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attendibilità industriale), e perchè la misura della creazione di valore è
l’occasione per confrontare la propria performance con quella del resto del
mercato. Il capitale infatti, si muove ormai secondo una prospettiva
internazionale e diviene, quindi, inevitabile anche per le imprese presenti in altri
mercati, tra i quali quelle italiane, assumere gli stessi criteri che guidano la
competizione internazionale. Una delle priorità diventa perciò la creazione di
valore per l’azionista certi, comunque, che tale finalità sia vantaggiosa per tutta
l'azienda, sia cioè un obiettivo unificante per tutti i soggetti coinvolti nella
gestione, perseguendo lo sviluppo a medio-lungo termine dell'impresa. Non si
può certo prescindere però dal ruolo centrale che il cliente riveste per la
sopravvivenza della impresa stessa.
È stato ampiamente dimostrato che all'origine di tutte le forme di valore
economico-aziendale vi è un’efficace gestione delle relazioni con la domanda e
un continuo sforzo di accumulazione delle risorse fiduciarie, derivanti peraltro
dalla capacità dell'impresa di generare differenziali competitivi di valore per i
suoi clienti.
L'analisi della misurazione del valore lungo l'intera catena aziendale nasce e si
indirizza verso la soddisfazione del cliente, quale obiettivo strategico per tutte le
imprese protese verso l'eccellenza.
Nei sistemi industriali avanzati, il successo competitivo delle imprese è sempre
più determinato dalle risorse immateriali possedute, risorse di fiducia,
riconducibili all’immagine di marca o di impresa, alla fedeltà della clientela, alle
relazioni con la domanda intermedia e finale. Esse si basano su sistema cognitivo
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degli stakeholders e nella fattispecie di quello dei clienti e scaturiscono da una
matrice comune, rappresentata dalla capacità dell'impresa di accrescere la
customer satisfaction, concentrando le energie dell'organizzazione sui processi
critici da cui dipende la creazione di valore.
Se perciò nel nuovo mercato globale, la creazione di valore è divenuto l’obiettivo
primario di ogni impresa, anche le imprese del settore moda hanno cambiato il
loro modello gestionale, operando tra l’altro in un settore dove il ciclo di vita dei
prodotti è breve e si ha perciò la necessità di anticipare e capire le esigenze dei
consumatori. La domanda infatti è diventata più sofisticata e frammentata e
richiede oggi prodotti e servizi caratterizzati da elevata varietà e variabilità,
capaci di soddisfare bisogni sempre più specifici e complessi. È proprio
nell’esclusività e rarità del prodotto che le aziende di moda nel settore del lusso
puntano per creare valore. Il successo economico di un’impresa, che operi in
questo particolare settore, ancor più che in altri, dipende quindi dalla capacità di
porre attenzione a qualità e costi. Creare oggetti esclusivi, preziosi e che
determinino le mode, vuol dire produrre con una costante attenzione alla qualità
del prodotto, conoscere l’evoluzione del gusto del cliente e personalizzare al
massimo il momento della vendita: renderla un evento speciale.
È per questo che molte case di moda hanno ritenuto che solo raggiungendo
grandi dimensioni aziendali avrebbero potuto competere in un mercato globale,
poiché attraverso queste, ottenute anche con acquisizioni e fusioni, si generano
sinergie nei vari livelli del processo gestionale che possono incrementare gli utili
che, reinvestiti, finanzieranno l’ulteriore crescita. È il caso di Gucci. Il gruppo è
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riuscito attraverso varie acquisizioni ad assumere le dimensioni necessarie a
competere a lungo termine, a guadagnare quote di mercato e a diversificare il
business diventando ad oggi uno tra i gruppi leader mondiali nel design, nella
produzione e nella commercializzazione di beni di lusso.
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CAPITOLO 1: IL VALORE COME MODELLO DI GESTIONE
1. COS’E’ IL VALORE: CAPIRE, CREARE, FORNIRE VALORE
Il termine “valore” ha molteplici significati
1
, ma nel mondo economico e
finanziario quando si parla di “valore”, sempre più si fa riferimento allo
shareholder value (SHV: valore per l’azionista) o ad altre analoghe misure delle
performance basate sul valore. In altre parole le tecniche con cui le società
possono essere analizzate, riorganizzate e poi dirette per obbedire all’imperativo
della creazione di valore.
Specialmente nell’ultimo ventennio, la maggior parte delle imprese hanno
assistito alla rapida trasformazione del loro business e del clima in cui operano
dovuta in particolar modo a tre fattori:
• La crescita del capitale privato
• La globalizzazione dei mercati
• Il progresso tecnologico
Per quanto riguarda il primo punto, negli ultimi 50 anni l’accumulo e la
diffusione della ricchezza hanno registrato un’accelerazione enorme. La prima
metà di questo secolo, tuttavia, ci ha lasciato in eredità non solo una sfiducia di
fondo nei confronti dei mercati finanziari, ma anche il ricordo di guerre
devastanti, e tutto ciò ha convinto i cittadini ad accettare l’intervento massiccio
1. un comune dizionario italiano ne registra una quindicina, ma in inglese, dove “value” è anche verbo (valutare, apprezzare,
etc…) sono di più.
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dello Stato nel commercio e nel mondo finanziario. Ma gli sviluppi demografici
– ad esempio l’allungamento della vita media – hanno fatto si che in negli ultimi
20 anni questi stessi Stati siano giunti al limite delle loro capacità d’imposizione
fiscale e d’indebitamento, per cui hanno cominciato a diminuire il loro
intervento e a lasciar di nuovo agli individui il compito di pensare al loro futuro.
Gli Stati ed i politici devono tener conto di una moltitudine di obblighi e priorità,
spesso complessi e differenti se non contrastanti fra loro. L’individuo, invece,
mira ad un insieme di obiettivi più semplice e più chiaro. Dal punto di vista
pratico, ciò comporta che un numero crescente di persone investa privatamente;
tutto questo, a sua volta, è all’origine dell’enorme espansione dei mercati
borsistici. Negli anni ’80 inoltre, contemporaneamente alla diffusa deregulation
finanziaria interna, sono state rimosse le restrizioni ai flussi di capitali. In
seguito alla creazione di mercati finanziari globali, è diventato possibile investire
all’estero in una maniera più proattiva. Oggi le imprese competono
internazionalmente non solo per i clienti, i prodotti ed il personale, ma anche per
i capitali. La capacità d’attrarre capitali dipende dalla posizione nella graduatoria
delle migliori società, e il principale criterio di valutazione è la creazione di
valore. Infine, la crescente sofisticazione delle telecomunicazioni e dei computer
ha consentito il trasferimento istantaneo del denaro in ogni parte del mondo ed
una reperibilità e disposizione di informazioni quantitativamente e
qualitativamente sempre maggiore.
Questi cambiamenti hanno portato l’eccellenza del prodotto e la soddisfazione
del cliente ad essere ancora importanti ma non più sufficienti, come non è più
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sufficiente focalizzarsi esclusivamente sul profitto. Oggi per avere successo sono
necessari sia maggiori rendimenti del capitale investito, sia tassi di crescita
superiori a quelli della concorrenza: combinate tutto ciò con una gestione
proattiva dei rischi associati all’ottimizzazione dei profitti e della crescita, ed
avrete un insieme completamente nuovo di modifiche strategiche che mette
seriamente alla prova le società.
Nella sua struttura l’approccio SHV è quindi semplice: esamina la relazione fra
ciò che una società usa in termini di risorse finanziarie, la loro allocazione ai
programmi dell’impresa da un lato, e la probabilità che la remunerazione
“tenga” per tutto l’orizzonte di pianificazione dall’altro. Il principio è perciò
sempre lo stesso: una società crea valore per l’investitore quando il ricavo
dell’investimento supera il suo costo.
Le teorie dello SHV hanno una lunga e gloriosa storia che risale agli anni ’50 e
’60. Lo SHV si è inizialmente sviluppato grazie agli studi del cosiddetto Capital
Asset Pricing Model (CAPM)
2
. Sostanzialmente, questo modello sostiene che la
remunerazione incassata e attesa dagli investitori è correlata ai rischi assunti dai
possessori di quei specifici assets finanziari. Detto più semplicemente, maggiore
è il rischio, maggiore dovrebbe anche essere il ritorno dell’investimento.
Il principio fondamentale del modello CAPM – e centrale alla teoria SHV – è
che esiste un fattore d’attualizzazione del rischio atteso che consente di misurare
2. I primi studiosi di questo modello sono stati Markovitz, Modigliani, Miller, Scarpe, Fama e Treynor (solo per citare i più
importanti).
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ad oggi gli sviluppi, i profitti ed i cash flows di domani. Questo tasso di
attualizzazione deriva dall’osservazione dei mercati finanziari e si definisce
costo opportunità del capitale azionario per l’investitore. Stabilisce, insomma,
quanto debba guadagnare una società per giustificare l’uso delle risorse
finanziarie impiegate nel suo business.
Si crea perciò valore per l’azionista quando il rendimento del capitale investito
è:
• superiore al suo costo: per i tradizionalisti, il costo del capitale azionario
è rappresentato soltanto dai dividendi pagati agli azionisti, confrontati con
i rendimenti dei dividendi disponibili sul mercato; ma, dal punto di vista
dello SHV, il concetto di costo di capitale azionario contiene un
differente messaggio: dice agli investitori e ai dirigenti che i dividendi,
sono soltanto una parte del quadro. L’investitore è interessato al tasso di
remunerazione complessivo, che oltre al flusso dei pagamenti dei
dividendi comprende anche l’apprezzamento del capitale, cioè ogni
aumento della quotazione dell’azione. Questo è il TSR
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(Total
Shareholder Return: rendimento complessivo per l’azionista).
• superiore al tasso d’inflazione
• superiore agli investimenti prive di rischio: solitamente si intende i
tassi d’interesse offerti dai titoli di Stato in un determinato momento in
3. Il TSR rappresenta la variazione del valore del capitale d’una società in un determinato periodo di tempo, più i dividendi,
espresso come percentuale in più o in meno del valore di emissione.
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• quanto sono i tassi correnti che una decisione di investimento assunta
oggi ci farà ottenere nel tempo.
• superiore alla remunerazione del rischio di mercato: per calcolare i
premi per i rischio di mercato ci sono principalmente due modi: ex post,
cioè basandosi sulle performance effettive delle azioni rispetto ai titoli di
Stato, ed ex ante, cioè basandosi sulle performance attese in futuro dei
titoli di borsa, o su ciò che è realisticamente necessario per convincere un
investitore istituzionale a rinunciare alla relativa sicurezza del mercato
obbligazionario per rivolgersi al più incerto mercato azionario.
Si è passati cosi, dai calcoli della remunerazione basati sull’utile, ad una
valutazione più sofisticata basata sui rischi, aspettative di crescita e
remunerazione cash del capitale investito.
Lo scopo primario diventa perciò quello di massimizzare lo SHV. Per fare
questo ogni aspetto del business deve adottare un approccio in armonia con tale
imperativo, creando le sinergie favorevoli al cambiamento di tutta l’azienda.
Stiamo parlando del cosiddetto value based management che allinea verso la
creazione di valore strategie, politiche, misure delle performance, retribuzioni,
organizzazione, processi, personale e sistemi. Inoltre, per creare valore
sostenibile a lungo termine, bisogna trasformare il personale, la cultura e i
processi in modo da indirizzarli verso la ricchezza dell’azionista ed avere, a tutti
i livelli interni, una comunicazione eccellente con gli investitori esterni e con gli
altri stakeholder.
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Possiamo sintetizzare perciò in tre fasi il processo di SHV:
1. creazione del valore
2. conservazione del valore
3. realizzazione del valore
Il primo passo, la creazione di valore, è il processo per cui una società può
mantenere un rendimento del capitale maggiore del costo del capitale stesso.
Questo “spread” positivo, che può essere trattenuto nel business o distribuito agli
azionisti, rappresenta il valore cercato dagli azionisti quando assumono la
decisione d’investire in una società. La creazione di valore comporta di essere
capaci di offrire ai clienti qualcosa, un prodotto o un servizio, ad un prezzo che
soddisfa la condizione di realizzare un rendimento positivo. L’impresa dovrà
essere capace di realizzare questo rendimento positivo per un certo periodo di
tempo – il cosiddetto periodo della crescita – e più questo periodo è lungo,
maggiori saranno i guadagni per gli azionisti. Le società che vi riescono
ottengono cosi un vantaggio competitivo usando tecnologie esclusive e strutture
di costo favorevoli, oppure sfruttando l’efficienza di produzione o di vendita.
La creazione di valore, tuttavia, non garantisce da sola il successo. È altrettanto
importante lavorare per la conservazione del valore, in modo che quanto è stato
creato non venga sprecato o perduto a causa di inefficienze o di cattiva
gestione.
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4. Si veda Lee Puschhaver, “In pursuit of the Upside: The New Opportunity in Risk Management”, PW Review, 1996.