far sentire la propria voce, condizionando infine la capacità delle
imprese stesse e la relativa efficienza.
Dall’altro lato, essi hanno perseverato nell’agire anche in ambito
extra-aziendale, a livello cioè di mercato: la loro presenza ha fatto
sì che si rendesse necessario valutarne il contributo all’interno di
analisi costi-benefici, sia a carattere privato, sia collettivo.
In quest’ultimo caso in particolare, sono stati rilevati costi, per così
dire, “esterni” al processo produttivo, intesi come discrepanze tra il
prezzo alla vendita dei beni ed il loro reale costo in termini di utilità
generale.
Come è possibile considerare “costo di esecuzione” l’insieme delle
procedure e degli investimenti in controllo e monitoraggio dovuto
all’adempimento contrattuale, potremmo allargare il nostro punto
di vista e concedere la stessa definizione a quei costi che, difficil-
mente osservabili se non in una logica di lungo/lunghissimo perio-
do, sono invece legati alle esternalità di produzione e di vendita dei
beni in commercio.
L’emissione di sostanze nocive, di rumore, o di inquinamento dovu-
te ad una attività produttiva sono cioè il costo di esecuzione
dell’attività stessa. Come tale genera un fallimento del mercato.
Come tale deve essere necessariamente riassorbito.
Sono nate così le teorie di regolamentazione, con lo scopo precipuo
di elaborare strategie ed ipotesi di abbattimento delle esternalità,
che hanno portato infine all’origine di normative e sistemi di valu-
tazione giuridica che proprio nell’ambito civilistico e ambientale
hanno poi trovato la loro massima espressione.
La nostra attenzione sarà pertanto rivolta, nella prima fase di que-
sto scritto, alla descrizione dell’azione dei costi di transazione nella
formazione e nella nascita delle imprese, prendendo spunto proprio
da una delle opere più famose di Coase, “The nature of the firm”
pubblicata nel 1937, per affiancarla successivamente alle teorie di
Oliver Williamson e di Grossman, Hart e Moore che alcuni anni do-
po sono andati oltre, concentrando i propri sforzi nello studio della
razionalità limitata applicata in ambito aziendale. Obiettivo di que-
sta sezione sarà pertanto quella di rappresentare l’influsso “inter-
no” dei costi transattivi.
Nella seconda parte invece descriveremo l’azione “esterna” di tali
costi, mostrandone il carattere pubblico del loro impatto, il falli-
mento del mercato concorrenziale che ne consegue e le operazioni
di riassorbimento proposte dalle Authorities di regolamentazione.
Nel valutarne gli aspetti di efficienza e i problemi connessi a quelli
redistributivi, concluderemo la seconda sezione introducendo il
principio di responsabilità civile, inteso come un surrogato dei si-
stemi prettamente economici nell’allocazione delle risorse.
Affronteremo pertanto alcuni esempi di giochi cooperativi, in cui le
parti contraenti si misurano per il raggiungimento del proprio livel-
5
lo atteso di utilità, introducendo le teorie dei contratti, completi ed
incompleti, e mettendo dunque in evidenza l’impatto della scelta
giudiziale sull’efficienza degli scambi.
Questo ci darà modo di comprendere come l’evoluzione degli ordi-
namenti giuridici abbia influito sulla scelta dei regolatori
nell’affidare alle Corti dei Tribunali la risoluzione di molte contro-
versie, soprattutto in ambito ambientale, attraverso il confronto tra
costi di informazione ex-ante e costi di monitoraggio/controllo con
quelli determinati dalle soluzioni giudiziali.
Obiettivo della terza parte sarà dunque quello di vagliare le norma-
tive ambientali, suddividendole sulla base del tipo di strumento
utilizzato: in particolare, tra regolazione di tipo ex-ante, con le tasse
ambientali ed il sistema dei permessi trasferibili (la vera e propria
concretizzazione del pensiero di Coase), e regolazione ex-post della
quale ne schematizzeremo i principi e i dubbi interpretativi.
Soprattutto, cercheremo di dare risalto, in ogni argomento trattato,
agli aspetti incentivanti, ritenendo che questi, piuttosto che quelli
meramente dissuasivi, siano l’effettiva chiave di volta per un cam-
biamento di approccio da parte di tutti gli stakeholders coinvolti.
6
PARTE PRIMA
Dai costi di transazione all’Azienda:
la fase “interna”
7
1.1 Natura dello scambio
L’idea che sta alla base del paradigma neo-classico di mercato ri-
siede nella mutua volontà di più parti (almeno due – o quattro, co-
me sostenne Commons nel 1924) di raggiungere un accordo per
realizzare uno scambio. Poco importa l’oggetto della negoziazione
(pelli di animali, terreni, il diritto alla libertà); l’essenziale è che lo
scambio si possa realizzare e che abbia valenza vincolante per le
parti.
La struttura della società, o meglio, la sua struttura “istituzionale”,
intendendo con questo non solo l’assetto di qualsivoglia Governo,
ma anche le convenzioni, gli usi ed il sistema di valori, avrebbe do-
vuto facilitare la libertà di contrattazione, affinché due volontà con-
senzienti avessero potuto raggiungere un accordo che, almeno nelle
intenzioni, fosse preferibile per entrambi.
Il mercato assume le sembianze di una rete; al pari delle strutture
istituzionali sovramenzionate, esso formula una sua precisa strut-
tura che si nutre e si articola secondo modi, tempi, normative, san-
zioni differenti per ogni tipo di negoziazione.
Ogni sistema economico ha attraversato le tre fasi che, secondo lo
stesso Commons, costituiscono l’equilibrio economico generale, ov-
vero (i) la struttura morale o delle preferenze degli individui; (ii) la
struttura legale; (iii) la struttura dello scambio.
“In altri termini gli individui agiscono all’interno di pre-definite
cornici istituzionali che ne caratterizzano i comportamenti”
1
.
Questo contributo può essere considerato fondamentale in quanto,
per la prima volta, l’attenzione dalle strutture di mercato basate sul
meccanismo dei prezzi (domanda-offerta; costi-benefici) viene spo-
stata verso un’ottica di più largo respiro, concentrandosi su quelli
che sono gli elementi di uno scambio, disgregandoli, analizzandoli,
per fornire una visione più dinamica dell’economia di mercato.
Il meccanismo di scambio (o, più propriamente, del contratto) av-
viene principalmente al manifestarsi di tre elementi distintivi: il
conflitto, la mutualità e l’ordine.
Il conflitto scaturisce da ogni personale preferenza del consumato-
re, e in quanto tale, motivato dall’interesse privato: ogni contraen-
te, affinché il contratto vada a buon fine, deve manifestare la pro-
pria volontà al contratto stesso. Motivo per il quale, ogni possibile
“vizio del consenso” è causa di nullità dello stesso, come ribadito
anche dal nostro Codice Civile (artt. 1427, 1439 e ss.).
La mutualità, figlia del conflitto e sua risoluzione, nasce dal fatto
che, proprio nel tentativo di raggiungere un obiettivo personale, le
parti contraenti vogliano mettersi d’accordo: è nell’interesse comu-
ne ottenere quanto più preferito, ed è meglio per entrambi conclu-
1
Nicita A., Esternalità, Transazioni e Ambiente. Una Rivisitazione del Teorema di Coase
8
dere l’accordo piuttosto che non concluderlo. Si pensi ad uno
scambio di tipo “immediato”: il compratore si reca in un negozio
con un obiettivo di acquisto, ne osserva il prezzo, richiede, se ne-
cessario, altre informazioni e, sulla base di quanto valutato, acqui-
sta il bene. Il suo interesse privato è soddisfatto (ha acquistato un
bene valutandolo evidentemente più di quanto realmente speso), e
il commerciante ha conseguito una transazione che immaginiamo
proficua (altrimenti non avrebbe messo in vendita il bene).
Questo è certamente un caso semplice, data l’istantaneità della re-
lazione instaurata tra le parti; il principio però funziona anche in
un accordo che richieda molto tempo per la definizione; i contraenti
preferiranno vincolarsi tramite un contratto - dal quale ne derive-
ranno diritti e doveri più o meno definiti, comunque certi - piutto-
sto che non concluderlo affatto.
Dalla mutualità e dal conflitto, se risolta la transazione, si crea or-
dine, cioè una stabile relazione tra le parti.
Perché tale relazione abbia però valore, e diventi essa stessa fonte
di ordine erga omnes, è necessario, secondo lo stesso Commons,
una quinta persona, il giudice
2
.
Il giudice, ma potremmo dire l’ordinamento giuridico che a questo
dà potere ed indirizzo, costituisce un enforcement senza il quale la
rete di diritti e di doveri che costituiscono il substrato dello scam-
bio non potrebbero divenire oggetto di contratto e non apparirebbe-
ro altro che parole nel vento. Ogni sistema giuridico deve definire,
in virtù di un’ottica di efficienza allocativa, una scala di valori, cioè
un ordine degli stessi diritti-doveri, poteri-soggezioni, attraverso la
quale le possibilità di accordo tra le parti possa realizzarsi nel mo-
do più breve e meno costoso possibile. E’ come dire che il sistema
deve “lubrificare” gli scambi che avvengono sul mercato.
E’ a questo punto che si pone la definizione fatta da Posner sul
contratto : ”[…] il contratto rivela una spiccata vocazione efficienti-
stica, perché favorisce la tendenza delle risorse a gravitare intorno
agli usi più proficui”.
3
Nel mondo ideale degli economisti alla Adam Smith (il fautore della
“mano invisibile”), ogni tipo di transazione, se realizzata su di un
mercato in concorrenza perfetta (perfetta razionalità delle parti
contraenti, numero di operatori tendente all’infinito, massima fles-
sibilità di uso dei fattori produttivi, possibilità di vendere tutto il
prodotto al prezzo di mercato) non crea costi aggiuntivi o effetti e-
2
“[…] In conseguenza della necessità che vi siano regole comuni, applicabili alle volontà indivi-
duali dei membri delle famiglie, delle tribù, delle organizzazioni economiche moderne, esiste in
ogni transazione un quinto soggetto che ha la funzione di guidare la transazione; e precisamente un
giudice che detta le regole di funzionamento di ogni organizzazione; queste prendono il nome di
diritti, doveri, libertà, ecc. ed implicano rapporti di comando (da parte di un superiore che rappre-
senta il potere del gruppo) e di obbedienza (degli inferiori che sono semplici membri del gruppo)”
Commons J.R., The Legal Foundations of Capitalism(1924)
3
Posner R., Economic Analysis of law, IV ed. Boston-Toronto (1992)
9
sterni, motivi questi per i quali il “meccanismo del prezzo” tende a
riequilibrare, sia nel breve che nel lungo periodo, ogni tipo di allo-
cazione iniziale: un aumento della domanda, ceteris paribus, gene-
rerà un aumento dei prezzi e viceversa, creando una perfetta corri-
spondenza tra beni domandati e beni prodotti.
Ma la situazione è realmente così?
1.2 Costi di transazione: breve sintesi
Non è forse vero che per trovare una controparte che abbia volontà
allo scambio, sia necessario impiegare tempo ed energie? E non è
forse vero che, una volta trovata, sia necessario iniziare una nego-
ziazione nella quale si “scontrano” interessi privati spesso contra-
stanti? L’informazione sul quid e sul quantum non è spesso “celata”
dalle parti, nel tentativo di ottenere qualcosa in più?
Non sono tutti questi, costi che devono necessariamente essere so-
stenuti?
Seppur non univoci nelle definizioni che molti economisti hanno
teorizzato nel corso del tempo, i costi di transazione possono essere
considerati come “l’insieme dei costi sostenuti dai soggetti che sono
protagonisti di uno scambio allo scopo di definire, iniziare, controlla-
re e completare una transazione” (Dudek e Baert Wiener, 1996).
Indicativamente, e per semplicità analitica, potremmo differenziare
tali costi in tre categorie:
1. costi di ricerca
2. costi di negoziazione
3. costi di esecuzione
Un costo di ricerca tenderà ad essere più basso ogni qualvolta cer-
cheremo di accaparrarci un bene di tipo standardizzato, ma tende-
ranno a diventare via via più alti nel momento in cui il nostro o-
biettivo diventerà sempre meno reperibile sul mercato, o dotato di
caratteristiche tali da non renderne facile la riproduzione. Ad e-
sempio, la ricerca del prezzo migliore fa sì che ognuno di noi dedi-
chi molto tempo nella visita di diversi esercizi commerciali.
Il costo di negoziazione invece coinvolge molte caratteristiche e co-
stituisce di fatto la parte più cospicua dell’intera costruzione.
Innanzitutto perché è la fase del gioco cosiddetta strategica: nella
volontà di ottenere quanto più possibile dalla controparte, i contra-
enti elaboreranno una loro tattica, cercando di celare al limite le
proprie preferenze, di “studiare l’avversario” ed anticiparlo. Gli er-
rori di calcolo in questa fase non sono rari e sono il più delle volte
determinanti.
10
Inoltre, è necessario, affinchè lo scambio si realizzi, che entrambe
le parti conoscano i reciproci valori limite alla cooperazione
4
ed ab-
biano un’informazione il più possibile completa circa la qualità e le
caratteristiche del bene oggetto di scambio.
Se tali informazioni sono di dominio pubblico, cioè sono conosciute
o conoscibili da tutte le parti, l’accordo è sicuramente più
praticabile; viceversa, se di natura privata (cioè se ognuno conosce
il proprio valore limite, ma non quello della controparte), la situa-
zione è destinata necessariamente a complicarsi.
Un bene molto eterogeneo necessita di un contratto complesso,
nelle forme, nei modi, per via delle varie caratteristiche: più
un’informazione viene celata, minore è il margine per una coopera-
zione (si pensi ad es. a colui che per vendere la sua casa più velo-
cemente, ne nasconde alcuni difetti). Questo è molto spesso causa
di una asimmetria informativa, da tutti gli economisti riconosciuta
come uno dei motivi principali per cui si verificano “fallimenti del
mercato” (vedi infra).
In questa fase subentra inoltre la caratteristica soggettiva delle
parti, le quali, a differenza del modello idealizzato di scambio, pos-
sono essere anche irrazionali o in antipatia, se non addirittura osti-
li.
Anche nel caso non si verificassero queste circostanze negative, la
comunicazione tra le parti potrebbe essere costosa: quante più par-
ti sono coinvolte, tanto meno sarà facile che esse si accordino.
Seppur ipotizzando un caso con due soli contraenti, la distanza po-
trebbe giocare a loro sfavore.
Per ultimo, il costo di esecuzione: esso è sicuramente piuttosto limi-
tato in un contratto ad esecuzione immediata (ad es. compravendi-
ta di un bene al supermercato) ma diventa decisamente più onero-
so quando coinvolge terzi che debbano controllare l’esecuzione di
un servizio, o quando il tempo per l’esecuzione viene protratto, o
quando le violazioni all’accordo sono difficili da rilevare e la sanzio-
ne è di amministrazione elevata.
Come questi costi siano osservabili nelle contrattazioni che ogni
giorno, più volte al giorno, i privati concludono sul mercato, essi si
riscontrano anche in una dimensione più ampia, o “aziendale”.
Le categorie precedenti possono essere pertanto integrate con altre
tre:
1. i costi di approvazione
2. i costi di enforcement
3. i costi assicurazione
4
Valore limite alla cooperazione: valore attribuito al bene da ognuna delle parti dello scambio se
la negoziazione non andasse a buon fine
11
Rientrano nel primo tipo, tutti i costi sostenuti da un’ azienda per
adempiere gli obblighi con la Pubblica amministrazione, che pos-
sono andare dai costi per aprire semplicemente un’attività, o per la
partecipazione ad un bando di concorso od ancora per il rispetto
dei capitolati.
I costi di enforcement sono invece strettamente legati all’aspetto di
controllo, monitoraggio degli obiettivi e dei piani ed alla risoluzione
delle controversie in merito del rispetto del contratto. Sono pertan-
to rinvenibili sia come elementi esterni che interni
all’organizzazione di un’impresa.
I costi assicurazione sono l’insieme dei costi sostenuti per fronteg-
giare il rischio che alcune transazioni non vadano a buon fine,
causando quindi un fallimento dell’accordo e una possibile perdita
economica. Dipendono dalla propensione al rischio della parte che
li sottoscrive e devono essere commisurati con la reale possibilità
che si verifichi l’evento negativo (una buona reputazione potrebbe
spingere questi costi verso il basso).
1.3 Un nuovo Istituzionalismo
Lo spostamento definitivo dalla concezione di mercato derivante
dall’Istituzionalismo, orientata verso i meccanismi classici di inte-
razione tra domanda e offerta e poco incline a misurarsi con le di-
namiche organizzative ed “istituzionali” generate dalle transazioni
entro e fuori i confini dell’Azienda, avviene però, ed in modo dirom-
pente, solo nel 1937, ad opera dell’economista inglese Ronald Coa-
se grazie al suo saggio “The nature of the firm”.
Successivamente alla pubblicazione nel 1960 del “The problem of
social costs” il suo contributo è stato riconosciuto con il Premio
Nobel per l’Economia, assegnatogli nel 1991, «per la scoperta e la
spiegazione dell'importanza che i costi di transazione e i diritti di
proprietà hanno nella struttura istituzionale e nel funzionamento
dell'economia».
In verità, già prima di lui, la scuola cosiddetta Walrasiana (da Léon
Walras) aveva già aperto le porte ad un nuovo modo di concepire il
concetto di massimizzazione produttiva (dapprima basato sulla
scomposizione del valore del prodotto in unità di lavoro), per aprire
una via allo studio della componente marginale di utilità derivante
dall’utilizzo del prodotto stesso da parte del consumatore: fu intui-
zione a dir poco rivoluzionaria, ma questa è un’altra storia.
L’illuminazione del 1937 ha invece una portata ancora più vasta: il
mercato è, in sintesi, una rete di relazioni. Se l’attenzione viene in-
dirizzata su queste relazioni, e sulle transazioni conseguenti, ci si
accorgerà che molte di esse gravitano al di fuori dell’Azienda, così
come moltissime vengono invece interiorizzate, creando l’Azienda.
12
Da un approccio basato sulla computazione di beni, domanda e of-
ferta, si passa pertanto alla considerazione dell’individuo e alle sue
decisioni: a volte sbagliate, a volte massimamente efficienti; il pro-
cesso di apprendimento personali ed organizzativi diventano il ful-
cro dell’analisi, con le loro informazioni imperfette e i loro compor-
tamenti non sempre prevedibili.
L’approccio elaborato dalla scuola neoistituzionalista diventa, in al-
ternativa a quello sostenuto dall’ortodossia economica, a favore di
una dimensione analitica e teorica, che spieghi i processi decisio-
nali in termini satisficing a qualunque livello essi avvengano: indi-
viduale, organizzativo e istituzionale.
5
La domanda che si pone Coase è la seguente: se l’allocazione delle
risorse e dei beni viene automaticamente equilibrato dal meccani-
smo del prezzo, perché nascono le Aziende?
6
Gli imprenditori non possono realizzare l’acquisto dei fattori pro-
duttivi ogni qualvolta ne hanno necessità direttamente sul merca-
to? Non possono collocare i loro beni direttamente al consumatore
finale attraverso il mercato? Non è possibile armonizzare la propria
organizzazione assoldando alla bisogna professionisti e contabili?
Certo, sarebbe possibile.
Ma è anche possibile che fino a quando è il meccanismo del prezzo
che fissa i “wages”, ci sarà sempre e comunque la possibilità di ri-
pensare la stessa struttura produttiva in modo più efficiente.
Innanzitutto: chi dirige un’Azienda?
Un imprenditore (entrepreneur, per dirla à la Coase), centro deci-
sionale nevralgico.
Chi gli garantisce tale autorità?
Certamente la possibilità di disporre del capitale necessario per av-
viarla. Ma non solo. Coase evidenzia un aspetto, se vogliamo,
psicologico, che è incardinato nella figura dell’imprenditore. Egli
sottolinea il fatto che ci sono persone che sono disponibili a pagare
più del prezzo di mercato, per poter disporre del personale da
dirigere. Il che implica, al contrario che ci saranno persone che
invece saranno disponibili a rinunciare al potere di direzione, per
assoggettarsi alla volontà di un imprenditore che li diriga.
Ma l’aspetto più importante ricade inevitabilmente sui costi di
transazione.
Abbiamo evidenziato in modo schematico quali essi siano; Coase va
oltre.
Egli sostenne che, soprattutto in operazioni protratte nel tempo, ta-
li costi di transazione avrebbero potuto essere limitati (anche se
non eliminati del tutto) evitando il ricorso sul mercato e al mecca-
nismo del prezzo, ma attraverso un’ottica di cooperazione con
5
Si veda a tal proposito Rizzello S., L’economia della mente, (Roma 1997)
6
“But in view of the fact that it is usually argued that coordination will be done by the price
mechanism, why is such organization necessary?” Coase R., The nature of the firm (1937)
13
l’azienda stessa (come a creare una sorta di “differenziazione verti-
cale”).
Se un fattore (capitale o lavoro) accetta di obbedire, sotto il paga-
mento di un compenso (fluttuante o fisso) alle direttive di un im-
prenditore, il contratto diventa uno solo
7
.
L’assunto forte è dunque che le istituzioni nascano in risposta degli
alti costi di transazione presenti sul mercato: e quindi dalle alter-
native selezionate dagli operatori economici, sulla base delle infor-
mazioni che dispongono, valutandoli al margine con il costo-
opportunità di ogni singola scelta (A. Nicita. Vedi supra).
Inoltre, come sottolineato da Coase più oltre, c’è da considerare
anche un diverso approccio da parte del Governo nei confronti delle
transazioni di mercato, rispetto all’organizzazione di un’impresa: le
sales taxes ad esempio vengono applicate solo sulla vendita di pro-
dotti o servizi, ma non sarebbero applicabili se tali scambi avvenis-
sero all’interno dell’azienda.
L’esistenza di costi di transazione delimita anche le dimensioni
dell’impresa: mentre l’approccio neo-classico vedeva nelle economie
di scala l’unica giustificazione al fluttuare dei volumi ottimali di
produzione, tali per cui l’extra-profitto generato da un ingrandi-
mento dell’azienda sarebbe stato eroso da un crollo in efficienza,
Coase sostenne invece che tale limite potesse essere invece spiega-
to confrontando il costo di interiorizzare una transazione in più, ri-
spetto al costo di operare sul mercato o a quello di aprire un’altra
azienda.
8
Inoltre, in risposta all’economista Joan Robinson che sosteneva
che, almeno al livello teorico, ogni impresa possa produrre un solo
prodotto, Coase ribadì che sono gli stessi costi di transazione, e
non la semplice curva del costo marginale, a determinare la diffe-
renziazione orizzontale del sistema produttivo.
Con lo sguardo rivolto all’uomo ed alle sue relazioni, abbandonata
la “gabbia dorata” del mercato perfettamente sincronizzato, ci ritro-
viamo catapultati, al contrario, in un mondo zeppo di indecisioni,
dubbi, perplessità; è come se stessimo entrando nel giardino priva-
to dell’imprenditore. Le sue decisioni possono ora apparirci sbaglia-
te, le risorse di cui dispone riallocate in modo inefficiente. Egli po-
trebbe addirittura preferire di rinunciare a maggiori profitti restan-
7
“The contract is one whereby the factor, for a certain remuneration (which may be fixed or fluc-
tuating), agrees to obey the directions of an entrepreneur within certain limits.” Coase R., The na-
ture of the firm (1937)
8
“A firm becomes larger as additional transactions (which could be exchange transactions co-
ordinated through the price mechanism) are organized by the entrepreneur, and it becomes smaller
as he abandons the organization of such transactions.” Coase R., The nature of the firm (1937)
14
do a capo solidamente di un pugno di dipendenti, piuttosto che ve-
dere la sua leadership venir meno in una grande organizzazione.
9
E’ l’aspetto personale che conta.
“Mercato e gerarchia diventano a questo punto in ogni caso i due
poli di una retta lungo la quale sono presenti tutte le possibili scel-
te, mai definitive e stabili, di un’impresa”.
10
Tanto che , da Coase in poi, il gruppo degli economisti interessati
alla rationality del manager cresce a dismisura, producendo ad e-
sempio i due filoni di studiosi delle “Teorie manageriali” (Anni 50-
60) e le “Teorie Comportamentiste” (Anni 60-80).
Al primo filone, al quale possiamo far risalire gli approcci di Bau-
mol e Williamson, (il quale, tra l’altro, ha basato il suo studio
sull’interazione dei costi di transazioni all’interno delle grandi im-
prese), possiamo attribuire il mantenimento dell’ipotesi “ottimiz-
zante” del manager, mentre ad esempio l’aspetto del profitto (deus
ex machina secondo i neo-classici) verrebbe ridimensionato ad un
obiettivo fondamentale ma da solo non totalizzante, se confrontato
ad esempio con altri via via valutati preferibili.
Come sostenuto da Davide Dal Maso e Cristina Bedini nel docu-
mento di presentazione alla Conferenza internazionale tenuta a Mi-
lano nel 2004 circa la Responsabilità d’impresa: ”..con la teoria
Comportamentista proposta da Simon [invece], si cerca ulterior-
mente di avvicinare teoria economica e realtà sociale, seppellendo
definitivamente l’ipotesi di razionalità degli agenti economici e di
perfetta informazione. L’impresa è diventa allora una coalizione di
gruppi con interessi fra di loro in conflitto (manager, lavoratori, a-
zionisti, fornitori, clienti, banche), nella quale è persino difficile
parlare di “obiettivi dell’impresa”. I comportamenti degli attori pos-
sono essere visti come compromesso tra gli interessi di diversi
gruppi o come il risultato del prevalere di uno sull’altro, risultato
che può mutare al variare dei rapporti di forza. Se il top
management è il decisore ultimo, ma non il decisore unico, non è
più in grado di massimizzare alcuna funzione obiettivo. Di conse-
guenza, può solo cercare di raggiungere un livello accettabile (sati-
sficing behaviour) della stessa.”
11
Se ritorniamo a Coase però, non possiamo a questo non porci una
domanda: “Come è possibile che l’alto livello dei costi di transazio-
ne presenti sul mercato, e che sono la causa della nascita
9
“the supply price of organizing ability increases as the size of the firm increases because men
prefer to be the heads of small independent businesses rather than the heads of departments in a
large business.” Robinson E.A.G., The Structure of Competitive Industry (London: Nisbet & Co.,
1931)
10
Moretti V., Economia dei Costi di Transazione
11
Dal Maso D.-Bedini C., Conferenza internazionale “Corporate Governance, Social Responsibi-
lity and Sustainable Investment”- Documento di introduzione al dibattito1 (Milano, 20/1/2004)
15
dell’impresa, possano poi costituire il fondamento per la sua di-
mensione ottima?”
E’ realmente possibile passare da un’economia di mercato ad una
amministrativa (e viceversa) senza tenere conto dell’esistenza di
“costi di transizione”?
E’ possibile cioè giustificare l’esistenza di un’istituzione diversa dal
mercato per poi valutarne l’efficienza proprio perché esiste in un
sistema di mercato?
Il prof. Ugo Pagano
12
, nel suo intervento alla XXXII Riunione Scien-
tifica Annuale della Società Italiana degli Economisti, ha infatti
considerato proprio questo aspetto: se la Teoria di Coase fosse sen-
za ombra di dubbio vera, allora non si potrebbero giustificare le
dimensioni di grandi imprese che, superato il tempo in cui
l’efficienza produttiva era possibile proprio per via delle grandezze,
cambiate le circostanze, continuino a mantenere le estensioni ori-
ginali seppur palesemente inefficienti. Al contrario, se fosse sempre
possibile risparmiare sui costi di transazione integrando un certo
numero di piccole imprese in un’unica grande azienda, le dimen-
sioni delle aziende tenderebbero a crescere se questo fosse agevola-
to da innovazioni tecnologiche, non a decrescere anche se si ripre-
sentassero opportunità simili.
1.4 Teorie d’impresa e Comportamentismo
Tavola 1 – Problema dell’ hold-up
All’epoca delle carrozzerie in legno, la General Motors acquistava le carrozzerie dalla
ditta indipendente Fisher Body, attraverso contratti di fornitura brevi e rinnovati
frequentemente. Al momento di passaggio verso le carrozzerie in metallo, divenne
chiaro che, una volta che la Fisher Body avesse realizzato gli impianti necessari per
avviare il ciclo di produzione delle nuove carrozzerie, si sarebbe ritrovata “ostaggio”
della General Motors a fronte di tutti gli investimenti specifici effettuati. Ecco perché
la Fisher Body chiese (ed ottenne) di passare da un tipo di negoziazione breve a tipi
di contratti di fornitura più lunghi (almeno 10 anni).
Ma un nuovo problema insorse: le vendite della General Motors iniziarono ben pre-
sto a superare quelle preventivate: motivo per il quale i contratti siglati con la Fi-
sher Body risultarono a quel punto decisamente inadeguati.
Inoltre, sapendo che a questo punto sarebbe risultato troppo costoso per la Fisher
Body cambiare partner, la General Motors pretese dalla stessa di spostare i suoi im-
pianti vicino alle proprie case-madre, in modo da rendere minore il costo dovuto al
trasporto dei componenti.
Poiché la General Motors comprese che, da questo presto sarebbero sorti un’infinità
di altri successivi problemi, decise di acquistare la Fisher Body: cosa che fece tra il
1924 e il 1926.
Malgrado tutto, l’integrazione verticale non risolse tutti i problemi: a dirla tutta, es-
sa peggiorò dal punto di vista degli incentivi sulla “qualità”: fino a che la General
Motors si rivolgeva a fornitori indipendenti, per questi l’incentivo a fornire prodotti di
qualità sempre più alta era rimasto pressoché inalterato. Nel momento in cui questi
divennero invece parte integrata nella grande casa produttrice, con la certezza dun-
que di una partnership indiscutibile, iniziarono a ridurre la qualità.
12
Docente presso il Dipartimento di Economia Politica all’Università di Siena
16
A supporto delle teorie di Coase intervenne il lavoro di Oliver Wil-
liamson, che diede ai concetti di “nascita e dimensione d’impresa”
una nuova luce ed un nuovo punto di vista: in particolare, egli sot-
tolineò il fatto che il mercato rimane la scelta preferibile fino a che
il comportamento opportunistico degli stakeholders
13
non fosse fi-
nito per costituire un costo talmente alto da non poter essere supe-
rato se non attraverso incentivi basati su long-time contracts (o rela-
tionships).
In altri termini, il meccanismo di hold-up & lock-in (vedi Tavola 1),
attraverso il quale la parte che ha effettuato investimenti specifici,
e non facilmente riconvertibili si trova necessariamente “intrappo-
lata” in una relazione con i fruitori di tale investimento, può essere
ad esempio superata attraverso l’acquisizione da parte della socie-
tà-madre delle imprese-fornitrici, venendo a creare in questo modo
una relazione stabile e non più vincolata a negoziazioni di tipo
temporaneo; oppure attraverso forme intermedie di integrazione
verticale come l’integrazione residuale, in cui una certa parte di in-
put viene acquistato da una società controllata e per la parte rima-
nente da fornitori indipendenti, o il franchising, che ad esempio ha
il merito di unire i vantaggi di una separazione verticale (gli inve-
stimenti specifici sono di proprietà della casa-madre) e degli incen-
tivi di produzione (i franchisee hanno l’utilità di migliorare la loro
efficienza per incamerare il surplus produttivo).
La teoria dell’hold-up spiega, secondo Williamson, il problema
sull’origine e sulla dimensione dell’impresa, ma lascia aperto co-
munque il problema dei costi di transizione: in particolare, non è
ancora chiaro a chi debba essere attribuita l’autorità all’interno
dell’impresa (Coase non aveva comunque chiarito questo punto),
né come assicurare adeguati incentivi affinché le parti siano co-
munque spinte ad investire nella relazione anche in caso di possi-
bile integrazione.
Specificità dell’investimento e razionalità limitata degli agenti, sono
i due fattori che più di ogni altro spiegano il lavoro di Williamson.
Per ciò che concerne la razionalità limitata (concetto mutuato da
Simon
14
), abbiamo visto come la mancanza di certezze circa le pre-
visioni sulle forze di mercato e sull’atteggiamento degli altri agenti
economici, generi, nella maggior parte dei casi, fenomeni di oppor-
tunismo
15
.
13
Con il termine stakeholders si individuano i soggetti "portatori di interessi" nei confronti di u-
n'iniziativa economica, sia essa un'azienda o un progetto. Fanno, ad esempio, parte di questo in-
sieme: i clienti, i fornitori, i finanziatori (banche e azionisti), i collaboratori, ma anche gruppi di
interesse esterni, come i residenti di aree limitrofe all'azienda o gruppi di interesse locali.
14
Vedi Appendice 1 a fine capitolo
15
Opportunismo = termine con accezione fortemente negativa, presuppone che i soggetti econo-
mici perseguano il proprio interesse personale anche con l’inganno (self-interest with guile). Essi
sono pronti, in ogni momento, a rompere gli accordi e le promesse pattuiti se tale comportamento
permette di conseguire una maggiore utilità.
17