CREDIT DERIVATIVES
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INTRODUZIONE
Quindi, per far fronte alla necessità di gestire il rischio di credito in
maniera più flessibile ed efficiente, a partire dal 1991 hanno fatto la loro
comparsa i primi credit derivatives.
La loro nascita si inserisce in un processo di innovazione finanziaria che
coinvolge la gestione del rischio di credito ed ha alla base una tendenziale
trasformazione del ruolo e delle funzioni delle banche. A fianco dei credit
derivatives fanno la loro comparsa altre due innovazioni finanziarie che
accompagnano questo processo: le operazioni di securitization e la
diffusione (nei paesi anglosassoni) di un mercato secondario dei loan sales
(dei prestiti bancari). Fra le peculiarità di tutti questi prodotti vanno
sottolineate la possibilità di trasformare attività illiquide in attività
negoziabili, e la possibilità di separare la funzione di origination di un
credito dalla necessità di conservare in bilancio una singola attività e
dall’assunzione del relativo rischio di credito.
3
La novità principale apportata dai credit derivatives consiste nella
separazione del rischio di credito dalle altre componenti di rischio
caratteristiche di un’attività, e nella possibilità di trasferire tale rischio sul
mercato senza dover compromettere le relazioni di clientela fra la parte
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Sironi A. (a cura di): I derivati per la gestione del rischio di credito, Giuffrè Editore,
Milano, 1999.
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INTRODUZIONE
che trasferisce il rischio di credito (protection buyer) e il creditore a cui
questo rischio si riferisce (reference entity).
4
L’impiego crescente dei derivati di credito è riconducibile alla
possibilità di isolare il rischio di credito (che rappresenta la maggiore
componente di incertezza dei mercati finanziari) dall’attività sottostante, e
di trattarlo come una commodity.
5
Il seguente lavoro si apre con la descrizione del concetto di rischio,
a cui fa seguito la classificazione delle varie tipologie di rischio. In questo
contesto il rischio viene definito come il tentativo di misurare l’incertezza
(si parla di incertezza quando non è noto se un evento accadrà e quando
non sono note le sue modalità di manifestazione), che si attua
individuando le probabilità relative a ciascuna possibile manifestazione
dell’evento ed individuando gli scostamenti fra ognuno dei possibili eventi
realizzabili ed il valore atteso.
Fra le classificazioni delle tipologie di rischio ci si è soffermati in particolare
su quella che utilizza come elemento classificatore la fonte dell’aleatorietà.
In questo senso si è arrivati a distinguere fra rischio di credito, rischio
paese (che si articola ulteriormente nelle specie rischio politico, rischio
4
Angelini E.: I credit derivatives: efficaci strumenti di gestione del rischio, www.unimc.it,
2002.
5
Caputo Nassetti F., Carpenzano G., Giordano G.: I derivati di credito-Aspetti civilistici,
contabili e fiscali, Giuffrè Editore, Milano, 2001.
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INTRODUZIONE
sociale e rischio naturale), il rischio di mercato (che può essere
ulteriormente distinto in rischio di interesse, rischio di cambio, rischio
azionario, rischio su metalli preziosi e basis risk), rischio di liquidità, rischio
operativo, rischio legale e rischio di reputazione.
Particolare attenzione è stata rivolta al rischio di credito, che rappresenta il
rischio derivante dall’impossibilità del debitore di adempiere le proprie
obbligazioni di pagamento (rimborso del capitale e/o interessi) nei tempi e
nei modi previsti dal contratto di debito: esso si articola ulteriormente in
full credit risk, delivery risk, substitution risk.
La misurazione e la gestione del rischio di credito hanno assunto una
rilevanza centrale per gli istituti di credito. Si è superata la fase di gestione
statica, che si raggiunge operando esclusivamente sul mercato primario
del credito, in cui l’origination del credito viene preceduta dalla fase di
monitoring e seguita solo da quella di screening, senza che vengano svolte
ulteriori azioni. A questo approccio ha fatto seguito la gestione dinamica
del rischio di credito, attuata ricomponendo il portafoglio crediti e cedendo
i rischi. In quest’ottica gli strumenti utilizzati sono le loan sales (che
possono assumere le forme legali di participation, assignment e novation)
diffuse soprattutto negli USA dove si è sviluppato un mercato over the
counter, le securitization (classiche e sintetiche), e naturalmente i credit
derivatives.
CREDIT DERIVATIVES
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INTRODUZIONE
Le diverse tipologie di derivati di credito si distinguono fra loro per
le diverse caratteristiche tecniche che le contraddistinguono, però è
possibile delineare una struttura base per tutti i credit derivatives, e degli
elementi comuni, ricavabili dalle Credit derivatives definitions (1999) e dal
Restructuring supplement to the 1999 ISDA Credit derivatives definitions
(2001) proposti dall’International Swaps and Derivatives Association
(ISDA).
E’ necessario identificare una reference entity, cioè un debitore esposto al
rischio di credito, ed individuare una reference obligation, indispensabile
per determinare il valore del contratto.
Il protection buyer è il soggetto che acquista protezione e cede gli effetti
del rischio di credito, mentre il protection seller è il soggetto che vende
protezione e si assume gli effetti del rischio di credito.
Il protection seller dovrà effettuare i versamenti dovuti in base al contratto
se si verifica un credit event, un evento cioè che sia indicativo
dell’insolvenza o del peggioramento del merito creditizio del reference
entity.
Il payoff di un credit derivative dipende quindi dal verificarsi di un credit
event, ed è fondamentale darne una precisa definizione al momento della
stipula del contratto. Le categorie di credit event previste dall’ISDA sono la
bankruptcy, l’obligation acceleration, l’obligation default, il failure to pay,
la repudiation/moratorium, il restructuring e il cross default.
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INTRODUZIONE
Un credit event si considera avvenuto solo se esistono publicly available
information (informazioni pubbliche) riportate da quotidiani internazionali
a vasta diffusione (Financial Times, New York Times) o da agenzie
elettroniche (Reuters, Bloomberg). Per essere tale un credit event deve
pregiudicare effettivamente la capacità di adempiere del debitore, perciò
bisogna definire la materiality, che permette di discriminare fra un evento
che per la sua entità costituisce credit event ed uno che non costituisce
credit event.
Nel Capitolo 2 vengono analizzate le diverse tipologie di credit
derivatives:
• il credit default swap semplice, contratto bilaterale in base al quale
il protection seller si obbliga ad eseguire verso il protection buyer
(che in cambio versa un premio certo) un pagamento, determinato
o determinabile, al verificarsi di un credit event futuro ed incerto
che esprime il peggioramento del profilo creditizio del reference
entity;
• il credit default swap complesso, che differisce dal precedente per
una variante negoziale strutturale: in caso di credit event il
protection buyer deve trasferire al protection seller un credito verso
il reference entity;
• la credit default option, contratto in base al quale il protection
buyer (che si impegna a versare un premio una tantum o periodico)
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INTRODUZIONE
acquista il diritto (ma non l’obbligo) di concludere un contratto con
il protection seller al verificarsi di un credit event: suddetto
contratto può consistere in una compravendita di titoli
obbligazionari, in una assunzione di credito di sub-participation;
• il credit spread swap, contratto che prevede l’obbligo per il
protection seller di effettuare il pagamento (di cui non è
inizialmente determinato il quantum) di una somma alla controparte
nell’ipotesi in cui aumenti il differenziale tra il valore di una
reference obligation e di un indice rappresentativo del profilo
creditizio del reference entity, mentre il protection buyer si obbliga
ad effettuare alla controparte il pagamento di una somma di denaro
nell’ipotesi in cui tale differenziale diminuisca;
• la credit spread option, contratto con il quale il protection buyer
acquista (dietro il versamento di un premio) il diritto (non l’obbligo)
di concludere un contratto di credit spread swap a condizioni
predeterminate e a scadenza prestabilita;
• l’opzione su asset swap, contratto con il quale il protection buyer,
dietro il versamento di un premio, si riserva il diritto a vendere a
condizioni stabilite un titolo obbligazionario (o un altro strumento
finanziario) insieme ad un contratto di interest rate swap (o di
interest rate and currency swap) al protection seller, per il quale la
proposta è irrevocabile;
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INTRODUZIONE
• il total rate of return swap, contratto in cui il protection buyer si
impegna ad effettuare dei pagamenti il cui valore dipende dai
pagamenti periodici effettuati da un reference entity in relazione ad
una reference obligation e dal valore di mercato alla scadenza del
contratto (se si è apprezzata verserà alla controparte il valore
dell’apprezzamento), mentre il protection seller effettua dei
pagamenti il cui ammontare dipende dal valore che si ottiene
moltiplicando il capitale nozionale per un tasso variabile e dal valore
di mercato della reference obligation alla scadenza del contratto (se
si è deprezzata verserà alla controparte il valore del
deprezzamento);
• la credit linked note, titolo strutturato che consiste nella
combinazione di un asset finanziario, solitamente un’obbligazione,
con un credit derivative, e che prevede il concorso di quattro
soggetti: l’emittente delle notes (generalmente uno special purpose
vehicle), gli investitori che acquistano le notes, la controparte
(protection buyer) dell’emittente (protection seller) nel credit
derivative (di solito un credit default swap o un total rate of return
swap) e l’emittente dei titoli a garanzia dell’operazione.
L’aspetto più controverso e più problematico dei credit derivatives
continua ad essere il pricing.
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INTRODUZIONE
Il Capitolo 3 inizia ad affrontare questo argomento con la descrizione di
quelle che sono le fasi preliminari al pricing vero e proprio: è infatti
necessario attribuire un prezzo al sottostante dei credit derivatives.
Per far questo bisogna valutare il merito creditizio delle reference
entities, cioè bisogna attribuire un prezzo al credito.
Per giungere a questo risultato è indispensabile determinare la stima
delle default probabilities e dei recovery rates. Questo punto risulta
però particolarmente complesso in seguito alla mancanza di dati di
mercato riguardanti il merito creditizio delle società (o degli stati), in
seguito all’esiguo numero di società oggetto di rating (in particolare al
di fuori degli USA) e in seguito alla mancanza di dati storici sui
recovery rates.
I metodi proposti per la determinazione delle default probabilities sono
dunque numerosi:
• le matrici di transizione dei ratings sono delle tabelle elaborate
dalle agenzie di rating che forniscono informazioni storiche in
merito alla probabilità statistica che una società passi da una
classe di rating ad un’altra, oppure rimanga in quella di
provenienza;
• il metodo proposto da Merton, che ha come riferimento teorico
l’option pricing theory: il principio base di questo approccio
consiste nel considerare gli azionisti come gli acquirenti di
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INTRODUZIONE
un’opzione call sul valore di mercato della società di cui
detengono le azioni, e lo strike price è fissato al valore contabile
del debito della società; il modello Credit Monitor II di KMV
Corporation si basa proprio sugli studi di Merton, con la
differenza che nel modello di KMV il default non sopraggiunge
quando il valore di mercato delle attività coincide con il valore
contabile del debito, ma quando il valore di mercato delle
attività supera il default point, compreso fra il valore contabile
del debito ed il valore del debito a breve termine;
• il metodo della struttura a termine degli spread creditizi, che si
basa sulla struttura a termine degli spread creditizi fra un titolo
risk free e un corporate bond;
• il metodo basato sulla survival analysis, la cui variabile chiave è
il time-until-default;
• il metodo basato sui ratings, che stima la probabilità di default
di un reference entity in base alla categoria di rating a cui
appartiene.
La stima dei recovery rates si rivela particolarmente difficoltosa anche in
seguito alla notevole variabilità e instabilità dei tassi di recupero, che
possono essere molto diversi anche per crediti con caratteristiche simili.
L’ultima fase preliminare al pricing dei credit derivatives consiste nella
determinazione delle probabilità statistiche risk-neutral, che permettono di
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INTRODUZIONE
determinare un valore di mercato delle esposizioni creditizie uguale al
valore atteso dei flussi di cassa che generano. Il modello che permette di
trasformare le probabilità statistiche in probabilità statistiche risk-neutral è
stato sviluppato da Jarrow, Lando e Turnbull, e si basa sull’impiego delle
default probabilities e dei recovery rates.
Il Capitolo 4 prosegue il tema aperto nel capitolo che lo precede
proponendo i modelli di pricing di alcuni credit derivatives: il total rate of
return swap, la credit default option, la credit spread option e i basket
products.
L’approccio seguito è di tipo <<pratico>>, perché vengono presentati
alcuni fra i modelli più utilizzati nei casi concreti dagli operatori: questi
modelli cercano di coniugare un elevato livello di efficacia con un grado di
complessità che sia il più ridotto possibile. Quindi nella maggior parte dei
casi gli operatori ricorrono a metodi di static replication, che consistono nel
replicare con gli strumenti sottostanti (crediti o titoli) i flussi di cassa che
sarebbero generati dal credit derivative.
Nel Capitolo 5 vengono esposte le opportunità ed i vantaggi che
può ottenere un soggetto che opera con i credit derivatives.
Gli intermediari bancari sono i players principali di questo mercato, e sono
i soggetti che possono trarre più vantaggi dall’impiego dei derivati di
credito. I credit derivatives offrono ad un istituto di credito la possibilità di:
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INTRODUZIONE
• coprirsi dal rischio di credito sulle esposizioni detenute in maniera
più flessibile ed efficace rispetto ad altri strumenti;
• diversificare e gestire il proprio portafoglio crediti, acquistando
protezioni su soggetti/settori/aree geografiche che rappresentano
una percentuale troppo elevata del portafoglio, e vendendo
protezione su soggetti/settori/aree geografiche che rappresentano
una percentuale bassa (o nulla) del portafoglio;
• superare il localismo tipico del sistema bancario italiano, in cui
molte banche esercitano la raccolta del credito solo in alcune
ristrette aree del paese;
• ottimizzare la gestione delle linee di credito inutilizzate (che non
permettono di ammortizzare i costi sostenuti per accordarle)
vendendo protezione per orizzonti temporali brevi;
• mantenere le relazioni di clientela con i debitori ceduti, che non
vengono solitamente informati dell’acquisto di protezione effettuato
sul loro nominativo;
• liberare capitale regolamentare acquistando protezione sugli asset
detenuti (regulatory arbitrage);
• eludere la disciplina <<grandi fidi>>>, acquistando protezione sui
nominativi che superino i limiti regolamentari;
• ridurre il costo del funding;
• ridurre i costi di informazione;
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INTRODUZIONE
• speculare sulla base della propria credit view, detenendo delle
posizioni in credit derivatives per cederla a breve termine e trarre
profitto dalle differenze di prezzo;
• creare degli strumenti tailor made per i propri clienti replicando il
profilo rischio/rendimento da loro desiderato
Anche i fondi comuni di investimento possono approfittare delle
opportunità che i credit derivatives offrono loro per coprirsi dal rischio di
credito ed ottimizzare la gestione del portafoglio, però sono tenuti a
rispettare i vincoli normativi imposti dal Testo Unico dei Mercati Finanziari
(d.lgs. 24 febbraio 1998, n.58), dal decreto n.288 del 24 maggio 1999 del
Ministero del Tesoro e dal regolamento del 20 settembre 1999 della Banca
d’Italia.
Per i fondi pensione vale un discorso analogo. Possono ricorrere ai credit
derivatives per ottimizzare e gestire i loro portafogli, ma devono rispettare
i criteri di <<sana e prudente gestione>> e i vincoli che derivano da una
serie eterogenea di fonti: d.lgs. 21 aprile 1993 n.124, legge 8 agosto 1995
n.335, decreto del Ministro del Lavoro 21 novembre 1996 n.703, Testo
Unico dei Mercati Finanziari.
Le imprese di assicurazione si trovano in una situazione non dissimile da
quella dei fondi. I credit derivatives rappresentano un ottimo strumento di
diversificazione, però le assicurazioni devono rispettare il provvedimento
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INTRODUZIONE
n.297 del 19 luglio 1996 contenente le disposizioni in materia di utilizzo di
strumenti finanziari derivati.
Fino ad oggi le imprese si sono tenute lontano dal mondo dei credit
derivatives, perché per operare in derivati di credito sono necessari importi
minimi molto elevati ed un know how solitamente non disponibili in
azienda (soprattutto se di piccole-medie dimensioni) data la complessità di
questi strumenti finanziari. Comunque anche a questi soggetti i credit
derivatives offrono l’opportunità di diversificare il loro portafoglio, di
assumere posizioni sintetiche che replicano il profilo rischio/rendimento
desiderato, coprirsi dal rischio commerciale acquistando protezione sulle
proprie controparti commerciali.
I credit derivatives sono oggi utilizzati in quelli che sono i più recenti
strumenti di gestione del rischio di credito, le synthetic securitization,
operazioni che conciliano la struttura delle securitization classiche con
l’impiego dei credit derivatives. In particolare sono state analizzate le
quattro operazioni di synthetic securitization concluse da Banca Intesa,
uno dei soggetti protagonisti sul mercato internazionale dei derivati di
credito: <<Scala 1>> (novembre 1999), <<Scala 2>> (dicembre 2000),
<<Leonardo Synthetic Plc>> (maggio 2001), <<Scala Synthetic 3>>
(giugno 2001).
Nel Capitolo 6 i temi affrontati sono la diffusione ed il mercato dei
credit derivatives.
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INTRODUZIONE
Per quanto riguarda la situazione italiana non è ancora possibile parlare di
un mercato domestico dei derivati di credito (almeno in senso stretto),
perché gli intermediari finanziari residenti in Italia non operano con credit
derivatives che hanno come sottostante rischi riferiti a nominativi italiani,
ma con derivati che hanno come reference entities soggetti stranieri. E’
però opportuno indagare le potenzialità di questo mercato.
Un presupposto per la crescita del mercato dei credit derivatives è la
presenza di un mercato del credito ampio, perciò la struttura finanziaria
che le imprese sceglieranno di adottare svolgerà un ruolo fondamentale.
Nelle loro scelte di finanziamento (analizzabili ricorrendo alla pecking order
theory) le imprese italiane prediligono ricorrere all’autofinanziamento, e in
seconda battuta ricorrono al debito bancario (anche se non bisogna
dimenticare che la struttura finanziaria tipica di un’impresa italiana
prevede la prevalenza dei mezzi di terzi sui mezzi propri); i soggetti
corporate che emettono obbligazioni sono ancora una rarità nel panorama
italiano. Solo quando il mercato secondario dei titoli obbligazionari avrà
raggiunto livelli di sviluppo superiori a quelli attuali, e sarà
sufficientemente ampio, liquido e trasparente, sarà presente anche in
Italia sufficiente <<materia prima>> per operare con i derivati di credito.
Un forte impulso allo sviluppo del mercato dei credit derivatives potrebbe
giungere dalla spinta delle banche che possono trarne indubbiamente
numerosi vantaggi.