Tesi di Marco Carlini
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INTRODUZIONE
«A metà febbraio 2011, dopo cinque mesi dal mio arrivo in Portogallo, i
coordinatori dell’ufficio relazioni estere, mi chiesero di parlare della mia
esperienza alla presentazione del progetto erasmus per i loro studenti,
poco prima dell’apertura del bando di concorso per l’anno accademico
successivo (2011/2012). Credevo si sarebbe trattato di un incontro
informale, in qualche aula libera da lezioni, con i pochi studenti che
volevano qualche spiegazione in più sul progetto. Qualche giorno prima
della data in questione mi accorsi dei cartelloni, posti nelle bacheche in
giro per le facoltà, che pubblicizzavano l’incontro e che si sarebbe
svolto nel grande auditorium dell’università. Per mia sfortuna, o forse
fortuna, nei giorni a seguire non preparai nessun discorso o concetto da
esporre. Mi presentai all’orario prestabilito, c’erano molti studenti, circa
200: mi fecero accomodare sul palco assieme ad un altro studente, che
al contrario mio, dal Portogallo era andato a studiare all’estero.
Eravamo seduti dietro ad un enorme tavolo da conferenza, in cui
ognuno aveva il proprio microfono personale; sul palco con noi erano
presenti il tutor degli studenti erasmus, che gestiva l’incontro, il rettore e
il direttore delle relazioni internazionali. Questi ultimi due iniziarono a
parlare del progetto in termini burocratici e istituzionali, mostrarono i dati
positivi degli ultimi anni, in cui gli studenti in uscita erano in costante
aumento e lasciarono la parola allo studente che era stato in Polonia:
raccontò brevemente della sua esperienza, rispose ad alcune domande
che provenivano dalla platea e passarono la parola a me. Il tutor mi
disse semplicemente: “Parla di ciò che hai vissuto, cos’è l’Erasmus per
te?”.
Senza nessun discorso preparato, mezz’ora prima dell’incontro mi misi
a sedere su una panchina nel parco della facoltà: cercai di pensare a
delle buone parole da dire, qualcosa di particolare e per nulla banale.
Pensai a ciò che avevo vissuto nei cinque mesi precedenti, ma più del
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vissuto, cercai nella mia memoria ciò che veramente mi aveva colpito di
questa esperienza. Credo che i momenti più forti e intimi siano state le
mangiate in compagnia, io e i miei amici italiani abbiamo passato un
anno a fare i cuochi per i nostri compagni stranieri. Più di una volta a
settimana avevamo ospiti o eravamo noi stessi ospiti a casa di
qualcuno, in molti (compreso me) avevano delle case spaziose, era
quindi facile organizzare serate di questo genere per 10-15 persone.
Quasi sempre queste cene si protraevano in lunghe discussioni.
Li seduto nel parco, andai indietro con la memoria di un paio di mesi, ad
una cena in casa di amici spagnoli. Loro erano una decina, poi c’erano
due ragazzi polacchi e noi italiano eravamo invece in quattro. Dopo
varie fette di tortillas e un paio di piatti di amatriciana a testa
rimanemmo tutti seduti a discutere. Parlammo di università, politica,
viaggi, cucina e non ricordo in che modo, arrivammo a parlare dei
trasporti pubblici dei vari paesi. Noi italiani cominciammo a descrivere in
maniera abbastanza critica la nostra situazione, dei treni in particolare.
Parlammo dei disagi dei pendolari, delle condizioni igieniche delle
carrozze e dei continui ritardi o delle corse soppresse. E invece, due
ragazzi spagnoli e i due polacchi, che già erano stati in Italia e avevano
usato solo i trasporti pubblici per girarla, ci spiegarono che a parere
loro, non avevamo motivo di criticare in quel modo il nostro sistema
ferroviario o quello degli autotrasporti delle nostre città. I mezzi e le
carrozze erano abbastanza pulite, in orario e i prezzi, pur non essendo
molto economici, non erano nemmeno eccessivamente cari. Mentre noi
criticavamo i nostri trasporti, loro li difendevano dalle nostre critiche.
Non venivano da paesi del terzo mondo in cui si viaggiava sul tetto del
treno, avevano girato il mondo molto più di noi quattro italiani messi
assieme, quindi il loro parere era certamente più giusto e corretto del
nostro. La discussione si protrasse per svariati minuti ancora ed alla
fine arrivammo a tracciare il “sistema di trasporti pubblici perfetto”, in cui
ognuno apportò i pregi che c’erano nei nostri tre paesi di origine e
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scartammo i difetti. Tutto l’accaduto mi lasciò pensieroso, non era la
prima volta che usciva una discussione di questo genere tra gente di
paesi diversi e si arrivava a delle conclusioni comuni. Non so spiegarmi
il perché, questa volta fece un effetto strano sul mio modo di pensare e
sulla mia visione di Unione Europea.
Ho sempre visto la comunità europea come qualcosa di distante da me,
un rumore lontano che proveniva dai titoli dei telegiornali, una figura
politica che prendeva sì delle decisioni politiche, ma che non avrebbero
poi modificato effettivamente la mia vita, Unione europea per me era
una bandiera che avevano aggiunto a quella italiana fuori dalla scuola e
di cui non avevo mai compreso appieno il significato. Questo ciò che
dissi davanti ai miei coetanei portoghesi. Scelsi di rendere un pò
teatrale il mio discorso e tirai fuori dalla tasca una moneta da 1€ e la
mostrai a tutti. Questa monetina era tutto ciò che per me significava
“Europa” prima che partissi per l’erasmus. Poi cominciai a raccontare
come vivevamo io e miei coinquilini, com’era diventata la nostra vita da
cinque mesi a questa parte. Come condividevamo il cibo, le usanze e i
nostri pareri sotto lo stesso tetto. Avevo cominciato a sentirmi cittadino
anche dei loro paesi d’origine, ero un po’ portoghese, un po’ spagnolo,
avevo preso qualcosina dall’est Europa. Mi piaceva immaginarmi
anglosassone o francese, anche un pochino scandinavo. Ero sì fiero di
essere italiano ma, mi sembrava quasi riduttivo esserlo, tutto ciò che
stavo vivendo in Erasmus mi faceva sentire parte di un progetto un po’
più ampio. Questo è ciò che tentai di spiegare agli studenti portoghesi
quel giorno. Credo che compresero cosa volevo dire perché nei giorni
successivi, molti dei volti che vidi al meeting li rincontrai nell’ufficio
relazione estere per iscriversi al bando di concorso.»
Nella mia tesi tratto di questo “progetto un po’ più ampio” di cui ho appena parlato:
andrò ad analizzare condizioni, dati e numeri che appoggino questa mia
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convinzione sull’esistenza di un senso di appartenenza europeo negli studenti che
vivono l’esperienza Erasmus.
Non entrerò in ambiti politici o economici, che sono sì di grande attualità, ma
porterebbero il fulcro del discorso in altri campi, molto distanti dal tema che
realmente voglio trattare, in cui molti lettori potrebbero trovarsi in disaccordo. La
parte storica di cui parlerò verrà esposta in maniera oggettiva, senza commenti o
pareri personali alle decisioni prese in passato dall’Unione Europea o dalle
istituzioni che l’hanno creata. Analizzerò la figura dello studente erasmus nel suo
contesto antropologico e sociologico: parlerò dei rapporti tra queste persone e
mostrerò come le situazioni, che la vita Erasmus implica, spingano gli studenti a
sentirsi dei cittadini europei. La mia tesi si svilupperà nell’ambito sociale anche
riguardo ai dati del sondaggio, creato per ricavare un riscontro numerico della mia
tesi: dati e numeri che la appoggino e la sostengano. Le domande da me poste ai
370 studenti rispondenti sono per lo più di carattere etico e culturale.
Lo scopo del mio lavoro è dimostrare l’esistenza di un “sentimento” europeo,
parlando di sensazioni e attimi di vita condivisa tra studenti erasmus, ambiente in
cui ci si accorge che i confini politici che ci dividono, sono in realtà molto molto
sottili.
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CAP.1 - STORIA DELL’ISTRUZIONE COMUNITARIA EUROPEA:
DALLA GUERRA ALL’ERASMUS
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È opportuno ripercorrere le tappe fondamentali che hanno portato nel 1987 alla
nascita del progetto Erasmus vero e proprio. Il progetto Erasmus è nato perché
c’era la pace tra le nazioni che hanno aderito ad esso, perché è stata data agli
studenti la possibilità di poter circolare liberamente nel continente. La
realizzazione di uno “Spazio europeo dell’istruzione superiore” è stata possibile
perché accordi e trattati di tipo economico e istituzionale, stipulati in precedenza,
hanno fatto sì che tra gli Stati fosse già presente un principio di collaborazione da
cui partire, per realizzare questo obiettivo.
1.1 - L’EUROPA SI RIALZA
È a cavallo della seconda guerra mondiale che l’idea di unità europea diviene
d’attualità. Oltre a singoli pensatori che già si erano definiti “europeisti” ora sono
dei partiti politici, delle organizzazioni, delle strutture governative, che cominciano
ad avere come unico obiettivo la realizzazione di un’Europa unita; diventano da
allora figure permanenti nel panorama politico internazionale. L’elemento comune,
delle prese di posizione e delle iniziative europeistiche di quel periodo, è evitare la
continua nascita di conflitti tra le nazioni: far cessare l’anarchia dei singoli
nazionalismi contrapposti, in favore di una nuova situazione di pace e
collaborazione duratura, fra i Paesi europei. Questa è la condizione indispensabile
per la sopravvivenza e la rinascita dell’Europa, come terreno su cui ridar vita allo
sviluppo civile e democratico delle sue società. Il ministro degli Esteri francese
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Alcune delle notizie da me riportate sono state tratte:
- Dalla ricerca a cura di Chiel Monzone, Il cammino europeo verso la mobilità studentesca,
pubblicato sul periodico telematico di Storia e Scienza Umane www.storiadelmondo.it n.29
dell’11 ottobre 2004.
- Dal testo a cura della Prof. Sofia Corradi dell’Università dell’Università degli Studi “Roma
Tre”, Il Programma Erasmus. Sua origine e pre-istoria narrate e documentate dalla
studiosa che lo ha inventato. Roma, 2004.