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Introduzione
“la sociologia della conoscenza come teoria cerca di analizzare la relazione tra la
conoscenza e l’esistenza; come ricerca storico-sociologica si sforza di rintracciare le
forme che tale rapporto ha assunto nello sviluppo intellettuale dell’umanità” [Mannheim,
ideologia e utopia 1985, 287].
La sociologia della conoscenza presenta uno statuto epistemologico molto particolare
rispetto alle altre branche della sociologia, costituendo un anello di congiunzione tra la
filosofia e la sociologia contemporanea. Concentrandosi sia sugli aspetti che permettono
e rendono possibile il conoscere, sia sul fatto che solo particolari sfere del sapere entrano
a far parte di specifiche realtà sociali.
La società in cui si vive riesce a modellare i comportamenti individuali, appunto
condiziona il pensiero individuale stesso, proprio perché sviluppatisi all’interno di quel
particolare “mondo” di conoscenza, e di conseguenza, in un rapporto di reciprocità
anche gli aspetti individuali, gli atteggiamenti specifici di ogni singolo individuo, si
ripercuotono sulla struttura sociale stessa, in un vero e proprio scambio continuo di
influenze.
La sociologia della conoscenza focalizza il proprio interesse sul primo tipo di
condizionamento, ossia sull’ analisi del condizionamento sociale del pensiero,
includendone non solo gli aspetti cognitivi, ma anche quelli emotivi.
L’origine della sociologia della conoscenza rimanda al concetto di Wissen, ovvero alla
sociologia del sapere fondata e sviluppata da Max Scheler (1874-1928).
Scheler mirava a sviluppare una antropologia filosofica che trascendesse la relatività
degli specifici punti di vista socialmente e storicamente situati, il cui scopo ultimo doveva
essere quello di riuscire a svincolarsi dalle difficoltà sollevate dal relativismo. Come
sostenevano Berger e Luckmann:
“La sociologia della conoscenza di Scheler è essenzialmente un metodo negativo.
Scheler asseriva che la relazione tra i fattori ideali ed i fattori reali, […] , era
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semplicemente un rapporto non essenziale all’evoluzione storica: vale a dire, i fattori reali
regolano le condizioni in cui certi fattori ideali possono apparire nella storia, ma non
possono influire sul loro contenuto. La società determina la presenza ma non la natura
delle idee. La sociologia della conoscenza è quindi il procedimento con cui si deve
studiare la selezione socio-storica dei contenuti ideazionali, fermo restando il principio
che i contenuti stessi sono indipendenti dalla causalità socio-storica e perciò inaccessibili
all’analisi sociologia “[Berger, Luckmann, 1969, 21-22].
Scheler mostra la strada principale sulla quale si incammina la sociologia della
conoscenza. Il suo interesse è soprattutto orientato alle motivazioni per cui alcune
conoscenze sono presenti in società rispetto ad altre, ma non interviene sul contenuto
specifico di esse, inaccessibile all’analisi sociologica, come sostiene. Questo è l’aspetto
interessante dell’analisi di Scheler, proprio perché comprende ed afferma l’impossibilità di
conoscerne la natura, ma si sofferma sui motivi e su come si ordina quella particolare
forma di sapere in quella specifica situazione storico-sociale.
Scheler era interessato a come la conoscenza venisse ordinata nella realtà sociale a cui
apparteneva, considerandola come un a priori rispetto all’esperienza individuale,
quest’ultima ordinata attraverso il proprio significato soggettivo. Questo ordine, che
l’individuo percepisce come naturale, essenziale, l’unico possibile, Scheler lo identificò
come “il modo di vedere il mondo relativo-naturale”.
Come si evidenzia nel lavoro di Izzo, per Scheler: “La sociologia della conoscenza
studia ed analizza il condizionamento sociale del pensiero nei suoi aspetti cognitivi ed
emotivi, nella consapevolezza che i primi implicano di necessità i secondi” [Izzo A., 1999,
15] .
Questo mostra come, Scheler sia convinto dell’effettivo condizionamento sociale del
pensiero, e qui presenta quasi un ordine temporale, dicendo che i primi, ossia l’aspetto
cognitivo, implicano di necessità i secondi, la sfera emozionale. L’aspetto cognitivo quindi
rappresenta ciò che implicano gli oggetti e/o le situazioni per il nostro essere, ed è da
questo che, asserisce Scheler, derivano i nostri sentimenti ed il nostro coinvolgimento
emotivo, mentre sovente si considerava l’enfasi emozionale come forza motrice della
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percezione di ciò che ci è intorno. Questo però non è del tutto falso, ma lo vedremo più
avanti con l’analisi della socializzazione primaria.
Nel primo capitolo Verso la “sociologia della conoscenza” sono stati presi in esame gli
antecedenti storici della disciplina in questione. Contributi storici che hanno influenzato lo
sviluppo della sociologia della conoscenza: il primo contributo risale allo storicismo , in
particolare a Wilhelm Dilthey(1833-1911), secondo cui il condizionamento storico-sociale
produce un particolare modo di intendere la vita. Dilthey sosteneva che gli uomini di
un’età vivono in rapporto al suo pensiero. Il condizionamento del contesto sociale
determinava il pensiero degli individui che vi vivono. Dilthey sottolinea nei suoi scritti,
l’importanza della fase storica in cui gli individui si ritrovano, in maniera casuale, a vivere,
e mostra come l’esperienza intellettuale e gli specifici rapporti che vi si presentano, siano
il fulcro vitale della natura del legame sociale all’interno della società.
Il considerare gli interessi sociali come fonte o fattore di pregiudizio, risale alla corrente
più radicale dell’Illuminismo francese; Helvetius afferma: “L’origine sociale di ogni
idea”, tanto da negare qualsiasi differenza individuale che non sia essa stessa opera e
condizione della società e del contesto storico-sociale di riferimento.
Il contributo de La teoria dell’Ideologia, e di Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770-1831)
che reputava la ragione ed il pensiero razionale in un continuo rapporto con la realtà
storica, in un continuo scambio. La ragione rappresenta un principio dinamico e in
continuo rapporto con le determinazioni storiche in cui si sviluppa. Come vedremo la
dialettica di Hegel, che afferma la propria concezione della ragione, una ragione inserita
in un continuo rapporto di reciprocità con il contesto storico-sociale, evidenzia anche un
altro aspetto importante: la possibilità del cambiamento.
Il precedente più influente della sociologia della conoscenza rimane sempre il contributo
di Marx ed Engels ed in particolare la loro concezione materialistica della storia. In Marx
la storia dell’umanità è strettamente intrecciata alla storia dei modi specifici in cui gli
individui producono le proprie condizioni di sussistenza materiale. La storia dell’umanità è
esposta in termini di storia di forze produttive e rapporti di produzione, l’essenza della
realtà degli individui è determinata dalle condizioni e dai modi attraverso cui riescono a
sopravvivere.
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La sociologia comprendente di Max Weber, il quale afferma che i valori che influenzano
la scelta nell’infinità della conoscenza, sono determinati storicamente, socialmente ed
anche individualmente relativi. Tramite la sua concezione di cultura, che permette
all’individuo nell’ infinità priva di senso di scorgere il significato del mondo, al soggetto
agente è accessibile la componente valoriale per identificare il mondo circostante. Solo
attraverso la particolare conoscenza che il soggetto possiede, potrà dare senso alla
realtà oggettiva, che ne è intrinsecamente priva.
Ma è solo attraverso il contributo di Mannheim che la sociologia della conoscenza prende
forma. Mannheim entra nel terreno della sociologia della conoscenza, e afferma che
nessun pensiero umano è immune dalle influenze ideologizzanti del proprio contesto
sociale.
Mannheim asseriva che diversi gruppi differiscono rispetto alla loro capacità di
trascendere la propria posizione. Mostra come l’inserimento in un particolare gruppo
conduca ad assumere una particolare concezione di sé, dalla quale è difficile liberarsi,
perdendo la capacità di “trascendere la propria posizione”; e attraverso la figura degli
intellettuali, mostrerà la possibilità di affrancarsi da tale concezione.
Nel secondo capitolo Il contributo di Berger e Luckmann: la realtà come costruzione
sociale, i due autori sostengono che il principale centro d’interesse per la sociologia della
conoscenza deve essere: la conoscenza del senso comune; piuttosto che le idee giuste o
sbagliate, è importante il tessuto di significati condivisi che rende possibile la concezione
della società stessa. La sociologia della conoscenza deve occuparsi della costruzione
sociale della realtà nella vita quotidiana. Attraverso il pensiero di Schultz, Berger e
Luckmann propongono un’interpretazione della sociologia della conoscenza che ne
ampli il campo tradizionale. Per i due autori il fulcro centrale è rappresentato dalla
determinazione esistenziale del pensiero, e affermano: “fra le molte realtà ve ne è una
che si presenta come la realtà per eccellenza: la realtà della vita quotidiana” [Berger e
Luckmann, 1969, 14].
Un importante contributo allo sviluppo della sociologia della conoscenza è rappresentato
dell’analisi fenomenologica di Husserl, e del concetto di intenzionalità e coscienza.
Husserl sosteneva che non vi può essere atto di coscienza che non sia coscienza di
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qualcosa, ed è proprio nell’esperienza concreta dell’altro, in quanto essere autonomo,
esterno e reale, che il soggetto lo riconosce come altro individuo, come membro della
medesima società e circostanza. L’intersoggettività deve essere compresa nella sua
dimensione trascendentale, ossia come universale a priori del rapporto, un rapporto che
produce un unico mondo concreto condiviso.
L’intersoggettività e l’interazione simbolica, l’importanza della significazione e del
linguaggio, rappresentano punti essenziali per la disciplina in questione. Aspetti
importanti messi in luce dal contributo di Berger e Luckmann, proprio come elementi
determinanti della realtà della vita quotidiana. In particolare il linguaggio si distingue dagli
altri sistemi di segni, proprio per la sua capacità di trascende il qui ed ora, riuscendo a
connettere differenti sfere di significato all’interno della realtà che ogni giorno è intorno a
noi.
Il contributo della psicologia sociale di Mead, che chiarisce e rende esplicita,
nell’interazione con l’altro, la concezione dell’Io e la formazione e sviluppo del proprio Sé.
Il Sé per Mead identifica l’individuo che rappresenta un oggetto per se stesso. Il sé è un
concetto fondamenta per l’interazione simbolica, e Mead concepisce il sé non come una
struttura, ma bensì un processo, non come una semplice risposta ad uno stimolo esterno,
ma rappresenta un vero e proprio processo sociale.
L’agire umano si forma attraverso l’interazione con il proprio Sé, che a sua volta si
costituisce mediante l’assunzione del ruolo dell’altro, la situazione che meglio identifica
questo processo è l’incontro faccia a faccia.
Mead sostiene che: “l’individuo è capace di assumere il ruolo degli altri, oggettivando in
qualche modo se stesso, mediante l’utilizzo dei simboli significanti. […] Il simbolo
significante non è solo un fenomeno mentale, ma è anche una relazione sociale, il suo
significato non è né nell’oggetto, né nel soggetto, ma nell’interazione tra l’esserci degli
oggetti e la coscienza dei soggetti interpretanti” [Cit. in S. Belardinelli, L. Allodi, 2011,
110]. Attraverso l’oggettivazione, l’individuo interiorizza il suo ruolo o comunque la sua
posizione nella società, il tutto avviene esponenzialmente fin dalla sua nascita, rendendo
possibile la costruzione sociale della realtà.
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Una particolare caratteristica dell’esperienza della realtà nella vita quotidiana è la
consuetudinarietà nei significati attribuiti dall’individuo alla propria attività. Questo
permette al soggetto agente di agire secondo schemi pre-costruiti e conosciuti, invece
che ridefinire da zero ogni situazione volta per volta. Il processo di consuetudinarietà
precede un altro processo, quello dell’istituzionalizzazione, quest’ultimo ha luogo
dovunque vi si presenti una tipizzazione reciproca di azioni consuetudinarie, ed ogni
simile tipizzazione è un’istituzione. Una tipizzazione reiterata nel tempo rappresenta una
Istituzione nella società, quindi l’effettiva esistenza del processo di istituzionalizzazione
necessita di uno sviluppo storico, e quindi non una situazione sporadica ed unica, ma
deve esserci un particolare schema di condotta. Il mondo istituzionale appare oggettivato
rispetto alle coscienze individuali, ma è sempre un’oggettività umanamente prodotta e
costruita.
La costruzione sociale della realtà, per Berger e Luckmann , si concretizza attraverso un
processo dialettico, caratterizzato da tre differenti momenti: l’esternalizzazione,
l’oggettivazione e l’interiorizzazione. L’esternalizzazione è una fase del processo
dialettico in cui l’individuo è più capace di agire sul suo ambiente e di creare la società.
L’oggettivazione è un’altra fase del processo dialettico descritta da Berger e Luckmann e,
i due autori, la definisco come: “un processo mediante il quale gli individui comprendono
la vita in termini di una realtà ordinata e preordinata che si impone su quegli aspetti
apparentemente indipendenti dall’individuo” [Cit. in Wallace R.A., Wolf A., 2008, 298]. Il
terzo momento del processo dialettico è l’Interiorizzazione, che rappresenta una forma di
socializzazione attraverso la quale viene assicurata la legittimazione dell’ordine
istituzionale, e sarà analizzata in particolare nel Capitolo tre.
Nel terzo capitolo Interiorizzazione e preservazione della realtà sociale, esamineremo
come la realtà socialmente determinata formi individui che, interiorizzando l’ordine
costituito attraverso la socializzazione primaria e secondaria, percepiscono la realtà che li
circonda come l’unica possibile. Come la realtà, o meglio la concezione vigente della
realtà che predomina in uno specifico contesto storico-sociale, miri costantemente a
preservare la propria legittimità e come cerchi di far perdurare il proprio ordine costituito,
rispetto alle forze destrutturanti che vi si presentano. La conoscenza e l’esistenza sono
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possibili esclusivamente tramite il processo di socializzazione che caratterizza uno
specifico contesto socio-culturale; ossia tramite l’interazione che si viene a creare in una
particolare società. In una società di tipo rurale, ad esempio, vi si svilupperà una
particolare tipologia di interazione che manifesta quella tipologia di conoscenza, con
particolari saperi, usi e tradizioni. Ogni forma associativa sarà condizionata dalle proprie
caratteristiche inter-relazionali che produrranno un certo tipo di conoscenza.
La conoscenza è in rapporto con l’intera situazione storico-sociale in cui si costituisce, e
cambia a seconda della particolare società in cui si manifesta ed esprime. Proprio
questo rapporto è di particolare interesse per la disciplina in questione , al riguardo
Merton sosteneva che : “la sociologia della conoscenza si riferisce alle relazioni tra la
conoscenza e gli altri fattori esistenziali nella società e nella cultura” [Merton, 1968, 646].
La sociologia della conoscenza mira a far emergere questo forte legame tra le forme di
sapere che una particolare società sviluppa ed i fattori esistenziali basilari che esprime. Il
carattere, o meglio, la stessa natura della relazione tra conoscenza, intesa come tipologie
di saperi, ed esistenza sociale, come vita all’interno di una specifica società, mostra,
oltre che il condizionamento del pensiero da parte della realtà sociale, l’influenza del
pensiero stesso degli individui sulla vita sociale, in un continuo scambio reciproco che si
alimenta e prende forma in base al tipo di relazione instaurata.
Nel sottolineare l’importanza della preservazione della realtà Berger e Luckmann
affermano: “il veicolo più importante della preservazione della realtà è la conversazione”
[Berger P.L., Luckmann T.,1969, 192]. La realtà della vita quotidiana si autoproclama,
attraverso la propria presenza reiterata nella routine appunto quotidiana: è questa
l’essenza dell’istituzionalizzazione. Si riconferma volta per volta attraverso l’interazione
con gli altri, rinnovando la propria legittima presenza attraverso la continua conferma
nella vita di tutti i giorni.
Berger e Luckmann sostengono l’’importanza della conversazione con l’altro, e del
linguaggio, ma soprattutto della conversazione non verbale: che caratterizza la nostra
vita quotidiana e che influenza la nostra percezione della realtà anche se, l’individuo
spesso, non ne percepisce l’influente contributo.
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Il mondo ci appare soggettivamente ed oggettivamente reale, fluido, sicuro, dato per
scontato, coerente, ma attraverso l’analisi delle socializzazioni, sia primaria che
secondaria, si fa strada un altro concetto, che rappresenta quasi una distorsione di ciò
che “naturalmente” dovrebbe avvenire: la piena e consapevole formazione sociale della
coscienza dell’individuo, di sé, della società e del suo esserne membro. Questo concetto
pone in essere l’aspetto più labile della natura umana, una “natura” socialmente costituita
che però risulta soggetta, a ciò che potremmo definire, “falsa coscienza”: l’alienazione
sociale.
L’alienazione sociale esaminata nel capitolo quarto intitolato L’oggettivazione e la
religiosità, implica che, in alcune circostanze, l’individuo percepisce i prodotti della propria
attività, dell’attività umana, come se fossero qualcosa di diverso dai prodotti umani.
L’individuo percepisce la realtà socialmente determinata come un’essenza lontana da lui,
indipendente, oggettivamente avversa al proprio produttore. Come una realtà che fosse il
risultato di leggi cosmiche o manifestazione della volontà divina.
Berger identifica l’alienazione come : “ il processo tramite cui il rapporto dialettico tra
l’individuo ed il suo mondo perde ogni consapevolezza. L’individuo dimentica che questo
mondo era e continua ad essere da lui coprodotto. La coscienza alienata è coscienza
non dialettica. Viene offuscata la differenza essenziale che corre tra il mondo socio-
culturale ed l mondo naturale, segnatamente la differenza che gli uomini hanno prodotto il
primo, ma non il secondo. In quanto la coscienza alienata di basa su questo errore, essa
è una falsa coscienza” [Berger P.L., 1967, 98-99].
La società deve tendere a durare nel tempo, e a gestire le forze destrutturanti che vi si
presentano, la società deve essere socialmente legittimata.
Per legittimità, Berger intende la conoscenza socialmente oggettivata che consente di
spiegare e giustificare l’ordine sociale. Le legittimazioni, per dirla in altre parole, sono
risposte a qualsiasi domanda relativa ai perché delle intese istituzionali. La legittimazione
dell’ordine costituito rappresenta la giustificazione socialmente riconosciuta della
concezione della realtà che si possiede in uno specifico contesto storico-sociale.