4
All’interno di queste opere letterarie il personaggio più importante
era la ruffiana, descritta come onnisciente e onnipotente, in mezzo a una
miriade di altri personaggi, come i vari tipi di prostitute, i servi e i bobos,
vittime preferite delle astute mezzane.
Anche per questo tipo di donna ci fu il rovescio della medaglia, con
l’arrivo dalle Indie Occidentali della sifilide, una malattia venerea che
infettava facilmente chi svolgeva una sregolata vita sessuale.
Questi personaggi non sono una novità per la letteratura spagnola:
senza andare troppo indietro nel tempo, basta pensare a Celestina, la puta
vieja alcoholada, protagonista della Tragicommedia de Calisto e
Melibea, a cui lo stesso Delicado si riferisce nel titolo dato alla sua opera
o alla Trotaconventos del Libro de Buen Amor di Juan Ruiz.
In ambito italiano le opere di Aretino possono essere definite
come “il libro sacro” di questo genere, difatti oggetto del Ragionamento
sono i tre stati delle donne - monache, maritate, puttane - illustrati
attraverso l'esperienza personale della Nanna che la racconta
all’Antonia, mentre, nel Dialogo, la Nanna insegna alla Pippa il mestiere
della cortigiana.
Ma non finisce qui, infatti, nella terza giornata del Dialogo si parla
delle caratteristiche della ruffiana.
5
Basandomi su quest’ultima giornata ho cercato di tracciare le
caratteristiche di questo tipo di donna trovando delle corrispondenze con
le due ruffiane della letteratura spagnola: Lozana e Celestina.
Tali donne erano ottime curanderas e saludaderas, sensitive,
indovine, infaticabili camminatrici, loquaci, raramente titubanti,
combattive, seppur sifilitiche, sapevano di erbe medicamentose,
sapevano adattarsi ad ogni situazione, “labrandera[s], perfumera[s],
maestra[s] de hazer afeytes y de hazer virgos, […] y un poquito
hechizera[s]. Era el primer officio cobertura de los otros” (La Celestina
Auto I, 110).
6
-CAPITOLO I-
LA PROSTITUZIONE NEI PRIMI DECENNI DELL’ETÀ
MODERNA
I. 1 - LE “SIGNORE”
3
DEL XVI SECOLO
Se è vero che la Storia viene scritta dai vincitori impersonati per
tanti secoli dagli uomini, capita che i libri siano pieni di figure maschili,
più o meno eroiche, più o meno terribili. Ma le donne? Dove erano mai
le donne mentre si viveva, si faceva, si scriveva la Storia? Le donne
vivevano nell’ombra vite disperate o rassegnate, considerate proprietà
dell’uomo, passibili di ogni sopruso, prive di ogni diritto. A loro erano
riservati i ruoli più umili e meschini. Ma al loro interno le Cortigiane
grazie alla loro intelligenza, seppero lasciare tracce di sé nel loro tempo e
nel successivo.
Di loro, ancora oggi, la Storia non parla, o parla poco, ma questi
silenzi e queste omissioni, paradossalmente, hanno contribuito a renderle
figure di grande interesse
4
. Queste donne, dando agli uomini ciò che
volevano, ossia, i piaceri della carne, li hanno avuti nelle loro mani,
3
Per il termine si veda Giovanni Scarabello, Le “Signore” della Repubblica, in Il gioco dell’ amore.
Le Cortigiane di Venezia dal Trecento al Settecento, Catalogo della mostra, Venezia, Casinò
Municipale Ca’ Vendramin Calergi (2 febbraio–16 aprile 1990), Berenice, Milano, 1990, pag. 11.
Benedetto Croce nell’opera La Spagna nella vita italiana durante la rinascenza (1915), Bari, Laterza,
1949, p. 193, afferma che il termine fu importato dagli spagnoli in Italia e “ assai spesso ‹‹signora››
senz’altro significò brevemente la ‹‹cortigiana››”. Viene spesso utilizzato nell’opera di Francisco
Delicado, La Lozana Andaluza, ed. Carla Perugini, Sevilla, Fundación José Manuel Lara, 2004, si
veda per esempio nel mamotreto XIV pag. 77 ed. “¡andá, señora, que no tenéis ojo de estar virgen!”.
Da ora in avanti le citazioni si intendono da questa edizione.
4
Non a caso quest’ anno è stato realizzato un film per la tv, diretto da Pierfrancesco Pingitore, in cui
la protagonista era Imperia, la più famosa cortigiana di Roma.
7
inebriati dalla bellezza delle cosiddette: “cortigiane oneste”
5
. Le
cortigiane non furono solo puttane di lusso ma anche donne di cultura
6
.
Essere cortigiana nel XVI secolo significava non solo offrire il proprio
corpo agli uomini più importanti della società (avendo come secondo
fine, quasi sempre, il vivere nell’agiatezza) ma anche saper leggere,
scrivere (cosa di non poco conto per l’epoca, soprattutto se consideriamo
che stiamo parlando di donne
7
) e intrattenere col loro savoir faire e
naturalmente con le proprie grazie. Una cortigiana che avesse voluto
avere un certo successo, protettori potenti, denaro, e non avesse voluto
finire i suoi giorni a prostituirsi per le strade tra manovali, marinai e
facchini, doveva saper essere non solo affascinante, ma anche colta in
molte discipline, dalla musica alle lettere, dalla danza alla politica, così
da non sfigurare nell’alta società dell’epoca.
Purtroppo la visione di queste donne tramandataci dagli scrittori
ha ovviamente un punto di vista maschile che di conseguenza ne mette
molto spesso in risalto solo la parte superficiale, senza ricordare i loro
5
Burchard chiamò “cortigiane oneste”, le donne che nel 1501 danzarono nude nel palazzo apostolico
davanti al pontefice Alessandro VI e ai suoi figli Lucrezia e Cesare, detto il Valentino. La frase ebbe
un grande successo sia a livello storiografico, sia letterario; la formula fu adottata al posto del termine
più realistico e decisamente imbarazzante riservato alle donne di malaffare di bassa lega. Dobbiamo
inoltre ricordare che prima di allora la parola “ cortigiana” si usava solo per designare le cosiddette
“dame di compagnia”, ovvero le donne che in una corte avevano il compito di allietare con la loro
presenza le giornate delle signore. A causa di un simile slittamento di significato, quelle che un tempo
erano definite le “dame di compagnia” vollero chiamarsi invece “dame di corte”, per evitare di essere
confuse con le meretrici e di vedere così intaccato il proprio prestigio sociale. Bisogna ricordare,
inoltre, che quel vocabolo, usato nel senso latino, non conteneva nessun significato morale, ma solo
un significato di onorevolezza e di decoro.
6
Cfr. “ non basta lo esser buona robba, aver begli occhi, le trecce bionde: arte o sorte ne cava la
macchia, le altre cose son bubbole”. Pietro Aretino, Sei giornate, G. Aquilecchia (a cura di), Bari,
Laterza, 1969, p. 149.
7
Per i moralisti, come per esempio ne La perfecta casada di Fray Luis de León, la natura non aveva
fatto le donne per lo studio e per la scienza.
8
sentimenti e i loro bisogni. Si crea, quindi, in letteratura quell’immagine
di prostituta che i clienti avrebbero voluto: lussuriosa
8
, sana e senza
particolari problemi economici. Per scoprire la loro parte più intima,
i sentimenti, dobbiamo ricorrere alle poche opere rimasteci delle stesse
cortigiane. Queste figure femminili tanto desiderate non furono solo
muse di uomini di lettere ma anche di diversi pittori, i quali, la loro
bellezza, le utilizzavano come soggetto per dipingere figure femminili
anche sacre, addirittura la Vergine Maria
9
, ed esse accettavano di buon
grado il ruolo di musa ispiratrice perché, attraverso i quadri che le
raffiguravano, accrescevano la propria fama.
Le cortigiane erano solo la punta del grande iceberg della
prostituzione. All’interno di questo mondo vi era una gerarchia, in cui le
donne erano classificate per il prezzo
10
:
hay putas graciosas más que hermosas, y putas que
son putas antes que mochachas. Hay putas apasionadas,
putas estregadas, afeitadas, putas esclarecidas [...] putas
ursinas [...]; hay putas orilladas, bigarradas, putas
combatidas [...] putas convertidas, repentidas; putas viejas,
lavanderas porfiadas [...] putas a la candela [...] putas
secretas y públicas, putas jubiladas, putas casadas
reputadas. (XX, 121-122-123)
8
Per quanto riguarda il rapporto tra i sette peccati capitali e le prostitute ricordiamo le parole
dell’Aretino: “ la gola, la ira, la superbia, la invidia, la accidia e l’avarizia nacquero il dì che nacque il
puttanesimo” . In questa lista non appare la lussuria perché come dice la Nanna nel Ragionamento:
“chi sempre beve non ha mai troppa sete; […] [cosicché] la lussuria è la minor voglia che elle
abbino”. P. Aretino, Sei giornate, G. Aquilecchia (a cura di), Bari, Laterza, 1969, p. 116.
9
Cfr. “ io gli feci l’altro dì ritrarre una, non bella, anzi miracolosa fanciulla , e con una fatiga da cani;
[…]. Ora mi è alle spalle per ritrarla di nuovo, non gli bastando averla avuta più volte: egli l’ha ritratta
per l’angelo, per la Madonna, per la Madalena, per santa Apollonia, per santa Orsola, per santa Lucia
e per santa Caterina”. P. Aretino, op. cit., p. 311.
10
Basti pensare alla Tariffa delle puttane, anonima, pubblicata a Venezia nel 1535.
9
Oltre a questa “scala sociale”, all’interno del mondo della
prostituzione non dobbiamo dimenticare tutti coloro che vivevano sulle
spalle di queste donne, come per esempio bertoni, affittuari, stufaioli e
lo Stato stesso, al quale queste donne dovevano versare dei soldi per
poter praticare il mestiere più antico del mondo.
Il fenomeno della prostituzione si sviluppò ovunque, ma in
particolare in due fra le città più importanti della penisola italiana, ossia
Venezia, la “Serenissima”, e Roma, capitale della cristianità, le quali
tentarono di contenere il diffuso fenomeno affinché non degenerasse in
qualcosa di più difficile da controllare.
Prima che le prostitute potessero entrare, però, all’interno delle
mura della città, vivevano all’esterno dello spazio urbano; solo nel
Trecento poterono oltrepassare quelle mura, ma sempre relegate nelle
periferie. Con questo spostamento si passò da una struttura
prostituzionale libera, esercitata all’ esterno delle città, ad una struttura
regolata, esercitata all’ interno delle mura. Infatti molte furono le leggi
restrittive che dovettero rispettare. Tali leggi, emanate dai vari governi,
si basavano soprattutto sui canoni medievali in materia, i quali
consideravano “la prostituta come una persona priva quasi del tutto di
diritti e socialmente degradata alla quale era garantita una certa
10
tolleranza ed una limitata possibilità di ricevere e conservare i guadagni
tratti dalla sua attività”
11
.
Nel Quattrocento la tendenza delle città italiane era di costruire
luoghi, all’interno dello spazio urbano, destinati alla prostituzione.
Tali luoghi, detti postriboli, furono molto utili per concentrare tutta la
prostituzione in un unico spazio cittadino e per meglio controllare tale
fenomeno. Tuttavia, sul finire del secolo, queste strutture entrarono in
crisi e nei primi anni del ‘500 le città furono invase da ruffiane e
prostitute di qualsiasi livello.
11
R. Canosa – I. Colonnello, Storia della prostituzione italiana, Roma, Sapere 2000, 1989, p. 223.
11
I. 2 - VENEZIA E IL CASTELLETTO
La Venezia del XVI secolo controllava una vasta rete di traffici in
tutto il Mediterraneo e in buona parte dell’Oriente, ed era punto
commerciale, culturale e sociale insostituibile. La “Serenissima” era
ricca, opulenta, gaudente, eccessiva e, a suo modo – per l’epoca –
liberale. Era una Repubblica, un’isola di civiltà in un mondo ancora di
matrice feudale
12
, ma la sua liberalità non si estendeva alla vita e ai
diritti dei suoi cittadini di sesso femminile. Infatti, come la storia ci
insegna, le donne erano la merce di scambio, attraverso matrimoni
d’interesse, per alleanze commerciali e politiche ed era vivamente
disapprovato, moralmente condannato, che esse avessero altri interessi
che compiacere padri e mariti e fare figli. L’unica eccezione riguardava
le cortigiane alle quali, in quanto tali, era concessa una certa libertà.
Ecco perché molte donne di questo mondo erano acculturate a differenza
delle altre femmine “normali”. Questa potrebbe anche essere una delle
cause principali dell’avvicinamento della donna al mondo del turpe
commercio, in quanto in questo modo esse scoprirono la possibilità di
essere libere dai vincoli che le relegavano fra le pareti domestiche e nell’
ignoranza.
12
Ricordiamo che la penisola italica nel XVI secolo era divisa in numerosi Stati Regionali, Stati cioè
più grandi delle città-stato medievali ma ancora troppo piccoli per tentare un’espansione, causa
dell’appoggiarsi, da parte dei principi italiani, al sovrano francese o spagnolo che in poco tempo si
divisero il Bel Paese senza mai però sottomettere Venezia, che riuscì a mantenere la sua identità
statuale.