Giulia Nicoletto - Introduzione
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Proprio in questo ambito strategico si inserisce l’evoluzione dell’impresa oggetto dell’indagine,
Rossi Moda S.p.A., azienda che ha operato per quasi mezzo secolo nel settore calzaturiero passando
da terzista a licenziataria delle grandi griffe del lusso, e che nel 2006, una volta che l’attuale
Amministratore Delegato Luigino Rossi avrà ceduto l’ultima frazione di capitale sociale ancora in
possesso della famiglia, verrà completamente assorbita dal gruppo LVMH.
Il colosso del lusso francese attraverso questa operazione si pone l’obiettivo di poter sfruttare tutti i
vantaggi legati alla concentrazione della produzione di calzature dei vari brands che fanno parte
della galassia LVMH presso l’azienda veneta, che al momento produce sei collezioni per marchi di
proprietà del gruppo: Christian Lacroix, Givenchy, Loewe, Emilio Pucci, Calvin Klein e Marc by
Marc Jacobs. A questo proposito, il direttore della sezione Accessori della griffe Givenchy
conferma l’importanza di poter condividere con Rossi Moda esperienze e fornitori, affermando che:
“far parte dello stesso gruppo ci permette di razionalizzare i processi di acquisto e di gestione”.
Questo lavoro si pone come obiettivo quello di analizzare il caso Rossi Moda alla luce due diverse
prospettive, nel tentativo di dare risposta ai seguenti interrogativi:
1. Come cresce un’azienda operante nel settore del lusso?
2. Come si articola e come viene gestita la Supply Chain che ha come impresa focale un’azienda
che produce luxury goods?
Riuscire a rispondere in maniera adeguata a queste domande sulla base dell’analisi di un solo caso
aziendale porterebbe sicuramente a risultati imprecisi e forvianti, ma da questo studio si possono
trarre alcune evidenze rilevanti sulle possibilità di crescita aziendale e di sviluppo della catena di
fornitura che un’impresa italiana che si trova ad operare all’interno del settore del lusso, e in
particolare nel segmento della calzatura di fascia più elevata, può sfruttare.
Il primo capitolo si propone di definire il concetto moderno di lusso, tracciare i confini del settore
luxury e descrivere la caratteristiche del principale punto di forza delle imprese che operano in
questo ambito competitivo: la forza del brand, la cui immagine di prestigio nasce dalla tradizione
legata a produzioni di qualità e si consolida attraverso importanti investimenti in operazioni di
marketing e di ampliamento della rete distributiva. A conclusione del capitolo vengono presentati
tre casi significativi che esemplificano i modelli più diffusi di sviluppo e crescita dimensionale
messi in atto dai più noti luxury groups.
Nel secondo capitolo focalizza l’attenzione su uno dei settori in cui il segmento “lusso” rappresenta
un mercato in cui l’Italia mantiene una posizione premiante: la calzatura.
Giulia Nicoletto - Introduzione
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Del sistema calzaturiero italiano vengono messi in risalto i punti di forza e di debolezza, i
cambiamenti in atto e le prospettive di sviluppo futuro delle aziende che operano nella fascia più
alta del mercato.
Il terzo capitolo si propone di analizzare nel concreto del caso Rossi Moda le strategie di crescita
adottabili da un impresa che produce calzature di lusso. L’analisi della storia imprenditoriale mette
in luce il processo evolutivo che ha portato l’azienda veneta ad essere sinonimo di eccellenza nella
realizzazione di prodotti di alto livello qualitativo.
Nel quarto capitolo si prosegue lo studio del caso aziendale analizzando la configurazione del
Supply Network di Rossi Moda e le scelte operative che rendono proficui i rapporti collaborativi sia
con i clienti che con i fornitori. Vengono messi in risalto i processi legati alla selezione di clienti e
fornitori e le pratiche che guidano il controllo della qualità delle materie prime e del prodotto finale,
le quali rendono possibile la commercializzazione di un prodotto di livello superiore.
I risultati dell’analisi del caso aziendale mostrano che alcuni fattori di successo legati al sistema
produttivo di Rossi Moda potrebbero essere generalizzati ed adattatati ad altri casi di laboratori
d’eccellenza operanti nel settore del lusso.
Il Supply Network di Rossi Moda è infatti caratterizzato da buone pratiche di gestione della
logistica, di controllo di parte del capitale sociale dei fornitori di importanza strategica e dalla
selezione attenta di canali distributivi, tutte queste procedure lo rendono una rete di operatori e di
relazioni flessibile e affidabile, che se integrata adeguatamente potrebbe entrare a far parte della
filiera che supporta dall’interno i marchi del gruppo LVMH.
Dal lato della crescita aziendale sono state invece messe in risalto alcune ombre che offuscano il
successo dell’impresa: il vincolo subordinazione alle licenze, e quindi alle scelte strategiche delle
maisons licenzianti, a cui Rossi Moda ha dovuto sottostare nel momento in cui ha deciso di non
produrre più collezioni con marchi di proprietà, e le potenzialità inespresse dal lato della
distribuzione che con ogni probabilità saranno messe a frutto grazie all’entrata nel gruppo LVMH.
Giulia Nicoletto – Il settore del lusso
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CAPITOLO UNO
IL SETTORE DEL LUSSO
1 Introduzione
L’obiettivo di questo primo capitolo consiste nel fornire un primo approccio al settore del lusso,
inquadrando il contesto a cui si farà riferimento lungo tutta la trattazione.
In primo luogo viene definito il concetto di lusso, nel suo significato simbolico e in qualità di
esperienza esclusiva ben distinta da un’altra filosofia di prodotto: la moda.
Del settore del lusso vengono tracciati i confini, focalizzando l’attenzione soprattutto
sull’importanza della concorrenza potenziale e sull’uso del brand come “arma strategica” vincente.
L’analisi delle strategie di crescita nel settore luxury rappresenta il fulcro del capitolo: vengono
illustrati i vari processi di crescita, suddivisi in modalità di sviluppo autonome e modalità di
sviluppo collaborative. Viene conferito particolare rilievo inoltre all’analisi della crescita per linee
esterne, in quanto acquisizioni e fusioni rappresentano l’orientamento più diffuso tra i grandi gruppi
del lusso, molti di questi si sono infatti impegnati in operazioni rilevanti e rischiose al fine di
acquisire con rapidità la capacità di produrre direttamente linee di abbigliamento, accessori o
orologi ed ottenere così il controllo immediato sulla filiera di creazione del valore.
Questa prima parte del lavoro si conclude con l’analisi di tre casi aziendali recenti e significativi che
esemplificano la tendenza delle griffe più prestigiose verso l’integrazione verticale e la
diversificazione.
Giulia Nicoletto – Il settore del lusso
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2 Il lusso: un concetto trasversale
Il lusso è stato definito in passato come un mercato con tratti del tutto particolari: elitario, poiché
offriva pezzi unici a prezzi proibitivi, locale, perché basato su imprese legate al territorio ed inoltre
caratterizzato da segmenti di offerta specialistici (gioielli e orologi). Oggi invece si distingue per il
fatto d’essere un mercato trasversale, globale e sicuramente più accessibile rispetto ad un tempo. Il
lusso moderno non identifica più solo ciò che è costoso, raffinato e quindi inaccessibile alla massa
dei consumatori ma richiama una più ampia categoria mentale: la ricerca del piacere personale, non
necessariamente di tipo ostentativo, attraverso esperienze ed emozioni particolari.
I marchi che appartengono al settore del lusso sono dunque quelli che soddisfano questo bisogno di
esperienze eccezionali, di emozioni intense, fondando comunque la propria legittimità su un
prodotto di qualità assolutamente superiore (Saviolo,2002).
E’ bene a questo punto fare luce su una distinzione concettuale molto importante: quella tra lusso e
moda, termini a volte usati come sinonimi, spesso per il fatto che i beni appartenenti a queste due
sfere sono caratterizzati da un’alta “intensità simbolica”(Ravasi D., 2001), perché sono riconosciuti
e acquistati più per il loro valore immateriale ed estetico che per le loro qualità funzionali.
Già nel 1899 Veblen, nel suo studio intitolato “La teoria delle classi agiate”, interpretava il ruolo
sociologico ed economico della moda, affermando che essere alla moda significa conformarsi allo
stile di vita, e quindi essere o emulare coloro i quali a causa della propria condizione sono all’apice
della scala sociale.
Se oggi la teoria sociologica di Veblen e la “trickle-down theory”
1
appaiono ad alcuni studiosi
troppo meccaniche (Slater, Don, 1997), in quanto ignorano il fatto che stili di consumo dominanti
possano emergere da gruppi sociali subordinati e dalla loro opposizione alle classi sociali più
elevate (la diffusione del jeans ne rappresenta un caso emblematico), si può affermare che, a
distanza di più di un secolo da questi studi, il carattere emulativo della moda non ha perso valore e
anzi essa presenta come primo elemento distintivo proprio il diffuso apprezzamento di un
determinato prodotto in un dato contesto sociale e/o geografico.
In secondo luogo la moda si esprime attraverso il “sistematico cambiamento” dei prodotti
appartenenti al fashion system. Le ragioni di questa continua evoluzione risiedono innanzitutto nella
legittima stagionalità di questi beni ma anche all’emergere di nuovi bisogni e desideri sempre più
sofisticati che creano una situazione di obsolescenza forzata.
1
La “trickle-down theory” (detta anche “teoria dello sgocciolamento verso il basso”) introdotta da Veblen, si basa
sull’assunto che la moda venga lanciata dai livelli più alti della scala sociale e poi scenda progressivamente fino a che
non penetra nei livelli più bassi.
Giulia Nicoletto – Il settore del lusso
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Il concetto di lusso fa invece riferimento a beni esclusivi di altissima qualità, caratterizzati da
marchi prestigiosi di fama internazionale, di prezzo molto elevato e spesso supportati da storie e
tradizioni affascinanti, rappresentativi di valori senza tempo, come l’eleganza, l’equilibrio nelle
forme, l’esclusività delle materie prime (Varacca Capello, 2002).
I beni di lusso appartengono a vari settori, coprono quote importanti nell’ambito dell’abbigliamento,
della gioielleria, della pelletteria, degli accessori e di altri articoli preziosi (penne, accendini,
portachiavi). Il lusso individua quindi segmenti più o meno ampi in diversi settori merceologici, ma
è caratterizzato da una clientela internazionale piuttosto omogenea nei tratti distintivi.
Grafico 1.1: Lusso: un segmento trasversale nei vari settori (valori in milioni di Euro)
Fonte: Pambianco, 2000
Risulta interessante considerare la distinzione proposta da Allerérès (1997), il quale ipotizza
l’esistenza di tre categorie di beni di lusso:
1. Il lusso inaccessibile
2. Il lusso intermedio
3. Il lusso accessibile
Il prodotto di lusso inaccessibile si distingue per il fatto che esso è un prodotto unico o comunque
realizzato in serie limitatissima, spesso su misura, quindi il prezzo risulta molto elevato e si
combina a livelli di costo particolarmente significativi. A produrre questi beni unici e preziosi sono
i marchi classici del lusso. La Haute Couture di Dior o Chanel, i gioielli di Cartier e i bauli di Louis
Vuitton possono essere dei validi esempi per questa categoria di beni.
Il lusso intermedio identifica un prodotto meno complesso e sofisticato, realizzato in serie, anche se
a volte esse sono limitate, presenta un livello qualitativo comunque notevole come ad esempio il
prêt-à-porter di Armani o la gioielleria di Damiani.
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10
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30
1
Il lusso per prodotti
Abbigliamento
Pelletteria
Profumi
Cosmesi
Orologi
Calzature
Gioielli
Occhiali
Giulia Nicoletto – Il settore del lusso
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Il prodotto di lusso accessibile è indirizzato ad un pubblico decisamente più ampio rispetto alla due
categorie sopra descritte, è studiato e disegnato in modo da risultare appetibile ad una più ampia
platea di potenziali clienti, presenta un buon rapporto qualità/prezzo e richiede una strategia di
marketing mirata. Un buon esempio per questa classe di beni di lusso potrebbe essere il portachiavi
griffato Tiffany.
Attraverso questa logica è possibile operare una distinzione tra prodotti di lusso e marchi di lusso:
infatti in molti casi le proposte commerciali delle più prestigiose e celebri marche del lusso si sono
arricchite di articoli prodotti in serie, con la creazione di seconde e terze linee anche molto
importanti in termini di risultato economico.
Quindi anche se comunemente tutti i più esclusivi marchi della moda sono considerati appartenenti
al mercato del lusso, non tutte le collezioni sono costituite da articoli che possono considerarsi di
lusso vero e proprio, anzi esistono casi in cui la moda assume un carattere prevalente come in
Prada, Versace e Gucci.
Gli oggetti di lusso, presenti in vari ambiti dall’abbigliamento all’oreficeria e dall’oggettistica alla
cosmesi in nicchie più o meno ristrette, sono precisamente identificabili per il marchio, la qualità e
l’esclusività che li caratterizza (Varacca Capello, 2002).
Giulia Nicoletto – Il settore del lusso
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3 Definizione del settore lusso
Sebbene il settore del lusso appaia come un ambito estremamente eterogeneo e caratterizzato da un
elevato tasso di mobilità dovuto innanzitutto allo sviluppo in senso multinazionale dei gruppi, lo
studio delle sue caratteristiche e dei suoi confini aiuta a comprendere il gioco di reciproca influenza
esercitata o esercitabile dalle diverse imprese o gruppi che operano in questo ramo.
La definizione dei confini settoriali risponde dunque, anche in questo caso, all’esigenza
dell’impresa di comprendere l’ambiente in cui essa si misura sotto il profilo competitivo, ed essere
così in grado di elaborare strategie che le permettano di sopravvivere.
3.1 Approccio teorico alla definizione dei confini settoriali
“In situazioni di concorrenza perfetta o di monopolio la definizione dei confini settoriali è semplice
ed immediata in quanto basata sulla totale omogeneità del prodotto dentro al settore e sulla radicale
differenza nei prodotti appartenenti a due settori diversi, al punto che la loro elasticità incrociata
2
è
assunta come nulla” (Volpato, 1986, p.43).
Nel caso , più diffuso, di concorrenza monopolistica la definizione de criterio di omogeneità risulta
più difficoltosa, in quanto il criterio di omogeneità assoluta dei prodotti risulta attenuata a vantaggio
del criterio di disomogeneità fra prodotti appartenenti a gruppi diversi, la quale si conserva
integralmente.
Sebbene il metodo dell’elasticità incrociata tra prodotti risulti dal punto di vista logico una
soluzione efficace al problema della definizione dei confini settoriali, essa presenta sia
inconvenienti pratici, legati alla difficoltà di misurare l’elasticità incrociata tra i prodotti, sia
problemi relativi alla possibilità di giungere alla definizione di gruppi indipendenti di prodotti, a
causa dei cambiamenti continui nella struttura della domanda, dell’offerta e nell’organizzazione
produttiva delle imprese, che generano serie continue di reciproche interdipendenze tra prodotti.
Se a questo punto risulta chiara la scarsa operatività del concetto di elasticità incrociata applicata al
problema della divisione settoriale, si possono ricercare metodi empirici sostitutivi che si basino sui
due elementi fondamentali: l’omogeneità interna al settore e la disomogeneità verso i restanti
settori.
Volpato (1986) propone una soluzione tecnicamente semplificata, che partendo dall’assunto che
l’identificazione dei confini di un settore presenta una validità storicamente limitata, giunge a
2
L’indice di elasticità incrociata tra due beni misura il rapporto tra la variazione percentuale che la domanda di un bene
subisce in funzione della variazione percentuale evidenziata nel prezzo di un altro bene, in condizioni di ceteris paribus per
tutte le altre grandezze del sistema economico.
Giulia Nicoletto – Il settore del lusso
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definire il settore come il luogo economico dato dall’intersezione di alcuni fondamentali fattori di
omogeneità:
1. Omogeneità nel tipo di bisogno soddisfatto dai prodotti
2. Omogeneità nel tipo di tecnologia utilizzata nella produzione
3. Omogeneità nel tipo di materiali impiegati
4. Omogeneità nella struttura commerciale
“Le imprese che presentano una elevata omogeneità nei fattori sopra evidenziati sarebbero dunque
da considerarsi come appartenenti allo stesso settore. Ciò non significa risolvere una volta per tutte
il problema della definizione dei confini di settore, ma significa porre il problema della divisione
settoriale nella sua corretta prospettiva” (Volpato,1986, p.58)
Dunque le imprese che hanno in comune tutti e quattro i tipi di omogeneità sono quelle che
compongono il settore e quindi rappresentano i concorrenti diretti, mentre i quattro gruppi di
imprese aventi in comune tre tipi di omogeneità possono essere definite concorrenti potenziali.
3.2 Applicazione della teoria dell’omogeneità al settore del lusso
Lo studio dei confini settoriali per quanto riguarda l’industria dei beni di lusso presenta senz’altro
delle caratteristiche atipiche rispetto all’analisi di altri settori, focalizzati per lo più su una sola
categoria merceologica come ad esempio il settore automobilistico, il settore farmaceutico o quello
calzaturiero.
La teoria dell’omogeneità di Volpato introduce delle facilitazioni proprio perché non incentrata sul
presupposto che la concorrenza si sviluppi solo tra imprese produttrici di un identico bene.
Volendo applicare dunque la teoria dell’omogeneità al settore luxury, si può procedere analizzando
i singoli criteri di omogeneità:
1. Omogeneità nel tipo di bisogno soddisfatto dai prodotti
In una società moderna un singolo atto economico soddisfa spesso una molteplicità di bisogni
diversi, interdipendenti e quindi difficili da isolare e da valutare. L’acquisto di beni di lusso
rappresenta un esempio emblematico di questa caratteristica del sistema dei bisogni: come
sottolineato all’inizio del capitolo, i prodotti appartenenti al settore luxury vengono acquistati più
per il loro valore immateriale, emotivo e simbolico che per il loro effettivo valore funzionale.
Quindi il bisogno soddisfatto da questi beni è generalmente un bisogno di immagine e di status:
possedere un gioiello Tiffany o una borsa griffata Gucci esprime inequivocabilmente la propria
appartenenza ad un gruppo che si colloca ai livelli più alti della scala sociale.
Giulia Nicoletto – Il settore del lusso
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2. Omogeneità nella tecnologia utilizzata nella produzione
Non si può certo affermare che i beni di lusso presentino tecnologie produttive uguali o simili, ma
ciò che crea omogeneità rispetto alla tecnologia nel settore luxury è l’artigianalità del processo di
produzione che accomuna i prodotti di questo settore. La loro fabbricazione è, nella maggior parte
dei casi, portata avanti da manodopera specializzata con skills difficilmente riproducibili.
Questa caratteristica obbliga le imprese a limitare quantitativamente la produzione in modo da
mantenere elevato il livello qualitativo. La natura non prettamente industriale delle produzioni di
lusso è individuabile in quattro principali settori merceologici: profumi e cosmetica, orologeria e
gioielleria, pelletteria e accessori e fashion appeal.
3. Omogeneità nei tipi di materiali utilizzati
Anche per quanto riguarda i materiali è difficile stabilire quali tipologie non rientrino nella
produzione dei beni di lusso, malgrado questo è possibile individuare un minimo comune
denominatore che accomuna tutte le materie prime impiegate: esse presentano caratteristiche di
elevata qualità, spesso hanno un costo rilevante, che rappresenta gran parte del costo finale del
bene, inoltre sono materiali preziosi e a volte difficilmente reperibili in natura, come alcune pietre
preziose o alcuni pellami.
4. Omogeneità nel tipo di struttura commerciale
La distribuzione selettiva rappresenta per le imprese operanti nel settore del lusso uno dei fattori
chiave nel processo generativo del valore. Il controllo della fase di commercializzazione
rappresenta infatti una strategia vincente per costruire un’immagine di prestigio, per questo la
tendenza dominante degli ultimi anni nelle aziende e nei gruppi del settore si basa sull’apertura di
nuovi punti vendita monomarca di proprietà o in franchising, in cui la comunicazione
dell’immagine del marchio passi attraverso un ambiente elegante e raffinato e risorse umane
competenti e formate.
Nel settore del lusso la definizione di concorrenza nel senso tradizionale del termine perde dunque
sempre più valore a vantaggio di una concezione allargata di ambiente competitivo, in cui si guarda
sempre di più alle mosse future delle imprese in una logica che tiene conto soprattutto dei
competitors potenziali. L’azienda o il gruppo che operano nel settore luxury non possono quindi
focalizzarsi solo sull’analisi dei concorrenti che producono lo stesso bene, con la stessa tecnologia e
gli stessi materiali ma concentrarsi su quelli attori che con i loro prodotti soddisfano lo stesso
bisogno di status e sottolineano l’importanza del bene di lusso come simbolo di appartenenza ad un
determinato gruppo sociale.