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Capitolo I
COSTRUZIONE IDENTITARIA
1.1 Costruzione identitaria e rapporto con l’Altro
In questo paragrafo si cercherà, dopo un breve excursus storico e disciplinare, di descrivere
attraverso quali processi passa la costruzione identitaria e di individuare le sue basi, con uno
sguardo macro-sociologico, analizzando i processi che vengono messi in atto dalla società e
successivamente con uno sguardo micro-sociologico, concentrando l’attenzione sull’individuo
ed il suo rapporto con l’Altro.
1.1.1 Excursus storico e disciplinare
Saper rispondere all’interrogativo inderogabile “chi sono io?”, avere una costruzione di sé,
cioè percepire e consolidare la propria personalità, è stato percepito come un aspetto
fondamentale dell’esistenza umana già dalla filosofia greca, il primo momento
dell’evoluzione del pensiero filosofico, la prima scienza che si è interrogata sull’uomo in
quanto essere legato non solo al mondo materiale. L’identità e la destinazione della vita
umana venivano pensate in una teoria dell’anima, finalizzata a scoprire il senso della vita
dell’uomo. Il termine “soggetto” deriva dal greco upokeimenon che letteralmente significa
“ciò che sta sotto” da cui proviene il termine latino subiectum che richiama l’idea della
sostanza che si trova al di sotto di un accidenti.
La linea di pensiero filosofico è stata sostanzialmente la stessa con l’avvento del cristianesimo
e le riflessioni di Agostino.
A partire dal “cogito ergo sum” cartesiano il soggetto diventa soggetto individuale, viene
inteso come autocoscienza, Cartesio quindi costruisce il concetto ma non usa ancora la parola
soggetto in questo senso, più tardi saranno Hobbes e Leibniz ad usarla nel senso cartesiano di
“soggetto individuale”.
Fino a Cartesio e la sua res cogitans, l’io era considerato qualcosa d’identico a se stesso anche
nel variare delle situazioni.
In realtà è con Kant, in particolare nella Critica della ragion pura che, per la prima volta, si
può parlare di una vera e propria autoconsapevolezza, all’io-penso come funzione logica
grazie alla quale l’uomo conosce e sa conoscere. La critica kantiana rimanda alla posizione di
Locke, che attraverso l’espressione “the self” indica il sé come il modo in cui la realtà
personale appare al soggetto nell’autoriflessione.
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Tra il XVII e il XIX secolo, ad opera di Rousseau ed Herder e del movimento romantico, si
sviluppa la critica all’antropologia atomistica che frammenta la realtà umana e rende
impossibile ogni armonizzazione con il mondo.
La corrente definita da Taylor
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“espressivista” pensa l’uomo come una realtà unitaria
partecipe di una totalità vivente che è unità fra umanità, natura e Dio. All’interno di questa
visione si possono annoverare fra gli altri Hegel e Feuerbach, le loro teorie si differenziano
secondo il tipo di esperienza che considerano come forma essenziale di espressione del Sé
9
.
Nietzsche, in particolare nella Geneaologia della morale introduce una novità: il soggetto
diventa volontà di potenza che domina la realtà.
Nella filosofia ottocentesca Marx definisce il soggetto come pratico, non è qualcosa che
produce conoscenza, ma è il prodotto di condizioni esterne socio-economiche. Da questo
momento in poi la filosofia novecentesca, influenzata soprattutto dal pensiero di Freud,
penserà al soggetto come costruzione, per esempio Foucault che ritiene che il soggetto sia il
soggetto di un discorso e quindi una costruzione.
Anche la psicologia si è occupata del concetto del Sé definito come un processo proprio
dell’essere umano che è la presa di coscienza di sé come individuo, derivata dalla capacità di
riflessione su di sé e il mondo esterno.
Negli anni quaranta lo psicologo freudiano Winnicott mette in relazione la formazione
identitaria infantile con la figura della madre, l’Altro è una figura in cui trovare una risposta
positiva e non frustrante che rassicuri il soggetto e gli dia un senso di unità e individualità
10
.
Se la madre riuscirà a soddisfare questi bisogni, il bambino esprimerà il vero Sé, in caso
contrario nascerà il falso Sé
11
. Il Sé è per Winnicott un’entità primordiale psichico-corporea e
relazionale, funzione unificatrice dell’esistenza umana e permette l’individuazione personale.
Negli anni cinquanta la psicologia cognitiva sostiene che sin da bambini si sviluppi
l’autostima, una concezione di Sé che si basa sui giudizi che gli altri danno dell’individuo e su
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Charles Margrave Taylor (Montréal, 5 novembre 1931) è un filosofo canadese, che si è interessato soprattutto
alla filosofia politica e alla filosofia delle scienze sociali, oltre che alla storia della filosofia. È membro
dell'American Academy of Arts and Sciences, della Royal Society of Canada e del National Order of Quebec.
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Hegel pensa al cammino dello spirito assoluto, che ricomprende in se stesso l’evoluzione degli esseri umani,
questi giungono alla conoscenza di se attraverso il conflitto e la contraddizione.
Feuerbach sostiene che l’individuo arriva all’autocoscienza attraverso le relazioni di amicizia, amore e tutte le
forme di interazione costruite nel dialogo.
10
Cfr. WINNICOTT DONALD, Gioco e realtà, Armando, Roma 1974.
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Il falso Sé si sviluppa da una distorsione interazionale in cui la madre richiede al figlio l’essere
accondiscendente come condizione necessaria di accettazione.
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quelli che lui stesso emette verso il loro operato. Inoltre nasce già il confronto fra sé e gli altri,
incentrato su caratteristiche fisiche, abilità, intelligenza, fino a costruire un’immagine di se
stessi che nasce, appunto, dal confronto con l’Altro, con il passare del tempo la valutazione
del Sé è influenzata anche dalla capacità di godere della stima degli amici.
Il concetto di Sé nasce precocemente, circa due o tre anni di età, e si rafforza durante la
crescita, in questo percorso le relazioni e interazioni sociali sperimentate da bambino sono il
fondamento dello sviluppo cognitivo successivo.Negli anni settanta Kohut, esponente della
scuola di pensiero della psicologia del Sé, focalizza la sua attenzione sul ruolo delle relazioni
sociali, il Sé è una struttura esistente fin dalla nascita che si caratterizza diversamente in età
adulta.
In età infantile viene riconosciuta l’esistenza di un Sé passivo grazie al fatto che il bambino
viene considerato dalle persone che lo circondano come dotato di Sé. Successivamente il Sé si
affermerà autonomamente tramite il rapporto con le persone vicine che sovraccaricano il
bambino di un investimento narcisistico iniziale essenziale.
In questa visione non esiste un’autonomia primaria del Sé.
L’idea corrente della psicologia riguardo l’identità è che si tratta di un complesso percorso
che unisce aspetti e momenti diversi lungo l’intera esistenza, un vissuto soggettivo ma anche
un dato stabilito dagli altri nel ruolo che il contesto sociale propone.
La questione del Sé è stata largamente trattata anche dalla psicologia sociale.
Cooley, esponente della prospettiva interazionista, ha definito il Sé relazionalmente inteso,
una costruzione che implica l’interiorizzazione degli altri significativi, il soggetto interiorizza
gli atteggiamenti che gli altri metto in atto nei suoi confronti.
Mead, padre dell’interazionismo simbolico
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, sostiene che self , lo spirito, e mind,
l’autocoscienza, non siano innati e che si sviluppano nel tentativo di adattarsi all’ambiente che
circonda il soggetto, il bambino fra tutti i gesti sceglie quelli che gli altri possono capire, la
capacità di assumere la prospettiva dell’altro quindi è fondamentale, l’Io può valutare le
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L’interazionismo simbolico è un approccio teorico sviluppatosi negli Stati Uniti D’America e che ha avuto il
suo massimo momento di fertilità fra gli anni trenta e sessanta del novecento.
I concetti fondamentali dell’interazionismo simbolico sono:
• la mente si forma grazie all'acquisizione dell'individuo dei processi di interazione sociale nei quali è coinvolto
sin dai primi anni di vita;
• il Sé si forma solamente grazie al modo in cui il soggetto ritiene di essere giudicato dagli altri;
• l'azione sociale viene regolata e guidata dal significato che gli individui conferiscono alla situazione in cui
vengono a trovarsi;
• il linguaggio è il principale mezzo di comunicazione di simboli, significati, etc;
• l'azione non è una risposta allo stimolo, ma si forma un passo alla volta nel corso del suo sviluppo.
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conseguenze delle sue azioni nei confronti dell’altro solo ponendosi dal suo punto di vista.
Solo la specie umana ha questa capacità di oggettivarsi ponendo se stessi come oggetto di
rappresentazione, senza questa capacità sarebbe impossibile costruire la società, poiché questo
implica collaborazione che non può esistere senza la valutazione della posizione dell’altro.
Mead sostiene che il Sé emerge solo dalle interazioni sociali, che sono dapprima puramente
gestuali e poi linguistiche.
Nella teoria di Mead si distingue Me, che esprime i comportamenti del gruppo sociale
interiorizzati dall’individuo e che esercitano su di lui il controllo sociale, e l’Io, che è la
componente di originalità e spontaneità insita nell’individuo ed è la condizione per il
mutamento dei rapporti sociali nel corso del tempo.
Attraverso il Sé, la volontà individuale viene armonizzata con la realtà esistente e permette la
sopravvivenza del gruppo. Il Sé quindi è uno dei più efficaci strumenti di controllo sociale.
Harrè analizza il problema della molteplicità nel Sé: “mentre nello spazio si può avere un
unico Sé, poiché esiste in un solo corpo, nel tempo la persona può avere e ha molti Sé”
13
.
Secondo Harrè il Sé è una finzione grammaticale necessaria nei discorsi e si caratterizza come
la sintesi di molteplici identità che si alternano all’interno dei diversi rapporti sociali e
interpersonali.
1.1.2 Cultura, senso comune e processo di socializzazione
Nelle teorie che si sono succedute nel corso del tempo l’importanza del ruolo personale e
dell’influenza ambientale varia rimanendo fondamentale a causa dell’inscindibile legame fra
uomo e contesto. L’Io è plasmato dall’ambiente in cui si trova e si struttura all’interno di una
cultura, scrive Taylor: “la definizione completa di identità di una persona […] di solito
comprende non solo la sua posizione sulle questioni morali o spirituali, ma anche un certo
riferimento ad una comunità definente.”
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È di fondamentale importanza quindi definire cosa sia e quali sono i processi che la
caratterizzano e la tengono in vita.
La cultura si potrebbe definire come l’insieme di valori, modelli di comportamento, usi e
costumi, organizzazioni e istituzioni di un gruppo che dirigono la sua esistenza.
13
ROM HARRE, The Singular Self, London 1998 [La singolarità del Sé. Introduzione alla psicologia della
persona, Raffaello Cortina, Milano 2000, p. 190.
14
CHARLES TAYLOR, Sources of the self. The Making of the Modern Identity, Cambridge 1989 [Radici dell’io.
La costruzione dell’identità moderna, trad. it. di R. Rini, Milano 1993]
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Da questa definizione la cultura può sembrare qualcosa di meramente strumentale in mano
all’individuo ma è molto più di questo, ha certamente un’utilità strumentale ma ciò che la
rende davvero importante è la sua capacità di guidare l’agire umano.
Secondo Weber la cultura è “una sezione finita dell’infinità priva di senso del divenire del
mondo, alla quale è attribuito senso e significato dal punto di vista dell’uomo”
15
.
Questa scelta fa sì che l’uomo possa rendere il mondo vivibile e comprensibile, è l’uomo
stesso che da senso al mondo, “è un metodo di riduzione dell’inconoscibile totalità dell’essere
a dimensioni gestibili dall’intelletto umano”
16
. L’individuo opera una riduzione della Realität
ovvero dell’infinità dei significati possibili.
L’uomo sceglie come realtà ciò che ritiene degno d’interesse quindi la cultura non è un filtro
neutro, se il soggetto non avesse la capacità di distinguere cosa è significativo per lui e cosa
no non avrebbe appigli per decidere come agire, ogni sua iniziativa sarebbe paralizzata,
schiacciata dall’immensità del reale.
Weber quindi da importanza al ruolo attivo dell’uomo nella creazione della cultura, facendola
derivare da una sua scelta che valorizza alcuni elementi della realtà a discapito di altri, questa
scelta ha un prezzo ovvero tutto ciò che viene escluso e non viene considerato importante.
Perché questa selezione funzioni il microcosmo creato da questa selezione deve essere
avvertito dagli individui come qualcosa di finito, almeno per la maggior parte del tempo. Il
meccanismo che in pratica consente alle persone di comportarsi come se l’universo fosse
composto solo da ciò che la cultura ha selezionato è il senso comune.
Il senso comune sospende il dubbio che le cose non siano come sembrano, opera una
naturalizzazione della realtà sociale, “fa si che alla costruzione sociale si conferisca lo stesso
tono di naturalezza che è evidente per la realtà naturale.”
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Il suo mantenimento però non è un processo automatico, ogni momento della vita tutti
operano attivamente affinché non ci siano strappi nel tessuto del senso comune facendo in
modo che l’ovvio resti tale.
Jedlowski ha definito il senso comune come “quello che ciascuno pensa che tutti gli altri
pensino, e ciascuno lo costruisce attraverso gli effetti delle proprie interpretazioni, nello stesso
momento in cui crede di adeguarsi a regole che preesistono
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”.
15
MAX WEBER, Il metodo delle scienze storico-sociali, Torino 1958, p. 96.
16
FABIO D’ANDREA, ANTONIO DE SIMONE, ALBERTO PIRNI, L’io ulteriore. Identità, alterità e dialettica del
riconoscimento, Morlacchi Editore, Perugia 2007, p. 10.
17
Ivi, p. 11.
18
PAOLO JEDLOWSKI, Il sapere dell’esperienza. Milan 1993, p.38.