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Capitolo 4
IL BLENDED LEARNING
Spesso i percorsi di innovazione e di cambiamento di piccole o grandi dimensioni si arenano e
incontrano barriere che li rendono inefficaci o che li fanno addirittura fallire. L’innovazione non è
solo l’introduzione o l’adozione di una nuova tecnologia. Può essere un nuovo modo di fare le
cose, di interagire, di organizzarsi. Per “navigare” nella complessità e affrontare le costanti
incertezze legate ai cambiamenti sociali, economici e culturali é importante attivare le esperienze e
le competenze dei soggetti interessati dai cambiamenti. Docenti e studenti…tutti insieme giocano
un ruolo decisivo per il raggiungimento degli obiettivi di cambiamento (Martinez, Fernandez,
Karlsson, 2004 ,p .10).
1.1 Il concetto di blended learning tra la pluralità di definizioni possibili
L‟evolversi dei bisogni di apprendimento e organizzativi porta ad un nuovo paradigma di
riferimento della formazione a distanza. L‟e-learning è un‟opportunità in termini di velocità,
flessibilità, economicità e di controllo per strutture decentralizzate che vogliano accedere ai
contenuti che il mercato della conoscenza offre a livello globale.
La formazione frontale in aula, ancora oggi, è la più utilizzata ma, visti i sondaggi previsionali di
utilizzo e di efficienza (Osservatorio Anee/Assinform 2006), che portano ad uno scenario futuro
contrapposto, con l‟e-learning in vetta (83,1%), il modello blended learning risulta il più idoneo
perché coniuga la flessibilità degli strumenti informatici con la determinante caratteristica di
socializzazione dell‟uomo. Blended learning è dunque una delle nuove etichette che sempre più
sembrano caratterizzare l‟uso delle tecnologie in contesti educativi e formativi.
La parola blended deriva dal verbo inglese to blend che significa mescolare, miscelare, combinare
in modo armonico elementi diversi ed è indicativo di una ricerca tesa a soddisfare, ma anche creare,
nuovi gusti e nuove aspettative (infatti è entrato nella nostra cultura in riferimento a bevande
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alcoliche, come ad esempio il wisky, e in seguito il caffè e il tè, che acquisivano particolare sapore
mescolando grano e malto, ottenendo così prodotti superiori per qualità). “Un prodotto blended è
quindi un prodotto nato dall‟accostamento di elementi scelti per le loro spiccate qualità i quali sono
capaci di esaltarsi a vicenda quando combinati” (Ligorio, Cacciamani, Cesareni, 2006, p. 17).
Il termine blended learning sembra possedere la peculiarità di avere definizioni multiple. Esse
dipendono dal diverso focus di attenzione posto talvolta sulla pluralità degli artefatti implementati
in un ambiente di apprendimento, altre volte sulla mescolanza dei modelli teorici usati per
promuovere efficaci processi di apprendimento (Driscoll, 2002).
Da qualche decennio a questa parte si parla con sempre maggiore frequenza di blended learning
come di un modo per combinare didattica mediata dal computer e didattica in presenza, anche se
sono evidenziabili presupposti e metodologie differenti. Alcuni autori infatti, ritengono che la
formula blended limiti l‟impatto tecnologico e dia nuova rilevanza all‟insegnamento/apprendimento
in presenza; altri autori si riferiscono al blended learning come ad un metodo che valorizza gli
effetti della tecnologia ma lascia sostanzialmente immutata la didattica in presenza. In realtà con
tale termine non va intesa una semplice contrapposizione di presenza e di mediazione tecnologica,
ma piuttosto una loro alternanza ben studiata, tesa a valorizzare al massimo le differenti componenti
e a tratteggiare contesti di lavoro efficaci sia per gli studenti che per i docenti (Ligorio, Cacciamani,
Cesareni, 2006).
In letteratura si trovano molte definizioni di blended, alcune così ampie da indurre a pensare che
qualsiasi sistema educativo sia in realtà blended (Masie, 2000), altre invece che descrivono casi ben
definiti (Graham, Allen ,Ure, 2003).
Graham, Allen e Ure infatti propongono una tripartizione del blended learning:
- combinazione di modalità di istruzione, ovvero combinazione di supporti utilizzati per
fornire informazioni e contenuti;
- combinazione di diversi modi di istruzione, ovvero di metodi di
insegnamento/apprendimento (Driscoll, 2002; House, 2002; Rossett, 2002);
- combinazione di online e presenza (Reay, 2001; Rooney, 2003; Sands, 2002).
Le prime due definizioni riflettono il dibattito circa l‟influenza dei media sulla didattica
(Clark,1994; Kozma, 1994) e finiscono con il dare una visione del blended learning troppo ampia,
in quanto è ormai difficile individuare modalità di formazione che non si affidino, anche solo per la
distribuzione del materiale didattico, a qualche tecnologia più o meno computerizzata.
La terza posizione invece, che fa riferimento esplicito alla combinazione di online e presenza,
sembra essere quella che meglio soddisfa il ricorso all‟etichetta blended. In questa definizione si
assiste alla convergenza di due approcci educativi (Ligorio, 2002): quello più tradizionale che fa
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riferimento alla didattica in presenza e quello basato sulle tecnologie didattiche e in particolare la
sua forma più evoluta e recente, ovvero quella delle tecnologie in rete, dove il computer è inteso
nella sua duplice accezione, come supporto per usufruire di materiali didattici e come mediazione e
sostegno all‟interazione.
Al di là delle definizioni più o meno dettagliate, sembra ormai unanimemente accettata l‟idea
generale secondo cui il blended learning faccia riferimento a modi di organizzare e alternare attività
a distanza e attività in presenza. Resta però ancora difficoltoso il riuscire a descrivere una pratica
univoca di blended (Ligorio, Cacciamani, Cesareni, 2006). Esperienze diverse infatti hanno dato
luogo a differenti interpretazioni del come effettuare tale integrazione: accostando diverse modalità
di comunicazione (faccia a faccia e mediata dal computer); combinando più modalità di
apprendimento (individuale e collaborativo); stimolando molteplici processi cognitivi (acquisizione
di concetti dati e costruzione attiva di nuove conoscenze); strutturando in modo flessibile i tempi di
apprendimento (Driscoll, 2002; Garrison, Kanuka, 2004; Graham, 2008).
Accade così che sotto l‟etichetta blended learning si trovino esperienze d‟uso sia di prodotti
multimediali, sia di reti di comunicazione mediata; momenti di lavoro in presenza che riguardano
gli stessi interlocutori coinvolti nelle interazioni mediate oppure interlocutori diversi; in presenza
interagiscono studenti e docenti mentre i pari comunicano negli ambienti virtuali. Anche la
temporalizzazione di queste due macrocategorie non è univoca né sempre chiaramente definita.
“In ogni caso, il tentativo di coniugare presenza e online, che possiamo considerare tipico del
blended learning, fa pensare ad una convergenza storica e culturale tra due modi di intendere il
processo di apprendimento che da sempre si inseguono e si influenzano, a volte sovrapponendosi,
altre contraddicendosi” (Ligorio, Cacciamani, Cesareni, 2006, p. 20).
La soluzione blended può essere definita come la strategia di progettazione didattica che coniuga
aspetti e metodi dell‟apprendimento tradizionale con aspetti e metodi dell‟apprendimento online. È
una modalità che integra aula e rete. Si può dire che una soluzione di questo tipo sia un percorso
formativo che prevede l‟utilizzo integrato di diversi formati e tipologie didattiche.
In generale, un progetto blended può prevedere la combinazione di:
- lezioni o attività affidate ad un docente o a un tutor (in aula, in classe virtuale, in video, in
teleconferenza);
- attività in autoapprendimento (contenuti digitali, ma anche manuali, testi, librerie);
- processi di apprendimento collaborativo nell‟ambito di una learning community (basati
sull‟interazione sincrona, in presenza o a distanza, o su strumenti di comunicazione
asincrona).
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Tutto ciò descrive uno scenario ricco di variabili ed elementi complessi, che un progettista di
formazione deve conoscere, saper valutare e scegliere in base ad una precisa strategia didattica,
finalizzata a migliorare il processo di apprendimento mediante il superamento di precisi vincoli di
tempo, spazio, costo, risorse tecnologiche o altro. Tuttavia, nella prassi più comune, il blended
learning sembra coincidere semplicemente con un approccio teso a valorizzare in un progetto
didattico sia i punti di forza della formazione in presenza che le specificità della formazione a
distanza, in particolare della formazione in rete. La regola generale vuole che si seguano tre fasi per
rendere valido il modello blended: un intervento in presenza, lo studio individuale e infine
l‟interazione a distanza. Ognuna di queste fasi è preparatoria della successiva, rendendole
necessarie e complementari, in questa alternanza di presenza/distanza.
Adottare il blended learning per molti è un modo per tentare di realizzare processi di
apprendimento/insegnamento che superino la logica della trasmissione di conoscenza e
dell‟acquisizione di concetti grazie all‟associazione stimolo rinforzo di tipo comportamentista. Il
blended learning sembra una via per combinare strategie didattiche consolidate e tradizionali con
altre più innovative. Alcuni autori (Bonk, Graham, 2006; Garrison, Kanuka, 2004) arrivano a
sostenere che il vero punto di forza del blended learning non sia l‟utilizzo della tecnologia né tanto
meno l‟offerta di varietà e flessibilità di metodi e di strategie, quanto il ripensamento del modello
didattico e pedagogico che lo sorregge perché induce a partire da contingenze e bisogni specifici del
contesto entro cui lo si vuole introdurre (Ligorio, Cacciamani, Cesareni, 2006).
“Dal punto di vista strettamente pedagogico, il blended learning deve farsi carico di attualizzare
alcuni postulati dell‟apprendimento collaborativo, del costruttivismo e di alcuni costrutti tipici
relativi alle comunità che sviluppano pratiche. Inoltre, le tecnologie devono assumere un ruolo
primario sia a supporto dei modelli pedagogici, sia nell‟offerta di nuove mediazioni culturali per
costruire il significato attribuito al lavoro comune e alle pratiche intraprese” (Ligorio, Cacciamani,
Cesareni, 2006, p. 28).
In quest‟ottica il blended learning si prospetta come un modello di lavoro e non come un modello di
formazione isolato dalla pratica. A questo proposito è utile il riferimento al modello della
Progressiva costruzione di conoscenza collaborativa (Progressive Collaborative Knowledge
Building), elaborato da Bereiter e Scardamalia (2003). E‟ un modello, articolato in sette punti, che
guida l‟introduzione delle tecnologie in contesti educativi e che si rivela utile per ottenere interventi
blended:
- attenzione al problema piuttosto che al prodotto: spesso gli studenti si preoccupano più
dell‟esibizione del prodotto finale che del reale problema; occorre quindi dare rilievo alle
questioni legate alla spiegazione di concetti e problemi piuttosto che alle risposte finali
ottenute;
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- attenzione agli oggetti di conoscenza piuttosto che alle tecnologie di supporto: occorre
enfatizzare il processo di costruzione di conoscenza piuttosto che il contenitore della
conoscenza;
- contribuire piuttosto che esibire ciò che si fa: è importante contribuire alla realizzazione di
obiettivi comuni mettendo in evidenza anche ciò che non si sa, ottenendo un reale progresso
del discorso;
- far avanzare la teoria piuttosto che trovare risposte: si parte da problemi espressi dagli
stessi studenti facendo loro formulare ipotesi di risposte che non vanno considerate come
definitive, ma sempre in continuo e possibile miglioramento;
- creazione di conoscenza continua piuttosto che di conoscenza occasionale: la tecnologia
dovrebbe costituire un mezzo per generare idee e domande da conservare e classificare, che
restino sempre disponibili per successive discussioni e revisioni;
- comunicazione pubblica piuttosto che uno-a-uno: il discorso in aula presenta
inevitabilmente anomalie relativamente al ricevente, dato che sia la comunicazione orale
che la composizione scritta sono quasi sempre dirette ad una singola persona, generalmente
all‟insegnante, riducendosi a mero esercizio retorico (Applebee, Langer,1983). Occorre
spostare l‟accento su un‟audience realmente interessata;
- opportunità di riflessione piuttosto che risposta immediata: è stato riscontrato che
normalmente durante le discussioni in aula condotte dal docente, questi non attende più di
qualche secondo per ottenere la risposta da parte dello studente, un tempo di attesa molto
breve (Rowe, 1974). Con il supporto della tecnologia (soprattutto nei forum) il tempo
disponibile per la formulazione dei concetti aumenta notevolmente e si riducono le barriere
sociali ed emozionali che potrebbero impedire di prendere parte alle discussioni orali in
modalità faccia a faccia (Olson, Torrance, 1996).
Il modello proposto da Bereiter e Scardamalia può essere utilizzato per guidare modelli blended
efficaci, orientati verso la costruzione collaborativa di conoscenza, capaci di aumentare i livelli di
apprendimento attivo, di strategie di peer tutoring e di realizzare situazioni di apprendimento
centrate sullo studente (Collins, 1999; Hartman, Dziuban, Moskal, 2007; Morgan, 2002; Smelser,
2002).
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1.2 La progettazione di un intervento formativo di tipo blended
Affinché si possa creare un corso di formazione di tipo blended, così come avviene per quelli
tradizionali, è necessario procedere per tappe che riguardano: l‟analisi dei bisogni, la definizione
degli obiettivi, la selezione dei contenuti, la scelta delle tecnologie, l‟individuazione delle risorse
umane, lo sviluppo di competenze di base per l‟interazione online, la messa a punto del percorso, la
creazione di una cultura e di una predisposizione della valutazione (Ligorio, Cacciamani, Cesareni,
2006).
Così come accade per azioni formative tradizionali dunque, anche per il blended learning il primo
passo che avvia la progettazione di un corso è l’analisi dei bisogni formativi degli attori coinvolti, a
partire dai quali si genera la domanda di formazione. I passaggi fondamentali di questo processo
possono essere identificati in quattro momenti principali (Baldassarre, Zaccaro, Ligorio, 2001):
- l’analisi dei bisogni della committenza: il committente dell‟intervento formativo è il primo
soggetto con cui si entra in contatto. L‟obiettivo di questo spazio di incontro è per il
progettista l‟individuazione chiara dei bisogni del committente. In questa fase tre sono gli
elementi che vanno considerati: l‟attesa di efficacia dell‟intervento formativo da parte del
committente, il consenso dello stesso all‟attività formativa e lo stato della relazione tra
committente ed utenti;
- l’analisi dei bisogni dell’utenza: combinando due interessanti schemi di analisi di Harrison
(2003) e Ranieri (2005), è possibile articolare l‟analisi delle caratteristiche dell‟utenza
attraverso delle categorie
1. distanza fisica e disponibilità temporale: i partecipanti ad un corso di questo tipo
possono essere variamente distribuiti nel territorio o avere vincoli temporali che
rendono difficile la frequenza di incontri in presenza. Tali elementi influiscono
notevolmente sull‟organizzazione del corso stesso;
2. numerosità: il numero dei partecipanti coinvolti nella formazione blended riveste un
ruolo considerevole sia in relazione alla scelta della tecnologia utilizzata per
predisporre l‟ambiente di collaborazione, sia per la necessità di prevedere figure che
svolgano una funzione di supporto del percorso quali i tutor;
3. competenza e disponibilità tecnologica: nel momento in cui si sceglie l‟ambiente
online delle attività, occorre valutare se gli studenti possiedono hardware e software
necessari alle attività previste e se hanno le competenze d‟uso di tali strumenti;
4. conoscenze, esperienze e interessi relativi al dominio: riguarda il grado di
conoscenza ed esperienza già posseduto dagli utenti in esperienze pregresse. Questo
aspetto può essere rilevante nel momento in cui il corso prevede momenti di
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interazione tra i partecipanti in quanto l‟interazione sarà tanto più ricca quanti più
utenti avranno esperienze nel settore;
5. disponibilità alla partecipazione e alla collaborazione: accade spesso che i
partecipanti ad un corso si accingono a questo portando con sé una teoria
ostruzionista dell‟apprendimento, che prevede di avere a che fare con un‟attività
basata su una struttura del lavoro di tipo individualistico e di tipo trasmissivo
(Harrison, 2003);
- la messa a punto dell’ipotesi interpretativa dei bisogni: questa è una fase molto delicata in
quanto dall‟analisi dei bisogni di committenza e utenza possono risultare ottiche
interpretative;
- la condivisione dell’ipotesi interpretativa dei bisogni con l’utenza e committenza: è un
passaggio fondamentale per l‟accettazione del lavoro fatto tanto da configurarsi come
condizione necessaria per l‟attivazione dell‟intervento formativo.
Il passo successivo consiste nella definizione degli obiettivi formativi. “A seconda della prospettiva
teorica che si assume, sia essa cognitivista o costruttivista, si possono avere, nel momento in cui si
progetta il corso, diverse possibili definizioni degli obiettivi” (Ligorio, Cacciamani, Cesareni, 2006,
p. 46). In un‟ottica di tipo cognitivista l‟attività sarà orientata a sviluppare competenza intesa come
acquisizione di conoscenze di tipo dichiarativo o procedurale, attraverso modalità di lavoro di tipo
problem solving. In un‟ottica di tipo costruttivista invece l‟attività sarà più orientata a sviluppare
una competenza di costruzione di conoscenza situata in diversi contesti. Prende corpo da problemi
proposti spesso dagli stessi partecipanti, quindi fortemente significativi dal punto di vista
motivazionale poiché ancorati agli interessi di ciascuno. In questo tipo di ottica la capacità di
interagire con gli altri, finalizzata a realizzare un‟attività collaborativa di ricerca, diventa un
elemento fondamentale della competenza in questa prospettiva.
La terza tappa di questo percorso riguarda l’analisi delle caratteristiche dei contenuti, momento
ritenuto cruciale per un‟efficace progettazione di blended learning (Harrison, 2003). Attraverso uno
schema elaborato da Ranieri (2005) è possibile distinguere alcuni importanti elementi da
considerare:
- apertura o chiusura: è necessario analizzare se i contenuti saranno chiusi e quindi
formalizzati e predefinibili a priori o se invece saranno aperti e di conseguenza
problematizzabili e definibili attraverso il preventivo confronto tra le prospettive dei diversi
partecipanti;
- stabilità o instabilità: è necessario valutare se i contenuti del corso saranno statici o
dinamici, se saranno destinati a restare invariati per periodi di tempo lunghi o soggetti a
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continui cambiamenti. A questo proposito si collega la possibilità di utilizzare un approccio
del tipo Leraning Object (Fini, Vanni, 2004), in cui un prodotto destinato all‟insegnamento
può essere riutilizzato in altri contesti;
- testualità o ipertestualità: è necessario definire se i contenuti avranno una forma testuale in
termini di file Word o Power Point da immettere in rete, o se avranno una forma
ipertestuale, attraverso il ricorso a cd-rom, ipertesti o ipermedia nel web. Tale scelta
presenta aspetti rilevanti in termini di predisposizione di un sistema di “orientamento” nella
consultazione del materiale durante le diverse fasi del corso (Ligorio, Cacciamani, Cesareni,
2006);
- mono o multimedialità: per alcuni contenuti potrebbe essere necessario il formato scritto, per
altri potrebbe essere necessario invece prevedere una combinazione di più codici linguistici,
grazie all‟utilizzo di immagini, audio e filmati sincronizzati, in modo da creare delle vere e
proprie lezioni multimediali;
- interattività bi o multidirezionale: è necessario stabilire se la trattazione dei contenuti
richiederà un‟interazione che si svolge tra singolo partecipante e docente o se i contenuti
richiedono una modalità di lavoro di gruppo, per la quale sono opportuni strumenti
tecnologici che supportino un‟interazione multidirezionale (tipo i webforum);
- uso in presenza o a distanza: è necessario definire quali contenuti saranno introdotti negli
incontri in presenza e quali invece saranno trattati nell‟attività a distanza.
Un ulteriore passo per la progettazione di un percorso formativo di tipo blended prevede
l’individuazione dell’ambiente online. “Le nuove tecnologie mettono a disposizione diversi
strumenti che possono essere variamente combinati tra loro” (Ligorio, Cacciamani, Cesareni, 2006,
p. 49). Le tecnologie più utilizzate a questo scopo sono: posta elettronica, newsgroup e webforum.
Questi ultimi, sicuramente i più diffusi, sono degli spazi di interazione sociale, accessibili da più
utenti attraverso una rete di computer, che consentono uno scambio di tipo molti-a-molti di testi
scritti, definiti messaggi o note. Di solito all‟interno di un webforum è possibile distinguere pagina
mappa e pagina testo (Cacciamani, 2003). Mentre le prime consentono ai partecipanti di avere una
visione globale dei messaggi scritti, le seconde riportano il contenuto del messaggio al quale si
accede cliccando sugli elementi simbolici della mappa.
La messa a punto del percorso comporta il prendere decisioni su tre principali aspetti:
- l’organizzazione modulare del corso: riguarda la scelta di suddividere il corso in moduli
formativi. Il modulo formativo può essere considerato un sistema di attività che si propone
di sviluppare una competenza situata in un contesto specifico. L‟insieme dei moduli
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costituisce quindi il programma di studio del corso e assembla i vari contenuti che i corsisti
dovranno studiare;
- la funzione dell’attività a distanza: l‟attività a distanza può essere organizzata attraverso
diverse modalità tra cui quelle di tipo asincrono e di tipo sincrono;
- la funzione dell’attività in presenza: la predisposizione degli incontri in itinere e in presenza
costituisce un altro elemento importante riguardante la struttura del corso. Questi incontri
possono assolvere diverse funzioni quali l‟apertura/chiusura di un modulo formativo e il
monitoraggio dell‟attività.
Un ulteriore passo in questo percorso, è quello di sviluppare competenze di base per l’interazione
online. Elemento preliminare di fondamentale importanza per l‟organizzazione del corso è la
familiarizzazione dei partecipanti con gli strumenti che compongono l‟ambiente virtuale di
collaborazione. Competenze di base riguardano (soprattutto per tecnologie quali Knowledge Forum
e Synergeia, sulla quale focalizzeremo la nostra attenzione nella seconda parte della tesi in quanto
contesto base per la nostra ricerca):
- la lettura: riguarda la capacità di aprire un messaggio in un webforum e la capacità di
interpretare la relazione logica tra messaggi inseriti;
- la scrittura: un membro attivo della comunità deve poter essere in condizione di scrivere
efficacemente i messaggi da inserire nel webforum, competenza che riguarda la scelta del
titolo e l‟utilizzo dei thinking types (descrittori di pensiero). Questi ultimi hanno la funzione
di spingere l‟autore del messaggio ad esplicitare l‟intenzione comunicativa del contenuto;
- la ricerca e l’organizzazione dei messaggi: di solito nei webforum esistono strumenti di
ricerca e di organizzazione dei messaggi che permettono agli utenti di orientarsi nell‟ambito
dello sviluppo delle discussioni.
La predisposizione delle condizioni per l‟attivazione di un corso blended richiede la creazione di
una cultura di comunità collaborativa. Paavola, Lipponen e Hakkarainen (2004) fanno riferimento
a tre modelli di comunità per l‟innovazione della conoscenza proposti da Nonnaka e Takeuchi
(2005), da Engeström (2001) e da Bereiter e Scardamalia (2003) da cui estrapolare alcuni elementi
caratteristici:
- perseguimento dell’innovazione;
- visione della creazione di conoscenza come processo sociale;
- enfasi sul ruolo dei soggetti individuali nella creazione di conoscenza;
- superamento della conoscenza preposizionale e procedurale;
- interagire attorno e attraverso oggetti condivisi;
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- riconoscimento della concettualizzazione e degli artefatti concettuali come importanti:
nell‟attività della comunità assume un ruolo rilevante la concettualizzazione, ovvero il
lavorare con idee nelle loro svariate forme (ipotesi, strategie, modelli). Per sottolineare il
loro essere prodotto di supporto alla costruzione della conoscenza, le idee vengono definite
artefatti concettuali.
A proposito del concetto di artefatto, si vuole a questo punto fare chiarezza sul tema, poiché tale
idea sarà ripresa nella parte di ricerca di questa tesi a proposito della co-costruzione da parte degli
studenti di una griglia di valutazione di corsi blended. A questo scopo nel paragrafo successivo si
delinea una definizione di artefatto quale oggetto modificato dall‟uomo, veicolo e mediatore,
costrutto duttile e dinamico. La costruzione e l‟uso di artefatti, in particolare artefatti complessi,
sembrano infatti essere una caratteristica dell‟attività umana, ma ancora più caratteristica degli
essere umani pare essere la possibilità che tali artefatti offrono di andare otre il livello pratico, per
esempio attraverso il contributo che offrono a livello cognitivo (Bartolini Bussi, Mariotti, 1999).
L‟idea di artefatto è molto generale e comprende diversi tipi di oggetti prodotti dagli esseri umani
nel corso dei secoli: suoni, gesti, utensili, forme orali e scritte di linguaggio e così via. Il passaggio
dalla sfera pratica a quella dell‟intelletto e viceversa può essere considerata uno dei motori
principali dell‟evoluzione e del progresso come afferma Norman (1993): “ l‟era cognitiva ebbe
inizio quando gli esseri umani cominciarono ad usare suoni, gesti simboli per riferirsi ad oggetti
cose e concetti” (p. 59).
La nozione di artefatto cognitivo, introdotta da Norman, ed alcune idee ad essa collegate, fondano le
basi nel lavoro di Vygotskij (1978). La prospettiva vygotskiana, che include anche una dimensione
evolutiva, interpreta la funzione degli artefatti cognitivi come elemento principale
dell‟apprendimento e, per tale ragione, sembra offrire una adeguata cornice per studiare l‟uso di
artefatti in campo educativo.
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1.3 Il concetto di artefatto
Nella Computer Mediated Communication, negli strumenti quali posta elettronica, forum, blog,
newsgroup, mailing list e in tutti i diversi sistemi di comunicazione sincronica e asincronica resi
possibili dalla sinergia computer-Internet,
“gli individui che partecipano alle interazioni on-line sono come nodi di una rete, interconnessi tra
loro in uno spazio senza limiti legati al tempo, al territorio, alle differenze fisiche, culturali e sociali.
L‟assetto reticolare della comunicazione nell‟ambiente virtuale diviene un luogo in cui, attraverso la
libera espressione e la partecipazione attiva dei suoi abitanti, si co-costruisce conoscenza e si
produce cultura. Il computer e Internet diventano quindi strumenti culturali attraverso i quali
intervenire e modificare la realtà” (Ferrarini, 2008, p. 1).
Il termine artefatto, data la sua stessa natura, riserva connotazioni ampie e variegate spesso dai
confini sfumati, è un termine quindi poliedrico e interdisciplinare, i cui valori cambiano, ma mai
vengono sminuiti, a seconda del contesto.
Riprendendo il pensiero di Smorti (2007) rispetto all‟esperienza dell‟uomo nella relazione tra mente
e cultura, emerge come, sin dall‟antichità, la costruzione e l‟utilizzo degli artefatti garantivano
l‟acquisizione di un sapere pratico e teorico da barattare con gli altri membri della società. Tale
scambio di informazioni favoriva la costruzione di un sistema di conoscenze necessarie allo
sviluppo economico e sociale della comunità. “Ma lo strumento, mentre modifica l‟ambiente,
trasforma anche l‟uomo. Esso diventa il prolungamento del corpo e della mente, qualcosa che
amplia i confini della persona e che rende ambigua qualsiasi distinzione netta tra il Sé e
l‟ambiente”(p. 38).
Wartofsky (1979), in un saggio su Perception, Representation and The Forms of Action: Toward an
Historical Epistemology, definisce gli artefatti come “oggettificazione di bisogni e intenzioni umane
investite in contenuti affettivo-cognitivi”(p. 65) e successivamente distingue, tra i prodotti esterni
all‟attività collettiva della specie umana, gli artefatti primari, secondari e terziari.
“Ciò che costituisce una forma tipicamente umana di azione è la creazione e l‟uso di artefatti, come
strumenti, nella produzione dei mezzi di esistenza e nella riproduzione della specie. Gli artefatti
primari sono quelli usati direttamente in questa produzione; gli artefatti secondari sono quelli usati
nella conversazione e nella trasmissione delle abilità, dei modi di azione e delle prassi acquisite e
per mezzo delle quali è realizzata questa produzione. Gli artefatti secondari sono quindi
rappresentazioni di questi modi di azione” (p. 68).
L‟analisi storica mostra che il complesso degli artefatti primari e secondari forma la base per lo
sviluppo di un‟altra classe di artefatti, gli artefatti terziari
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“che vengono a costruire un mondo relativamente autonomo, nel quale le regole, le convenzioni e i risultati non
appaiono più direttamente pratici, o che, invero, sembrano costituire un‟arena di attività non pratica o di gioco libero.
Questo è particolarmente vero quando la relazione con la prassi produttiva o comunicativa diretta è così allentata, che le
strutture formali della rappresentazione divengono esse stesse primarie e sono astratte dal loro uso nella prassi
produttiva” (p. 70).
Da queste considerazioni è per tanto possibile distinguere schematicamente gli artefatti in:
- artefatti primari: quegli oggetti materiali usati nella produzione come armi, pietre
modellate, utensili;
- artefatti secondari: sono la rappresentazione degli oggetti primari e del loro utilizzo. Questo
tipo di artefatto è necessario per quanto riguarda la conservazione nel tempo e la possibilità
di tramandare il modo d'uso ed i contesti in cui gli artefatti primari vengono utilizzati;
- artefatti terziari: sono quegli artefatti in grado di dare senso al mondo in maniera autonoma
al di là di regole e convenzioni direttamente pratiche. A questo mondo, che l'autore stesso
definisce immaginario, appartengono le arti e gli stati della percezione.
Cole (1996), inserisce tra gli artefatti primari anche altri strumenti essenziali allo svolgimento delle
attività come: il linguaggio, gli strumenti necessari alla scrittura e alla trasmissione del sapere, le
telecomunicazioni, ed i “miti”.
Per Vygotskij (1978), padre della teoria socio culturale, l‟artefatto è “un aspetto del mondo
materiale il quale è stato modificato nella storia della sua incorporazione negli obiettivi diretti delle
azioni umane. In virtù dei cambiamenti elaborati nei processi della loro creazione ed uso, gli
artefatti sono simultaneamente ideali (concettuali) e materiali” (p. 23).
La prospettiva vygotskiana interpreta la funzione degli artefatti cognitivi come elemento principale
dell‟apprendimento. L‟autore ha mostrato che nella sfera pratica gli esseri umani utilizzano artefatti
per raggiungere scopi altrimenti non raggiungibili, mentre le attività mentali sono supportate e
sviluppate per mezzo dei segni prodotti nei processi di interiorizzazione (strumenti psicologici). I
primi sono orientati verso l‟esterno, mentre gli altri verso l‟interno. Il ruolo fondamentale degli
artefatti nello sviluppo cognitivo è largamente riconosciuto e a differenza di altri approcci
psicologici che separano chiaramente artefatti tecnologici e concreti dai segni, la prospettiva di
Vygotskij afferma un‟analogia tra di essi. Egli sostiene che “l‟invenzione e l‟utilizzo dei segni come
mezzi ausiliari per la risoluzione di un problema dato (ricordare, confrontare qualcosa, scegliere e
cosi via), sono analoghe all‟invenzione e all‟utilizzo di strumenti sotto il profilo psicologico. I segni
hanno funzione di strumento durante l‟attività psicologica, analogamente al rullo di un utensile nel
lavoro” (p. 52);
Già da queste definizioni si rinforzano le caratteristiche che legano il termine all‟azione dell‟uomo.