di meritevolezza dell’imprenditore - in base alla convinzione che la procedura
anticipatoria non dovrebbe trovare preclusioni inerenti al comportamento assunto dal
debitore; dall’altro, l’anticipazione della soglia di ingresso alla procedura consentendo
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di presentare la domanda di concordato anche all’impresa in “stato di crisi” in modo che
il concordato preventivo sia uno strumento idoneo ad una composizione tempestiva
della crisi, senza attendere che essa sfoci nell’insolvenza vera e propria. Dunque, in
ottica di salvaguardia dei valori aziendali e dell’attività d’impresa, il legislatore
garantisce i benefici dell’effetto protettivo anche all’impresa che non sia ancora
insolvente, ma semplicemente rischi di divenirlo.
Il terzo ed il quarto capitolo analizzano la seconda area di intervento, quella del
piano di regolazione della crisi, alla luce del quale si evince che sono stati
notevolmente incrementati i profili negoziali della procedura e, al contempo, affievolite
le prescrizioni di legge che in precedenza regolamentavano i contenuti della proposta
del debitore. Si attribuisce alla libera determinazione del debitore la formulazione del
piano concordatario senza più schemi legislativi prefissati, fermo restando che la
proposta concordataria - e quindi anche l’eventuale progetto di risanamento - potrà
essere attuata soltanto qualora la maggioranza dei creditori ritenga che ciò corrisponda
al loro interesse e quindi lo approvi.
In particolare, il terzo capitolo mira, dapprima, a spiegare come la conservazione
dell’impresa possa avvenire (attraverso un piano di riorganizzazione o un piano di
risanamento o entrambi congiuntamente) e, successivamente, ad illustrare quali siano i
modi di soddisfacimento dei creditori che, proprio in virtù della continuazione
dell’impresa, consentono agli stessi un miglior realizzo dei loro crediti.
Il quarto capitolo, invece, è dedicato, inizialmente, alla questione del trattamento dei
creditori che, come prevede la norma, possono essere suddivisi in classi secondo
posizione giuridica e interessi economici omogenei e possono avere trattamenti
differenziati in base alla diversa appartenenza a tali classi. In tale sede sarà evidenziato
come il nuovo metodo di calcolo delle maggioranze consenta di raggiungere in maniera
più agevole l’accordo, e come la formazione delle classi contribuisca ad incentivare
l’approvazione della proposta di concordato perché consente di dare a ciascun creditore
ciò che è più adeguato alla sua posizione. Il capitolo prosegue, poi, definendo il ruolo e
il contenuto della relazione - sulla veridicità dei dati aziendali e sulla fattibilità del piano
- del professionista, che diventa in tal senso “garante” delle prospettazioni espresse dal
debitore in modo da consentire ai creditori di formulare un consenso consapevole e
informato sulla proposta concordataria.
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Il quinto capitolo, infine, è dedicato alla terza ed ultima area di intervento, quella
del ruolo del giudice: da un lato si rileva come si sia drasticamente ridotto il suo ambito
di operatività, relegandolo ad un’attività di mero controllo di legittimità attraverso
l’esclusione da ogni sindacato sul merito; dall’altro si analizza come il
ridimensionamento di tale ruolo sia andato a beneficio dei creditori ai quali, mediante la
votazione, è ora riservata ogni valutazione sulla convenienza della proposta di
concordato. Ciò deriva dalla considerazione che essendo i creditori i veri interessati alla
migliore gestione e realizzazione del patrimonio dell’impresa debitrice, è naturale che
siano essi soltanto a valutare la convenienza dell’offerta del debitore, mentre la
giurisdizione deve inevitabilmente arretrare. Per questi motivi si parla oggi di
“valorizzazione dell’autonomia privata” e di “privatizzazione della procedura”, nel
senso che la convenienza dell’accordo di soluzione della crisi è rimessa esclusivamente
alle parti, debitore e creditori, per cui si può sicuramente aderire alla tesi
contrattualistica, che considera il concordato preventivo un contratto tra debitore e
creditori.