e desideri, offrendo sequenze televisive ed oggetti che sembrano rispondere a
meraviglia a modelli e stili di vita ideali.
Dopo aver affrontato le differenze fra la “neo-Tv”, la Tv di oggi, e la “paleo-Tv”, cioè
la Tv di 25-30 anni fa, molto diversa dalla televisione odierna, in quanto i programmi
ben definiti, per generi ed orari, erano pensati per scopi e funzioni in chiave
pedagogica–assertiva, ho effettuato una panoramica storica sulla nascita della
televisione, concentrandomi sull’origine della RAI e sulla costituzione del Gruppo
Mediaset. Ho affrontato il tema dell’americanizzazione della televisione italiana e ho
analizzato le tappe fondamentali che hanno portato alla rivoluzione dei palinsesti e ai
primi scontri con la RAI: si tratta dell’inizio degli anni Ottanta, quando la Tv
commerciale comincia a dare un impulso alle piccole e medie industrie, utilizzando il
modello e gli schemi della televisione americana, che prima non potevano accedere al
video per pubblicizzare i loro prodotti. Col ribaltamento delle finalità del broadcasting e
cioè non più servizio pubblico, ma impresa tesa al profitto, alla massimizzazione degli
ascolti e alla raccolta di pubblicità, cambia il ruolo della programmazione e il suo
rapporto con la produzione. I palinsesti dei network commerciali, che diventano una
combinazione di serie americane e di spirito nazional-popolare, spingono così verso
l’estensione delle ore di programmazione e il rafforzamento del flusso televisivo,
introducono la logica orizzontale della striscia nel day-time, collocando il medesimo
programma (un prodotto seriale) alla stessa ora durante tutta la settimana; definiscono
inoltre la programmazione in vista dei target da colpire e in base a ciò determinano
produzioni ed acquisti. Per capire cosa significassero realmente quei formidabili anni ho
riportato le opinioni di due personalità di spicco della storia della televisione italiana,
Carlo Freccero e Davide Rampello, i quali hanno vissuto da vicino il clima
d’entusiasmo che si respirava in quel periodo. Le emittenti commerciali, che si sono
quindi costituite in quegli anni, vivono grazie alla pubblicità; inoltre, anche la RAI ha
adottato parzialmente da tempo il modello commerciale ed è ormai largamente presente
2
sul mercato pubblicitario: tale circostanza mi ha indotto ad accennare allo stretto nesso
esistente fra televisione e pubblicità, ai meccanismi legati al ruolo delle concessionarie e
alle tipologie pubblicitarie (spot, telepromozioni, televendite e sponsorizzazioni),
analizzando brevemente anche le principali disposizioni in materia di pubblicità
televisiva. Per concludere la panoramica sulla realtà televisiva mi è sembrato inoltre
necessario accennare alle funzioni primarie e ai principali interventi dell’Autorità per le
Garanzie nelle Comunicazioni: l’organismo speciale a cui è affidato il compito di
vigilanza sul rispetto delle regole antitrust; inoltre, sulla base della Relazione
sull’attività svolta e sui programmi di lavoro di tale Autorità, ho osservato le
caratteristiche distintive dell’attuale mercato televisivo.
Il secondo capitolo è essenzialmente focalizzato sulle dinamiche relative alle attività
delle imprese televisive; ho ritenuto infatti importante delineare le principali funzioni e
il contesto operativo di un’azienda televisiva, in quanto la sua gestione non è mai stata
analizzata in profondità, quando, invece, in un settore articolato ed altamente
competitivo come quello televisivo, solo una grande professionalità ed un management
efficiente possono assicurare il successo dell’impresa.
L’analisi dell’azienda televisiva si basa sul fenomeno della produzione, quindi sul
prodotto televisivo, e sulla comprensione dei meccanismi che hanno condotto allo
scambio di mercato di tale prodotto: tale circostanza mi ha dunque spinto ad analizzare
il prodotto televisivo, il quale è costituito dal palinsesto (l’insieme dei diversi
programmi audiovisivi organizzati entro una griglia temporale), e quindi la domanda di
tali prodotti, in quanto l’attività televisiva in senso stretto è rappresentata dall’attività
editoriale di comporre una sequenza di programmi, in base alle previsioni quantitative e
qualitative della domanda del pubblico, e di trasmettere tali programmi agli utenti. Le
dinamiche delle aziende televisive vengono alimentate soprattutto dalla predisposizione
di un palinsesto, cioè dall’assemblaggio o confezionamento di singoli prodotti
audiovisivi, acquistati o realizzati internamente. L’attività di redazione e di diffusione
3
del palinsesto, ovvero della “programmazione televisiva” è conosciuta anche con il
termine broadcasting televisivo; infatti, il broadcaster è l’editore, cioè il soggetto sotto
la cui responsabilità il palinsesto viene trasmesso. La costruzione del palinsesto
rappresenta inoltre l’attività fondamentale soprattutto nel modello televisivo
commerciale, in quanto costituisce lo strumento per la creazione di valore aggiunto.
Successivamente ho indagato gli aspetti riguardanti la produzione di programmi fiction
e di programmi non-fiction, in quanto essi costituiscono le materie prime su cui si
innesta il processo di composizione del palinsesto, analizzando anche il mercato dei
diritti televisivi e quello dei format. L’impresa televisiva, la cui attività primaria è
quindi quella di predisporre il palinsesto, deve perciò decidere se acquistare oppure
produrre i vari programmi: ciò mi ha portato a soffermarmi brevemente sulle scelte
strategiche che le imprese si trovano a dover affrontare. I meccanismi evolutivi e le
forme innovative hanno determinato elevati livelli di concorrenza nel mercato
televisivo: all’interno del settore la concorrenza avviene ottimizzando la vendita dei
contatti prodotti attraverso la diffusione dei programmi. La produzione dei contatti si
realizza attraverso la fornitura di informazioni e spettacolo ai telespettatori; la
programmazione televisiva dovrà quindi porsi il problema di produrre i contatti
maggiori richiesti dagli utenti pubblicitari. Una volta prodotti i contatti, le politiche di
marketing e le strategie di vendita rappresentano un aspetto importante delle dinamiche
competitive soprattutto nelle fasi di trasformazione del mercato e naturalmente il
collegamento tra la fase di vendita e quella produttiva facilita la conquista di una forte
posizione competitiva sul mercato. Inoltre, analizzando ciascun concorrente sotto il
profilo dei gruppi di audience raggiunti e della programmazione trasmessa, si possono
identificare diverse categorie di concorrenti e vari meccanismi competitivi. Ho infine
terminato lo studio dei meccanismi che stanno alla base delle attività delle aziende
televisive soffermandomi sulla realtà economica del Gruppo Mediaset: ho quindi
analizzato concisamente la struttura del Gruppo, la gestione e la realizzazione dei
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palinsesti, la produzione dei programmi, la gestione dei diritti televisivi e delle risorse
umane, fornendo anche un quadro del possibile sviluppo della gestione.
Il nucleo centrale dello studio è costituito dal capitolo terzo e quarto, i quali si fondano
rispettivamente sui palinsesti e sul marketing televisivo.
Il palinsesto è divenuto in anni recenti lo strumento centrale con cui le diverse emittenti
in competizione cercano di orientare e costruire il consumo: è necessario infatti
sottolineare che l’intera politica commerciale dei network (la vendita degli spazi
pubblicitari) dipende dalla progettazione dei palinsesti, con la divisione per fasce orarie
e per target di riferimento dei singoli programmi.
Dopo aver messo in evidenza l’importanza del fattore–palinsesto e sottolineato il
rapporto di interdipendenza fra il mezzo televisivo e i prodotti audiovisivi (come
contenuto la televisione trasmette infatti in successioni più o meno organizzate i
messaggi audiovisivi, e questi ultimi possono esistere solamente all’interno delle
sequenze entro le quali il mezzo stesso le colloca), ho delineato, da un punto di vista
storico-descrittivo, le principali caratteristiche dei palinsesti nelle diverse fasi storiche,
identificando e soffermandomi su due grandi modelli di palinsesto: quello
paleotelevisivo e quello neotelevisivo. Ho inoltre dimostrato, attraverso la trattazione
del palinsesto rigido e dell’effetto che un serial come Dallas è stato in grado di
produrre, come l’americanizzazione della Tv abbia influenzato la programmazione:
prima dell’avvento dei network, il palinsesto delle Tv private era pensato anziché in
verticale, in orizzontale, in cui l’unità su cui si lavora, non è la settimana, ma il giorno:
trovato uno schema per fasce orarie, lo si replica identico per tutti i giorni della
settimana; quando nacque in Canale 5 questo stile di programmazione si rivelò però
insufficiente: proprio per la mancanza della diretta, nacque l’esigenza di mutuare dagli
americani il fondamento dei loro palinsesti, cioè l’estrema rigidità, la quale permetteva
di raggiungere due obiettivi: una forte identificazione di rete e la simulazione della
diretta con la messa in onda in contemporanea dei programmi. Ho inoltre spiegato come
5
l’americanizzazione della televisione italiana si sia realizzata pienamente con Dallas, la
cui storia in Italia è esemplare: Canale 5 ne fece infatti l’evento della stagione televisiva
’81-’82, trasformando la televisione italiana, poiché a partire da questo appuntamento
fisso venne costruito il palinsesto all’americana; con tale serial nacque inoltre la
nozione di controprogrammazione e tutta una serie di tecniche specifiche messe in atto
per catturare l’audience. Ho quindi passato in rassegna le tecniche dei broadcaster, a
partire dalla metà degli anni Ottanta fino agli anni più recenti, soffermandomi anche
sulla nuova sfida delle reti televisive tradizionali: la decisione da parte dell’utente di
acquistare un abbonamento alla rete criptata e quindi di costruire un proprio palinsesto
personale.
Dopo aver definito in maniera tecnica il palinsesto (esso è capace di trasformare i
telespettatori in prodotti e consente di attuare la programmazione, ma
contemporaneamente costituisce il mezzo per offrire spazi pubblicitari alle aziende
interessate a diffondere messaggi commerciali all’audience così prodotta), ho analizzato
nello specifico il suo contenuto, cioè l’assortimento dei programmi ed i titoli; la logica
su sui si basa la sua costruzione, determinata dagli obiettivi economici che si intende
perseguire, i quali devono essere però coerenti con la tipologie di clienti assunti come
riferimento; e la sua forma, in quanto costruire il palinsesto significa lavorare sul tempo,
scegliendo i segmenti più opportuni in cui collocare i diversi programmi con l’obiettivo
di far sì che il target abbia la possibilità effettiva di consumarli. Mi sono inoltre
concentrata sul procedimento di stesura del palinsesto, il quale si basa sulla logica delle
approssimazioni successive (attraverso una serie di fasi coordinate, dalla
predisposizione di un palinsesto generico si giunge al dettaglio della programmazione
dell’azienda televisiva) e ho esaminato i criteri usati nella sua costruzione, in quanto il
palinsesto rappresenta il punto di convergenza di molteplici elementi che, sebbene con
differenti pesi, contribuiscono ad indirizzare le scelte degli addetti alla sua
compilazione; in particolar modo ho esaminato le strategie relative all’appropriatezza
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fra genere e fascia oraria, le regole del prime time, le tecniche per non spezzare il
pubblico e la controprogrammazione, riportando anche le opinioni di alcuni responsabili
Mediaset e RAI.
Dopo aver indagato i termini tecnici inerenti alla programmazione, ho cercato di capire
che cosa significa realmente costruire palinsesti, analizzando i problemi che Mediaset
ha dovuto affrontare in merito alla necessità di rinnovare la programmazione.
Ho inoltre riscontrato delle differenze riguardanti l’organizzazione del modello RAI e
Mediaset: la RAI, pur prevedendo forme di coordinamento tra le programmazioni delle
reti, assegna piena autonomia a ciascuna struttura che partecipa al palinsesto di ogni
canale, mentre Mediaset accentra la programmazione delle sue tre reti, coordinandola
sin dalla fase iniziale di formazione dei palinsesti; infine, per concludere il capitolo, ho
deciso di soffermarmi sulla stesura dei palinsesti in Mediaset, la quale presenta delle
peculiarità determinate soprattutto dal legame con il mercato pubblicitario.
Il quarto capitolo è interamente dedicato allo studio del marketing televisivo e delle
ricerche commissionate dalla Struttura Marketing di Mediaset, al fine di analizzare le
preferenze dei telespettatori e l’immagine che questi hanno del sistema televisivo.
Il marketing riveste un’enorme importanza in ambito televisivo ed è strettamente legato
ai palinsesti: esso si distingue in marketing strategico e marketing operativo; con il
primo, si intendono le operazioni di analisi del mercato, analisi dell’ambiente e del
consumatore, analisi della concorrenza, selezione del target, misurazione e previsione
della domanda, segmentazione, “targettizzazione” e posizionamento. Con il secondo si
intendono le operazioni relative al marketing-mix, ossia le azioni relative alla
concezione del prodotto, del prezzo e della promozione. Trasponendo all’impresa
televisiva le attività suddette, tutte le azioni di marketing sono messe in atto allo scopo
di costruire il palinsesto: ciò significa decidere, in riferimento a uno specifico intervallo
temporale e secondo un determinato criterio, la collocazione, la struttura di successione
e la frequenza di un insieme di programmi destinati al consumo di quegli spettatori a cui
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sono riconducibili i ricavi dell’emittente; proprio per questo motivo è importante per la
televisione, attraverso le strategie comunicative ed il marketing, istituire un patto
comunicativo con il suo pubblico: essa mette infatti in atto una serie di mosse e di
tattiche che si rivelano fondamentali per catturare e mantenere gli spettatori.
Dopo aver analizzato le tendenze della Neotelevisione, inerenti al rapporto con il
pubblico, alla figura del conduttore, al destino del “programma contenitore” e alle
strategie promozionali messe in atto nell’attuale clima di competizione da RAI e
Mediaset, ho indagato cosa significa fare marketing quando si ha a che fare con prodotti
“comunicazionali” ed ho analizzato la funzione che la Tv riveste nell’ambito del
“marketing dell’esperienza”, anche se, nonostante la natura “esperienziale” della
televisione, è innegabile che, nelle iniziative che “il marketing dell’esperienza” ha
sinora rivolto ai consumatori, la Tv sia stata molto spesso compresa nel mix degli
strumenti e dei canali di comunicazione impiegati, ma quasi mai centrale.
Ho dedicato un’ampia parte del capitolo quarto allo studio della Struttura Marketing di
Mediaset, analizzando in maniera particolareggiata, grazie alle preziose informazioni
che mi sono state fornite dai vari responsabili, i problemi con cui ogni giorno si scontra
la Direzione Marketing Palinsesto, l’Area Prodotto e l’Area Palinsesto e
Coordinamento, soffermandomi anche ad esaminare gli strumenti che vengono utilizzati
dalla Struttura Marketing per effettuare le varie ricerche sugli spettatori e i diversi studi
sui programmi televisivi. Ho ritenuto inoltre opportuno analizzare anche
l’organizzazione e le funzioni di una Direzione di Rete, nello specifico quella di
Retequattro, soffermandomi in modo particolare sia sui motivi che hanno condotto al
suo riposizionamento, sia sulle procedure messe in atto per realizzare tale operazione.
Grazie ai chiarimenti che mi sono stati forniti dal Responsabile dell’immagine e della
promozione di Retequattro (Dott. Angelo Florio) ho potuto anche indagare le tecniche e
i processi che portano alla realizzazione dei promo, i quali sono di enorme importanza
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per una rete, in quanto servono non solo a sedurre e a catturare il pubblico, ma anche a
veicolare l’intero sistema valoriale dell’emittente.
Dall’analisi dell’insieme della programmazione, ho inoltre riassunto le strategie e gli
stili di ciascuna rete, evidenziando l’atteggiamento verso la quotidianità, le differenti
forme di gestione dell’interazione comunicativa ed il tipo di accordo comunicativo
caratteristico di ciascuna emittente, focalizzando l’attitudine d’ascolto richiesta allo
spettatore.
Per concludere il capitolo quarto, mi sono soffermata su due tipi di ricerche; la prima
riguarda l’indagine annuale commissionata da RAI e Mediaset a MAKNO & C.
sull’immagine della televisione: ho analizzato in particolare le macrotendenze del
mercato televisivo, i cambiamenti e le preferenze degli spettatori; mentre la seconda
ricerca che ho trattato consiste essenzialmente in una serie di indagini sulle audience,
che hanno portato ad individuare sinteticamente quattro coorti generazionali, a cui è
stato assegnato un nome definitorio, il quale esprime l’atteggiamento attualmente
assunto nei confronti della televisione.
L’ultimo capitolo focalizza invece l’attenzione sull’ascolto televisivo, analizzando però
non tanto le tecniche di rilevazione dei dati Auditel, quanto le decisioni che si assumono
dopo aver esaminato tali dati. Dopo aver investigato le cause che stanno alla base delle
difficoltà di reperimento delle informazioni sull’audience, inerenti alla natura del
consumatore del prodotto televisivo, ho passato in rassegna le forme di
rappresentazione dell’ascolto applicate più frequentemente.
Ho esaminato gli strumenti in grado di misurare quantitativamente il consumo di
televisione e che raccolgono anche i dati descrittivi sulle caratteristiche socio-
demografiche degli spettatori: sono gli strumenti “audiometrici” e cioè i questionari, i
diari di consumo e soprattutto il meter. Quest’ultimo costituisce lo strumento mediante
il quale avviene la raccolta automatica dei dati Auditel: ho ritenuto dunque importante
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dare una visione d’insieme dell’indagine Auditel, specificando il panel, gli indicatori
principali e le elaborazioni o i tabulati forniti quotidianamente da tale società.
Successivamente ho indagato il modo con cui ci si rapporta con tali dati, sulla base delle
opinioni di alcuni professionisti del sistema televisivo, come il Direttore di Canale 5, il
Direttore di Studio Aperto, il Vicedirettore di Italia 1 ed il Responsabile del
Coordinamento Palinsesti Rti.
Ho inoltre esaminato il significato dell’Auditel per la Tv pubblica, in modo da
comprendere le differenze che esistono, per quanto riguarda l’importanza dell’ascolto,
tra emittente privata e pubblica: la RAI ha esigenze analoghe a quelle dell’emittenza
privata in termini di conoscenza del mercato, ma a differenza dell’offerta televisiva
delle reti commerciali, che hanno come primo interlocutore il consumatore, il servizio
pubblico ha come valore di riferimento il cittadino-utente; l’Auditel permette alla
televisione pubblica semplicemente di comprendere “il giorno dopo” quale è stata la
risposta dell’utente all’offerta. Come strumento di indagine finalizzato alla verifica delle
performance, l’Auditel è un importante indicatore delle scelte del pubblico e quindi è
utile anche alla Tv pubblica.
L’audience, per chi fa la Tv, è però soprattutto intuito e mestiere: per questo ho ritenuto
importante esaminare il valore dell’ascolto per due maestri della televisione: Davide
Parenti e Antonio Ricci, i quali hanno espresso il loro rapporto con i dati Auditel.
Inoltre, dopo aver appurato che il dato Auditel è solo uno strumento di base e che dietro
questi bisogna essere anche in grado di leggere specificazioni di carattere qualitativo, ho
messo in evidenza come gli indicatori dell’ascolto permettano anche di definire il
gradimento di un personaggio ed il suo profilo, consentendo quindi uno sfruttamento
ottimale delle “risorse artistiche”.
L’Auditel esprime in modo assoluto la sua essenza all’interno del mercato pubblicitario,
in quanto è in grado di pesare la quantità di teste raggiunte dalla pubblicità e di stabilire
così i prezzi da far pagare a chi compra gli spazi pubblicitari: ho quindi esaminato il
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ruolo dei dati d’ascolto all’interno di tale mercato, evidenziando il rapporto che i
venditori (le concessionarie di pubblicità) e i compratori (soprattutto i centri media)
stabiliscono con gli indicatori Auditel.
Infine, ho sottolineato come l’Auditel non sia l’unico strumento per analizzare l’ascolto
televisivo: ve ne sono molti altri, in quanto la televisione è un fenomeno assai
complesso che richiede una pari complessità di approcci e di strumenti per essere
analizzata: ad esempio, la RAI ha dato corso alla rilevazione della qualità percepita dei
suoi programmi televisivi, varando il cosiddetto IQS (Indice di Qualità e di
Soddisfazione) e proprio l’analisi del gradimento e del panel IQS costituiscono
l’argomento degli ultimi due paragrafi.
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Vorrei ringraziare, per la riuscita del presente lavoro, il Professor Luca Pellegrini,
docente di marketing, per l’assistenza nelle fasi di elaborazione della tesi; rivolgo,
inoltre, sinceri e doverosi ringraziamenti alla Direzione Documentazione ed Analisi
Istituzionale di Mediaset, in particolar modo un grazie di cuore alla Dott.ssa Alessandra
Ferrario, per la gentilezza e la disponibilità dimostrata durante la stesura del mio studio.
Ringrazio la Dott.ssa Marina Del Bigio (Direzione Marketing Palinsesto - Mediaset), la
Dott.ssa Barbara Galbusera (Area Prodotto - Mediaset), il Dott. Alessandro Grieco
(Area Palinsesto e Coordinamento – Mediaset) e il Dott. Angelo Florio (Direzione di
Retequattro), fonti di informazioni preziose e di utili suggerimenti.
Infine, un ringraziamento più che sentito va al Dott. Mauro Mantegazza, che attraverso
il Suo sito Internet, mi ha fornito validi consigli.
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CAPITOLO PRIMO
BREVE ANALISI DELLA REALTA’ TELEVISIVA
1. Introduzione: il mondo televisivo
Della televisione si parla moltissimo e talvolta anche male. Lo fanno gli intellettuali ed
anche i giornalisti. Tutti trovano occasione per raccontare gli effetti che questo mezzo
produce. Negli ultimi anni, ad esempio, si è parlato spesso dell’influenza che la Tv ha
sui minori.
Le grandi denunce vanno per ondate successive e durano normalmente un decennio.
Negli anni sessanta il pericolo era la massificazione, la morte della cultura mentre negli
anni settanta si è gridato contro il consumismo e la pubblicità; gli anni ottanta hanno
segnato il periodo della “sbornia televisiva” e quello dell’Italia ricca che ha inseguito
ogni possibile mito, purché superficiale e divertente mentre gli anni successivi hanno
rappresentato il periodo della “teledemocrazia”, della politica decisa dalla e in Tv.
Per trattare di una società televisivo-dipendente, il caso italiano, come afferma Livolsi
(1998) si presta a meraviglia. Dalla fine degli anni settanta il “sistema misto” (grandi
emittenti private e forte presenza pubblica) ha portato in questo paese una valanga di
programmi di una certa qualità e forte appeal.
Un’offerta così ricca ha creato negli italiani una dipendenza che portava a trovare ogni
sera almeno un programma capace di attirare l’attenzione di un vasto pubblico.
L’offerta era ricchissima: molte reti, molti programmi e l’emergere di tanti nuovi divi
televisivi.
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Questa “grande offerta” è stata il risultato della lotta dell’emittenza privata contro quella
pubblica per spartirsi quote di spettatori e risorse pubblicitarie. La posta in gioco era, da
una parte, il consolidamento di una dimensione aziendale unica in Europa e, dall’altra,
la specificità di un servizio pubblico capace di reggere la concorrenza privata. Tale
scontro si è concluso con l’avvicinamento dei due contendenti che ha determinato un
mutamento nell’offerta complessiva: molti generi e programmi scomparsi per
insuccesso in base ai dati di ascolto.
I film, insieme all’informazione e soprattutto allo sport, restano il prodotto più seguito.
Questi si mescolano a modesti programmi e protagonisti televisivi, a frammenti di
pubblicità che tutti ricordano, alle telenovelas, ai talk-show e alle trasmissioni a premi.
Il kitsch finisce per imporsi anche perché l’assuefazione ha portato a un consumo di
routine. Si vede distrattamente, con minore entusiasmo o si va alla ricerca di programmi
saltando da un canale all’altro. In molti casi non si vedono programmi nella loro
interezza, ma un mix di generi diversi.
Anziché realizzare cose nuove la regola, negli ultimi anni, sembra essere quella di
imitare ciò che è stato fatto, ciò che ha funzionato sulla base dell’ascolto dei dati
Auditel. Non a caso il genere che si è imposto ultimamente è stato il “contenitore”, in
cui si susseguono, senza una logica particolare, canzoni, giochi, telefilm, interviste, ecc.
Questi programmi si possono seguire un po’ o lasciare a ogni momento senza necessità
di sapere cosa avverrà dopo.
Il mescolarsi dei generi ha prodotto diverse conseguenze: la confusione fra realtà (ad
esempio le notizie) e storie inventate, di fantasia, ma soprattutto la crescente
“spettacolarizzazione” della realtà, oggi indispensabile per avere successo, in quanto
sembra che solo ciò che fa ridere o commuovere sia in grado di attirare l’attenzione.
Due sono i meccanismi che principalmente guidano la fruizione degli spettacoli
televisivi e che sono le cause dei suoi effetti. Il primo è quello della standardizzazione e
ripetizione di ciò che si vede. La maggior parte dei programmi che devono riempire il
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palinsesto è un ricalco di altri che hanno creato quel genere e hanno avuto successo. Il
ricalco non si limita a qualche variazione su storie molto simili, ma si ispira anche a
molte altre cose già viste. Ad esempio gli ambienti televisivi sono tutti molto simili. È il
caso dello sfondo dei vari Tg o degli interni borghesi della fiction italiana. La
ripetizione e la standardizzazione dei programmi finisce col ridurre la complessità del
mondo televisivo a poche tematiche: la violenza, l’amore e la cronaca.
Un secondo meccanismo è invece quello che deriva dal modo di presentare i contenuti,
dall’informazione alla fiction. La rapidità è la caratteristica principale. Chi prepara i testi
per la Tv è costretto a lavorare su sequenze pensate per un immediato coinvolgimento di
chi guarda, per non indurlo alla noia o a cambiare canale. L’attenzione dello spettatore
deve essere attratta da continui colpi di spettacolarità, in quanto non c’è abbastanza
tempo per una decodifica razionale. Una sequenza televisiva piace infatti se commuove,
fa ridere o tiene incollati davanti allo schermo. Non c’è tempo per la riflessione: una
notizia in un Tg viene data per non più di 60 secondi, uno spot pubblicitario racconta
una storia in non più di 30 secondi, mentre l’angoscia che prova una protagonista di un
film è racchiusa nella rapida dissolvenza di lei in lacrime.
Questa necessità di brevità esclude ogni possibilità di approfondimento. Tutto viene
enunciato, richiamato, non c’è spazio per contestualizzare o chiarire.
Nel flusso televisivo tutto deve scorrere velocemente: rapide sequenze si susseguono
senza troppi legami o riferimenti con ciò che viene prima o dopo. Il coinvolgimento, che
rappresenta oggi la caratteristica principale del mezzo televisivo, è però molto intenso.
Esso costituisce la dipendenza televisiva: molti non riescono a staccarsene anche se il
divertimento è scarso e il più delle volte ripetitivo.
Ogni giorno la Tv propone modelli e situazioni nuove che inducono lo spettatore a
lasciare per qualche istante il mondo vero per quello dell’immaginario. Nessuno riesce a
resistere alla tentazione di vivere in un mondo diverso: pur sapendo benissimo che
quello televisivo è quello dell’irrealtà.
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Guardando i personaggi di successo si cercherà, imitandone il modo di vestire o parlare,
di essere più gradevoli; osservando la pubblicità o gli interni degli sceneggiati, si
cercherà di addobbare al meglio la propri casa per farla più bella ed ammirata da chi vi
entra. In tal modo certe mete diventano una sorta di obbligo collettivo: ad esempio
essere in forma, essere simpatici, viaggiare, avere molti vestiti, una bella macchina. Non
è quindi un caso che gli addetti al marketing e alla pubblicità aiutino queste illusioni,
studiando e poi incoraggiando sogni e desideri, offrendo sequenze televisive ed oggetti
che sembrano rispondere a meraviglia a modelli e stili di vita ideali, a ciò che si
desidera nel fondo del cuore.
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