Le tracce più evidenti di questa teoria si trovano ne La Transcendance de
l’Ego. Il testo, iniziato nel 1934, risulta essere il meno attaccato dai critici
contemporanei a Sartre, anche se questo breve lavoro è sempre stato
considerato come il primo vero esordio del filosofo.
Tale considerazione risulta anche nell’edizione curata da Vincent de
Coorebyter, senza dubbio la più recente
1
de La Transcendance de l’Ego. Lo
studioso, nell’introduzione al testo, ritiene di poter considerare il lavoro
come
<le premier signal de “la mort du sujet” qui dominera la pensée francaise dans les
annès 1960-1970, bien au-delà de l’école structuraliste qui portera la critique du
sujet comme un étendard>
2
.
Una considerazione importante se si pensa che questo testo può essere
metaforicamente considerato come una breccia che rompe il muro, ormai
stabilmente fissato sulle grandi e inespugnabili eredità di Descartes e di
Kant.
L’interesse di Sartre a proposito della coscienza nasce nel periodo trascorso
come borsista all’Institut francais de Berlin, dal settembre 1933 al giugno
1934, per studiare i rapporti degli stati psichici con la fisiologia in generale.
In realtà l’intento del giovane studioso va ben oltre, perché è proprio a
Berlino che può confrontarsi, e anche approfondire la conoscenza della
Fenomenologia di Edmund Husserl. La nuova scienza in realtà era arrivata
anche in Francia, attorno al 1930, attraverso i lavori del fenomenologo
tradotti da Emmanuel Levinas
3
. Ma Sartre incontrerà l’interesse per questi
studi solo tre anni dopo, grazie all’influenza di Raimond Aron, i cui
insegnamenti saranno decisamente più stimolanti a condurre il giovane
filosofo nella direzione fenomenologica
4
.
I frutti di questi studi non tardano ad arrivare. Infatti alla fine del soggiorno
di Berlino, Sartre scriverà La Transcendance de l’Ego, che apparirà nel
1937 come articolo nella rivista Recherches philophiques di Alexander
Koyré. Sempre a Berlino, il giovane studioso porterà a termine anche un
1
Il testo a cui, in questa sede, si farà riferimento è quello di Vincent de Coorebyter dal
titolo Sartre La Transcendance de l’Ego et autres textes phénoménologiques, Vrin Editeur,
Paris 2003. Il testo comprende anche le correzioni e le aggiunte al testo delcuratore.
2
Vincent de Coorebyter, Sartre La Transcendance de l’Ego et autres textes
phénoménologiques, Vrin Editeur, Paris, 2003, pag. 7
3
Levinas fu tra i primi a mediare la conoscenza della Fenomenologia in Francia attraverso
il suo libro Théorie de l’intuition dans la phénoménologie de Husserl pubblicato neo 1930
dalla casa editrice Alcan
4
E’ da aggiungere che in realtà Sartre lesse anche il libro di George Gurvitch del 1930 dal
titolo Les Tendances actuelles de la philosophie allemande, ma a quanto pare non ne restò
particolarmente entusiasta
breve articolo dal titolo Une idée fondamentale de la phénoménologie de
Husserl: l’intentionnalité. Questa produzione è stata considerata, fin dalla
sua prima pubblicazione, uno scritto satellite attorno a L’Être et le Néant
pubblicato nel 1943, nella cui introduzione ritornano i temi affrontati a
proposito dell’intenzionalità.
Tuttavia De Coorebyter propone di affiancare la lettura de La
Transcendance de l’Ego a quella dell’articolo sull’<intenzionalità>,
separandolo quindi da L’Être et le Neant, e ricollocandolo cronologicamente
nella prima fase del pensiero sartriano.
Questi due lavori infatti, quello sulla trascendenza e quello
sull’intenzionalità, appaiono legati profondamente, non solo per il periodo
comune della loro elaborazione, ma anche perché l’articolo
sull’intenzionalità può essere letto come una cornice storica del testo de La
Transcendance de l’Ego, e può contribuire alla comprensione della prima
fase del pensiero sartriano.
Il lavoro sulla trascendenza costituisce, quindi, lo sfondo necessario alla
piena comprensione degli sforzi di Sartre, e in particolare, come è stato già
scritto, delle questioni dell’immagine e dell’emozione.
Proprio all’immagine è dedicato il secondo capitolo della tesi, questione alla
quale il filosofo dedica due importanti lavori: Imagination (1936) e
Imaginaire (1940).
Il primo testo è dato alle stampe nel 1936, ma Sartre lo presenta già nel
1926 come tesi per conseguire il diploma all’Ecole Normale Superieure.
L’elaborazione dello scritto avviene sotto la direzione di Henry Delacroix
(1873-1937), allievo di Victor Brochard (1848-1907), ed era considerato, in
quegli anni, uno dei massimi pensatori francesi. Già egli, prima del suo
allievo, aveva avviato una riconsiderazione della questione sull’immagine,
che partiva dalla convinzione di dover spogliare l’immagine del suo
contenuto sensibile. Una posizione questa, che venne in seguito ripresa da
Sartre, nell’ottica di una prospettiva fenomenologica, proprio su invito dello
stesso Delacroix, che negli anni Trenta aveva fondato la collana Nouvelle
Encyclopedie Philosophique per la casa editrice Alcan, e aveva suggerito al
giovane allievo di riprendere il materiale della tesi sull’immaginazione e di
pubblicarlo sulla rivista
5
.
In realtà però solo una parte dell’elaborato venne data alle stampe nel 1936,
quella cioè, che si occupava criticamente delle diverse teorie sull’immagine,
5
Jean Paul Sartre, L’immaginazione. Idee per una teoria delle emozioni, Bompiani, Milano,
2004. Per maggiori approfondimenti si veda l’introduzione storica di Nestore Pirillo
mentre il resto fu pubblicato nel 1940 in un altro lavoro, con il titolo di
Imaginaire
6
.
La questione dell’immagine viene affrontata in Imagination, che appare
come una sorta di osservatorio dei risultati degli studi psicologici influenzati
dal positivismo, e delle influenze che su di essi avevano avuto i grandi
sistemi metafisici del passato. I risultati di queste ricerche erano stati
raggiunti senza mai mettere in dubbio un postulato fondamentale, che
l’immagine fosse una copia delle cose. Il giovane filosofo era invece
interessato a lavorare su questo postulato sotto una spinta nuova, quella
della fenomenologia, che, come è stato già scritto, aveva conosciuto a
Berlino tra il 1933 e il 1934, e proprio da questo studio aveva maturato la
convinzione che fosse possibile un ripensamento del concetto di immagine.
Imagination rappresenta un intreccio storico e filosofico delle teorie che in
quegli anni si costruivano attorno alla questione dell’immagine, e che così
com’erano, come si vedrà nelle pagine che seguiranno, non potevano
sciogliere il nodo che avrebbe portato a far chiarezza sulla distinzione tra
immagine e percezione, l’ostacolo che non permetteva di scoprire la vera
natura dell’immagine.
Il compito di Sartre in questo lavoro è proprio quello di passare in rassegna
tutte le teorie più importanti, e dimostrare come queste poi, partendo da
strade diverse si fermino sempre allo stesso ostacolo, al contenuto sensibile
dell’immagine, senza mai procedere oltre.
Se l’immagine era una copia delle cose, e dunque cosa essa stessa, non si
capiva come essa potesse essere simile per natura alla percezione, se ad un
certo punto bisognava dimostrare, per necessità di ragionamento, che
esisteva una differenza tra i due concetti. La soluzione per la maggior parte
dei casi si risolveva ad una questione di intensità di contenuti, ma la vera
origine della immagine restava comunque sempre da scoprire, in quanto ad
essa si applicavano quelle leggi metafisiche che pretendevano di regolare a
priori gli effetti dell’immagine nel mondo fisico.
Come vedremo, le ricerche compiute durante gli anni berlinesi aiuteranno il
filosofo a disfarsi della psicologia positivista e di quella che Sartre riteneva
la metafisica “ingenua”.
Partendo dalla critica ai maggiori psicologi e pensatori del suo tempo, il
filosofo analizzerà le diverse posizioni e rileverà quelli che, secondo lui,
erano stati i difetti metodologici che avevano ostacolato il buon fine delle
ricerche.
6
Il titolo è stato reso in Immagine e coscienza nell’edizione italiana pubblicata da Einaudi
nel 1948
La realizzazione di una psicologia fenomenologica dell’immagine, che verrà
poi esplicitata in Imaginaire, sembra avere il compito di mostrare, attraverso
l’attività intenzionale della coscienza che il filosofo eredita da Edmund
Husserl, cosa accade quando si immagina: durante l’atto stesso di
immaginare, all’interno della coscienza, non interviene nessuna modifica.
Non c’è nessun Io che la personalizza, cioè che identifica quella immagine
come appartenente al soggetto che la sta pensando, ma, come concluderà il
filosofo in Imagination, si evidenzia una caratteristica importante per la
coscienza, la sua spontaneità. Una coscienza che immagina lo fa
spontaneamente, una coscienza empirica invece non sembra mostrare questa
particolarità.
Un risultato, che per Sartre, non era stato possibile osservare attraverso i
risultati della psicologia sperimentale, a causa evidentemente del metodo
utilizzato per comprensione della natura dell’immagine.
L’analisi di queste osservazioni doveva proseguire con lo studio della
coscienza immaginativa, in particolare nel lavoro del 1940, soffermandosi
sul momento in cui la coscienza si getta nel mondo, superando se stessa, e
scoprendo così l’unico modo per essa di cogliere il mondo.
L’esigenza di ripercorrere lo studio sartriano nasce anche dal tentativo di
verificare se realmente con questa teoria il filosofo aprì una nuova strada per
la conoscenza dell’immagine. Alcuni studiosi, come Gilbert Durand
7
,
accusarono Sartre di essersi certamente imbattuto in una nuova analisi
dell’immaginazione, ma di non aver mantenuto la promessa iniziale, cioè di
rivelarne la natura coscienziale.
In realtà leggendo le ultime pagine di Imagination, pubblicato nel 1936,
Sartre arriva alla conclusione che l’immagine è un <certo tipo di
coscienza>, e della questione promette di parlarne altrove, in Imaginaire,
dove per Durand sembra che il filosofo non abbia mantenuto la promessa.
L’obiettivo iniziale di Sartre, nel 1936, era comunque, quello di restituire
all’immagine una veste dignitosa, che non la facesse apparire come una
sterile copia dei dati sensibili, ricollocandola all’interno della coscienza.
Alla luce della lettura e dell’analisi dei lavori degli anni Trenta, si può
sostenere con forza che il giovane filosofo ha raggiunto quest’obiettivo, e lo
si potrà vedere nel corso dei capitoli che seguiranno.
C’è anche da considerare che prima che Sartre completasse Imagination, il
dibattito sulla questione era confinato ai risultati delle ricerche e agli studi
elaborati alla fine dell’Ottocento, e quindi si deve ritenere che i suoi lavori
7
G. Durand, Strutture antropologiche dell’immaginario. Introduzione all’archetipologia
generale, Dedalo, Roma, 1995, pag. 14
sulla coscienza, sull’immagine e sull’emozione, anche per il fatto di aver
reso suscettibile la definizione di immagine, abbiano reso possibile lo
spostamento del confine degli studi precedenti e l’esistenza di diverse forme
di coscienza.
La psicologia, la prima disciplina a riprendere il discorso sull’immagine, e
anche la filosofia, non avevano dubbi che essa fosse la copia di qualcosa,
restava però da capire come questa imitazione del sensibile nascesse e di
che consistenza fosse, ma soprattutto in quale parte della coscienza fosse
collocato il “meccanismo” dell’immaginazione. Tutti questi interrogativi
scatenarono il dibattito che continuò ad agitarsi, soprattutto in Francia
8
, sino
agli inizi del secolo passato.
L’associazionismo fu tra i grandi movimenti che agitarono le riflessioni in
campo filosofico e psicologico, che verso la fine dell’Ottocento alzò
un’ondata di contestazione che si diffuse prepotentemente nei primi anni
Venti del secolo successivo: dal pragmatismo di James e di Peirce al
neorealismo di Whitehead, dallo spiritualismo evoluzionistico di Bergson
alla fenomenologia di Husserl, Sartre non tralascia i nomi di coloro che
influenzarono lo studio sull’uomo.
Il filosofo fa riferimento anche a Wundt e alle sue teorie per cui tutti i
contenuti dell’esperienza immediata, come le percezioni, i sentimenti e i
ricordi, sono resi analizzabili attraverso una elementare scomposizione in
elementi più semplici, da cui è possibile stabilire le connessioni e trarre le
leggi di associazione che determinano i composti complessi.
L’opposizione a questa teoria si manifesta però già tra gli allievi di Wundt,
tra questi James e Kulpe, quest’ultimo meglio noto come il fondatore della
Scuola di Wurzburg, che favorì il distacco netto dallo studioso di Lipsia.
Quello che affrettò la separazione dalle teorie del maestro fu soprattutto la
scoperta di pensieri senza immagini (o elementi sensoriali), che smentiva di
conseguenza la loro assoluta necessità predicata da Wundt, convinto della
presenza nel pensiero di questi elementi.
In contrapposizione a queste teorie si sviluppò poi la Gestaltpsychologie (o
psicologia della forma), per la quale nella percezione si ha coscienza
immediata di un tutto, non ci sono sensazioni particolari o situazioni
immaginarie costruite da un intelletto, non ci sono nell’ambito di questo
quadro elementi predefiniti per la comprensione di questo tutto, perché è la
stessa esperienza a non essere più considerata caotica, bensì strutturata.
Come se la percezione bastasse a se stessa, ma soprattutto come se non ci
fosse un soggetto da integrare in situazioni particolari, basterebbe
8
Ibidem, pag. 13
l’esperienza percettiva per poi associare a questa, le caratteristiche degli
stimoli che la caratterizzano.
Nei primi anni del Novecento due grandi orientamenti si contendevano la
natura dell’immagine: da una parte la psicologia positivista che la riduceva
ad un involucro, vuoto al suo interno e del tutto simile ad un oggetto già
conosciuto; dall’altra invece, era in atto una sorta di rivoluzione filosofica,
che riuniva quanti avevano deciso di abbandonare l’insegnamento di Kant e
di Hegel, e dunque rifiutavano l’idealismo applicato alla metafisica. Henri
Bergson era i promotori di questo enorme cambiamento volto alla ricerca
del concreto, al suo seguito Albert Spaier che, proprio nel 1927, aveva
pubblicato La pensée concrète, e Gorge Politzer, che aveva fondato la Revue
de psychologie concrète.
Tra i giovani che avevano deciso di seguire questa strada c’erano Jean
Wahl, Raimond Aron e infine Jean Paul Sartre. Quest’ultimo tentava di
significare l’immagine ponendola sullo stesso piano della coscienza, e
quindi innalzandola a strumento di conoscenza, a differenza di quanto si era
potuto fare con l’immagine-cosa; essa dunque diventava la facoltà del
possibile.
La teoria, che Sartre sviluppava in Imagination prima e in Imaginaire poi, si
distaccava completamente da quelle dell’epoca sia in campo filosofico, ma
soprattutto in quello scientifico, come sostiene anche Sara Vassallo, studiosa
di psicologia:
<[la théorie que Sartre développe dans l’Imaginaire] n’a rien à voir avec les
formalisations de la Gestalt en vigueur à l’époque et ne partage pas non plus les
positions de Bachelard. Elle constitue tout d’abord une prise de position à
l’encontre des thèses empiristes et associationnistes et obéiet à la pensée de
Husserl>
9
.
Forse doveva essere davvero così visto che, per Gaston Bachelard
contemporaneo di Sartre, insegnante di Fisica nei collegi e successivamente
studioso di Storia e Filosofia della Scienza, più che di immaginazione,
sarebbe stato più appropriato parlare di poetica dell’immaginazione. In La
terra e la forza delle cose, se è vero che l’uomo è un corpo, l’immagine è
all’origine dell’esperienza umana, infatti,
<mentre nell’animale l’istinto si traduce in azioni e comportamenti,
nell’uomo si trasforma in immagine>.
10
9
Sara Vassallo, Sartre et Lacan. Le verbe etre entre concept et fantasme, L’Harmattan,
Paris 2003
10
Gaston Bachelard, La terra e forze. Le immagini della volontà, Red edizioni, pag. 9
Questa concezione aveva molto in comune con la definizione di Theodule
Armand Ribot, tra gli studiosi citati anche in Imagination, che considerava
l’immagine un’<azione rientrata>, una sensazione spontanea e rinascente. In
pratica, essa aveva un’origine fisica, ma allo stesso tempo una implicazione
metafisica, in quanto la spontaneità, che si osservava nel modo in cui
l’immagine “rinasceva”, non era assolutamente spiegabile.
Questa definizione era stata poi ripresa dalla psicanalisi, che aveva
particolarmente influenzato Bachelard, per il quale era stato facile dedurre
da ciò, che se le immagini provenivano dall’istinto umano, esse dovevano
necessariamente avere un’origine nel corpo. Una convinzione comune agli
psicologi, che permetteva l’elaborazione di una psicanalisi della conoscenza
oggettiva, come se l’unico modo per conoscere da parte del soggetto fosse la
percezione; l’altro punto della questione era che questa teoria non
concedeva nulla alle immagini, che anzi falsificavano la conoscenza del
reale. Infatti in quanto sensazioni rinascenti dal corpo, esse non
aggiungevano niente di più alla conoscenza del mondo da parte del
soggetto, quindi l’immagine appariva opposta alla verità forte della
percezione.
In realtà tutta la letteratura dell’epoca sull’argomento, affronta la questione
dell’immagine dall’interno, con una valutazione affettiva, come è stato già
scritto. Nel senso che quando si parla dell’immagine, essa è sempre vista
come una strana forza che proviene internamente, soggettivamente, ma la
cui natura non è mai chiara.
Gaston Bachelard, come molti suoi contemporanei, sosteneva, negli stessi
anni in cui l’esistenzialista francese proponeva Imagination, la convinzione
che l’immagine avesse attributi cosali, per poi estendere questa funzione
anche alla fase del sogno.
Come se ci fosse un’altra dimensione in cui il soggetto viveva lontano da
qualsiasi pulsione, ed era del tutto escluso quindi dalla sfera razionale. Si
può anche notare un sottofondo materiale, perché è proprio dalla realtà delle
cose che viene, alla fine di tutto, la materia per le immagini. E’ chiaro che
questo tipo di immagine si discostava nettamente dalla teoria che invece
Sartre sosteneva, e che la riteneva una forma di coscienza. Lo stesso
ragionamento vale per l’emozione, che è l’argomento del terzo capitolo.
Ad essa Sartre dedicò nel 1939 un intenso lavoro, che però non portò a
termine, ma del quale riuscì a pubblicare solo un breve estratto con il titolo
Esquisse d’une théorie des émotions. Il lavoro, se fosse stato completato il
progetto iniziale, sarebbe apparso al pubblico con il titolo Psyché: iniziato
da Sartre verso la fine degli anni Trenta, era infatti nato nel tentativo di
delineare i punti importanti della psicologia fenomenologica dell’emozione.
In questo breve saggio, il filosofo sviluppa la teoria dell’oggetto psichico, di
cui già si trova abbondante traccia ne La Transcendance de l’Ego del 1934,
infatti questo testo rimanda ripetutamente al breve trattato sulle emozioni.
Si può ipotizzare che se Imagination pubblicato nel 1936, prepara, insieme a
La Transcendance de l’Ego nel 1936-37, la lettura di Imaginaire del 1940,
Esquisse d’une théorie des émotions, pubblicato in Francia un anno prima,
chiude il percorso del pensiero giovanile di Jean Paul Sartre per dare spazio
a soluzioni più mature con L’Être et le Neant, deduzione che può farsi
seguendo l’ordine cronologico dei lavori di quegli anni, ma seguendo anche
i risultati che man mano si aggiungono alla teoria sulla coscienza sartriana.
Il punto di partenza per lo studio sull’emozione è, come per l’immagine, il
campo trascendentale, e come la questione dell’immagine era stata
affrontata sul piano della riflessione, del quale Sartre si era occupato di
osservare e descrivere la struttura essenziale dell’immagine, si vede bene
come anche lo studio della coscienza emozionale ha bisogno di non
considerare solo i suoi effetti più visibili sull’uomo, ma anche la questione
del senso interno.
L’atto della coscienza di cogliersi fuori nel mondo, e il modo stesso in cui
essa è attivata dall’oggetto che la trascende, costituiscono il centro
dell’interesse sartriano a proposito dell’emozione. Solo partendo da queste
premesse, è possibile osservare la coscienza che agisce nel mondo,
attraverso le sue reazioni emozionali.
La coscienza è tutta all’esterno, e il mondo le è di fronte. E’ da questo punto
che bisogna partire, dal movimento della coscienza, nell’atto di trascendersi,
e nell’atto di afferrarsi attraverso gli oggetti, dal suo interno quindi, poiché è
anche da questa posizione che Sartre ha tratto tutte le considerazioni sulla
struttura della coscienza e sulla coscienza immaginativa.
Adesso che la coscienza è fuori, colta nell’atto di vivere, nel mondo,
bisognerà vedere se quei caratteri, così evidenti e naturali nel campo
trascendentale, permangono anche nel mondo.
Per far questo, il punto di partenza sarà Esquisse d’une théorie des
émotions, che come Imagination affronterà la coscienza nel mondo. Anche
in questo capitolo, l’analisi del testo permetterà di addentrarsi nello studio
sull’emozione, e di comprendere come Sartre arrivò a determinarla come
un’altra forma di coscienza. L’approccio è sempre lo stesso, il filosofo pone
l’attenzione su di un concetto mostrando la necessità di riesaminarlo, a
partire dallo studio delle teorie psicanalitiche e psicologiche che finora se ne
sono occupate, per poi trarre le proprie originali conclusioni.
Alla fine dei tre capitoli si lascerà uno spazio dedicato agli spunti di
riflessione forniti da questi primi lavori, perchè la loro lettura ha fatto
emergere un profilo importante, sul quale si è ritenuto fare un
approfondimento. In questa prima fase infatti, è possibile verificare un
dialogo continuo tra Sartre e Bergson, filosofo quest’ultimo al quale
l’esistenzialista non manca mai di rivolgersi in ognuno dei singoli lavori di
questo periodo.
Al di là degli importanti riferimenti, la ricerca resta il tentativo di porre
l’attenzione sulle questioni affrontate in questi primi contributi del filosofo,
nell’ottica di tracciare l’esistenza che si scopre su di sé spontaneamente.