Tele argomento però presenta una certa difficoltà ad essere formalizzato, sopratutto per
le caratteristiche differenti di ogni crisi e per la molteplicità delle vie percorribili nella
conduzione del processo di risanamento. Pertanto non è possibile ipotizzare l’esistenza
di un percorso ideale che schematizzi una successione di accertamenti ed interventi
necessari al recupero di ogni impresa. Ogni caso risulta singolarmente affetto da
differenti cause generatrici della crisi.
Ciò premesso, questo lavoro sarà rivolto, nel primo capitolo all’analisi del concetto delle
fasi e delle tipologie di declino e crisi d’impresa, al fine di capire come un impresa sia
passata da una situazione di normale redditività ed equilibrio finanziario ad una di non
autosufficienza. Questo risulterà propedeutico allo studio del cammino inverso, ovvero
dalla crisi al ritorno al valore
1
. Inoltre, si analizzerà il rischio di propensione alla crisi,
nonché la prevenzione della crisi come soluzione per evitare il risanamento. Ovviamente
si andrà oltre le semplici crisi temporanee e ricorrenti nella vita di un'impresa,
rivolgendo lo sguardo a quelle di carattere straordinario che necessitano di interventi
altrettanto straordinari. Si analizzerà, come prevenire e fronteggiare una crisi acuta
2
ma
reversibile e, dunque, situazioni critiche giunte ad uno stadio molto avanzato, che hanno
già compromesso in modo grave l’economicità dell’impresa, così da richiedere un
cambiamento di rotta se non totale, perlomeno intensamente articolato e organico.
L'accertamento delle cause della crisi, costituisce già parte attiva del processo di
risanamento, poiché, solo da un valido e approfondito lavoro di individuazione, si
possono impostare diagnosi corrette e interventi risanatori o di prevenzione adeguati.
In tale ottica, vengono presentati, nel secondo capitolo, i principali strumenti di diagnosi
della crisi, tra cui : l'analisi dei dati contabili con il calcolo e interpretazione dei quozienti
di bilancio, oltre ad analisi del Trend e dell’organizzazione aziendale. Tutto ciò al fine di
individuare l’attuale posizionamento nel mercato dell’impresa, mettendo in luce lo stato
di crisi e giungendo dunque al vero oggetto di studio: il risanamento dell’impresa; tutto
ciò al fine di evitare la soluzione stragiudiziale che, molto spesso, si rivela inadeguata e
incapace di permettere il raggiungimento dello scopo del ritorno al valore dell’azienda e
del mantenimento di un certo grado di vitalità.
1
V.CODA, G. Bruni, Sorci ed Altri, Crisi di Impresa e strategie di Superamento, Giuffrè editore, Milano 1984
2
L. GUATRI Turnaround. Declino, crisi e ritorno al valore, EGEA, 1996
2
Pertanto nel terzo capitolo, si darà una concreta definizione di Turnaround cercando di
comprenderne le criticità, le modalità applicative, le fasi che lo compongono. Uno spazio
ulteriore è dedicato agli strumenti con il quale si esplica tale strategia, ossia il piano
industriale e finanziario: il primo rappresenta il documento formale mediante il quale si
espletano le azioni strategiche, alla base del ritorno alla redditività dell’impresa, mentre
il secondo tratta dei temi tipici del riassetto finanziario dell’impresa quali, ad esempio, i
fabbisogni di risorse e il relativo profilo temporale di realizzazione, che consentiranno
una riduzione armonica del debito. Il nodo centrale della questione è comunque quello
di proporre soluzioni che portino ad un rinnovamento aziendale completo e sostenibile
nel lungo periodo, tutelando le diverse categorie di stakeholders che partecipano alla
vita dell’impresa.
L’ultimo capitolo riporta un caso pratico di Turnaround relativo alla crisi che ha lacerato
la solidità economico‐finanziaria, e la credibilità del gruppo FIAT. L’analisi sarà finalizzata
anche a comprendere i meccanismi e gli errori alla base di queste situazioni viziose, che
sono costate al gruppo una graduale perdita di quota di mercato e di competitività, nei
confronti delle grandi case automobilistiche americane e giapponesi. Tali considerazioni
saranno ulteriormente approfondite attraverso la valutazione delle diverse strategie
societarie adottate per uscire dalla crisi portando oggi alla rinascita della FIAT.
3
CAPITOLO PRIMO
DECLINO E CRISI D’IMPRESA
SOMMARIO: 1.1 Equilibrio nel sistema impresa 1.2 L’alternanza di fasi positive e negative nella vita delle
imprese; 1.3 Diversi approcci per la definizione di crisi; 1.3.1 Crisi: situazione patologica o problema
quotidiano?; 1.3.2 Una nozione più ampia di crisi 1.4 Dal declino alla crisi; 1.4.1 Fasi ed elementi
caratterizzanti della crisi; 1.4.2 Le diverse tipologie di crisi; 1.5 Il rischio della crisi; 1.6 Prevenire la crisi.
1.1 Equilibrio nel sistema impresa
Nell’attuale contesto economico, la sopravvivenza delle imprese risulta sempre più
difficile, soprattutto per fattori legati al raggiungimento ed al mantenimento di un
equilibrio economico, capace di offrire una remunerazione adeguata per i fattori
produttivi utilizzati ed un compenso proporzionale per i risultati raggiunti, ai soggetti
economici per conto dei quali l’attività si svolge.
3
Infatti, ogni impresa è un sistema i cui attributi possono portarla al successo, ovvero alla
crisi, poiché lo stato di crisi è per lo più la risultante di una sfavorevole combinazione di
differenti concause. Dunque, l’esame degli aspetti che caratterizzano un’impresa pone le
basi per impostare valide e complete diagnosi sul suo stato attuale e prospettico.
Pare quindi doveroso fare un breve esame sui caratteri essenziali del sistema impresa
che la individuano come un:
1) sistema complesso, essendo formato da numerosi elementi in reciproca ed
inscindibile correlazione multipla. Tale sistema infatti presuppone obiettivi
strategici, che motivino i piani operativi e ancor prima scelte in merito agli stessi
obiettivi. Le scelte degli obbiettivi strategici sono connesse principalmente a tre
dimensioni essenziali: cioè quella “sociale”, “reddituale” e “competitiva”
4
. Tali
dimensioni sono tra loro strettamente collegate, dunque non è possibile
intervenire su una senza che ciò si ripercuota in qualche modo sulle altre.
Ad esempio il perseguimento di elevati obiettivi reddituali a scapito di quelli sociali
(bassi livelli retributivi, condizioni di lavoro disagiate e insicure, processi produttivi ad
elevato inquinamento, ecc.) o competitivi (alti prezzi, qualità scadente dei prodotti, ecc.)
3
V. CODA, L’orientamento strategico dell’impresa, Utet, Torino, 1995
4
La dimensione sociale individua diversi soggetti portatori di interessi sui risultati dell’impresa: soggetto
economico, finanziatori, lavoratori, consumatori, Stato … in generale i cosiddetti stakeholders; la
dimensione reddituale individua le scelte in merito alla redditività gestionale; la dimensione
competitiva infine individua le scelte sul posizionamento strategico dell’impresa
4
non possono consentire all’azienda un duraturo sviluppo; così come obiettivi sociali
ambiziosi (creazione di posti di lavoro, alte retribuzioni, elevata attenzione alle richieste
provenienti dalla comunità sociale in cui l’azienda opera, ecc.) da raggiungere a scapito
della efficacia competitiva e di quella reddituale, non possono a lungo termine
consentire il perdurare della vita aziendale.
Occorre pertanto, nel fissare gli obiettivi, che le tre dimensioni suddette vengano
considerate non singolarmente ma in correlazione tra loro, allo scopo di individuare una
«formula imprenditoriale» in cui economicità, competitività, e attenzione agli
stakeholders risultino rafforzate vicendevolmente.
La definizione degli obiettivi necessita, dunque, di reciproca coordinazione potendo
sorgere influenze tra le tre dimensioni: ad esempio, scelte di un certo tipo nell’ambito
delle politiche reddituali comportano necessariamente, un restringimento nello spettro
delle alternative possibili nell’ambito delle politiche competitive e di posizionamento
sociale; così come lo stesso avviene cambiando l’ordine delle variabili.
2) sistema aperto e dinamico, in quanto interagisce con l’ambiente esterno,
subendone sollecitazioni, perturbazioni e mutamenti, che si riflettono sul
proprio equilibrio interno. Un’impresa dunque, non vive isolata, ma si inserisce
in un ben definito universo, in un ambiente concreto che la circonda e con il
quale intreccia complesse relazioni: ricevendo da esso «inputs» (fattori
produttivi, norme di legge, rapporti sociali, valori culturali, morali, ecc.) e
restituendo ed esso una vasta gamma di «outputs» (prodotti, servizi, reddito,
ecc.).
Pertanto, ulteriori influenze derivano dall’ambiente: alcuni vincoli sono diretti (norme di
legge, tendenze del mercato monetario e finanziario, situazione competitiva,
congiuntura economica, stato della tecnologia, produttiva nel settore, ecc.), altri di tipo
indiretto (psico‐sociale, culturale).
L’ambiente influisce in profondità sulla vita dell’impresa presentandosi come una fonte
di vincoli, opportunità e minacce; ad esempio i mutamenti derivanti da cambiamenti
delle norme vigenti, della situazione politica, delle tendenze sociali e demografiche e
delle politiche fiscali e monetarie potranno offrire al management nuove opportunità o
minacce che si tradurranno, a livello aziendale, in un miglioramento o in un
peggioramento delle perfomances. Dunque le scelte strategiche dell’impresa devono
essere improntate a logiche di adattamento, ai mutamenti ambientali oppure a logiche
5
imprenditoriali così innovative che contribuiscono alla creazione di un ambiente per
certi aspetti «nuovo»
3
.
5
3) sistema probabilistico, poiché opera in condizioni di rischio e d’incertezza, in
conseguenza dell’imprevedibile ambiente esterno e del comportamento umano.
4) sistema ad autoregolazione, in quanto dotato di meccanismi in grado di
riportare il sistema in equilibrio a fronte di sollecitazioni e perturbazioni esterne.
E’ evidente, quindi, come la variabilità dell’ambiente e la combinazione delle tre
dimensioni operanti nella definizione degli obiettivi, influiscano sulle condizioni di vita
dell’impresa, determinando instabilità del suo equilibrio tendenziale.
Le imprese, dunque dovranno perseguire ininterrottamente e in modo dinamico un
tendenziale equilibrio prospettico, affinché possano mantenersi in vita e creare valore.
Nella teoria generale dell’impresa la nozione di equilibrio
6
del sistema aziendale viene
esaminata dal punto di vista finanziario, economico e patrimoniale.
1. l’equilibrio economico si concretizza nell’attitudine dell’impresa a conseguire un
volume di ricavi in grado di coprire i costi sostenuti e remunerare adeguatamente i
fattori produttivi;
2. l’equilibrio finanziario è inteso come la capacità dell’impresa di reperire risorse
finanziarie e di adempiere regolarmente ai pagamenti;
3. l’equilibrio patrimoniale si ha quando le attività eccedono rispetto al totale delle
passività.
Nel corso della sua vita un’azienda può trovarsi in equilibrio economico, ma
contemporaneamente, non riuscire a raggiungere l’equilibrio finanziario e patrimoniale.
La sopravvivenza di un impresa però richiede come condizione inderogabile la capacità
di raggiungere e di mantenere nel tempo un soddisfacente equilibrio economico, poiché,
solo l’impresa nella quale i ricavi coprono nel medio‐lungo termine tutti i costi,
3
V. CODA, L’orientamento strategico, Utet, Torino, 1995. L’Autore scrive: «…i comportamenti di tipo
adattivo sono i più diversi, potendo andare da quelli dell’impresa che subisce passivamente certi
cambiamenti ambientali (comportamento passivo) a quelli di chi reagisce ad essi per contrastarli o
assecondarli (comportamento reattivo) o di chi cerca di anticiparli (comportamento anticipatorio). Anche i
comportamenti che innovano nell’ambiente sono i più vari, potendosi tradurre in mutamenti radicali nelle
regole del gioco competitivo all’interno di definiti settori, in una messa in discussione dei confini tradizionali
delimitanti lo “spazio operativo” di settori esistenti, nell’avvio di settori nuovi, in nuovi tipi di rapporti con
certi interlocutori sociali e cosi via».
6
V. PARETO precursore della teoria dell’equilibrio economico, definisce l’equilibrio come «quello stato che
si conserverebbe all’infinito se non sopravvenissero mutamenti nelle condizioni sotto le quali è stato
osservato». Però a tale nozione muove una critica MAYER che fa rilevare come qualunque stato, anche di
squilibrio perciò, si mantiene finché non si modificano le condizioni che lo avevano determinato.
6
remunerando adeguatamente il capitale, può essere in grado di sopportare più
agevolmente eventuali tensioni finanziarie o patrimoniali temporanee, rimanendo
competitiva. Ciò però non vuol dire che il raggiungimento dell’equilibrio economico sia
condizione sufficiente allo sviluppo dell’impresa; le tre condizioni di equilibrio
(economico, finanziario e patrimoniale) sono strettamente collegate: i costi e i ricavi che
caratterizzano la gestione economica determinano, infatti, nell’aspetto finanziario flussi
in entrata o in uscita, generati dai movimenti connessi alla raccolta ed al rimborso dei
finanziamenti, che condizionano la liquidità della gestione che, a sua volta, incide sulla
struttura patrimoniale.
In modo analogo, una decisione di struttura finanziaria che individua una data
composizione delle fonti di finanziamento, si riflette a livello patrimoniale in passività,
con effetti sul grado di indipendenza dell’impresa dai capitali di terzi, ma anche a livello
economico sul risultato di esercizio a secondo della incidenza degli oneri finanziari; così
pure l’adozione di una certa struttura tecnico‐produttiva crea elementi di rigidità a
livello di struttura patrimoniale (per la prevalenza delle immobilizzazioni) ed a livello di
struttura dei costi aziendali (per la prevalenza di costi fissi) con effetti negativi sul livello
di redditività.
Dunque è importante individuare la combinazione ottimale in grado di garantire
condizioni di «equilibrio» di tipo economico, finanziario e patrimoniale, tramite processo
di pianificazione integrata. Tale processo è indispensabile per verificare la compatibilità
e fattibilità dei programmi individuando la migliore allocazione delle risorse rispetto agli
obiettivi generali predeterminati sulla base di analisi esterne dell’ambiente e del
mercato, delle analisi interne, che hanno portato alla definizione delle strategie.
Le previsioni compiute portano a scelte strategiche e operative che dovrebbero essere
in grado di garantire il raggiungimento di posizioni di equilibrio, ma la realizzazione ed il
mantenimento di tale equilibrio, che è stato giudicato soddisfacente sia dal punto di
vista economico, finanziario e patrimoniale, deriverà sia dall’attendibilità delle previsioni
sia dalla invarianza delle condizioni esterne.
Le condizioni di equilibrio dovranno pertanto essere verificate in funzione dei
mutamenti dell’ambiente e del mercato, in modo da rilevare come le variazioni
condizionino tali equilibri, adattando le strategie alla variabilità dell’intero contesto in
cui si svolge la vita dell’impresa.
7
Analizzando le origini di una crisi, come avremo modo di osservare nei prossimi
paragrafi, le cause potrebbero individuarsi proprio in «errori strategici», compiuti nella
fase di pianificazione, o in «errori operativi» compiuti nella fase di realizzazione dei
programmi, tali che non sia garantito l’equilibrio. Dunque, la sopravvivenza dell’impresa
in questi casi sarà determinata dalla sua capacità di reazione, che non dipenderà solo dal
livello di efficienza raggiunto nei vari settori operativi, ma anche dalla sensibilità dei suoi
manager a percepire e adeguarsi al cambiamento, seguendo un preciso orientamento
strategico di fondo, il quale inteso nel senso di missione, filosofia dell’impresa è una
realtà nascosta, fatta di idee‐guida e valori, che possono rendersi visibili solo
indirettamente, attraverso le scelte e i comportamenti concreti che essi animano
7
. Tale
orientamento risulta di fondamentale importanza per il benessere duraturo
dell’impresa, in quanto se erroneamente formulato diviene premessa di successive crisi.
Infatti, un orientamento strategico di lungo periodo, guarda al futuro e persegue il fine
esclusivo di assicurare lo sviluppo duraturo dell’impresa; mentre un orientamento di
breve si focalizza su obiettivi che non sono funzionalmente raccordati a quello del
benessere e sviluppo duraturo dell’impresa, intraprendendo dunque impostazioni
strategiche inadeguate: come la ricerca solo di un profitto a breve o il perseguimento di
finalità socio‐politiche, che mal si conciliano con le esigenze di competitività e di
economicità.
In conclusione un orientamento strategico di fondo di breve periodo trascura le esigenze
di continuità dell’impresa, la cui sopravvivenza di fatto finisce per dipendere in grado
decisivo da condizioni esterne favorevoli, destinate per altro prima o poi a venir meno.
Un orientamento di fondo di lungo periodo subordina tutto allo sviluppo duraturo
dell’impresa, dunque un orientamento ad investire con coerenza e continuità ‐ in
tecnologie, prodotti, mercati, capacità manageriali e imprenditoriali, ecc. ‐ per attuare
un progetto duraturo d’impresa.
7
Per un maggiore approfondimento si veda V. CODA, L’orientamento strategico dell’impresa,
Utet,Torino,1995.
8
1.2 L’alternanza di fasi positive e negative nella vita delle imprese.
Dai concetti fino ad ora illustrati, si può facilmente comprendere che un’impresa è un
istituto destinato a durare nel tempo; tuttavia, essendo un «sistema aperto e dinamico»,
nel corso della sua vita può incorrere in situazioni di disequilibrio, che talvolta possono
sfociare in vere e proprie «crisi». Dunque, nell’attuale contesto economico, la
sopravvivenza delle imprese risulta sempre più difficile, in ragione soprattutto dei
continui cambiamenti nel mercato che richiedono adattamenti non sempre possibili in
funzione del grado di rigidità strutturale proprio delle imprese; inoltre, la scarsità di
meccanismi di previsione attendibili fanno si che l’incertezza del futuro renda sempre
più pericolose le situazioni di disequilibrio.
Le imprese che non affrontano adeguatamente il cambiamento, in funzione della
naturale evoluzione di ciascun mercato, si ritroveranno prima o poi, ad affrontare stati di
crisi. Infatti, la gestione di qualsiasi impresa si svolge in condizioni di tendenziale
stabilità, interrotta da mutamenti di entità tale da richiedere modificazioni sostanziali
della visione strategica e dell’assetto organizzativo. Tali adattamenti possono essere il
risultato di cambiamenti incrementali di tipo lineare, facilmente prevedibili, ma anche di
salti evolutivi più rapidi, che se non prontamente valutati, possono originare profonde
crisi. Tutto ciò, trova conferma nel pensiero del Guatri
8
, il quale sostiene che nel mondo
capitalistico, la vita dell’impresa si svolga con un’alternanza di fasi positive e negative,
dunque di successi ed insuccessi secondo una certa ciclicità. Gli alti e bassi che si
presentano con tale ciclicità sono condizioni che fanno parte della vita delle imprese in
qualsiasi settore, pertanto risulterà fondamentale prepararsi per tempo; dunque, le
imprese solide che si sono preparate ritorneranno al successo, mentre e imprese
marginali, non capaci di prevenire nel modo adeguato la fase negativa, andranno verso
la loro progressiva eliminazione dal mercato. L’alternanza di successi ed insuccessi però
può andare anche al di là della semplice ciclicità del business, infatti alcune cause di
insuccesso possono rimanere a lungo latenti ed esplodere in maniera improvvisa ed
inattesa; dunque si parlerà di fasi negative di tipo strutturale e non più ciclico.
L’avvicinarsi di qualsiasi fase negativa, però, è sempre preceduta da sintomi premonitori
più o meno percettibili, ma spesso sottovalutati del management dell’impresa che non
prende i necessari provvedimenti.
8
L. GUATRI, Turnaround, declino, crisi e ritorno al valore, Egea, Milano, 1995. «L’impresa deve imparare a
convivere con il rischio del declino e della crisi: è un convincimento, espresso da almeno un decennio».
9
Pertanto, la fase negativa si avvicina inesorabilmente e l’insuccesso ormai conclamato si
traduce nel graduale o repentino declino dell’impresa, che sfocia, nei casi gravi, in vere e
proprie crisi che danneggiano gli stakeholders.
La crisi tuttavia si può prevenire, prendendo tempestivamente le idonee misure di
contrasto al declino, che riporteranno l’impresa al conseguimento del suo equilibrio;
qualora ciò non avvenisse, però, la crisi sarà inesorabile e il ritorno dell’impresa
all’equilibrio dipenderà dalla possibilità di sanare i danni apportati dalla crisi, tramite un
vero e proprio processo di risanamento; in alternativa vi sarà la cessazione dell’attività
dell’impresa tramite liquidazione volontaria o nei casi più gravi tramite le procedure
concorsuali (fallimento, concordato preventivo, liquidazione coatta amministrativa …)
In sintesi, Guatri sostiene che le fasi negative di un’impresa, sia di tipo ciclico che
strutturale, seguano una ben precisa linea evolutiva schematizzata di seguito.
Grafico 1.1 I possibili sviluppi delle fasi negative nella vita delle imprese
9
Il Grafico 1.1 evidenzia le varie possibili linee di
evoluzione delle fasi negative nella vita delle imprese:
1. il declino può non evolversi allo stato di crisi, tramite
la prevenzione;
2. il declino si traduce in una vera e propria crisi, dalla
quale l’impresa può uscire o non uscire; nel primo
caso si verifica il turnround, che può avvenire con
richiesta di sacrifici agli stakeholder o senza sacrifici;
nel secondo caso si verifica la cessazione
dell’impresa, che può realizzarsi in modo traumatico
o meno per gli stakeholder.
9
L. GUATRI, Turnaround, declino, crisi e ritorno al valore, Egea, Milano, 1995. pag 17
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