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Le conclusioni cui giungono questi economisti, pur essendo contributi
importantissimi, non sono soddisfacenti poiché trascurano il quadro generale, in
pratica non prendono in esame gli eventuali benefici dall’adesione alla moneta unica.
A tale proposito nei paragrafi 1.2 e 1.3 vi è un’analisi dettagliata dei costi-benefici,
grazie alla quale si può stabilire la convenienza a partecipare all’unione monetaria se
i benefici superano i costi.
Nella parte finale del capitolo, nel paragrafo 1.4 si è analizzato, invece, prendendo in
considerazione i criteri dedotti dalle teorie AVO e attraverso il confronto fra i costi e
i benefici, se l’UEM risulta essere un’area valutaria ottimale. L’analisi svolta ci porta
a concludere che l’UEM non ha ancora raggiunto l’ottimalità, anche se si sta
proseguendo nella direzione giusta. Gli ostacoli principali sono rappresentati, tuttora,
dai problemi presentati a inizio capitolo, ovvero dagli shock asimmetrici che sono
ancora presenti e che rendono difficoltoso l’utilizzo di una politica monetaria che
possa andare bene per tutti i paesi.
Infine, la valutazione dell’area monetaria europea riguardo la considerazione
sull’ottimalità degli attuali Stati membri è provvisoria poiché è in corso un processo
di allargamento. Quest’ultimo probabilmente non renderà migliore la situazione
attuale, salvo che non avvenga grandi e importanti passi avanti nell’ambito sia della
riduzione degli shock asimmetrici che soprattutto degli strumenti contro tali crisi, che
però non potrebbero avvenire a breve termine.
Nel secondo capitolo il lavoro svolto tenta di mettere in luce le vicende che hanno
portato nell’area valutaria unica la Slovenia. La Slovenia, infatti, il 1° gennaio 2007
diventa il tredicesimo paese ad adottare l’euro e a entrare nell’UEM. Il
raggiungimento di questo importantissimo obiettivo non è stato sicuramente semplice
poiché, come presentato nel paragrafo 2.1, l’Unione Europea prevedeva il ferreo
rispetto di una serie d’indicatori economici e monetari, i cosiddetti parametri di
Maastricht. Inoltre gli accordi prevedevano anche una serie di riforme istituzionali, in
particolar modo nel campo bancario attraverso la decentralizzazione dei poteri della
banca slovena a favore della Banca Centrale Europea.
In generale il governo sloveno è riuscito a rispettare tutti i criteri di convergenza e
questo può essere osservato nel paragrafo 2.2 nel quale è trattato in maniera
dettagliata il cammino dell’economia slovena nel raggiungimento dei criteri stabiliti
dal Trattato sull’Unione Europea.
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Nella parte finale del capitolo sono state trattate le conseguenze dell’ingresso
nell’UEM del paese. In particolare si è analizzato l’andamento economico a distanza
di un anno dall’ingresso e quindi si osservato se la scelta di entrare nell’Unione fatta
dalla classe politica slovena sia stata saggia. I risultati economici del paese sono
difficili da valutare a un solo anno di distanza dall’ingresso nell’unione monetaria,
tuttavia, con le necessarie cautele è possibile dar ragione ai sostenitori della moneta
unica. Infatti, grazie all’adozione dell’euro, la Slovenia ha tratto grandi benefici,
raggiungendo traguardi tanto importanti quanto inaspettati in molti settori, in
aggiunta secondo previsioni generali per l’anno 2008 il paese si troverebbe in una
situazione di crescita graduale ma costante.
Così, nonostante i timori degli economisti sloveni e le enormi diversità iniziali
economiche e strutturali del paese, la tenacia avuta dalla classe dirigente ha portato la
Slovenia, anche se con qualche anno di ritardo, a un traguardo ambizioso.
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Capitolo 1
Costi e benefici dell’integrazione monetaria
1.1 Cenni sulle Aree Valutarie Ottimali
La frase “Aree Valutarie Ottimali” è stata coniata da Robert Mundell
1
in un suo
articolo pubblicato sull’American Economic Review nel 1961. L’idea di base di
Mundell non è tanto incentrata sull’argomento, molto dibattuto in economia, relativo
alla scelta da parte di un paese di adottare un regime di tassi di cambio fissi o
flessibili rispetto ad altri paesi, in vista del raggiungimento dell’equilibrio esterno,
ma piuttosto quanto concerne i vantaggi e gli svantaggi di un’unione monetaria e
quindi, quando ricorrono i presupposti affinché due o più paesi possano unirsi e
venire a costituire un’unica area valutaria con una moneta comune.
Dal punto di vista teorico, la questione dell’adozione di una moneta unica da parte di
un certo numero di paesi è connessa a quella delle cosiddette aree valutarie ottimali.
Un’area valutaria è ottimale quando l’uso della moneta unica non comporta alcuna
perdita di benessere per i paesi aderenti. Affinché ciò accada, deve esistere mobilità
di capitale e lavoro all’interno dell’area; inoltre, eventuali disturbi e/o shock
economici devono avere effetti analoghi su tutta l’area. Se esiste mobilità di capitale
e di lavoro, squilibri tra una zona e l’altra possono essere eliminati più facilmente e
rapidamente, sia i capitali sia i lavoratori tenderebbero a spostarsi dalle zone più
depresse verso quelle più ricche, mettendo in moto un meccanismo di riequilibrio.
D’altro canto, è evidente che, se eventuali disturbi colpiscono simmetricamente
l’intera area, una politica monetaria per contrastare gli effetti dello shock potrà essere
dello stesso tipo e uguale segno in tutte le zone. Invece, in presenza di scarsa
mobilità e shock con effetti asimmetrici, l’attuazione di un’unica politica monetaria
diviene assai più difficile e costosa. Per esempio, un paese dell’area colpito da uno
shock negativo, che comporta una riduzione della domanda aggregata, potrebbe
ritenere conveniente l’adozione di una politica monetaria espansiva, che tuttavia
potrebbe essere inattuabile perché altri paesi dell’area, non essendo stati colpiti dallo
shock nello stesso modo, si trovano nella necessità di attuare una politica restrittiva.
In questo caso, il paese colpito negativamente verrebbe a trovarsi nell’impossibilità
1
Robert Alexander Mundell è un economista canadese, vincitore del premio Nobel per l'economia nel
1999, per la sua analisi della politica fiscale e monetaria alla presenza di diversi regimi di cambio e
per la sua analisi delle aree valutarie ottimali.
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di fornire una risposta adeguata alla sua situazione. È opinione generale che l’Europa
sia ben lontana dai parametri che definiscono un’area monetaria ottimale. La stessa
Unione Europea è sempre stata ben consapevole dell’esistenza di un’eterogeneità fra
i paesi membri e, infatti, sin dal 1992 con il Trattato di Maastricht furono fissati i
famosi “criteri di convergenza”, cioè i parametri economici di natura finanziaria e
monetaria concernente, in particolare, le finanze pubbliche che i paesi dovevano
rispettare per passare all’introduzione e all’adozione dell’euro dal 1° gennaio 1999. I
criteri di convergenza sono stati sostanzialmente tutti rispettati dai paesi che
aderiscono all’area dell’euro; cosicché, per esempio, il divario fra i tassi d’inflazione
nei paesi interessati è oggi assai più ridotto che a metà degli anni Novanta.
L’eterogeneità fra i paesi dell’euro riguarda anche altre variabili economiche. Qui
non è possibile entrare in un’analisi approfondita di questi problemi, ma un’idea del
tipo di questioni da affrontare si può ricavare da alcune brevi considerazioni
riguardanti l’esistenza di un diverso assetto economico e istituzionale dei mercati del
lavoro nei vari paesi
2
. Si supponga, per esempio, che un’elevata disoccupazione in
tutti i paesi dell’area renda auspicabile una politica monetaria espansiva che, allo
stesso tempo, non crei tensioni inflazionistiche. Una politica di questo tipo potrebbe,
però, essere impraticabile in una situazione in cui la reattività dei salari ad aumenti
della domanda e dell’occupazione sia significativamente diversa da zona a zona. Se,
per esempio, in un gruppo di paesi, i salari reagiscono debolmente all’aumento di
domanda, mentre reagiscono assai più intensamente in altri paesi, la stessa politica
monetaria produrrebbe effetti diversi, prezzi sostanzialmente stabili nel primo gruppo
di paesi e tensioni inflazionistiche negli altri. In tal caso, la politica monetaria non
produrrebbe gli effetti desiderati essa, infatti, ridurrebbe la disoccupazione ma al
prezzo di una più alta inflazione. Questa crescerebbe inizialmente nei paesi in cui i
salari aumentano maggiormente, ma potrebbe allargarsi a tutta l’area anche grazie
alla forte integrazione commerciale. La diversità di risposta dei salari a una
variazione della domanda dipende da molti fattori, tra i quali vi sono la forza
contrattuale dei sindacati, le modalità di contrattazione (centralizzata o decentrata,
con scadenza annuale o pluriennale ecc.), la facilità con cui le imprese possono
assumere o licenziare lavoratori nelle diverse fasi del ciclo economico. Questi fattori
possono variare da un paese all’altro a causa di diversità non solo economiche ma
2
Nei prossimi paragrafi saranno analizzate le altre variabili economiche che influenzano i paesi nella
decisione di entrare a far parte di un’unione monetaria.
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anche di natura istituzionale e politica. Molte analisi empiriche del comportamento
dei salari e più in generale del funzionamento dei mercati del lavoro in Europa hanno
fatto notare l’esistenza di differenze abbastanza significative. Diversità di reazione a
uno shock può evidentemente sussistere anche all’interno di un singolo paese perciò,
una certa politica monetaria potrebbe essere adeguata in una regione ma non in
un’altra. I singoli paesi possono far fronte a situazioni del genere attraverso
un’adeguata combinazione di politiche economiche, ricorrendo in particolare alla
politica fiscale per correggere alcuni effetti prodotti da quella monetaria. Se, ad
esempio, l’eccessiva reattività dei salari in alcune regioni impedisce una politica
monetaria espansiva e ciò danneggia le regioni più depresse, che avrebbero bisogno
d’incentivi alla domanda, questi effetti negativi potrebbero essere attenuati da una
politica fiscale di trasferimenti a vantaggio delle regioni più depresse. Naturalmente,
tale approccio potrebbe essere seguito anche a livello europeo e per questo sono
attuate alcune politiche compensative. Tuttavia, il bilancio comunitario è molto
limitato e quindi gli interventi che esso consente sono di scarsa portata. Esiste perciò
una differenza significativa fra i singoli paesi e l’area dell’euro rispetto al rapporto
fra politica monetaria e politica fiscale.
Attualmente, l’area UEM
3
è in grado di effettuare solo una politica monetaria
realmente comune ma, in una situazione in cui permangono differenze apprezzabili
fra paesi, una politica monetaria centralizzata può essere attuata più facilmente ed
efficacemente se è accompagnata da una politica fiscale ugualmente centralizzata.
Questa ‘asimmetria’ tra strumenti monetari e fiscali è uno dei fattori che possono
creare difficoltà nel funzionamento dell’unione monetaria.
Nell’accennare al problema dell’eterogeneità fra i paesi di un’area monetaria ci si è
molto concentrati sul mercato del lavoro, che rappresenta un decisivo fattore di
trasmissione degli effetti di eventuali disturbi, ma differenze rilevanti fra i paesi
esistono anche in altri settori. Tutto ciò accresce il rischio che l’area possa essere
sottoposta a shock asimmetrici. Questo, tuttavia, non deve necessariamente condurre
a un rifiuto della moneta unica. Innanzi tutto, è importante osservare che, sebbene
permangano differenze fra i paesi, è anche vero che è in atto un significativo
processo di convergenza che interessa tutte le principali variabili economiche. Ciò
3
L’Unione Monetaria Europea (UEM) è l'integrazione economica e monetaria dell'Unione Europea
sancita dal Trattato di Maastricht, che, attraverso tre successive fasi, concluse un lungo processo di
diplomazia il cui esito è più notoriamente rappresentato nel conio di una moneta unica europea (Euro)
in sostituzione delle rispettive valute dei paesi membri.